Widgetized Section

Go to Admin » Appearance » Widgets » and move Gabfire Widget: Social into that MastheadOverlay zone

Europa e Germania

Diario Europeo n.17

image_pdfimage_print

Domani, 29 gennaio, a Berlino, si incontrano la Cancelliera della Repubblica federale tedesca – Frau Angela Merkel e il presidente del consiglio dei ministri della Repubblica italiana – Sig. Matteo Renzi. Non è la prima volta che i due si incontrano. Ma gli antefatti che hanno preceduto questo incontro e che, in parte, lo hanno reso necessario (o l’hanno accelerato) rendono utile riportare alla memoria antefatti più lontani, che appartengono ormai alla storia. Per non dimenticare.

Nove novembre 1989. Ore 19 circa. “Adesso, da subito”. In tedesco: ab sofort!

(Mi piacerebbe che chi sta leggendo provasse a chiedersi quanti anni aveva a quella data; e dove si trovasse fisicamente; o, se non ancora nati/e, quanti anni ancora dovevano passare. La giovane Angela Merkel, ad esempio, aveva 35 anni e risiedeva nella Repubblica Democratica Tedesca; al di là del muro, avremmo detto noi abitanti da questa altra parte. Il ragazzo Matteo Renzi, 14 anni).

A Berlino era in corso una conferenza stampa tenuta da Herr Gunter Schabowski, portavoce del governo comunista della RDT. C’erano state in quelle settimane molte manifestazioni di piazza, in diverse città della Germania comunista: Lipsia, Dresda, Magdeburgo e Berlino (est, naturalmente, al di là del muro). Ad essere precisi, i manifestanti non chiedevano esplicitamente la fine del regime: solo il superamento di quello Stato che controllava “le vite degli altri”. “Noi siamo il popolo-Wir sind das Volk”: risuonava nelle piazze. Il partito era in riunione permanente: lo scontro tra i falchi e i rinnovatori continuava da giorni. Finalmente, il Politburo aveva inviato di fronte ai giornalisti di tutto il mondo un oscuro burocrate per leggere qualche paginetta dalle quali si comunicava che alcune riforme erano state decise; fra queste le autorizzazioni a viaggiare ed uscire dalla repubblica, per tutti, senza condizioni. Verso le sette, la lettura del burocrate era terminata. Chi l’avrebbe mai detto che un giornalista avrebbe fatto la fatidica (e imprevista) domanda: “Da quando entreranno in vigore le nuove disposizioni”? Gunter Schabowski guarda dalla parte da cui provene la voce…e incrocia il viso del giornalista italiano, Riccardo Ehrman, corrispondente dell’ANSA. Resta un poco perplesso, torna a dare un’occhiata ai suoi maledetti fogli, dove non c’è la risposta. E azzarda: “Per quanto ne so, ab sofort-da subito”. Erano le sette di sera del 9 novembre 1989. In una mezzora la notizia viene data anche dalle due televisioni di regime. L’accurata regia del partito comunista che avrebbe voluto gradualmente, nei giorni successivi, avviare alcune riforme, concedere le autorizzazioni agli espatri e intensificare una intesa con la Repubblica federale di Bon (i contatti erano già in corso) per una sorta di confederazione tra i due Stati (con la successiva adesione della RDT anche alla Comunità europea, ma non alla NATO), salta d’un sol colpo. Migliaia di persone si recano alle porte, presidiate e chiuse lungo il muro. Le guardie, ignare, non sanno che fare. Avevano ricevuto però, nei giorni precedenti, l’ordine tassativo di non usare le armi. Aprono le porte. E inizia una nuova storia. Non solo per la Germania dell’Est. E non solo per la Germania tutta, che si riunifica nel giro di soli 11 mesi ( il 3 ottobre 1990).

( Frau Angela, uscita dal suo lavoro di ricercatrice a Berlino non aveva voluto saltare la sua settimanale seduta di sauna. “Sono uscita – ha raccontato in seguito- verso le 22.30, forse le 23. Mi sono trovata davanti ad un mare di gente. Semplicemente mi unii alla gente. Ero sola, ma mi unii a loro. Non lo dimenticherò mai”).

Molto altro in verità c’è da ricordare.

“Le grandi crisi hanno una lunga preistoria e la preistoria dell’attuale crisi europea, di quella politica come di quella monetaria, risale all’anno epocale 1989-90: ancora una volta è alla caduta del muro di Berlino che dobbiamo tornare”. Angelo Bolaffi, ( Cuore tedesco, Donzelli 2013 ), da cui prendo questa valutazione dello storico Heinrich Winkler, aggiunge: “La caduta del muro di Berlino rappresenta uno spartiacque geopolitico e geo-spirituale della vicenda del Novecento”.

La successiva riunificazione accelerata fu il risultato anche di uno sforzo e della solidarietà politico-strategica e anche economica dell’Europa unita di allora. Ecco un’altra verità da non dimenticare.

Ma perché, dunque, parliamo ( lo fanno ormai tutti gli storici e gli analisti) di quella data come della “preistoria dell’attuale crisi europea”?

Il dato politico-strategico è che “questa” unità europea era stata pensata , configurata, accettata (anche dal popolo tedesco!) e avviata, escludendo “il rovinoso miraggio della riunificazione” (sono parole di Altiero Spinelli, nel saggio: “Tedeschi al bivio”, in: “ La Germania e l’unità europea”, a cura di Sergio Pistone, Napoli 1978). “ La divisione del Paese – precisa Angelo Bolaffi – si era nel tempo trasformata in una sorta di postulato della ragion pratica del popolo tedesco. In una vera e propria Costituzione materiale a fondamento dell’esistenza di due Germanie. Addirittura un presupposto della possibilità di avviare il progetto di costruzione di quella unione europea annunciato da Robert Schuman nel 1950.”
La Germania e la costruzione dell’unità europea, a partire dai cruciali undici mesi – novembre 1989/ottobre 1990- hanno “ingoiato” (ma non “digerito”) una tale mole di storia e con una velocità tale da non consentire né ai tedeschi né agli europei – classi dirigenti e popoli – di elaborare una completa e adeguata strategia all’altezza dello “spartiacque geopolitico e geo-spirituale della vicenda del Novecento”. Questo è il punto!

E siamo, tutto sommato, ancora lì: ecco l’altro punto cruciale.
Sotto le macerie del muro di Berlino sono rimasti sepolti: la vergogna di una dittatura comunista, che costituiva una macchia nelle eredità culturali e umanistiche dell’Europa, la drammatica vicenda umana e il dolore di tanti caduti (europei) in fuga dall’est all’ovest sotto i colpi di una polizia cieca e ottusa e il sistema politico, economico e militare specifico della guerra fredda nel continente europeo e nell’occidente.

Quelle macerie, però, una volta che la polvere si è posata e con essa anche gli entusiasmi e la festa, hanno svelato: la “sorpresa” di una intera classe dirigente impreparata; il disegno strategico di unità europea (il sogno europeo originario degli anni Cinquanta: fine delle guerre fratricide, la pace, l’unita a piccoli e progressivi passi) fondata consapevolmente su una condivisa e permanente divisione della Germania.
Stando così la situazione, al biennio 1989-1990, doveva seguire una grande operazione strategica, “stop and go”: ma così non è stata.

C’era , in effetti, una lezione, da apprendere sia dalle classi dirigenti dei Paesi membri dell’Unione, sia dalla società civile europea (partiti politici, compresi): l’unità europea che continuava la sua costruzione dopo la riunificazione della Germania – con il primo fondamentale passo del nuovo Trattato di Maastricht (1992) e poi con quello di Lisbona (2007) – era lontanissima dalla Comunità europea dei Trattati di Roma. E che conseguentemente bisognava ripensare e riformulare a fondo la forma istituzionale e le infrastrutture portanti della Unità, sia per governare al suo interno l’ulteriore e non previsto sviluppo, sia per confrontarsi adeguatamente con il mondo esterno. Nelle forme istituzionali e della ‘governance’, nella politica, nel governo dell’economia, nella stabilità sociale , nella strategia per il futuro.

E’ mancata sia nella Germania stessa sia nell’Europa unita la consapevolezza che “dopo il 1989, la semantica del discorso europeo era radicalmente cambiata: un mutamento di paradigma il cui abbozzo è anche nel Trattato di Maastricht (1992). L’Europa unita non era più (solo) una risposta alle tragedie del passato ma una proposta strategica per affrontare le sfide del futuro.

Sono tantissimi – come sappiamo – i cambiamenti prodotti, a partire da quel biennio: nei tessuti sociali ed economici, nelle forme e negli assetti istituzionali della Germania, dei paesi europei e della Europa unita!
E tuttavia viene ancora oggi – e a ragione- affermato che “la Germania rimane un paese fragile e non vuole essere il Paese egemone in Europa” (vedasi: Hans Kundnami, “L’Europa secondo Berlino. Il paradosso della potenza tedesca”, Lemonnier, ottobre 2015).
Tedeschi ancora al bivio, potremmo dire, evocando Spinelli, di alcuni decenni fa.

In questa incompiuta elaborazione – politica e strategica – sta il “riemergere in termini economici della questione tedesca con patenti analogie col passato” (Hans Kundnami).

Di cosa si tratta?

La prima volta che si affaccia nel cuore dell’Europa la “questione tedesca” è nel 1871, quando con la sconfitta della Francia e la unificazione della Germania viene proclamato il Reich, nel cuore del continente. La “questione tedesca”, allora, consisteva in questo: “il Reich era troppo grande per l’equilibrio di potenza, ma troppo piccolo per raggiungere l’egemonia assoluta (…) e dal 1971 al 1945 ha creato instabilità in Europa” (…) E’ solo dopo la tragedia vissuta nel 1945 che il Paese – o per lo meno la Repubblica federale – si è collocata stabilmente a Ovest, abbracciandone la ‘normalità’ (…) Nella prima fase post 1990, impegnata a sostenere il costo finanziario della riunificazione, la Germania era divenuta economicamente più debole e identificava i propri interessi con quelli della UE e della NATO. Ma negli ultimi dieci anni, con l’economia nazionale in ripresa (anche per merito di riforme socioeconomiche interne di cui le va dato il merito) s’ è mostrata maggiormente propensa a imporre le proprie scelte agli altri. La sua economia è troppo grande per essere contenuta nell’UE (ad esempio il surplus della bilancia commerciale) e per ciascuno dei suoi vicini – come la Francia- è impossibile insidiare tale ‘colosso’, come lo ha definito nel 2010 Jurgen Habermas (che era stato contrario esplicitamente alla riunificazione energicamente guidata da Kohl) . La questione tedesca sembra essere dunque riapparsa in termini geo-economici”(Hans Kundnami). Per completezza è giusto ricordare che il gruppo dirigente tedesco di allora – Helmut Kohl, in primis – era consapevole di tale problema strategico (disse: “l’addio al marco tedesco è il segnale definitivo; è l’irreversibile ancoraggio della Germania all’Europa”; esprimendo contemporaneamente la consapevolezza che “l’Unione politica è la controparte dell’Unione Economica e Monetaria”), ma la sua – forse prematura – uscita di scena e la sordità di paesi decisivi come la Francia – sempre ipersensibile alla cessione di quote di sovranità nazionali – lasciarono incompiuta la trasformazione della forma e dello stadio di Europa Unita allora raggiunta.

Il resto è sufficientemente noto: la esplosione della crisi finanziaria (2008) e la impreparazione del sistema- Euro a farvi fronte. Nel corso del 2012 – nel mezzo del massimo rischio Euro – si riaprì, per un breve momento la grande questione strategica e Berlino sembrò disposta a raggiungere il compromesso con il resto dell’Europa: responsabilità per il debito altrui (cioè, la mutualizzazione dei debiti sovrani e creazione di un solo debito pubblico europeo), in cambio dell’Unione politica. “Nella seconda parte del 2012 si è discusso a lungo proprio dell’Unione politica – afferma Kundnami – che avrebbe necessitato della modifica dei Trattati europei e di un referendum da indire in Germania, in base all’articolo 146 della Legge Fondamentale, come invocato da Jurgen Habermas nel 1990. Ma non era chiaro se nazioni come la Francia avrebbero accettato l’accordo e se i tedeschi lo avrebbero approvato alle urne. Così all’inizio del 2013 Berlino abbandonò l’idea (…) In Europa il problema della potenza tedesca rimaneva irrisolto” (Hans Kundnami, ivi p. 99).

Forse ai lettori e alle lettrici potrà apparire noiosa e faticosa questa ricostruzione della storia recente; addirittura eccessiva di fronte a scontri su “dettagli”, come quello sui gasdotti tra Russia e Unione europea, o quella dello “zero virgola” ( flessibilità) o della priorità della rotta balcanica rispetto a quella mediterranea e quindi della rapida erogazione dei miliardi alla Turchia per attenuare la pressione dei rifugiati, ecc. ecc.

Ma non è così. Non vale, quindi, la raccomandazione (pure generosa) dello stimato Joschka Fischer: “non attaccate e indebolite Merkel; dopo di lei potrebbero venire cancellieri più duri e meno europeisti”. Non è questo il tema. Europa è il tema! E la Germania è il tema: scelga il suo destino! Un grande tedesco vivente – filosofo e costituzionalista – come Jurgen Habermas afferma senza mezzi termini: “la nuova ostinazione tedesca ha radici profonde; già con la riunificazione era cambiata la prospettiva di una Germania diventata grande e concentrata su suoi problemi. Il mutamento del modo di pensare che si è affermato dopo Kohl è stato molto rilevante” (“Questa Europa è in crisi”, Laterza 2012). E allora?

Allora con lucidità e determinazione, senza nervosismi e con continui sforzi tesi a ricostruire i contesti strategici e le ragioni della storia – ogni giorno – c’è il compito di salvaguardare “questa” Unità raggiunta, dai pericoli incombenti (in queste ore, addirittura la cancellazione di Schengen!) e continuare e fare passi in avanti. Fare passi in avanti: Europa, infatti imploderà se, quando, perché sta ferma!

Gli incontri tra premier – al di là e oltre le riunioni nelle sedi istituzionali previste dai Trattati – è bene che avvengano, dunque, nel quadro di reciproche consapevolezze anche di natura strategica, dentro le quali calare le “agende” dei rispettivi Paesi e dei rispettivi popoli. Forse, allora, anche i contenziosi sui vari e molteplici “dossier” acquistano dignità politica e trovano sbocchi soddisfacenti o meno insoddisfacenti.

Ed ecco un incompleto pro-memoria tra Germania-Europa-Italia:
a) i “piccoli” dossier già sul tavolo: finanziamento Turchia (dentro o fuori il patto di stabilità?) l’approvvigionamento energetico per Europa (questo è il tema; e non un supposto attacco dell’Italia al North Stream), la flessibilità del Patto di stabilità e crescita (principio e realtà), Unione bancaria (completarla con la garanzia comune dei depositi), una forma di Assicurazione europea contro la disoccupazione,…
b) i grandi dossier: completamento della UEM (è urgente: i modi e le tappe sono tutti- ormai- studiati, notissimi e fattibili); la riforma del sistema “Dublino” sul diritto di asilo (domani è già tardi!) con la conseguente politica comune delle immigrazioni; politica comune di difesa e sicurezza, ….
c) la prospettiva: l’UNIONE POLITICA (un metodo e un percorso condivisi e definiti, non fra dieci anni ma domani: per onorare il 60° anniversario del Trattato di Roma).

RelatedPost

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *