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Aubervilliers, le startup delle banlieue

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Uber, sviluppatori, scuole: il futuro che nasce nei ghetti.
Superate le vetrine di boutique cinesi sull’avenue Pékin, la fila si riconosce da lontano. Non è difficile orientarsi nel Fashion Center di Aubervilliers, periferia Nord di Parigi. “Tutti sanno dov’è Uber” ci avverte al telefono Badia Berrada. La giovane responsabile comunicazione del gigante americano apre le porte del centro dove si svolge un incessante pellegrinaggio. Ogni settimana 4500 giovani vengono a bussare per trovare un lavoro. La maggior parte si sposta di appena qualche chilometro, vive nelle banlieue-ghetto della regione come Yanis, 24 anni, che sogna di essere presto alla guida della sua berlina nera. “Ho tanti amici driver – spiega – voglio provare anche io”.

Nel Paese del colbertismo, delle 35 ore, delle barricate alzate l’anno scorso contro il Jobs Act del governo socialista, ci sono ragazzi pronti a lavorare fino a 60 ore a settimana senza un padrone, senza contributi e per un reddito medio non garantito di 1700 euro. Uber è diventato il più grande reclutatore della zona. Ogni quattro nuovi posti di lavoro in tutta l’Ile de France, la regione parigina, uno è creato nel settore delle auto con conducente. “Dieci anni fa i giovani delle banlieue bruciavano le automobili per protestare, oggi sono al volante, portano la cravatta e sono servizievoli con i clienti” sintetizza Berrada facendo riferimento agli scontri che avevano incendiato le periferie nel 2005. La responsabile comunicazione di Uber fornisce un profilo tipo dei 17mila driver: più della metà ha meno di 35 anni, per il 55% si tratta di un primo lavoro, un altro 40% era iscritto sulle liste di disoccupazione.

Con due milioni di clienti, la Francia è uno dei mercati europei più importanti per Uber. Ironia del destino, il fondatore Travis Kalanick ha avuto l’intuizione di creare la sua piattaforma proprio durante un soggiorno nella capitale francese, dopo aver cercato invano un taxi. Nonostante il successo, la relazione tra Francia e Uber è tutt’altro che serena. La Ville Lumière è stata teatro di scontri e violenze dei tassisti contro gli autisti del gruppo americano. Dal 2009 sono state votate tra le polemiche ben quattro riforme per mettere più paletti alla licenza Vtc (voiture de transport avec chauffeur), l’equivalente del Ncc, noleggio auto con conducente. Da qualche mese è in corso l’ennesimo tentativo di mediazione del governo, stavolta dopo la protesta dei driver contro il calo delle tariffe.
La Francia della new econony riserva molte sorprese. A Parigi c’è un record di nuove imprese nelle nuove tecnologie, sono state lanciate piattaforme di successo come Blablacar, Vente-Privée, il motore di ricerca Qwant. La capitale è uno dei principali mercati per AirBnb e tra qualche settimana aprirà nel tredicesimo arrondissement Station F, il più grande incubatore al mondo di start-up, nuovo progetto avveniristico di Xavier Niel. L’imprenditore delle telecomunicazioni, che sbarcherà presto in Italia, ci aspetta rilassato, jeans e barba lunga. L’appuntamento è Porte de Clichy, non lontano da Aubervilliers, per visitare l’École 42. L’istituto che forma sviluppatori informatici è aperto sette giorni su sette, giorno e notte. Accoglie ragazzi senza pretendere requisiti. “Chiediamo solo nome e cognome, data di nascita. Quasi metà dei nostri alunni non ha la maturità” racconta Niel, che tre anni e mezzo fa ha investito 30 milioni nel progetto, senza sovvenzioni dello Stato. Oltre la metà degli alunni viene dalle banlieue più povere. Un quarto ha precedenti penali. “Offriamo una seconda chance. La scuola si svolge come un enorme gioco, davvero accessibile a tutti”. È un modello alternativo all’Ena, la scuola dell’élite francese? “Siamo un’altra cosa, evitiamo paragoni” risponde Niel diplomaticamente. Ogni anno 70mila persone tentano di iscriversi con i test online. Meno di un terzo è poi selezionato nei locali della scuola con esame continuativo davanti al computer, oltre quindici ore al giorno per un mese di fila. Nei corridoi si vedono materassi, panni stesi, ci sono docce a disposizione.Il nome in codice di quella che assomiglia a una prova estrema di resistenza psico-fisica è “La Piscine”. Meno di mille candidati restano a galla, prescelti per frequentare gratuitamente “42”, il numero che secondo un libro culto di Douglas Adams è la soluzione a qualsiasi domanda esistenziale. Gli alunni non hanno lezioni né professori, costruiscono da soli il proprio percorso interagendo dentro al sistema informatico. Frequentano come e quanto vogliono, si danno i voti gli uni con gli altri, e alla fine del corso non ricevono neppure un attestato. Non ce n’è bisogno. “Trovano lavoro già prima di finire la scuola” racconta il patron di Free che rappresenta un’eccezione nell’élite francese: ha solo la maturità, si è fatto da solo, non viene da nessuna aristocrazia industriale. “Quel che proponiamo – aggiunge – è atipico ma funziona, corrisponde a ciò che chiedono le imprese”. Una succursale è stata appena aperta nella Silicon Valley. L’École 42 è stata visitata da François Hollande, l’ex ministro Emmanuel Macron è venuto più volte. Niel, tra gli editori del giornale Le Monde , fa attenzione a non sbilanciarsi sul leader di En Marche: “La politica non può tutto – sostiene – è giusto che, a un certo punto, la società civile prenda l’iniziativa per cambiare il Paese”.

Molti politici non sanno come approcciarsi alla rivoluzione della new economy. Solo Macron – che alcuni hanno paragonato a Uber in politica – propone di riconoscere uno statuto per i lavoratori indipendenti e non inquadrati come driver, fattorini. “Sono proposte modeste, purtroppo Macron è molto più timido da candidato che da ministro” commenta Denis Jacquet, promotore insieme ad altri imprenditori del movimento dei Pigeons per far togliere al governo l’imposta sulla plusvalenza della vendita delle start-up. “C’è uno straordinario sfasamento tra una parte del Paese reale e la politica” commenta Jacquet nel suo ufficio, un gigantesco loft boulevard Haussmann da cui si vede tutta Parigi. “La Francia ha ancora un ottimo sistema di educazione, buone infrastrutture. È un Paese che crea talenti, ma molte energie restano bloccate”. La parola “digitale”, osserva, è assente da quasi tutti i programmi. “Nessuno cerca di fare chiarezza su dove ci sta portando la new economy: né sugli aspetti più inquietanti, proponendo soluzioni, né su quelli più positivi che possono portare benefici alla società. È disperante”.

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