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Emergenza rifiuti in Campania

TRIBUNALE DI NAPOLI Sez.V 1 febbraio 2014 Sentenza n.16316  RIFIUTI - APPALTI - Emergenza rifiuti in Campania - Servizi di trasporto - Violazione del divieto di subappalto - Assenza di prova certa - Fattispecie - Art. 18 D.L. 17.3.1995 n.157 in rel. all'art. 18 L. 19.3.1990 n.55. Nei casi in cui

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TRIBUNALE DI NAPOLI Sez.V 1 febbraio 2014 Sentenza n.16316
 RIFIUTI – APPALTI – Emergenza rifiuti in Campania – Servizi di trasporto – Violazione del divieto di subappalto – Assenza di prova certa – Fattispecie – Art. 18 D.L. 17.3.1995 n.157 in rel. all’art. 18 L. 19.3.1990 n.55.
Nei casi in cui il dibattimento non offra prova certa dell’esistenza di un contratto di subappalto relativo alla gestione di servizi deve pervenirsi ad una pronuncia assolutoria, in quanto la semplice condotta realizzata non integra gli estremi del reato contestato per insussistenza dello stesso, non essendo ravvisabile alcuna violazione del divieto di subappalto della gestione del servizio, con riferimento all’attività di trasporto dei materiali prodotti a valle degli impianti.(Fattispecie: attività di trasporto di materiali prodotti dagli impianti CDR ai siti di stoccaggio CDR e Fos, effettuata da ditte terze, inquadrabile in dubbio a possibili contratti di subappalto in eventuale violazione dell’art. 18 D.L. 17.3.1995 n.157 in rel. all’art. 18 L. 19.3.1990 n. 55).
Pres. Est. Scaramella Est. Sassone, Napolitano Tafuri, Impo. Romiti ed altri
RIFIUTI – Certificazione – Omissione di un dato – Reato di falsa “certificazione” – Configurabilità – Dolo generico – Necessità – Artt 110, 479 cp..
 Ai fini dell’integrazione del reato di cui agli artt 110, 479 cp concernente la falsa “certificazione”, nella specie relativa alla FOS prodotta nell’impianto di produzione di cdr, è sufficiente, sul piano soggettivo, il dolo generico. Tuttavia è pur sempre indispensabile accertare che vi sia volontarietà e consapevolezza della falsa attestazione, e che ciò non sia dovuto a semplice leggerezza dell’agente o ad una sua incompleta conoscenza e/o errata interpretazione. (Nel caso di specie, vi sarebbe stata l’omissione del dato relativo all’umidità, richiesto con ordinanza commissariale, tuttavia, in detta omissione non è dato ravvisare il falso ipotizzato in quanto non sono stati riscontrati, in dibattimento, elementi certi per affermare che effettivamente l’imputato non conoscesse tale ordinanza, circostanza o errore idonea ad escludere la sussistenza del dolo).
Pres. Est. Scaramella Est. Sassone, Napolitano Tafuri, Imp. Romiti ed altri 
RIFIUTI – Traffico illecito di rifiuti – Attività organizzata di gestione dei rifiuti – Elementi – Codici CER utilizzati per lo smaltimento – Reale trattamento del rifiuto – Art. 260 Dlgs n.152/06 .
Il carattere abusivo dell’attività organizzata di gestione dei rifiuti, si ha non solo quando le autorizzazioni manchino del tutto, ma anche quando esse siano scadute o palesemente illegittime e comunque non commisurate al tipo di rifiuti ricevuti (Cass. Pen. Sez. V, 7/12/2006, n. 40330). Pertanto occorre verificare se i codici CER utilizzati per lo smaltimento dei rifiuti abbiano in qualche modo inciso sulla destinazione finale degli stessi. Nella specie, l’utilizzo di un codice diverso da quello previsto per Compost fuori specifica ed in particolare del codice CER 19.05.01 previsto per la frazione non composta di rifiuti urbani e simili, non ha comportato una destinazione del rifiuto diversa dalla discarica, siano esse discariche di servizio gestite o discariche pubbliche o gestite da terzi. In altri termini, il trattamento del rifiuto è avvenuto esattamente nello stesso modo.
Pres. Est. Scaramella Est. Sassone, Napolitano Tafuri, Imp. Romiti ed altri 
  RIFIUTI – Attività di recupero soggette a procedura semplificata – Art. 214 d.lgs. n.152/06.
 Il decreto ministeriale del 1998 è riferibile esclusivamente alle attività di recupero soggette a procedura semplificata, come è indicato nel titolo e come si rileva dall’esame del preambolo, dall’articolato e dal richiamo ad esso effettuato dall’articolo 214 d.lgs. n. 152/06 (Cass. Pen. Sez. III n. 19955 del 09/05/2013).
  Pres. Est. Scaramella Est. Sassone, Napolitano Tafuri, Imp. Romiti ed altri
RIFIUTI – Gestione dei Rifiuti – Trasferimento di CDR e di altri residui – Concorso nel reato con condotte successive – Imprese iscritte all’albo nazionale speciale – Necessità.
 Il trasferimento di CDR e di altri residui della lavorazione in siti di stoccaggio, secondo legge deve avvenire a mezzo di imprese che siano iscritte all’albo nazionale speciale delle Imprese Esercenti Servizi di Gestione dei Rifiuti (art. 10 D.L. 31, VIII, 1987 n. 361 convertito in art. 1, comma 1 1.29, X 1987 n. 441 ). Pertanto, anche nella gestione dei rifiuti, può configurasi il concorso nel reato con condotte successive e senza la necessità di un previo accordo (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 18745 del 15/01/2013), tuttavia, occorre pur sempre che ciascun agente abbia conoscenza, anche unilaterale, del contributo recato alla condotta altrui.
Pres. Est. Scaramella Est. Sassone, Napolitano Tafuri, Imp. Romiti ed altri
RIFIUTI – Rifiuto combustibile – CDR conforme al DM 5\2\1998, o non conforme – Regime autorizzativo – D.Lgs. n.152/06.
 Solo dopo l’entrata in vigore del D.Lgs. 152/06 il rifiuto combustibile ricavato dai rifiuti che presentava caratteristiche qualitative difformi dal DM 5.2.98, ha cominciato a dover essere qualificato come “frazione secca”, e non più CDR e a dover essere individuato nel CER (Catalogo europeo dei rifiuti) con il codice 191212, laddove quello conforme manteneva la denominazione di CDR e il codice 191210. Pertanto, anteriormente al Dlgs n.152\06, tutti i tipi di combustibili derivati dai rifiuti, conformi o meno che fossero al DM 5\2\98, dovevano essere qualificati come CDR. L’unica differenza tra i due rifiuti -conforme al DM 5\2\1998, o non conforme- si riferiva, infatti, al regime autorizzativo al quale erano sottoposti: (anche)- procedure semplificate per il CDR conforme, solo quelle ordinarie per il CDR non conforme, secondo la distinzione esplicitata.
  Pres. Est. Scaramella Est. Sassone, Napolitano Tafuri, Imp. Romiti ed altri
RIFIUTI – Incenerimento rifiuti – Potere calorifico all’incenerimento – Direttiva europea 2000/76/CEE e d.L.vo n.133/05 –  Termovalorizzatore di Acerra e Santa Maria la Fossa.
 La direttiva europea sull’incenerimento (2000/76/CEE) e il d.L.vo n.133/05 che la recepisce non prevedono limitazioni sul potere calorifico all’incenerimento. Così, se all’epoca dei fatti il CDR: non raggiungeva le specifiche stabilite dal DM 5.2.98, il recupero poteva essere effettuato solo nell’ambito del regime autorizzatorio ordinario mentre se rispettava le specifiche stabilite dal DM 5.2.98, il suo recupero poteva usufruire delle procedure semplificate.
 Pres. Est. Scaramella Est. Sassone, Napolitano Tafuri, Imp. Romiti ed altri
RIFIUTI – Realizzazione dei termovalorizzatori – Recupero energetico del CDR prodotto nelle more della costruzione – Smaltimento di rifiuti – C.d. eco balle – Definizione del temine “ambientalizzazione” – Responsabilità dell’appaltatore – Limiti – Uso di cementifici. 
 In tema di smaltimento di rifiuti, con il temine “ambientalizzazione” si intende l’attuazione delle modifiche agli impianti per consentire di rispettare il raggiungimento dei valori di alcuni parametri impiantistici (tempi di permanenza e tenori di ossigeno e temperature di combustione) ed ambientali previsti nelle norme per la conduzione degli inceneritori specificamente dedicati alla combustione di rifiuti o CDR. Nella specie l’uso di cementifici nei quali smaltire immediatamente il CDR prodotto nelle more della costruzione dei termovalorizzatori, non poteva considerarsi idoneo a tale scopo in quanto avrebbero provocato danni concreti che ne avrebbero reso sconsigliabile l’utilizzo, oltre ai reali problemi di fattibilità. Tuttavia, non sussiste alcuna esponsabilità quando, l’atteggiamento dell’appaltatore è teso al miglioramento tecnico e funzionale degli impianti, anziche’ alla riduzione dei costi.
Pres. Est. Scaramella Est. Sassone, Napolitano Tafuri, Imp. Romiti ed altri
APPALTI – Contratti di appalto di servizi – Violazione degli obblighi assunti – Inadempimento di un contratto con la Pubblica Amministrazione – Frode nelle pubbliche forniture – Elementi per la configurabilità – Natura – Giurisprudenza. 
 Ai fini della configurabilità del delitto di frode nelle pubbliche forniture non è sufficiente il semplice inadempimento del contratto, richiedendo la norma incriminatrice un ” quid pluris ” che va individuato nella malafede contrattuale, ossia nella presenza di un espediente malizioso o di un inganno, tali da far apparire l’esecuzione del contratto conforme agli obblighi assunti (Cass. Sez. 6, Sentenza n. 36567 del 09/05/2001; Sez. 6, Sentenza n. 11144 del 25/02/2010; Sez. 6, Sentenza n. 5317 del 10/01/2011). Quanto all’elemento soggettivo, esso è costituito dalla consapevolezza di effettuare una prestazione diversa per quantità e qualità da quella dovuta, a meno che vengano scoperti ed allegati ulteriori elementi che attribuiscano all’oggettivo inadempimento una valenza colposa (Cass. Sez. 6, Sentenza n.34952 del 23/05/2003). La giurisprudenza non è, invece, univoca nella affermare se si tratti di reato di evento, ritenendo tale anche il mero pericolo, (Cass. Sentenza n. 16428 del 05/12/2007) ovvero di pura condotta: in tale secondo caso, non è ipotizzabile in relazione ad esso una responsabilità da causalità omissiva (Cass. Sez. 6, Sentenza n. 771 del 31/10/2006).
  Pres. Est. Scaramella Est. Sassone, Napolitano Tafuri, Imp. Romiti ed altri
APPALTI – Inadempimento di un contratto e frode nelle pubbliche forniture – Natura civile e penale dell’inadempimento – Elementi per la configurabilità.
 Nella accezione civilistica del termine per inadempimento contrattuale si intende la mancata esecuzione della prestazione da cui dipende la realizzazione del diritto del creditore. La prestazione potrà dirsi esattamente eseguita in quanto realizzata in conformità del contenuto dell’obbligazione descritta nel contratto ed il diritto del creditore sia integralmente e tempestivamente soddisfatto. In generale, l’inadempimento può essere anche parziale, allorquando la prestazione venga resa in modo difforme da come dovuto e con realizzazione di una frazione più o meno limitata dell’interesse del creditore. In tal caso occorrerà valutare l’importanza dell’inadempimento in relazione all’incidenza che abbia avuto sul piano della realizzazione dello jus credendi ed andrà quindi esclusa la rilevanza penale di quelle condotte che, quantunque integrative di una inesatta prestazione contrattuale, abbiano però consentito al committente una pur imperfetta, ma sostanziale soddisfazione del bisogno cui è finalizzato l’obbligo di fare del contratto di fornitura. Di sicuro, poi, l’inadempimento rilevante è solo quello privo di giustificazioni. Lo stesso deve, invece, escludersi quando la prestazione del privato sia divenuta impossibile per caso fortuito o forza maggiore, ovvero per altra causa non imputabile al debitore, secondo la formula dell’ad 1256 cc. (Cass. Sentenza n. 1174 del 17/11/1998). D’altra parte, la fattispecie penalistica, attraverso il richiamo che l’art.356 cp. fa al precedente articolo 355, descrive l’inadempimento penalmente rilevante nella condotta in conseguenza della quel vengano a mancare cose o opere che siano necessarie ad uno stabilimento pubblico o ad un pubblico servizio. Il requisito della necessità delle cose od opere deve essere inteso in senso assoluto: le cose od opere sono quelle che in via immediata soddisfano le necessità del pubblico servizio (Cass Sentenza n. 9525 del 19/06/1998). Ciò fa sì che rientri nell’alveo della fattispecie incriminatrice non qualsiasi difficoltà operativa ma ciò che rende inattingibile lo scopo cui Il servizio era demandato. Non ogni inesatto adempimento o ritardo vale a concretare un fatto lesivo, dovendosi invece determinare un rapporto di congruità offensiva tra inadempimento ed il venir meno delle opere necessarie per la PA. Da un punto di vista squisitamente penalistico, v’è da aggiungere che la giurisprudenza sul 356 cp. indica un criterio rigoroso di valutazione dell’inadempimento: si richiede una speciale intensità lesiva dell’interesse del creditore. Occorre, quindi, una valutazione sulla intensità lesiva dell’inadempimento. Dev’esservi una intollerabilità verificando che l’inadempimento deve tener conto anche della natura del contratto in questione.
 Pres. Est. Scaramella Est. Sassone, Napolitano Tafuri, Imp. Romiti ed altri
APPALTI – PUBBLICA AMMINISTRAZIONE – Clausole generali di buona fede – Prestazione divenuta inesigibile – Artt. 1175, 1256, 1218 e 1375 c.c..
 Non può dirsi sussistente un’ipotesi di inadempimento, neppure colposo, a ragione dell’impossibilità sopravvenuta della prestazione (artt. 1256 e 1218 c.c.) o – quanto meno – della sua inesigibilità da parte del presunto creditore committente alla stregua delle clausole generali di buona fede e di doverosa collaborazione del creditore artt. 1175 e 1375 c.c.). Infatti, gli artt, 1175 e 1375 cc. spiegano con chiarezza, che è contraria alla correttezza la pretesa del creditore di voler ottenere l’inadempimento anche quando la prestazione è divenuta inesigibile (Cass. 2007 n 26958; n 21994/20121; Cost. 19/94).
 Pres. Est. Scaramella Est. Sassone, Napolitano Tafuri, Imp. Romiti ed altri
APPALTI – Contratto di appalto e quello di trasporto – Differenze.
 Il discrimen tra il contratto di appalto e quello di trasporto prevede che il primo ha per oggetto il risultato di un facere, il quale può concretarsi nel compimento di un’opera o di un servizio che l’appaltatore assume verso il committente dietro corrispettivo; esso, inoltre, è contrassegnato dall’esistenza di un’organizzazione d’impresa presso l’appaltatore e dal carico esclusivo del rischio economico nella persona del medesimo; invece, si ha contratto di trasporto, quando un soggetto si obbliga nei confronti di un altro soggetto a trasferire persone e cose da un luogo ad un altro mediante una propria organizzazione di mezzi e di attività personali e con l’assunzione a suo carico del rischio esclusivo del trasporto e della direzione tecnica dello stesso (Cassazione 17.10.1992 n.11430; Cass: 16.10.1979 n.539).
  Pres. Est. Scaramella Est. Sassone, Napolitano Tafuri, Imp. Romiti ed altri
 
PUBBLICA AMMINISTRAZIONE – Responsabilità Amministrativa da reato – Illeciti amministrativi – Responsabilità degli enti collettivi – D. L.vo n.231/2001.
 Il sistema sanzionatorio e le disposizioni processuali introdotte dal d. lgs. 8.6.2001 n. 231 limitano la responsabilità degli enti ad un numero ristretto di reati. In particolare gli artt. 23 e 24 individuano le sanzioni irrogabili agli enti come conseguenza di una pluralità di delitti contro la Pubblica Amministrazione, distinti, ai fini della sanzione, per fasce di grandezza. Ovviamente in tale costruzione l’illecito amministrativo è legato al fatto di reato delle persone fisiche poste ai vertici della società o che si trovano in una posizione subordinata rispetto a questi ultimi che esercitano poteri di vigilanza e/o controllo. Ne consegue che l’accertamento delle sussistenza dell’illecito amministrativo in capo agli enti è strettamente dipendente dall’accertamento della sussistenza del reato presupposto, non a caso il Pubblico Ministro nella contestazione all’ente dell’illecito amministrativo deve esattamente indicare il reato da cui l’illecito dipende (art. 59). A fronte di tale costruzione della responsabilità amministrativa degli enti è evidente che il mancato accertamento della sussistenza del reato presupposto non può che comportare una pronunzia di esclusione della responsabilità dell’ente (art. 66). (Nella specie viene annullata l’imputazione sulla responsabilità, ex D. L.vo n.231/2001, essendosi pervenuti ad una pronunzia assolutoria in ordine al contestato reato di truffa.
  Pres. Est. Scaramella Est. Sassone, Napolitano Tafuri, Imp. Romiti ed altri
PUBBLICA AMMINISTRAZIONE – DANNO AMBIENTALE – Profitto del reato – Sequestro preventivo funzionale alla confisca – Artt. 19 e 53 del Dlgs n.231/01 .
 Il profitto del reato nel sequestro preventivo funzionale alla confisca, disposto ai sensi degli artt. 19 e 53 del Dlgs n.231\01 nei confronti dell’ente collettivo, è costituito dal vantaggio economico di diretta ed immediata derivazione causale dal reato ed è concretamente determinato al netto dell’effettiva utilità eventualmente conseguita dal danneggiato nell’ambito del rapporto sinallagmatico con l’ente.
  Pres. Est. Scaramella Est. Sassone, Napolitano Tafuri, Imp. Romiti ed altri
PUBBLICA AMMINISTRAZIONE – Reato di abuso d’ufficio – Elementi per l’integrazione – C.d. “doppia ingiustizia”.
 Ai sensi dell’art 323 cp, il reato di abuso d’ufficio non può configurarsi se non “in presenza di una violazione di norma di legge o di regolamento”, (ovvero di una omissione del dovere di astenersi ricorrendo un interesse proprio dell’agente o di un prossimo congiunto o negli altri casi prescritti) (requisito sub  A). Ne consegue che é stata espunta dall’area della rilevanza penale ogni ipotesi di abuso dei poteri o di funzioni non concretantesi nella formale violazione di norme legislative o regolamentari o del dovere di astensione. Inoltre, l’ingiustizia del vantaggio -che prima rientrava tra le finalità che l’agente doveva proporsi nel momento della condotta, in tal modo delineando una figura di reato a dolo specifico- rappresenta, in virtu’ della richiamata modifica normativa, l’evento del reato, contribuendo a configurare l’elemento oggettivo della fattispecie astratta (Cass. 6561/98) (requisito sub B). Sicché, ai fini dell’integrazione del reato di abuso d’ufficio, é necessario che sussista la c.d. “doppia ingiustizia”, nel senso che ingiusta deve essere la condotta, in quanto connotata da violazione di legge, ed ingiusto deve essere l’evento di vantaggio patrimoniale, in quanto non spettante in base al diritto oggettivo regolante la materia (Cass. II 2754 del 21\1\2010).
  Pres. Est. Scaramella Est. Sassone, Napolitano Tafuri, Imp. Romiti ed altri
PUBBLICA AMMINISTRAZIONE – Abuso d’ufficio – Svolgimento della funzione amministrativa del pubblico ufficiale – Artt. 323 e 110 cp..
 In tema di abuso d’ufficio, nella formulazione dell’art. 323 cp, l’uso dell’avverbio “intenzionalmente”, per qualificare il dolo ha voluto limitare il sindacato del giudice penale a quelle condotte del pubblico ufficiale dirette, come conseguenza immediatamente perseguita, a procurare un ingiusto vantaggio patrimoniale o ad arrecare un ingiusto danno. Ne deriva che, qualora nello svolgimento della funzione amministrativa il pubblico ufficiale si prefigga di realizzare un interesse pubblico legittimamente affidato all’agente dall’ordinamento (non un fine privato per quanto lecito, non un fine collettivo, ne’ un fine privato di un ente pubblico e nemmeno un fine politico), pur giungendo alla violazione di legge e realizzando un vantaggio al privato, deve escludersi la sussistenza del reato (Cass. n. 18149 del 16\5\2005, n 33068 del 5\8\2003, n 42839 del 18\12\2002, n 38498 del 18\11\2002). Inoltre, quando, come nel caso di specie, é ipotizzato il concorso del privato, é necessaria la dimostrazione certa della collusione tra il pubblico ufficiale e il richiedente l’atto illegittimo, la quale deve risultare dal contesto fattuale che dimostri che la richiesta – coincidente col provvedimento adottato- é stata preceduta, accompagnata o seguita da un’intesa con il pubblico funzionario o, comunque, da sollecitazioni poste in essere dal privato per l’ottenimento del provvedimento favorevole (Cass. VI 11\10\2007 n 37531, Cass 21/10/2004 n 43205, Cutino; 14/10/2003 n 43020). Inoltre, puo’ concorrere nel reato proprio di abuso d’ufficio, ex art.110 cp, anche la persona che non abbia la qualità soggettiva pubblica, quando conosca la qualità dell'”intraneo” e pone in essere una condotta che contribuisca alla realizzazione dell’evento (Cass sez. VI, 11/2/99). Ma perché possa configurarsi un contributo efficiente, idoneo a fondare la responsabilità concorsuale, occorre che il privato abbia posto in essere una condotta tale da avere svolto un ruolo causalmente rilevante’ nella realizzazione della fattispecie criminosa (Cass. VI pen. 29/5/2000). Pertanto, quando, come nel caso di specie, é ipotizzato il concorso del privato, é necessaria la dimostrazione della collusione tra il pubblico ufficiale e il richiedente l’atto illegittimo. La prova che un atto amministrativo sia il risultato di collusione tra privato e pubblico funzionario, non può essere dedotta di per se’ sola dalla mera coincidenza tra la richiesta del primo ed il provvedimento posto in essere dal secondo, essendo invece necessario che il contesto fattuale sia desunto, al di là dei rapporti personali tra le parti, da un quid pluris il quale dimostri che la presentazione della domanda è stata preceduta, accompagnata o seguita da un’intesa col pubblico funzionario o, comunque, da sollecitazioni poste in essere dal privato per l’ottenimento del provvedimento favorevole (Cass. 21/10/2004 n 43205, Cutino; 14/10/2003 n 43020)
Pres. Est. Scaramella Est. Sassone, Napolitano Tafuri, Imp. Romiti ed altri
DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Restituzione del bene sequestrato a favore dell’avente diritto – Soggetto diverso al quale il bene è stato sequestrato.
 La restituzione del bene sequestrato che consegue come effetto della perdita di efficacia di esso, a seguito di sentenza di proscioglimento o di non luogo a procedere, va disposta a favore dell’avente diritto che, in ipotesi, puo’ essere anche un soggetto diverso da quello al quale il bene è stato sequestrato (Cass. VI 2/5/-22 /8/2013 n.35320).
  Pres. Est. Scaramella Est. Sassone, Napolitano Tafuri, Imp. Romiti ed altri
  Testo integrale della sentenza
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