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Consumo di suolo, INU: incentivi fiscali alla rigenerazione urbana

Dagli urbanisti 11 proposte di modifica al disegno di legge all’esame del Parlamento

Incentivi fiscali e contributivi di livello locale che stimolino la rigenerazione urbana; moratoria sulle nuove edificazioni valida quantomeno fino alle disposizioni regionali; eliminazione della possibilità di consumare, tre anni dopo l’approvazione della legge, una quantità di suolo pari al 50% di quello consumato nei 5 anni precedenti.

Sono alcuni degli emendamenti al disegno di legge sul contenimento del consumo di suolo e sul riuso del suolo edificato, proposti dall’Istituto Nazionale di Urbanistica (INU).

I tempi sono maturi “per adottare provvedimenti incisivi a livello nazionale – spiega l’INU. È ormai generale infatti la presa di coscienza, anche da parte dell’opinione pubblica, della centralità di temi come il contenimento del consumo di suolo e l’incentivazione alle pratiche di rigenerazione urbana per un innalzamento della qualità della vita e per una maggiore prevenzione dai danni provocati da eventi meteorologici estremi”.

L’Inu avrebbe preferito che i temi citati fossero affrontati in un organico provvedimento di riforma della disciplina di governo del territorio, e non in un testo che rischia di essere parziale e non risolutivo. Tuttavia intende collaborare nel merito della stesura del provvedimento, e offre al legislatore undici emendamenti per il suo miglioramento.

Le proposte di modifica traducono le perplessità dell’INU sul testo e propongono la via per “rafforzare” alcuni punti deboli. Gli urbanisti propongono 11 emendamenti, tra cui:

– una definizione più univoca e condivisa di “consumo di suolo”, sostituendola o almeno integrandola con il concetto di “suolo urbanizzato”, evitando il concetto di permeabilità/impermeabilità, che rischia di essere troppo specialistico e di difficile applicazione;

– strumenti, nel testo nazionale, che diano la possibilità di mettere a punto a livello locale misure di incentivazione di tipo fiscale e contributiva che stimolino le pratiche di rigenerazione urbana;

– la predisposizione di un “Catasto degli usi e della qualità del suolo”, finalizzato a quantificare e localizzare, oltre alle superfici agricole o comunque con suolo naturale, anche quelle passibili di miglior utilizzo o riuso, in quanto sottoutilizzate o dismesse, tra le aree comunque urbanizzate. La realizzazione di questo catasto secondo criteri omogenei sul territorio nazionale renderebbe disponibile una base dati costantemente aggiornata a disposizione delle regioni e del governo, fondamentale per il monitoraggio dell’efficacia della legge, che altrimenti rischia di essere una dichiarazione di principi senza apprezzabili effetti pratici;

– la modifica della disciplina della moratoria: essa dovrebbe essere valida quantomeno fino alle disposizioni regionali, che di fatto inaugurano il corso della nuova disciplina, e non ha senso stabilire come limiti in prima battuta l’approvazione del decreto sul consumo di suolo (che per essere efficace deve comunque attendere le misure regionali) e in seconda battuta l’arco temporale di tre anni. Va prevista inoltre un’esclusione dalla moratoria delle sole opere pubbliche già programmate;

– l’eliminazione della norma che stabilisce che, trascorsi i tre anni dall’approvazione della legge, sia ammesso il consumo di una quantità di suolo pari al 50% di quello già consumato nei cinque anni precedenti. In tal modo infatti si tornerebbe ad ammettere senza alcuna regolazione nuovi consumi di suolo ma soprattutto si andrebbero a premiare i comuni meno virtuosi;

– l’eliminazione della parte della legge che disciplina caratteri e modi del recupero degli insediamenti rurali dismessi. Si tratta di disposizioni che dovrebbero essere inserite in una norma dedicata al recupero dell’edilizia rurale e che sarebbero troppo puntuali, forse, anche per un testo di legge regionale. Il livello di dettaglio stride inoltre con la genericità con cui vengono invece definiti e disciplinati gli interventi di rigenerazione urbana.

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Efficienza energetica e rigenerazione urbanistica nelle periferie

Con il Piano UE 20/20/20, contenuto nella Direttiva europea 2009/29/CE, l’Italia si trova ad affrontare, in maniera sempre più urgente, il problema dell’efficientamento energetico soprattutto per quel che riguarda il costruito esistente.

Si stima, infatti, che sul suolo italiano esistano circa 2.000.000 di abitazioni in precario stato di conservazione, che necessitano di essere demolite e ricostruite o recuperate: ampie aree urbane in cui insistono complessi di edifici che hanno ormai concluso, o stanno concludendo, il proprio ciclo di vita e che sono, dunque, destinate ad una sostanziale riqualificazione. Se lo Stato, da un lato, dovrebbe dare già il buon esempio, risolvendo il problema degli edifici pubblici entro la data di scadenza del 2020, dall’altro lato più del 70% del patrimonio esistente risulta oggi abbandonato a se stesso, non solo per quel che riguarda la manutenzione edilizia ma ancora più per quella energetica. In un paese, come il nostro, in cui lo spazio costruito risulta quasi la totalità della superficie nazionale, appare subito chiaro come il compito di riuscire a riqualificare il patrimonio edilizio sia senz’altro arduo e richieda sforzi non da poco.

Si è, così, di fronte ad una grande opportunità: affrontare il problema con una visione matura che cerchi, sinergicamente, di fare incastrare l’aspetto edilizio, quello urbanistico e ambientale con quello dell’innovazione tecnologica, per poter poi far fronte alle richieste, sempre più pressanti, delle politiche europee, che impongono non solo un cambiamento di rotta per quel che riguarda le risorse utilizzate – dal fossile al sostenibile – ma che, allo stesso tempo e in modo coerente, trattano sempre più temi come l’energia, il cambiamento climatico, le smart city e la sostenibilità, nell’ottica di quella programmazione 2014-2020 che fa, ormai, da obiettivo comune alle politiche direttive degli stati membri.

In una visione più locale, ovvero concentrandoci sui centri abitati italiani, si nota subito come la maggior parte dell’attenzione, in materia di efficientamento o di riqualificazione energetica, venga spesso rivolta o alle nuove costruzioni o agli edifici pubblici esistenti che, spesso, caratterizzano i nostri centri urbani, a volte anche quelli storici. Poche sono invece le idee spese per le aree più lontane dal centro e che costituiscono quelle periferie, spesso degradate e senza servizi, dove invece si concentra un’altissima densità di popolazione. Complessi edilizi da ripensare, da riqualificare o da ricostruire, potrebbero diventare i veri protagonisti di quella class action di rinnovamento energetico allo scopo di creare quartieri finalmente degni di questo nome, con spazi pubblici e privati ripensati in modo smart, in modo “intelligente”, accorciando quella distanza che spesso si è venuta a creare tra il centro, o i più centri, delle nostre città e, appunto, le periferie. Tutto ciò ovviamente non risulta così immediato, soprattutto se si tiene in considerazione il fatto che questa rigenerazione deve essere a bilancio zero, puntando ad abbattere drasticamente il consumo energetico edilizio (in particolare, nel settore civile, i consumi relativi al riscaldamento, al raffrescamento e all’acqua calda sanitaria, rappresentano attualmente il 22% del consumo primario nel Paese) e ponendosi come obiettivo non solo una sinergia tra professionisti ma anche un’attiva partecipazione dei cittadini, giustamente informati, che sono i primi fruitori dei luoghi, anonimi e non. Una trasformazione, questa, che porterebbe alla creazione di veri e propri Eco-Quartieri, come risultato dell’unione tra riqualificazione energetica e riqualificazione urbanistica, all’interno di strategie di intervento coerenti, che portino a tutti quei risultati che i P.R.U. o i P.R.U.S.S.T. non hanno realizzato concretamente, salvo dovute eccezioni, e che potrebbero, altresì, coniugarsi tranquillamente all’interno dei regolamenti edilizi “energetici” stipulati dai Piani d’Azione per l’Energia Sostenibile del Patto dei Sindaci (PAES).

E’ con queste premesse che Audis (Associazione delle Aree Urbane Dismesse) e Legambiente promuovono il progetto Ecoquartieri in Italia: un patto per la rigenerazione urbana, una proposta per il rilancio economico, sociale, ambientale e culturale delle città e dei territori. Il progetto, infatti, inteso a contribuire all’affermazione della rigenerazione urbana e ambientale, come chiave strategica per lo sviluppo e la sostenibilità, si pone l’obiettivo di fare da traino verso una meta più grande: ripensare un nuovo modello di città e di territorio. Del resto è proprio nei quartieri che nascono le comunità, i servizi, i centri culturali e tutto ciò che può determinare un moderno vivere sostenibile. Questa riqualificazione, inoltre, non può essere condotta solo sulla base di interventi puntuali su singoli edifici ne, allo stesso modo, su piccole porzioni di territorio, spesso studiati in modo del tutto separato e sconnesso dal resto della città. Proprio in questo senso i professionisti sono chiamati ad agire su aree più ampie, messe in relazione dinamica con il contesto in cui si collocano, con lo scopo di riportare qualità e identità a quelle periferie dimenticate e facendone addirittura esempi virtuosi per la restante parte delle città. Diversi sono, pertanto, le tipologie di intervento che è possibile ipotizzare:

  • interventi innovativi e rispettosi, ovvero trasformazioni profonde che, tenendo conto della storia del luogo analizzato, servano a pensare a quei caratteri che possano portare ad un nuovo modello di sviluppo sostenibile in situ;
  • interventi che riducano, drasticamente, l’enorme impatto ambientale che hanno, ad oggi, le nostre città sul territorio e che tengano conto, pertanto, della riduzione del consumo energetico del settore edilizio;
  • interventi che, come detto, coinvolgano i residenti, generando coesione e senso di appartenenza di quel luogo. Progettazione partecipata che dia modo ai cittadini, reali fruitori di quel quartiere, di formulare proposte concrete, in totale sinergia con le relative pubbliche amministrazioni e con le competenze professionali locali, uniche e vere risorse in grado di dare vita a progetti che tengano conto di quelle che sono le reali condizioni climatiche, del degrado del patrimonio, dei materiali compatibili con il contesto, del rispetto della storia del patrimonio edilizio esistente.
  • interventi, non in ultimo, che si rendano economicamente autosufficienti in tempi brevi, tralasciando quella burocrazia “delle carte” in cui spesso il nostro Paese ristagna.

Nel concreto, tenendo conto dell’effettiva applicabilità degli interventi, in particolar modo di quelli per l’efficienza energetica, e al loro rapporto costo/beneficio, occorre, dunque, tener conto:

  • dell’involucro edilizio: facendo riferimento ai parametri standard prescritti dal vigente decreto n.192/05, ci si riferisce a opere di coibentazioni dell’involucro, alla sostituzione di infissi, all’introduzione di elementi schermanti, ecc;
  • degli impianti termici ed elettrici. In tal senso l’ENEA, in collaborazione con il CRESME, ha effettuato una ricerca per la determinazione del parco immobiliare nazionale e della sua distribuzione sul territorio nazionale, attraverso lo studio del sistema elettrico italiano, in modo da determinare un quadro generico dello stato di fatto e dare avvio alla progettazione di interventi integrati, come la sostituzione degli impianti termici esistenti con nuovi impianti ad alta efficienza e, laddove sia possibile, con impianti alimentati da fonti rinnovabili.

Proprio in tal senso, il convegno annuale di Italcementi, tenutosi a Bergamo lo scorso 24 gennaio, ha visto la partecipazione di nomi illustri del mondo dell’architettura mondiale, sia nell’ambito dell’architettura che in quello della pianificazione urbana, mettendo in luce una serie di problematiche sulla rigenerazione architettonica ed energetica del territorio, da esempi concreti di città, in cui queste tematiche sono state applicate con dei notevoli risultati, al ruolo dei materiali innovativi e delle nuove tecnologie pro-sostenibilità. “Le nostre città, e in particolare le nostre periferie, hanno bisogno di mirati e studiati interventi di riqualificazione, che portino ad una vera rinascita atta a migliorare la vita delle persone che le vivono“, ha spiegato il presidente  Giampiero Pesenti. Del resto città estere come Berlino, Londra, Marsiglia, Parigi hanno fatto scuola, riqualificando le zone più vecchie e degradate, le quali hanno lasciato il posto a quartieri più sostenibili, ad energia quasi-zero e, dunque, più vivibili, contribuendo, anche, alla rinascita sociale ed economica dell’intera città: si ricordino, tra le prime esperienze, il quartiere Vauban a Friburgo, il Solarcity a Linz, prima città disegnata sull’insolazione di quel territorio, il BedZED a Londra, l’Hammarby Sjostad a Stoccolma o il Gwl Terrein ad Amsterdam. Anche alcune città italiane non sono da meno: Genova si fa strada, tra le città portuali, per la creazione del progetto Porto Green, che prevede l’approvigionamento di energia con microimpianti eolici. Torino, Milano e la stessa Genova hanno firmato un protocollo d’intesa per la realizzazione di piattaforme logistiche per i trasporti e le aree urbane, nell’ottica di trasformare l’ormai ex triangolo d’oro dell’industria italiana, in un’area completamente smart. Padova è diventata il punto di riferimento, a livello nazionale, per il progetto “Cortili Ecologici”, insieme a Milano, Cinisello Balsamo e Roma, per adottare abitudini sostenibili e soluzioni intelligenti, mirate a ottenere il 30% di riduzione del consumo domestico di acqua calda sanitaria e il 15% del risparmio energetico nelle abitazioni e nei rifiuti prodotti. E al sud ? Esempi d’eccellenza non mancano neppure nell’Italia meridionale come la cittadina di Baronissi, in provincia di Salerno, che si contraddistingue per tali tematiche applicate ai quartieri periferici ovvero risparmio energetico, isolamento dell’involucro degli edifici esistenti, differenziazione dei rifiuti con sistemi di raccolta interrati e  illuminazione con lampade a led per i sistemi della mobilità. In quest’ottica, tra gli interventi italiani, quello dell’architetto Mario Cucinella, fondatore della Building Green Future, e da sempre impegnato nel campo della sostenibilità, che ha dichiarato come, spesso, per migliorare la vita di un quartiere, a maggior ragione se periferico, può bastare il “minimo intervento”: un giardino, un orto sociale a km zero, un centro culturale, un percorso studiato, insomma non un intervento da “archistar” ma progetti puntuali, mirati e interconnessi, che favoriscano l’incontro tra le persone, che ne migliorino la qualità della vita e che lo facciano in modo non dispendioso, ne in termini di energia, ne in termini di risorse economiche.

In conclusione, nella visione del progetto “Ecoquartieri italiani”, c’è la chiara consapevolezza di come sia difficilissimo intervenire nelle nostre città, sia per la complessità delle procedure burocratiche da applicare per dare avvio agli eventuali interventi, sia per la gestione e i costi degli stessi, sia per la proprietà frammentata dei quartieri periferici. Sono questi, dunque, i reali motivi di questo vuoto, di quel gap che porta l’Italia ad essere un paese arretrato, sotto il punto di vista dell’innovazione energetica e della sostenibilità, rispetto agli altri paese europei. E, in questo contesto, diventa sempre più pressante l’esigenza di semplificazione, di condizioni di vantaggio per gli imprenditori che intendono investire in questi progetti e, dunque, di un network di professionisti che, con un approccio più sensibile, possa sviluppare idee di intervento concrete, che trasformino l’esistente in edifici a energia zero, sfruttando non solo i nuovi materiali e le nuove tecnologie ma anche i materiali presenti in loco, riscoprendo quelle maestranze e quelle tecnologie costruttive, anche del passato, atte a ottenere l’obiettivo di sostenibilità e di riqualificazione energetica senza, però, perdere l’identità dei luoghi in cui questi interventi andrebbero a collocarsi. E’ necessaria, pertanto, la stesura di una concreta normativa di riferimento, che renda possibili queste trasformazioni, senz’altro complesse, in modo da individuare i parametri da raggiungere, in termini di prestazioni energetiche, di uso e consumo delle risorse naturali, ma anche le procedure di attuazione urbanistica, come ad esempio la cessione gratuita di aree pubbliche o i possibili vantaggi fiscali per coloro che intendessero, nel privato, riqualificare energeticamente la loro proprietà.

Sopra tutto questo, poi, una regia nazionale, con degli obiettivi precisi, che possa coordinare quelle esperienze, per ora rimaste isolate, disseminate nel nostro Paese – e che sebbene siano meritevoli, restano incapaci di dare una vera e propria svolta – senza perdersi nel “mai finito” degli eterni incompiuti italiani.

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Un regolamento per Firenze

Arriva il nuovo regolamento edilizio di Firenze che dovrebbe riqualificare una grande parte della città a “volumi zero”

Interventi per 1,5 miliardi di euro e 10mila posti di lavoro. Questi in sintesi alcuni dei numeri del nuovo regolamento urbanistico (Ruc) forse a “a volumi zero” che ha avuto il via libera dalla giunta del Comune di Firenze. E dall’operazione dovrebbero arrivare 65 milioni di oneri di urbanizzazione previsti nelle aree in trasformazione che riguarderanno800.000 metriquadri di superficie sui quali saranno fatti interventi di trasformazione previsti, restauro e risanamento conservativo, ristrutturazione edilizia, ristrutturazione edilizia anche con demolizione e ricostruzione, ristrutturazione urbanistica, nuova edificazione.

«Un semaforo verde – afferma il sindaco di Firenze Dario Nardella – atteso da 15 anni, per la tappa decisiva di un processo cominciato quando era sindaco Matteo Renzi. Sono tre le parole chiave di questo documento: rigenerazionè, ovvero la trasformazione a volumi zero, cioè senza costruire un metro cubo di cemento in piú, di800.000 metri quadri di immobili dismessi; sostenibilita, investendo sul risparmio energetico e sul social housing; sviluppo, con la potenziale creazione di 10.000 nuovi posti di lavoro».

Il regolamento prevede 87 aree di trasformazione; 19 aree con superficie in trasferimento; 20 con superficie in atterraggio; 107 per servizi dove realizzare strade, piste ciclabili, parcheggi scambiatori, impianti sportivi, verde pubblico, altri servizi pubblici e impone, oltre a ciò, nelle trasformazioni nelle quali è prevista la destinazione residenziale e che interessino una Sul (superficie utile lorda) complessiva superiore a2.000 metriquadri, il reperimento di una quota pari al 20% di superficie da destinare alla residenza in forma convenzionata. E ciò potrebbe produrre circa50.000 metriquadri dedicati a forme di housing sociale.

«Si tratta di un nuovo strumento urbanistico – prosegue Nardella – che abbiamo voluto corredare con una semplificazione nelle procedure, ossia la possibilitá d’intervenire senza piano attuativo e quindi con intervento edilizio diretto in caso di restauro e risanamento conservativo, ristrutturazione edilizia con mutamento della destinazione d’uso originaria».

Oltre a ciò secondo il Comune c’è anche una grande facilitá d’uso del regolamento poichè ci sono anche oltre 200 schede norma, nelle quale oltre alla destinazione di progetto, è descritto il tipo di intervento consentito, gli obiettivi, le prescrizioni, le specifiche mitigazioni, la fattibilitá idraulica, geologica e sismica.

Oltre a ciò il Regolamento urbanistico individua 40 aree di riqualificazione ambientale, nodi e porzioni lineari della rete ecologica che necessitano di interventi mirati a rendere la rete piú efficiente. Inoltre circa l’ottimizzazione della prestazione energetica del patrimonio esistente è ammesso l’incremento della superficie, all’interno della sagoma esistente, se si garantisce un miglioramento in termini di prestazione energetica.

Novità anche per ciò che riguarda l’utilizzo degli immobili. Il Ruc, infatti, prevede l’uso temporaneo degli immobili dismessi, da il via libera alle famiglie che vogliono suddividere un solo appartamento anche sotto i50 metri quadratifuori dall’area Unesco e da la possibilitá d’introdurre forme di tutela delle botteghe storiche.

«Introduciamo – afferma l’assessore alle politiche territoriali, Elisabetta Meucci – una norma che risponde alle esigenze della cittá e dei giovani in questa fase così difficile. Consentiamo ai giovani di utilizzare in modo temporaneo gli immobili dismessi, superando le destinazioni urbanistiche permanenti. Questo permetterá a loro di avviare attivitá ovviamente con destinazioni in forma sperimentale e ai padroni di casa di acquisire risorse che ne consentano il mantenimento. Una misura che serve anche alla cittá per continuare a crescere ed evolversi».

Il Regolamento urbanistico (Ruc) del Comune di Firenze, presentato in giunta, andrà all’esame del Consiglio comunale dal 9 febbraio 2015 e al documento sono state presentate 746 osservazioni, di cui 184 considerate accoglibili e 299 parzialmente accoglibili.

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Progettazione sostenibile e rigenerazione urbana.

Pubblicato come appendice al X Rapporto Ispra sulla “Qualità dell’ambiente urbano”, il Protocollo Itaca ‘A scala urbana’ è uno strumento olistico per valutare la sostenibilità degli interventi progettuali nelle aree urbane.

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Il rammendo delle periferie

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La rigenerazione urbana è l’infrastruttura base europea

araba feniceC’era un tempo in cui si pensava che lo sviluppo delle tecnologie dell’informazione avrebbe trasformato a forme remote buona parte delle attività produttive che originarimenete erano svolte nelle città o nelle periferie urbane. Oggi più che mai si assiste a fenomeni inversi di attrazione dei grandi poli urbani di cittadini e competenze che trovano dalla connettività del tessuto urbano terreno fertile per la relaizzazione delle proprie ambizioni.  Lo sviluppo mondiale avrà al centro le città. Ma i grandi investimenti europei vanno dalla parte opposta.

“L’Unione Europea deve mettere al centro della propria azione le politiche di rigenerazione urbana sostenibile, uscendo da una visione miope che porta ad investire, prioritariamente, sulle grandi infrastrutture di trasporto, e considerando, invece, secondarie le politiche dell’abitare; tutto ciò senza tenere conto che decine di milioni di europei vivono e lavorano nell’altra Europa, quella non collegata dalle reti veloci, dove tantissime città ricche di storia e dense di vita rischiano di morire perché abbandonate dagli investimenti pubblici e privati”.

E’ questo il monito lanciato dal Consiglio Nazionale degli Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori nel corso del Forum EU Cities Reloading che gli architetti italiani hanno organizzato in collaborazione con il Forum Europeo per le Politiche Architettoniche,  il Consiglio Europeo degli Architetti e l’Ance, Associazione nazionale dei costruttori edili.

Dati sulle città italiane

Nel corso del Forum sono stati diffusi alcuni dati che riguardano le città italiane: 24 milioni di persone vivono in zone ad alto rischio sismico in oltre 6 milioni di edifici; oltre il 70% del totale degli edifici è stato realizzato prima delle norme antisismiche. Tra questi oltre il 50% delle scuole che dovrebbero, invece essere i luoghi più sicuri; 5 milioni e mezzo di persone vivono in 1,2 milioni di edifici in zone a grave rischio idrogeologico; il 55% degli edifici italiani ha oltre 40 anni di vita, il 75% di questi sorge nelle nelle città; oltre un quarto degli 11 milioni di edifici italiani sono in stato di conservazione mediocre o pessimo e si avvia rapidamente a fine vita. Ed ancora: dal 1948 al 2009 si contano 4,6 milioni di abusi edilizi, 450 mila edifici illegali e 1,7 milioni di alloggi illegali. Solo un quarto degli iter autorizzativi rispetta i tempi prescritti dalle norme; siamo il fanalino di coda dell’Unione Europea nell’attesa di un sì o di un no dell’Autorità pubblica a un progetto (la World Bank ci pone al 153° posto su 180 Stati rispetto all’efficienza dei tempi per la burocrazia in edilizia). Il 35% dell’energia consumata in Italia – pari a 48 Mtep, milioni di tonnellate equivalenti in petrolio – è usata per gli edifici, veri e propri colabrodi energetici che ci fanno “buttare” 22 miliardi ogni anno, risparmiabili dalle famiglie italiane.

L’architettura è in grado di offrire soluzioni pratiche ai problemi delle città, ambiente e inclusione sociale

L’architettura europea non è solo una grande risorsa culturale e scientifica per l’Unione. E’ anche capace di offrire soluzioni pratiche ai problemi della rigenerazione delle città, dell’ambiente, dell’inclusione territoriale e sociale. Ed è anche in grado di declinare il nuovo paradigma di riduzione del consumo del suolo e di riuso delle aree urbane, affinchè le città europee, grandi e piccole, siano adeguate alla contemporaneità che coniuga innovazione, sviluppo e ambiente, senza lasciare che cittadini, comunità e luoghi vengano messi ai margini a causa di strategie macroeconomiche indifferenti alla vita quotidiana e cieche verso il futuro.

Le città italiane sono in emergenza
Per Leopoldo Freyrie, presidente del Consiglio Nazionale “esiste una vera e propria emergenza per le città italiane: serve che il Paese adotti una politica urbana seria e una specifica politica per l’architettura, ma entrambe oggi sono del tutto assenti. Il primo passo è quello di costruire una visione organica e d’insieme capace di generale progetti ambiziosi ma realistici in grado, anche, di fruire di finanziamenti europei. Le risorse comunitarie sono una fonte importante, ma se mancano un disegno complessivo, obiettivi chiari da raggiungere e progetti definiti in ogni loro parte, il Paese non saprà come fruire delle risorse comunitarie e finirà – come spesso succede – di perderle”.

La questione urbana è il principale problema dei governi europei di questi anni e lo sarà anche per i prossimi: la maggior parte della vita delle persone si svolge – e sempre di più si svolgerà – negli agglomerati urbani e l’esaurimento delle risorse energetiche ne segna un destino inimmaginabile anche solo pochi decenni fa: nel mondo, come in Italia, la città e l’habitat sono a rischio “default” e l’allarme è già stato suonato dalle istituzioni internazionali e dai cittadini

I lavori del Forum EU Cities Reloading – che fruisce dei patrocini della Presidenza italiana del Consiglio dell’Unione Europea, della Commissione europea, del Dipartimento Affari regionali della Presidenza del Consiglio dei Ministri, del Ministero dell’ambiente e del Comune di Milano – si sono conclusi sabato 8 novembre.

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DA CORVIALE RIPARTE L’UTOPIA DI PERIFERIE UMANE

AgriculturalUrbanism2Da simbolo di degrado a segnale di riscossa: le periferie diventano il fulcro della partita per il rilancio economico/sociale.

Il là l’ha dato Renzo Piano pianocon l’ovvia e semplice constatazione che nelle periferie c’è lo spazio e il bisogno del cambiamento urbanistico.

Ed è dalle periferie che può partire la grande chance delle smart city, le città dal volto umano che aiutano a salvare l’ambiente producendo nel contempo benessere, servizi, occupazione e cibo a km zero.

E’ questa la partita che può aiutare Renzirenzi a lanciare il grande piano keynesianokeynes che immagina per riaccendere l’economia e l’occupazione: partire dai bisogni dei cittadini più disagiati per costruire una macchina urbanistica  e amministrativa che offra risposte in termini di servizi e di vivibilità.

Scuole e ricerca, innovazione e green economy: questi i cardini di un “rammendo” delle periferie delineato da Piano.

Non a caso sono le stesse parole d’ordine del consorzio di associazioni che con corviale_domani_11 ha da tempo impostato un progetto complessivo di rigenerazione del Quadrante di Corviale.

Un consorzio che si è confrontato con urbanisti, amministratori, economisti, ricercatori senza perdere mai il contatto con le esigenze di servizi e sicurezza degli abitanti.

Ritrovare le ragioni dell’utopia significa proprio questo: coniugare il rilancio urbanistico/economico con i bisogni dei cittadini.

L’articolo di Francesco Erbani su REPUBBLICAdel 27 maggio “Basta costruire, gli architetti ora rigenerano” non a caso parte proprio dai progetti su Corviale dell’architetto Daniel Modigliani modiglianicommissario dell’Ater di “aprire il pian terreno e installarvi servizi e altre attività e per consentire il passaggio dalla strada agli orti che sono alle spalle dell’edificio, così da alimentare le relazioni con il quartiere.” Un’idea quindi di interazione tra la città del cemento e la campagna dei 1.200 ettari di parco del Quadrante da sempre propugnata da Alfonso Pascale pascaledi Corviale Domani con la realtà delle Fattorie Sociali che proprio il 6 giugno s’incontrano al Forum del Terzo Settore per la costituzione di una rete cittadina anche in previsione dell’Expo 2015 dedicata all’alimentazione. expoErbani su Corviale prosegue con  Modigliani: “Sul tetto sono previsti verde e impianti per la raccolta dell’acqua e il risparmio energetico” riprendendo il progetto del prof. Stefano PanunziAnnuncio-partenza-Corviale dell’Università del Molise tante volte propugnato nei due Forum che la direttrice del servizio di Architettura del  Ministero dei Beni Culturali Maria Grazia Bellisario

The Making of / Artisti al lavoro in tv

ha promosso con Corviale Domani.Last but not least il progetto di rigenerazione di Corviale sarà il 2 giugno alla trasmissione “I visionari” di Corrado Augias.augias

Quale auspicio maggiore per far ripartire da Corviale l’utopia di periferie umane.

Tommaso Capezzone




Basta costruire gli architetti ora rigenerano

REPUBBLICALa parola chiave è rigenerazione. E il luogo dal quale si srotola il racconto di una nuova frontiera per architettura e urbanistica – non occupare altro suolo libero, intervenire sul già costruito restituendo vita a pezzi di città non solo dal punto di vista fisico, ma sociale – è Corviale. Simbolo per molti di sconcerto e quasi di orrore metropolitano, per altrettanti, invece, manufatto fra i pochi significativi del secondo Novecento, il grande edificio lungo un chilometro della periferia ovest di Roma, concepito a metà anni Settanta e che ora ospita 4.500 persone (ne erano previste 8 mila), sta per conoscere una nuova esistenza. E se si rigenera Corviale vuol dire che la sfida è alta e rischiosa e rimbalza nelle periferie di altre città, dove, secondo le stime, almeno i nove decimi del costruito sono successivi al dopoguerra. Un costruito affetto da malattie profonde. Renzo Piano ha invitato al “rammendo”, una metafora che rimanda alla riparazione e non all’aggiunta di nuovo tessuto. E in questo programma ha coinvolto giovani professionisti. Alla imminente Biennale architettura (dove viene esposto il progetto Corviale), il titolo del padiglione italiano curato da Cino Zucchi è “Innesti”, cent’anni di edifici realizzati in ambienti già storici (ma qui si sconfina in un campo assai controverso, quello del moderno nell’antico). A Scampia, periferia napoletana, Vittorio Gregotti costruisce da anni, stop and go permettendo, una sede della facoltà di medicina dove un tempo svettava una delle Vele poi demolita, altra architettura con lo sbrigativo bollino di infamia. A Roma l’assessore Giovanni Caudo – assessore alla Rigenerazione urbana – ha impostato un piano per realizzare, in un’area di caserme dismesse di fronte al Maxxi, un museo della scienza, abitazioni a canone concordato e spazi pubblici, lasciando una parte all’edilizia privata. Rigenerare è connesso con l’abbandono dell’idea di un’espansione illimitata. La legge urbanistica toscana, promossa dall’assessore Anna Marson, prevede che le aree urbanizzate vengano perimetrate e che si costruisca solo al loro interno, lasciando integro il territorio libero. Un’invalicabile linea rossa intorno ai centri urbani è stata immaginata dall’urbanista Vezio De Lucia nel Piano della provincia di Caserta, la Gomorra massacrata da un’edilizia selvaggia. Gli esempi italiani potrebbero continuare. Molte università sono impegnate nella ricerca. Si guarda all’Olanda, alla Germania, alla Svezia. Ma intanto Gregotti, che di questi temi ha scritto in Architettura e postmetropoli (Einaudi), mette sull’avviso: «Rigenerare significa ricreare un tessuto urbano, non pensare a un oggetto isolato. Occorre legare l’intervento all’ambiente che lo contiene, creare una mescolanza fra abitazioni, servizi e altre funzioni che soddisfino i bisogni di quel contesto». Architettura e urbanistica insieme. Un cambio di paradigma: non più oggetti che splendano in solitudine, ma ricuciture nelle slabbrature di una città cresciuta senza regole, che ha invaso terreni agricoli, diradandosi e sprecando suoli pregiati. Esiste però buona rigenerazione e cattiva rigenerazione, non basta dire “stop al consumo di suolo”: è l’avvertenza di Edoardo Salzano, urbanista, animatore del sito eddyburg. it. «Una cosa è proporsi di migliorare le condizioni fisiche di parti della città e la vita delle persone», spiega Salzano, «altro è preoccuparsi di moltiplicare il volume d’affari e i valori immobiliari. La prima strada è rigenerazione, la seconda no». Rigenerazione non solo dell’involucro fisico, ma della qualità del vivere. I progetti di Corviale li illustra Daniel Modigliani, architetto, commissario dell’Ater, l’azienda regionale per l’edili- zia pubblica proprietaria dell’edificio: «Il primo problema è densificare Corviale. Molto spazio è sprecato. E anche le abitazioni sono troppo grandi per famiglie ridotte a una coppia o anche solo a una persona. Al quarto piano, che l’architetto Mario Fiorentino aveva destinato ai servizi e alle aree collettive, poi occupato da abusivi e ora degradato, Guendalina Salimei ha previsto un centinaio di al- loggi». Per Massimiliano Fuksas, Corviale andrebbe abbattuto. Per altri, spezzettato in una trentina di convenzionali palazzine. «Lo decideremo con il concorso», replica Modigliani. «Io insisto per conservarne l’unitarietà. Abbiamo un progetto per aprire il pian terreno e installarvi servizi e altre attività e per consentire il passaggio dalla strada agli orti che sono alle spalle dell’edificio, così da alimentare le relazioni con il quartiere. Sul tetto sono previsti verde e impianti per la raccolta dell’acqua e il risparmio energetico ». A Corviale il verde è tanto e anche i servizi, compresa una delle migliori biblioteche comunali. Al progetto si è arrivati dopo consultazioni fra le istituzioni, il ministero per i Beni culturali, l’università e, soprattutto, i comitati di cittadini. La nuova frontiera della rige- nerazione in realtà viene rincorsa da una trentina d’anni. Da quando, in Europa e in Italia, si rendono disponibili aree in zone periferiche o semicentrali occupate da industrie e altri impianti. Resta esemplare la storia delle caserme francesi di Tubinga, in Germania: 64 ettari, liberati dai militari dopo la riunificazione, hanno accolto case ad affitto convenzionato per 6 mila abitanti, costruite da cooperative degli stessi futuri residenti, aziende per 2 mila occupati, verde, scuole, servizi comunitari come il car sharing, biciclette a disposizione di tutti. E se si allarga lo sguardo ecco le esperienze, ormai storiche, dell’America Latina, da Curitiba (Brasile) del sindaco-urbanista Jaime Lerner a Medellín in Colombia. Qui, nella capitale del narcotraffico, si è avviata una rigenerazione che – racconta Ma- rio Tancredi, architetto italiano che insegna in Colombia – «ha fronteggiato la segregazione sociale con una rete di trasporto pubblico e una linea di cabinovie che a ogni stazione realizzava uno spazio di convivenza e che si arrampicava su un’altura raggiungendo alcune biblioteche, cinque progettate nel giro di poco tempo, e poi un parco urbano. Tutto questo accompagnato da piazze, strade, scuole, fognature e dalla ristrutturazione di tante abitazioni sorte in maniera incontrollata e in luoghi pericolosi. Gli effetti? Omicidi crollati di decine di punti percentuali e crescita del commercio del 300 per cento». Se invece di progetti a questa scala si punta a incrementare la rendita – insiste Salzano – la rigenerazione non c’è più: centri commerciali, residenze a prezzi di mercato, speculazione. Occasioni sprecate. Come a Vicenza, dove a poche centinaia di metri dalla Rotonda di Andrea Palladio, nella zona di Borgo Berga, al posto dello storico stabilimento Cotorossi sta sorgendo un quartiere di forme spropositate, realizzato da una società che fa capo a Enrico Maltauro, in carcere per le tangenti Expo 2015, che grava sui due fiumi, il Retrone e il Bacchiglione, esondati due anni fa. «Per queste iniziative è indispensabile la regìa pubblica, senza sottomissioni al volere dei privati», spiega Salzano. «La città non è fatta solo di abitazioni, ma di spazi per stare insieme. La prima cosa che si insegnava a chi studiava urbanistica era di calcolare i fabbisogni. Adesso si calcola la valorizzazione delle aree».

Francesco Erbani

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Caudo: “Roma al lavoro con Piano per la high line verde di Talenti”

pianoL’ARCHISTAR Renzo Piano l’ha anticipato a Repubblica. Vuole riprogettare i due chilometri del “viadotto dei Presidenti”, una linea tranviaria mai più realizzata, un relitto urbano, che doveva collegare Saxa Rubra a Cinecittà. E pensa che possa diventare una high line verde, popolata di alberi e biciclette, dal parco delle Sabine al parco Talenti. Ma il suo interesse avvolge tutta la periferia, con gli altri suoi “strappi”. Per ricucirli.

Un’occasione unica per Roma.
“Assolutamente sì. Proprio sul “viadotto dei presidenti” abbiamo lavorato in questi mesi e raccolto un progetto proposto da due giovani architetti romani, Massimiliano Foffo e Alessandro Lungo” spiega l’assessore all’Urbanistica Giovanni Caudo “In quel municipio, il III, abbiamo avviato quella che abbiamo chiamato la strategia municipale del riuso degli edifici dismessi e sottoutilizzati. Un censimento di tutti i palazzi vuoti e le infrastrutture abbandonate. E questo per noi è lo strumento per fare la rigenerazione urbana”.

Ora l’intervento di Piano è una chance importantissima, considerando la sua fama riconosciuta nel mondo intero.
“È proprio così. Pensiamo che il nostro progetto è assolutamente coerente con quello che dice Piano e dunque possiamo sviluppare insieme un intervento”.

Chiederete a Piano un’idea progettuale, dei disegni?
“Il lavoro che lui propone è già illustrato dal gruppo di giovani architetti che lavora con lui. Il contributo dell’équipe di Piano è fondamentale proprio per dare una maggiore concretezza e rilevanza al progetto”.

In che cosa consiste concretamente?
“Il viadotto dei Presidenti, costruito e abbandonato, è un’infrastruttura che nasconde al suo interno il tracciato per una linea di trasporto pubblico. Si tratta di rigenerare questo spazio con usi diversi, che vanno dal verde alle piste ciclabili, a servizi per i cittadini. Quella che oggi è una strada può diventare un’infrastruttura “porosa” e aprirsi agli spazi abitati intorno. Ed è l’inizio di un processo di riammagliatura delle parti slabbrate della periferia”.

Avete già contattato Piano?
“Sì, lo abbiamo cercato e ci parlerò oggi. Spero sia l’inizio di una collaborazione per le periferie. Abbiamo a disposizione per il III municipio un finanziamento europeo per il riciclo urbano. Si potrebbe trattare di una sinergia vincente”.

Quali sono i grandi progetti su cui punta il Campidoglio nei prossimi anni?
“Uno è la Città della Scienza in via Guido Reni, poi il rilancio dell’area Sdo di Pietralata, quindi riavviare tutti i cantieri bloccati lungo la Colombo, da Campidoglio 2 agli ex Mercati Generali, da piazza dei Navigatori all’ex Fiera di Roma fino alla Nuvola. Ma c’è anche l’ex Mattatoio di Testaccio per il quale proprio oggi sono partiti i lavori per la realizzazione della pedonalizzazione dello slar- go davanti all’ingresso principale, con un parcheggio a fianco del Monte dei Cocci”.

E in periferia?
“Interventi sulla città fuori al Raccordo, da Tor Vergata a Ciampino. Poi i nodi delle stazioni su ferro, da Ponte Mammolo a Marconi, vicino ai quali si costruiranno nuovi servizi”.

Quando si realizzerà la pedonalizzazione del Tridente?
“Noi stiamo finendo la predisposizione della pavimentazione e dell’arredo per la pedonalizzazione. Il passo seguente sarà quello di definire le regole per non danneggiare nessuno. Per consentire alle attività commerciali di poter avere ad esempio il carico e scarico delle merci. Mentre per gli abitanti bisogna individuare i parcheggi che saranno destinati a loro. Uno è quello del Galoppatoio e poi si potrebbero razionalizzare i posti auto sul lungotevere”.

E quando cominceranno i lavori per la nuova piazza Augusto Imperatore?

“Dopo l’approvazione del bilancio da parte del Consiglio comunale potremo fare la gara per selezionare l’impresa. Il nostro obiettivo è quello di aprire il cantiere entro quest’anno, il duemillesimo dalla morte di Augusto”.

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Una piazza partecipata

piazzaIl coordinamento CorvialeDomani, dopo  consultazione dei propri aderenti, ritiene che la Piazza prevista dal P.R.U. Corviale ed in corso di progettazione da parte dell’Isveur, debba essere anzitutto uno spazio pubblico funzionale al progetto di riqualificazione di Corviale e  alle direttrici di sviluppo del suo quadrante urbano su cui – secondo il Protocollo d’Intesa sottoscritto dalle parti – stanno lavorando insieme, oltre a noi,  l’ATER, il MIBACT, l’Ente RomaNatura, il Comune di  Roma Capitale,  con i diversi assessorati competenti,  i Municipi XI e XII, le Università romane “La Sapienza”,  “Roma  Torvergata” e “Roma Tre”, il CESV, nonché associazioni, fondazioni, centri ricerca e esperti e operatori di vari settori.  Il progetto della piazza in corso di redazione da parte dell’Isveur, da realizzare principalmente con risorse straordinarie dovute dal costruttore Marronaro al Comune di Roma per le residenze da lui già realizzate in prossimità della piazza stessa, non tiene attualmente conto – a giudizio del coordinamento CorvialeDomani – delle funzioni, spazi,  interazioni e attività  necessarie ed utili per attrarre le diverse fasce sociali che vivono nel territorio. Non ne tiene conto perché non conosce le potenzialità e le vocazioni che invece sono da tempo oggetto di studio e riflessione da parte dei molti e qualificati soggetti che – come detto – hanno sottoscritto il protocollo d’intesa. Per assicurare la “riuscita” di questo nuovo spazio pubblico, per attribuirgli valore urbano, non basta infatti progettarne le forme architettoniche, ma è indispensabile definire da subito le funzioni da insediare ai margini e dentro, in modo da far diventare la piazza stessa luogo identitario, polivalente, connettivo tra il Corviale e i tessuti edilizi circostanti. Vanno parimenti definite da subito le modalità di gestione futura della piazza, sia per quello che riguarderà la sua manutenzione e guardiania, sia per la programmazione delle attività temporali eventualmente da tenervi (spettacoli estivi, mercatini natalizi e dell’usato, incontri politici, manifestazioni della società civile etc.).  Centralità va assolutamente data al rapporto con l’Ente Parco Roma Natura in quanto la  piazza dovrà rappresentare – a nostro giudizio – principalmente l’ingresso del Parco Tenuta dei Massimi, che si connette poi con la Riserva Naturale “Valle dei Casali”.  Le attività agricole, cui la Tenuta dei Massimi è prevalentemente destinata dal suo Piano di assetto vigente, potranno essere un volano per aumentare l’attrattività di questo nuovo spazio pubblico, unitamente ad attività di tempo libero, sport e ristoro che il Piano di assetto rende possibili al suo interno (percorso ippo-ciclo-pedonale di oltre 10 Km.) ed una risorsa per la manutenzione e la guardiania.  La Piazza dovrà essere dunque integrata architettonicamente con l’intorno ed in particolare con il Palazzo/il Kilometro.  Da qui la richiesta, su cui sappiamo esistere disponibilità, ad ATER di mettere a disposizione del progetto, laddove possibile e necessario, anche alcuni terreni di sua proprietà.    Per entrare nel merito e dare un contributo fattivo si propone che il progetto della piazza debba prevedere al suo interno:  – la “Casa del Parco” – in accordo con Roma Natura – in cui oltre alla documentazione informativa ci sia l’opportunità di offrire servizi come affitto bici, visite guidate per i cittadini, scuole etc., assistenza per le fasce svantaggiate, attività didattica, possibilità di avere spogliatoio con docce, per fare footing, mountain bike, passeggiate a cavallo, ippoterapia, orti e attività agricola da connettere con i mercati – al coperto e in sede aperta – già presenti in Corviale  – un mix di attrezzature e arredi per arricchirne la capacità attrattiva: un’area dedicata all’infanzia e alle fasce giovanili ovvero giochi e attrezzature per l’infanzia; uno spazio d’acqua  zampillante ad intermittenza, come spesso presente in molte piazze europee; uno skateball; un’arrampicata sportiva  idonea per svolgersi campionati nazionali; la possibilità di accogliere in alcuni periodi dell’anno anche una Giostra, confinata attualmente in uno spazio verde, e magari una pista di pattinaggio su ghiaccio.  – il trasferimento del mercato bisettimanale che si svolge attualmente su un parcheggio di Via M.Mazzacurati.  – Il trasferimento e ammodernamento del chiosco-bar rendendolo finalmente luogo di incontri e relazioni    – per le attività culturali  prevedere un palco per spettacoli ed eventi, percorsi per esposizioni, attività ludiche nonchè  attività ricreazionali , compresi i giochi da tavolo.  – l’interramento dei cavi elettrici ma salvaguardando i tralicci esistenti, che potenzialmente si prestano ad avere una trasformazione artistica, diventare “landmarker” colorati  che possono rappresentare un richiamo e il segno di identità della piazza. I risparmi delle Ferrovie (che usano l’elettrodotto) o di TERNA per il mancato smantellamento dei tralicci potranno essere reinvestiti sulla piazza medesima.   – particolare attenzione dovrà essere posta dal progetto all’immagine notturna della piazza. Si chiede sin d’ora che lo spazio risulti molto illuminato. Anche per accrescere le misure di sicurezza nei confronti dei fruitori. I contatti con l’ACEA per concordare scelte e dimensionamenti dovranno essere presi subito – se la cosa come si spera non è stata già avviata dall’Isveur – per evitare successivi malintesi e diseconomie.  La piazza dovrà essere accessibile sempre e con facilità dai pedoni. Dunque si a misure per dissuadere l’accesso di eventuali veicoli o motocicli, no a recinzioni e chiusure con cancelli fissi.  Inoltre ove si realizzassero gli edifici privati ancora previsti nelle adiacenze  e si creasse – come auspicabile – un’offerta di fondi o negozi, allora per valorizzare la medesima piazza con servizi di qualità si può richiedere:  – al Comune di Roma Capitale: il trasferimento della Farmacia Comunale attualmente localizzata all’interno della stecca del Corviale che può, come da indirizzi del contratto servizio Farmacap, diventare  anche un presidio medico. .  – alle Poste Italiane il trasferimento presso la nuova piazza dell’ufficio postale di zona, attualmente in funzione in prossimità di via degli Adimari,  strada angusta,  a senso unico e senza parcheggi.  Il Municipio potrà a tal fine farsi promotore di verificare da subito la disponibilità di Farmacap e Poste italiane e potrà altresì contribuire favorire l’insediamento di ulteriori attività commerciali, di ristoro e produttive nell’ambito della piazza e di eventuali servizi ai cittadini.   Nota bene  Ribadiamo che la “Piazza di Corviale” – che poi dovrà essere la piazza di tutto il territorio –  deve rispondere alle esigenze del territorio stesso e della sua Comunità e al progetto di sviluppo urbano e sociale che i partners del “protocollo”  stanno costruendo.  Per Noi che lottiamo da anni per riqualificare il territorio e il Palazzo Ater  sarebbe davvero  inaccettabile realizzare una piazza solo perché bisogna spendere dei fondi pubblici previsti a questo scopo. Se non sarà possibile realizzare una piazza bella ed effettivamente utile al territorio, secondo le indicazioni date in precedenza, allora è meglio che investiamo questi fondi disponibili in altra maniera e non aggiungiamo un futuro degrado a quello contro cui stiamo già lottando.  Pino Galeota Coordinatore progetto CorvialeDomani

Piazza_Corviale_report_riunione_13_gennaio_2014

Piazza_Corviale_Report_riunione_5_febbraio_2014