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Ma che succede al Pigneto?

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Da tre giorni consecutivi, nelle strade del quartiere Pigneto, ci sono assemblee spontanee e blocchi del traffico. Cento persone martedì, 150 mercoledì poi 200 giovedì. Una mobilitazione disorganizzata ma crescente, partita da un semplice volantino e i contatti rimasti dalla mobilitazione dell’autunno scorso, ma senza nessuna struttura politica o sociale a supporto. Una mobilitazione che nasce in realtà dall’esasperazione e la rabbia di un intero quartiere, letteralmente occupato dalla criminalità organizzata, in modo sempre più massiccio.

 

Ma cosa è successo in questo rione considerato fino a solo poco tempo fa quartiere trendy, una nuova Trastevere, regno di artisti e radical chic oltre che luogo di iniziative sociali e politiche della sinistra antagonista e antirazzista romana?
Se qualcuno ancora si chiede cosa sia la gentrification, e perché a qualcuno non piace, venga qua, a soli dieci anni da quando tutto è cominciato. Il Pigneto ne è il modello supremo. Quartiere trasformato alla velocità della luce, tanto da renderlo irriconoscibile in pochi anni. Un simbolo di ciò che produce questa particolare fase del capitalismo in crisi.
Un rione vissuto negli anni Ciquanta dal sottoproletariato, set diAccattone di Pasolini, da sempre luogo di immigrazione – molti degli anziani del quartiere sono lucani e calabresi – e per questo abituato ad intrecciare diverse culture. Negli anni Ottanta base logistica della banda della Magliana, per un periodo installata dentro al Cinema L’Aquila. Luogo a ridosso del centro, mai sfiorato dalla movida della capitale fino ai primi anni del 2000, tanto che tutti si ricordano che ancora nel 2005 nell’isola pedonale c’era un solo locale. E a mezzanotte non trovavi più nulla di aperto.

 

Poi pian piano la gentrification, la ricerca ossessiva del capitale di nuovi facili margini di profitto. E se i luoghi della produzione non rendono più come prima, ci si butta sulla speculazione, in particolare edilizia, poi via con il resto. Via del Pigneto, da sempre sede della grande fabbrica Serono, si trasforma. Proprio la Serono inizia le danze, con un enorme cambio di destinazione d’uso dei propri locali che investono il 50% dell’isola Pedonale. La fabbrica ormai ne occupa solo una piccola porzione, il resto è un Hotel a quattro stelle, e diversi mini appartamenti da 40-50 metri quadrati. Da affittare ovviamente, meglio se a studenti, non certo luoghi dove far vivere stabilmente una famiglia. E’ da qui che parte la riqualificazione, pompata dalla retorica dei governi di Centrosinistra che invitano a “riscoprire” il Pigneto di Pasolini, tanto da veder arrivare da queste parti anche qualche guida turistica con comitiva al seguito. Grazie alle rivendicazioni dei comitati, arrivano anche alcune effettive conquiste per la cittadinanza: la ristrutturazione e nuova apertura del Cinema l’Aquila, e qualche spazio pubblico ottenuto in compensazione dei cambi di destinazione d’uso e dalle nuove costruzioni: una piazza vicino a via Fanfulla da Lodi, uno spazio pubblico sull’Isola pedonale che oggi ospita la Biblioteca, qualche spazio verde.
Sono anche gli anni della liberalizzazione delle licenze ideata dal ministro Bersani, per permettere una nuova crescita economica. Ma quale crescita? Quella della competizione selvaggia, in cui i quartieri non sono pensati per i servizi ai cittadini, ma lasciati a disposizione del maggior margine di profitto. Garantito da locali tutti uguali e distanziati di pochi metri, con dentro lavoratori precari o, più spesso, al nero.
Al Pigneto ne iniziano ad aprire alcuni, insieme anche a librerie, laboratori, associazioni. La cosa per qualche tempo sembra quasi poter funzionare. Sono gli anni tra il 2005 e il 2008 e il Pigneto sembra quasi una piccola isola felice con le case basse di inizio Novecento ristrutturate, persone mediamente più aperte e accoglienti di altre zone della città, iniziative sociali e culturali interessanti. Ma dura pochissimo. Mentre salgono alle stelle i prezzi delle case e i costruttori buttano giù palazzi per costruirne di nuovi, aumentano in modo incredibile il numero dei locali, che senza soluzione di continuità raddoppia ogni anno rispetto all’anno precedente. Chiudono tantissime attività diurne – barbiere, ciclofficina, librerie, negozi di vestiti, di scarpe, di giocattoli, Bottega dell’equo e slidale, agenzia viaggi, officina meccanica… – e in ognuno di loro apre inesorabilmente un nuovo locale… sempre più simile a quello affianco. Resiste solo il mercato dell’Isola pedonale, che rende ancora bello passeggiare la mattina, se ad ogni angolo non ci fossero chili di rifiuti della serata precedente.
Un quartiere da consumare non da vivere, un quartiere dove regna soltanto la legge del profitto, con ogni sera un numero di persone enormemente superiore a quelle che lo abitano, e gli spazi pubblici occupati dai tavolini dei locali. Costruendo in realtà un modello di socialità molto lontano da quello sognato da queste parti fino a qualche anno fa.

 

Capita la dinamica, è almeno dal 2008 che il Comitato di quartiere chiede il blocco delle licenze per i locali, sostegno alle attività diurne, riqualificazione degli spazi pubblici e verdi, gestione differenziata dei rifiuti porta a porta, apertura della metro C, rispetto degli accordi con la Serono che per il cambio di destinazione d’uso dovrebbe ristrutturare l’isola pedonale, e aprire al pubblico due dei giardini interni all’ex fabbrica. Non avviene nulla di tutto ciò, arriva anzi un’altra speculazione, quella del narcotraffico. Prima in forma più marginale, poi sempre più pesante. Fino alla vera e propria colonizzazione del quartiere da parte della criminalità organizzata avvenuta negli ultimi 12 mesi. Ogni giorno 100, nei fine settimana anche 150, spacciatori occupano le quattro strade del quartiere, fermando ossessivamente chiunque passi, e vendendo di tutto. Ma anche consumando di tutto, con episodi ripetuti di persone che liberamente si fanno di eroina per le strade.
La cosa che colpisce, rendendo invivibile il quartiere, è proprio la quantità del fenomeno, e la tranquillità e arroganza nell’appropriarsi delle strade. Gli effetti della crisi e della legge Bossi-Fini, producono del resto un esercito di manodopera immigrata a basso costo e senza speranza, che di fatto vive per strada dormendo spesso a Piazza del Pigneto, spesso finendo per diventare tossicodipendente, ed è sfruttata dalla criminalità organizzata che gli fornisce la merce.. Un sistema che produce il minor costo del lavoro possibile, in uno schema del tutto simile a quello del legale capitalismo liberista contemporaneo: le organizzazioni criminali, un tempo attente ai rapporti con i quartieri di insediamento e alla tutela dei propri scagnozzi, hanno oggi completamente “esternalizzato” il proprio traffico. I 100 spacciatori immigrati che quotidianamente occupano le vie del Pigneto sono solo l’ultimo anello della catena, e del loro destino non interessa a nessuno fin da quando sbarcano nel nostro paese, men che meno interessa ai loro datori di lavoro. Il turn over è velocissimo, in 12 mesi tra loro si possono riconoscere almeno il 90% di facce nuove, senza alcun rapporto con il luogo in cui vivono. E con un’arroganza che sfocia anche in minacce agli abitanti, oltre che in periodici scontri tra bande negli ultimi due anni sfociati anche in due omicidi.
E gli abitanti storici rimpiangono i tempi della banda della magliana…

 

E la polizia di Alfano? Sempre produttiva quando ci sono da sgomberare case, spazi sociali e manifestazioni troppo determinate, qua dimostra un’efficacia pari a zero. Solo azioni di “propaganda”, con alcune retate e arresti che non cambiano di una virgola la situazione, vista la rotazione continua della manodopera. Una polizia resasi addirittura ridicola con la trovata degli sms con cui i cittadini dovrebbero comunicare la fragranza di reato. Al Pigneto lo spaccio è h24, dalle 15 alle 3 di notte è a pieno regime, non servirebbe nessuna azione spettacolare e nessun arresto dell’ultimo anello della catena. Servirebbero indagini sull’organizzazione che rifornisce, impedendo in modo intelligente la possibilità di essere padroni della strada agli spacciatori di zona. Ma sembra proprio la Prefettura ad aver deciso che lo spaccio della capitale si deve concentrare in poche vie, dove più o meno va lasciato fare. Del resto il mercato esiste e non si può fermare.

 

Già il mercato esiste, e è anche il suo aumento ad impressionare. Aumento tipico delle fasi di crisi economica e politica, e le siringhe per strada e la diffusione dell’eroina riportano a scenari tipici degli anni Ottanta. L’irrazionalità del proibizionismo in un quartiere come il Pigneto viene fuori in modo dirompente e percepito da ogni cittadino. Da un lato la politica impedisce qualsiasi legalizzazione, dall’altro di fatto ne rende legale lo smercio in alcuni luoghi, con la sola particolarità di esser gestito dalla criminalità organizzata che aumenta i propri profitti, detta le condizioni di lavoro, e gestisce la qualità della merce venduta…

 

Marino otto mesi fa era venuto al Pigneto promettendo di sgominare la criminalità dalle strade, e di lavorare ad una rinascita del Pigneto, rispondendo alle richieste che i cittadini gli consegnarono in un documento. Oggi ha paura a venire qui, come i cittadini stanno chiedendo negli ormai quotidiani blocchi stradali, perché la rabbia di chi abita il quartiere è feroce. La mobilitazione è disorganizzata, fatta da persone con nessuna o pochissima esperienza politica. Un quartiere storicamente aperto e di sinistra è diventato una bomba ad orologeria, e la dinamica può essere facilmente strumentalizzata dalle destre più reazionarie e razziste. La crescita e lo sviluppo positivo della mobilitazione è l’unica speranza del quartiere, a cui servono risposte dalle istituzioni, ma anche una capacità di autogestione, di riprendendosi le strade in prima persona con iniziative sociali e culturali, ricostruendo una solidarietà e una socialità che negli ultimi 2-3 anni si è perduta tra abitanti che sono scappati via, e la maggioranza che sconsolata preferisce chiudersi in casa una volta tornata dal lavoro.
Dal Comune ad oggi c’è solo un invito del vicesindaco Nieri ad andare da lui il 25 giugno. Ma ormai la gente ha ricominciato a scendere in strada, e una cosa è sicura: anche quel giorno tra Porta maggiore e Piazzale prenestino le strade della città saranno bloccate.

Giulio Calella (communianet.org)

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