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Servizi di buon vicinato: arriva Toctocdoor, social network di quartiere

Accade a Torino, dove una piccola startup ha lanciato un’applicazione che servirà a scambiarsi servizi e consigli con gli altri utenti registrati nella stessa zona: per localizzarli e accedere agli annunci basterà registrarsi, visualizzandoli poi su una mappa.
Quasi ogni genitore ci è passato, almeno una volta nella vita: sono le 8 del mattino e ci sono due figli da accompagnare in due diverse scuole, ma di accendersi l’automobile non vuol proprio saperne. La lista delle possibili opzioni, tutte più o meno inefficaci, comprende ad oggi: compulsare l’agenda telefonica per trovare un “collega” che faccia all’incirca lo stesso tragitto; prendere un taxi spendendo spesso l’equivalente della riparazione della vettura, o magari farsi assalire da una crisi di panico da riversare presto su figli, consorte e chiunque capiti a tiro, mentre i ragazzi si avviano con gran gusto a perdere almeno una mezza mattinata di lezione. A offrire una soluzione più incisiva, però, potrebbe essere molto presto il mondo dei social network: a Torino un team di creativi e sviluppatori ne sta sperimentando uno pensato per mettere in comunicazione i residenti di uno stesso quartiere, in modo che possano scambiarsi beni, servizi, favori e consigli di buon vicinato. Si chiama Toctocdoor e al momento è attivo in una porzione del Capoluogo che comprende la centralissima via Giolitti e tutte le strade limitrofe, da via Po a via Vittorio Emanuele, passando per il lungofiume. A idearlo è stata una squadra proveniente dalla città di Foggia, e composta dai fratelli Lorenzo e Antonio Trigiani – esperto in pubbliche relazioni il primo e sviluppatore il secondo – e da Viviana Tiso, a sua volta esperta in social media e comunicazione. Un altro aiuto arriverà presto dal centro servizi per il volontariato di Torino, che nel weekend presenterà l’iniziativa alla cittadinanza nel corso di una conferenza pubblica.

Il funzionamento è quanto di più semplice: “durante la registrazione – spiega Tiso – all’utente verrà chiesto di specificare l’indirizzo di residenza. Da quel momento, oltre a visualizzare su una mappa il numero esatto e la collocazione degli utenti attivi in zona, si potrà accedere a post e annunci pubblici divisi per categorie contrassegnati secondo una logica di utilità, molto simile a quella delle banche del tempo ma anche dei semplici rapporti di buon vicinato”. Un modo per portare la pervasività dei social network in una dimensione locale, insomma, analogamente a quanto già fatto da servizi come “Last minute sotto casa”, una app che – riunendo una cordata di supermercati e negozi alimentari – pare stia dimezzando lo spreco di cibo in più di una città italiana. Con la differenza che, in questo caso, la platea di utenti, seppur delimitata da specifici quartieri, sarà decisamente più estesa: al momento, le categorie attivate per la fase sperimentale riguardano gli annunci gratuiti, la compravendita, una sezione per gli oggetti persi e ritrovati e una relativa a crimini e sicurezza. Vale a dire che, con cinque semplici marcatori semantici, c’è già un’infinità di operazioni e servizi che gli eventuali “vicini di social” possono scambiarsi. “Prendiamo la categoria ‘crimini e sicurezza’ – illustra Tiso -: se sentissi arrivare dei rumori sospetti dall’appartamento del mio dirimpettaio in ferie, con un semplice click potrei avere la possibilità di allertare lui, oltre alle forze dell’ordine”. Nel già citato caso dei bambini da portare a scuola, invece, secondo Tiso basterebbe “pubblicare o guardare gli annunci nell’area ‘genitori e figli’, e con un po’ di fortuna si troverebbero diverse mamme e papà che potrebbero offrirsi di dare un passaggio ai bimbi”.

Attivo dallo scorso marzo, al momento TocTocDoor è agli sgoccioli di quella che viene definita “fase beta”: man mano che gli utenti sperimentali – o beta tester – ne saggiano funzioni e caratteristiche, suggeriscono agli sviluppatori migliorie e nuove funzionalità. Il prossimo venerdì, comunque, l’applicazione verrà presentata al pubblico sabaudo: l’appuntamento è per le 17 alla sede del Centro servizi per il volontariato di via Giolitti 21. Segno che, a breve, l’iniziativa potrebbe essere pronta ad abbracciare l’intera cittadinanza.

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Un altro social possibile

Se per Freud il retaggio del passato costruisce incrostazioni falde e trabocchetti nell’inconscio, l’odierno tecno-inconscio collettivo si nutre della nostra libidine esibizionistica e voyeuristica.
Ma noi che sappiamo che il tecnico è politico vogliamo destrutturare un modello in cui moltitudini condividono pensieri foto video da cui ristrettissime élite estraggono valore tenendolo tutto per sé.
La teoria base del plusvalore c’insegna che bisogna costruire nuovi modelli di estrazione di valore perché i produttori di senso si riapproprino del frutto della propria creatività.
E’ come se qualcuno avesse messo a disposizione del genio di Van Gogh tele pennelli e colori e in cambio divenisse in automatico possessore e gestore delle sue opere.
Il cambio di paradigma necessita della riappropriazione dei mezzi di produzione da parte di utenti/produttori.
Ora che internet esce dalle nuvole ed entra nelle cose la produzione di informazioni produrrà direttamente oggetti d’uso.
Il salto sarà quindi da consumo ad uso: altro che condivisione.

stampante 3 D che costruisce case

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Il successo dell’Airbnb per i rifugiati

Migliaia di persone pronte a ospitarli.
Dai primi di settembre la piattaforma online singa.fr, che fa incontrare famiglie e migranti, ha ricevuto numerose disponibilità da tutta la Francia e dall’estero. Chi vuole accogliere persone che hanno ottenuto l’asilo deve soddisfare una serie di requisiti.
Mentre i ministri dell’Unione Europea faticano a trovare un accordo sulle quote di distribuzione dei profughi, tante associazioni di volontariato in tutto il continente si stanno mobilitando per dare un tetto ai rifugiati. E in questa gara di solidarietà può succedere che l’entusiasmo associativo si mescoli allo spirito delle startup, dando vita a progetti innovativi come quello di Calm (acronimo di comme à la maison, come a casa), l’Airbnb per migranti. Lanciato a giugno scorso dall’associazione parigina Singa, Calm è una piattaforma web che mette in contatto i rifugiati con le famiglie che hanno deciso di offrir loro la propria ospitalità.

Per registrarsi a Calm basta connettersi al sito singa.fr e compilare un formulario: dati personali, numero di persone che si è disposti a ospitare, durata dell’accoglienza, lingue parlate, presenza di animali in casa, interessi, disponibilità a insegnare un mestiere all’ospite, eccetera. Il migrante farà la stessa cosa e dirà se è solo o accompagnato, l’età e il numero dei componenti del suo nucleo familiare, la sua professione, la data a partire dalla quale avrebbe bisogno di essere ospitato e tutto il resto, dalle allergie ai regimi alimentari particolari. L’intento degli ideatori della piattaforma è quello di trovare il maggior numero possibile di affinità tra la famiglia ospitante e l’ospite in modo da rendere la convivenza più agevole e funzionale.
Ma se dare la propria disponibilità a ospitare migranti attraverso Calm è facile e veloce, aprire realmente le porte della propria casa può essere parecchio complesso e non sempre fattibile. Per poter essere ospitati i profughi devono aver ottenuto lo status di rifugiato e cioè avere già acquisito il diritto di asilo mentre i padroni di casa devono essere preparati ad affrontare convivenze che possono rivelarsi difficili da gestire. Per questo motivo i volontari di Singa organizzano dei corsi in cui famiglie interessate a ospitare profughi imparano le principali caratteristiche della cultura del rifugiato e il modo migliore per relazionarsi con persone che hanno subito il trauma di guerre, violenze e torture. Durante le convivenze, i volontari di Singa restano a disposizione dei profughi e della gente che li ospita e, in caso di bisogno, offrono la consulenza di un mediatore.
Nei primi dieci giorni di settembre Calm ha raccolto l’adesione di migliaia di persone pronte a ospitare un rifugiato in casa propria. Alice Barbe, una delle fondatrici di Singa racconta che le iscrizioni arrivano da tutta la Francia e anche dall’estero: «Tra gli iscritti abbiamo gente di tutti i tipi: agricoltori, banchieri, gente che vive in campagna e in città. Abbiamo notato un risveglio della società civile sulla questione dei profughi». Trovare una casa in cui abitare con gente del Paese ospitante è importantissimo per evitare ghettizzazioni. «I rifugiati statutari – spiega Alice Barbe – hanno dei diritti, tra cui quello di lavorare, ma non conoscendo nessun francese non hanno la possibilità di creare una rete di contatti e di accedere al mondo del lavoro. Entrare in una famiglia francese, anche per un periodo breve, gli permette di comprendere meglio la società nella quale si trovano e tirar fuori i loro talenti. I profughi possono creare impiego, oltre che ricchezza interculturale».
Singa (che significa “prestare” in baramba, una delle lingue del Mali) si occupa di integrazione dal 2013 e i suoi volontari sono diventati esperti nell’utilizzare la Rete per rispondere alle esigenze dei rifugiati. Nel 2014 gli ideatori dell'”Airbnb per migranti” hanno condotto in quindici paesi uno studio su “l’utilizzo delle nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione da parte dei rifugiati”. «L’obiettivo era quello di identificare le potenzialità ma anche i pericoli che derivano dall’utilizzazione delle nuove tecnologie», spiega Nathanel Molle, cofondatore di Singa. «A partire da quello studio, la nostra associazione, in collaborazione con sviluppatori, designer e imprenditori sociali, è impegnata a sviluppare collettivamente delle risposte innovatrici alle grandi sfide sociali legate all’asilo». Qualche volta social può significare sociale.

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Pubblico e privato nell’era dei social

Maura Franchi: “Viviamo costantemente una ragione senza sonno dove non ci disconnettiamo mai”.
Come partecipare nel mondo in cui il privato è pubblico e il pubblico diventa privato? Sempre più dibattuta nella nuova del web e dei social, la questione è stata aperta dalla sociologa Maura Franchi durante ‘Spazio pubblico e spazio privato’, l’incontro del ciclo di conferenze curato da Istituto Gramsci e Istituto di storia contemporanea ‘La democrazia come problema’ alla sala Agnelli della biblioteca Ariostea.

Spazio pubblico e privato diventano oggi, infatti, centrali nelle questioni legate allo stato democratico. L’idea moderna di democrazia assume centralità nello spazio pubblico come luogo in cui si forma e si esprime l’opinione pubblica, dove esercitare il diritto alla partecipazione. Se storicamente il rapporto tra spazio pubblico e privato era segnato da una netta contrapposizione, ora questa delimitazione etica, secondo Maura Franchi, è venuta meno, sgretolandosi in una “società degli individui”. Vi è stato inoltre un ulteriore slittamento di confini con l’avvento diffuso del web, nel quale l’intimità della sfera privata viene meno e lo spazio pubblico diventa luogo narrativo ed emozionale.

Cambia, in questo contesto, il concetto di partecipazione e quindi anche di protesta. Un caso emblematico è il sabotaggio di siti, sottolinea la Franchi, “in cui vediamo emergere nuove possibilità e nuove modalità di esprimere con in web la propria protesta e in cui le forme di feedback sono più rapide”.

Anche il senso della partecipazione a un ideale, a un movimento, o semplicemente a un gruppo di persone con un interesse comune muta con i nuovi mezzi di condivisione social. “C’è un senso dell’appartenenza, ma esso non è stabile o organizzato. Gli stessi sentimenti, le condivisioni, non prevedono alcuna iscrizione. Tutto è molto liquido e mutabile, continuamente dinamico”.

unnamedQuesta erosione del confine tra spazio pubblico e privato non è però provocato dal web, secondo la sociologa. “Viene invece dagli anni ’60, da quando lo spazio pubblico è uno spazio da progettare. Lo spazio pubblico diventa il luogo della rappresentanza e dell’azione collettiva”. Ora però in questo spazio, anche i media vengono “despazializzati, delocalizzati, detemporalizzati. Siamo davanti a tempi senza ritmi e spazi senza confini: viviamo costantemente una ragione senza sonno dove non ci disconnettiamo mai”.

Passa quindi l’idea di una socialità individuale, dove però c’è spazio anche per una dimensione partecipativa e con essa l’idea di agire diretti verso uno scopo. “L’aspetto positivo dei social è il fatto che si possono creare diverse azioni partecipative e dare il via a cause di interesse comune. Piattaforme, sharing economy, scambi della vita quotidiana: tutti questi nuovi mezzi social – conclude – stanno cambiando l’idea stessa di partecipazione”.
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Facebook ospiterà le notizie direttamente sulla bacheca

Per leggere una notizia su Facebook potrebbe non essere più necessario cliccare sui link postati dai giornali. Il team di Mark Zuckerberg sta portando avanti un progetto che permetterà alle testate giornalistiche di pubblicare direttamente sul social network, rendendo i contenuti più fruibili da parte degli utenti.

National Geographic, Buzzfeed e New York Times starebbero già firmando accordi per testare la novità, che potrebbe essere operativa già nei prossimi mesi. Ed è proprio il New York Times a spiegarla: “Gli articoli pubblicati su Facebook contengono dei link che rimandano al sito del giornale. Cliccandoli si apre una pagina web che solitamente impiega 8 secondi per caricarsi. Troppo tempo, soprattutto per i dispositivi mobili. Se si tratta di catturare gli occhi sfuggenti dei lettori anche i millisecondi contano”.

La parola chiave del nuovo sistema è, dunque “velocità”. Ma anche “guadagno”: alla testate verrebbe garantita una parte degli introiti derivanti dalla pubblicità. “Per rendere la proposta più attraente, Facebook ha discusso con gli editori alcune strategie per fare soldi grazie alla pubblicità disposta a fianco dei contenuti”, scrive il New York Times. Ma non solo: le testate potranno usufruire della visibilità che il social network garantisce ai video, uno strumento pubblicitario molto potente.

Allettante è anche l’idea di poter arrivare a coinvolgere sempre più lettori: con i suoi 1,4 miliardi di utenti, Facebook è una risorsa irrinunciabile per molti giornali. L’algoritmo che “seleziona” le notizie che compaiono in bacheca è un filtro sempre più importante, soprattutto per i più giovani. Se il progetto andrà in porto, qualche difficoltà non mancherà per le testate: ad esempio, potrebbe essere più difficile raccogliere le preziosissime informazioni sulle preferenze degli utenti perché i dati sul traffico potrebbero essere più sfuggenti.

L’ambizione di Facebook di ospitare direttamente le notizie è stata anticipata e raccontata lo scorso ottobre dal famoso giornalista David Carr, morto il 12 febbraio 2015. “Aprire le pagine di alcuni giornali sugli smartphone può essere straziante perché sono troppo rallentate dalla pubblicità. Facebook ama i contenuti, ma non sopporta la tecnologia che alcuni editori usano per il mobile. Il social network può aiutarli a fare di meglio”, scriveva su Nyt. Una “profezia” che sembra combaciare perfettamente con il nuovo sistema: “Le testate potrebbero semplicemente rinviare ad altre pagine di Facebook, che vivrebbero dentro il social network e che potrebbero, perciò, essere caricate più velocemente, con le pubblicità giuste. Il guadagno poi sarebbe condiviso”.

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PA e social network: cinque favole di assonanza impossibile

social-network

Le Pubbliche Amministrazioni tendono ad usare i social in modo “aggiuntivo” rispetto ai tradizionali media. In realtà, poiché i social (meglio i cittadini) esigono bidirezionalità e reciprocità nelle relazioni, un uso efficace del social networking esige cambiamenti profondi e regole inusuali per la PA.

Quindi, caro Sindaco, se vuoi adottare nel tuo Comune l’uso dei social network come strumenti di comunicazione devi davvero cambiare molto.

I Storia

L’Ingegnere Capo del Comune di Pieve di Sotto adopera in modo compulsivo WhatsApp. L’ingegnere Capo ha due figli adolescenti. Ogni sabato sera l’Ingegnere Capo, usando WhatsApp, “segue” i due figli fino alle soglie della discoteca.

WhatsApp è lo strumento che lui usa per fugare tutti i suoi dubbi sulla sicurezza dei figli. “Bene”, dice l’Ingegnere Capo, “i miei figli sono arrivati sani e salvi in discoteca”. Ho chiesto all’Ingegnere Capo, utilizzando WhatsApp, un appuntamento per sottoporgli un problema viabilistico della strada in cui abito.

L’Ingegnere Capo non si è degnato di rispondermi. Per incontrare l’Ingegnere Capo assieme ad una delegazione di altri cittadini, ho dovuto sollecitare un Assessore, un Consigliere Comunale, prendere un appuntamento con la Segretaria utilizzando il telefono, confermare la richiesta di incontro con  una mail.

Se l’Ingegnere Capo per parlare  con i figli usa WhatsApp, come d’altronde fanno milioni di persone nel mondo, perché io per parlare con lui devo utilizzare “la politica”, la segretaria, il telefono, la mail? Vi posso garantire che non esiste alcuna legge dello Stato che vieti l’uso di WhatsApp nella Pubblica Amministrazione.

Caro Sindaco, devi convincere il tuo Ingegnere Capo ad abbandonare l’AUTOREFERENZIALITÀ che da sempre accompagna la sua vita lavorativa. Twitter e Facebook serviranno molto poco alla tua Amministrazione se non rimuoverai la cultura dell’AUTOREFERENZIALITÀ.

II Storia

Qualche giorno fa si sono presentati in Comune dei ragazzi titolari di una startup. Hanno proposto al Sindaco l’adozione della app “Rendiamo democratica la nostra città”.

La app costa 2 lire. La app consente ai cittadini di segnalare al Sindaco tutto ciò che non va in città. Dalle “disfunzioni semaforiche”, alle buche per strada, “Rendiamo democratica la nostra città” consente ai cittadini di essere davvero i protagonisti. Il Sindaco é rimasto colpito dalla app (il costo di 2 lire ha incentivato questo entusiasmo), la ha immediatamente adottata.

Il Sindaco ha convocato una conferenza stampa (alla quale si è presentato con l’IPAD versione Smart 2715) dove ha annunciato l’adozione di questo straordinario strumento. Naturalmente i cittadini di tutte le classi di età hanno iniziato ad utilizzare la app.

La Segretaria del Sindaco e il suo ufficio stampa sono stati intasati da centinaia di segnalazioni le più diversa tra di loro. Dalla scarsa pulizia di alcune strade, alla ricerca dei posti di lavoro, tutto é arrivato sul tavolo del Sindaco. Naturalmente il Sindaco (meglio la sua Segretaria) non é stato in grado di rispondere alla montagna di segnalazioni dei cittadini.

Spesso, per difendersi, é stata utilizzata la fantomatica frase “non é di mia competenza”. Dopo pochi giorni il Sindaco ha annunciato che la “app é in manutenzione”…. servizio sospeso a tempo indeterminato. In quei giorni, tuttavia, si é creato un forte malumore tra i cittadini e nei partiti.

Caro Sindaco se adotti soluzioni I.T. che consentono ai cittadini di “dire la loro” su un qualsivoglia argomento devi PRELIMINARMENTE imporre (si…imporre) modifiche organizzative che consentano che le richieste dei cittadini -meglio della comunità – siano soddisfatte.

A volte basta una semplice risposta, anche negativa ma UNA RISPOSTA. Anche in questo caso il nemico da battere è l’AUTOREFERENZIALITÀ dell’Amministrazione. Soprattutto spiega ai tuoi collaboratori che non si usa mai la frase “NON È DI MIA COMPETENZA”.

III Storia

Sono arrivati due stagisti all’ufficio stampa. In realtà sono stati mandati dalla super fantaguru agenzia di comunicazione “WEBSPAZIALIONLINE” che deve curare l’immagine dell’Amministrazione. I due stagisti, in realtà, hanno frequentato tutti i più importanti master in “Tecnologie Social SUPERSpaziali”, ma non hanno la più pallida idea delle attività istituzionali di un Comune.

Immediatamente hanno proposto (proposta accolta) che il Comune si doti di un account su Twitter. D’altronde é risaputo, se non hai un account su Twitter non sei nessuno. Un account lo ha anche Obama. È stata predisposta una campagna per acquisire nuovi follower.

Quotidianamente su quell’account vengono postate tutte le informazioni, tutte le inaugurazioni, tutte le fiere paesane nonché gli orati delle scuole materne. In quel calderone bolle un bel minestrone.

È cambiata in meglio la comunicazione -meglio, le relazioni con i cittadini con l’Amministrazione dopo l’avvento di Twitter? Assolutamente NO. 1102 follower (303 sono di altri comuni) su 103815 censiti come residenti all’anagrafe cittadina di Pieve di Sotto non é un grande risultato.

Caro Sindaco, se vuoi utilizzare Twitter sappi che tu non sei Lady Gaga (oltre 40 milioni di follower). Soprattutto in un Comune Twitter va adottato non come uno strumento di comunicazione, ma come una piattaforme che favorisce INTERAZIONI bidirezionali. Twitter é bello e utile perché consente una forte flessibilità nell’uso.

Soprattutto, non fidarti dell’Agenzia “WEBSPAZIALIONLINE” anche se ha curato tutti i tour europei di Madonna. Caro Sindaco, tu rappresenti un comune, impara ad ascoltare i cittadini. Nel tuo caso, l’indice di successo (il ROI) é avere più following da ascoltare -fare engagement democratico.

Anche in questo caso il nemico da battere é l’AUTOREFERENZIALITÀ e, consentimi, abbandona un pò di narcisismo che ti é insorto durante le primarie.

IV Storia

L’Amministrazione comunale di Pieve di Sotto si sta dotando di nuovi strumenti urbanistici. Siamo nella fase in cui il progetto di Piano viene presentato per consentire ai cittadini e agli stakeholders di avanzare proposte e osservazioni (le deduzioni in “linguaggio tecnico”).

A questa fase seguiranno le “controdeduzioni” ecc.ecc…Nonostante Twitter, la presentazione del nuovo Piano Urbanistico segue canali molto tradizionali. Sono convocate le assemblee di circoscrizione, gli incontri con il Sindacato e gli stakeholders, il Consiglio Comunale.

Si susseguono in Comune (e non solo) gli incontri con i diversi portatori di interessi. Naturalmente questo processo “partecipativo” frammentato fa perdere ogni visione d’assieme della città. La pianificazione urbanistica si riduce ad essere una somma di interessi spesso non coerenti tra di loro. Si perde il senso del bene comune.

Diciamo addio al sogno di gloria di trasformare Pieve di Sotto in una moderna metropoli smart. Si é scatenata la sindrome NIMBI anche nella pianificazione urbanistica. il figlio dell’Architetto Capo ha scoperto l’esistenza di Minecraft.

La Preside della sua scuola (una insegnate illuminata) ha scoperto che in Danimarca Minecraft viene utilizzato come strumento didattico. I ragazzi immaginano in questo modo (vision) l’evoluzione del territorio.

Tra l’Architetto Capo e il figlio si é aperto uno scontro generazionale/culturale. Il figlio ha proposto al padre di usare Minecraft  come strumento di partecipazione per l’evoluzione del territorio. Vecchio e nuovo, norma e sostanza hanno combattuto la loro epica sfida.

Caro Sindaco se vuoi costruire la smart city, come hai annunciato nel tuo programma di mandato, devi adottare inediti strumenti partecipativi.

Lego, Minecraft, SimCity sono lì a tua disposizione. Chiedi agli hacker e ai visionari, chiedi ai coworker e ai makers, chiedi alla Preside, chiedi agli studenti di darti una mano a far decollare una esperienza inedita.

Fai recuperare una visione d’assieme del territorio. L’Architetto Capo conosce bene la normativa. In gioventù peraltro sognava di diventare come Renzo Piano, ma si é fermato a Pieve di Sotto.

Anche in questo caso i nemici da battere sono l’AUTOREFERENZIALITÀ e la CONSUETUDINE.

V Storia

Finalmente l’Amministrazione è sbarcata sui social network e a deciso di utilizzarli come strumento di customer, di dialogo, di reciprocità. Siamo giunti a superare le evidenti autoreferenzialità espresse da molta parte della macchina organizzativa.

I canali social sono stati attivati con successo. Anzi sono stati integrati a molti software gestionali. “BINGO!!!” direte voi. “Non é detto”, rispondo io.

Qui entrano in campo alcune regole. Prima di tutto la cultura della partecipazione e la regole del recinto di sabbia…Pensando di difendere il Sindaco, anzi mettendo una immagine del Sindaco su Facebook, l’ufficio stampa (chi? perché lui o lei?) insulta tutti coloro che criticano l’Amministrazione.

Non solo, ogni commento non viene ripreso, non è ritwittato, non merita almeno un “grazie”. Questo atteggiamento, compresa una gestione conflittuale del rapporto con i cittadini durante la settimanale sessione di #sindacorisponde tra generando tensioni evidenti.

Caro Sindaco, hai superato brillantemente la prima fase della tua missione. Una corretta gestione dei social, per essere tale, necessita di regole precise, di responsabilità ben definite, di un obbligo alla risposta. Anche il messaggio critico merita una risposta. Anzi, i critici vanno monitorati. Forse hanno ragione loro.

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Facebook diventa una banca, il profilo sarà anche conto corrente

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Nuova trovata di Zuckerberg. Il social network più conosciuto al mondo punta sull’e-money. Funzionerà come una banca. Gli utenti potranno usare il proprio profilo come conto corrente, fare acquisti e scambi

D’ora in avanti non chiamatelo più Facebook, ma Facebank. Il social network più diffuso al mondo si prepara a cambiare volto. Nuova clamorosa trovata di Mark Zuckerberg che sta per ottenere una licenza di e-money che permetterà agli utenti del social network di depositare denaro sul proprio profilo.

Si tratta solo del primo passo verso un progetto più ambizioso: aumentare le transazioni finanziarie (compreso lo scambio di soldi tra amici). La licenza dovrebbe arrivare dal Paese europeo che più di ogni altro strizza l’occhio fiscale alle multinazionali, l’Irlanda. L’autorizzazione è talmente vicina che Facebook si è già mosso per cercare alleati. Avrebbe illustrato il progetto a tre startup londinesi (TransferWise, Moni Technologies e Azimo) specializzate nel trasferimento di denaro online via smartphone.

Mr Facebook non si accontenta degli imponenti introiti pubblicitari. Zuckerberg non ha mai fatto mistero di voler diversificare il business della piattaforma. Le transazioni finanziarie potrebbero essere la soluzione. Già oggi la legge permette al social di vendere app. Nel 2013 l’azienda ha transato 2,1 miliardi di dollari. Una somma che deriva quasi interamente dall’acquisto dei giochi e sulla quale Facebook applica una commissione del 30%. Se l’affare si allargasse dal bacino delle app al mare dei pagamenti online, Zuckerberg incasserebbe l’ennesimo jackpot. Tornando al progetto Facebank, restano da sistemare alcuni nodi legali. In particolare in Ue il concetto di e-money è ancora abbastanza vago. E poi resta da capire in quanti si fideranno di Facebook in maniera tale da affidargli i propri risparmi.

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Il social network per contadini in erba

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Un giovane italiano ha inventato terraXchange, il social network che mette in contatto proprietari di terre abbandonate e incolte con privati interessanti a crearsi un orto, un sistema tutto made in Italy di ”mezzadria” in salsa 2.0. Gli iscritti sono già oltre 200, soprattutto donne. Ecco come funziona

Vivete in città ma sognate un orto dove far crescere la lattuga e un cortile per allevare galline? Date un’occhiata a terraXchange, il nuovo social network inventato da un giovane agronomo italiano che mette in contatto chi ha terra ma non la usa con chi vorrebbe utilizzarla per coltivazioni private. L’affitto? Si paga in prodotti. TerraXchange è il nuovo sistema made in Italy di ”mezzadria” in salsa 2.0. Lanciato a novembre, ha raccolto già una ventina di offerte di terre, da Marsala a Trieste, e conta 220 iscritti. Oltre la metà sono donne. Iscriversi è gratuito: il social è finanziato dal commercio online di prodotti per l’orto e oggettistica per esterni.

L’inventore di terraXchange è Marco Tacconi, classe 1988, della provincia di Novara, laureato in “Valorizzazione e tutela dell’ambiente e del territorio montano” con tesi sull’allevamento caprino, alla facoltà di Agraria di Milano. A lui abbiamo chiesto di raccontare qualcosa in più su terraXchange.

Come è nata l’idea?
All’università avevamo creato un orto didattico di erbe aromatiche in un terreno incolto. Ho pensato di estendere questo modello a ogni terra abbandonata e un anno fa ho iniziato a sviluppare l’idea di un social network che potesse far incontrare domanda e offerta. Per 6 mesi ho fatto ricerche di mercato per verificare i numeri su cui stavo appoggiando il mio progetto. Da giugno a novembre abbiamo sviluppato il portale. Il 1°novembre lo abbiamo lanciato.

Chi sono gli iscritti a terraXchange? I miei utenti sono molto attenti, attivi e informati. Più della metà sono donne: 132 su 220. Non sappiamo l’età, ma stimiamo attorno ai 40 anni.

Cosa li spinge a coltivare?
Avere un passatempo che faccia bene a se stessi, ai cari e all’ambiente. Coltivare e mangiare i frutti del proprio orto dà molta soddisfazione. E ci riavvicina al ritmo naturale delle cose.

TerraXchange è un modello replicabile? Certo, è nato per poter essere utilizzato in tutto il mondo perché si basa su coordinate satellitari. Ogni terreno messo a disposizione ha coordinate geografiche, quindi a livello pratico anche se si trova dall’altra parte del mondo non ci sarà alcun problema ad inserirlo nel database.

Quanto impegno richiede un orto? Non è difficile coltivare, ma bisogna avere molta costanza e pazienza. In inverno l’orto ha bisogno di meno attenzioni.

Quanto si risparmia, coltivando in proprio?
Da un lotto di 20 metri quadrati una famiglia può trarre grosse soddisfazioni. Un metro quadro di orto produce da 0,5 kg a 3kg di ortaggi. Calcolando un prezzo medio di 2 euro al chilo, e considerando che l’orto può avere più cicli produttivi in un anno, il risparmio è evidente.

Che vantaggi ha il proprietario? Il terreno è mantenuto gratuitamente da altri e non perde valore nel tempo. Resta nelle mani del proprietario: niente occupazione abusiva o usucapione. Il proprietario può sempre vendere il proprio terreno o dividerlo in più lotti da far gestire a più persone, raccogliendo ortaggi da ognuno.

Come funziona il contratto?
Il ruolo di terraXchange finisce quando noi scambiamo i contatti mail tra proprietario e gestore interessato. Non ci occupiamo del rapporto contrattuale. Forniamo a chi lo desidera un contratto d’affitto standard modificato: il canone è rappresentato da ortaggi.

Come sapere se il terreno è inquinato? Non possiamo garantire la salubrità del suolo, questo è il compito di enti pubblici preposti. L’unico modo per sapere se è inquinato è un’analisi del terreno ma i costi sono elevati e non possiamo obbligare il proprietario a sostenerli.

Un orto vicino a una strada trafficata, è da evitare?
Più importante verificare se ci sono venti dominanti. Gli inquinanti viaggiano per molti chilometri se sospinti dal vento. Paradossalmente, un terreno vicino alla strada può essere meno inquinato rispetto a uno lontano. Ciò che possiamo suggerire è di avviare una coltivazione sana, senza uso di prodotti chimici.

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Bologna: benvenuti in via Fondazza, la prima social street italiana. Scopri cos’è

solidarietaUn’idea tanto banale quanto geniale: perché non trasformare le amicizie su Facebook in amicizie vere? E perché non aiutarsi come si faceva un tempo? Ecco le risposte. Che diventano anche una soluzione anti crisi
Via Fondazza, a Bologna, è la prima social street italiana. Non ne hai mai sentito parlare? Ecco che cos’è e come funziona: ce lo spiega chi ci vive.
A COSTO ZERO – Dall’estraneità alla condivisione. Dal senso di solitudine al «buongiorno vicino» indirizzato al dirimpettaio. Dall’isolamento, alla consapevolezza di far parte di un gruppo che ha energia e potenzialità contagiose. Le finestre aperte di via Fondazza, la strada bolognese che è diventata la prima social street italiana, non si richiuderanno tanto facilmente. Grazie ad un’intuizione a costo zero, un gruppo su Facebook, Federico Bastiani ha trasformato la sua via, una strada della vecchia Bologna, in una palestra di buone pratiche, una community di buon vicinato, dal successo contagioso.
TUTTO NASCE DA FACEBOOK – «Mi ero accorto che, dopo tre anni, eccetto qualche negoziante, non conoscevo nessuno dei vicini», racconta Federico, 36 anni. «Ai primi di settembre, ho creato un gruppo su Facebook e ho affisso sotto i portici volantini con l’invito ad aderire. La risposta mi ha sorpreso: una valanga. Aspettavo venti adesioni, in tre settimane eravamo cento; adesso siamo 500. Volevo soprattutto trovare coetanei di mio figlio Matteo, 2 anni e mezzo. Ma i fondazziani mi hanno travolto».
IL PORTICO – Via Fondazza, una strada nel centro storico di Bologna, con l’immancabile portico, conta novantuno numeri civici: palazzi affiancati a case più semplici, molte botteghe di alimentari kebab e verdure, gestite da immigrati, che si intrecciano a qualche artigiano, il calzolaio Antonio, il tappezziere, i falegnami, una legatoria. In un ex convento ristrutturato, aule della facoltà di Scienze Politiche. Residenti di lungo corso, novantenni nati nella stessa casa nella quale vivono tuttora, come fece per tutta la vita, al 36, Giorgio Morandi, il pittore delle bottiglie e degli scorci dei giardini, studenti fuorisede o da Erasmus, giovani coppie.
IL BENVENUTO AI NUOVI ARRIVATI – In pochi giorni la bacheca del gruppo Residenti in via Fondazza è diventata un tripadvisor a km zero, una lavagna di benvenuto per i nuovi arrivati, con uno scambio vivacissimo di informazioni, richieste, suggerimenti. A 360 gradi. «Dalle domande sulla focacceria migliore, alla ricerca del veterinario che venisse a domicilio nel week end. Il passaggio dalle informazioni allo scambio di servizi è venuto da sé. Due studenti cercavano una lavanderia a gettone e Sabrina li ha invitati a usare la sua lavatrice in cantina. Laurell cercava una baby sitter e Veru ha proposto di assumerne una sola per tutti i bambini di età simile della strada. I negozianti hanno offerto prezzi scontati, il cinema ha invitato tutti i residenti a un’anteprima, il bistrot francese ha preparato un menù riservato ai residenti».
AMICIZIA REALE, NON VIRTUALE – Presto hanno deciso di conoscerci di persona, racconta ancora Bastiani: «L’idea di trasferire l’amicizia virtuale nella vita reale si è fatta largo rapidamente. Ci siamo dati appuntamento di domenica mattina, nella piazza più vicina, per guardarci in faccia». La scintilla era scattata. Dagli incontri in piazza sono nate belle abitudini, il caffè assieme la mattina, le feste di compleanno nel bar sotto casa, i tanti progetti per il futuro.
ANTISPRECO, ANTICRISI – La community dei fondazziani ha dimostrato subito una spiccata vocazione antispreco e anticrisi. «Le possibilità sono infinite», dice Bastiani. «Da una sorta di banca del tempo dove ci si scambiano le competenze, al gruppo di acquisto solidale, il gas della strada, facile da gestire. Oppure lezioni di pianoforte in cambio di un’ora di inglese, il materasso che dalla cantina di Michele si è spostato a casa di Paolo, l’ SoS per il computer infettato da un virus, e dopo 5 minuti trovi davanti alla porta, in ciabatte, il vicino di casa informatico smanettone. Federica doveva fare traslocare da sola, e ha trovato tre amici mai visti prima che l’hanno aiutata a spostare tutti gli scatoloni. A me serviva il seggiolino da auto per Mattia? Ho messo un annuncio e Saverio me l’ha prestato». Oppure per evitare sprechi alimentari: «Parto, e ho il frigorifero pieno di cibi che non posso congelare? Metto un post e invito i vicini a venire a prenderseli», spiega Laurell, moglie di Federico.
SOLUZIONE AI BISOGNI – La social street è nata così, per condividere bisogni e offrire soluzioni. «Abbiamo capito che siamo una forza. Un gruppo di persone come noi può fare un sacco di cose», dice Luigi Nardacchione, manager neopensionato, uno dei più attivi del gruppo, nominato sul campo, “vice” di Bastiani. «Risolvere problemi quotidiani di tutti, ma anche migliorare la qualità e la vivibilità della strada, tenerla pulita, aiutare le persone in difficoltà, come gli anziani che vivono soli, candidarsi per far visitare al pubblico la casa museo del pittore Morandi, che in questa via visse e lavorò, dotarsi della banda larga e metterla a disposizione di tutti. E organizzare momenti ludici, cene, una festa della strada».
UN NUOVO CLIMA – Tra le priorità della social street, la più pressante è trovare i modi per coinvolgere tutti quelli che non usano Facebook. Al primo incontro pubblico, organizzato per farsi conoscere e per presentare il sito, ha partecipato quasi un centinaio di persone. Molti venuti da altri quartieri a osservare quest’oggetto misterioso dalla identità incerta. Il sito, creato per rispondere alle decine di richieste che arrivano da tutta Italia, spiega la filosofia dell’iniziativa e contiene le indicazioni per creare altre social street. «Anche il sito è rigorosamente made in Fondazza, a costo zero, grazie a Filippo, che di mestiere progetta siti, e a Laura, la grafica che ha disegnato il logo, scelto, ovviamente, on line. «La cosa più importante, però, non è l’interesse suscitato, ma è il nuovo clima che abbiamo creato», dice Nardaccchione. «Dal virtuale siamo passati presto alla vita reale perché abbiamo avuto il desiderio genuino di conoscerci. Grazie alla spontaneità si è creato tra noi un senso immediato di fiducia reciproca».
COME UN PICCOLO PAESE – Nel successo della social street c’è qualcosa di molto legato al momento che viviamo, ragiona Federico. «In tanti mi hanno raccontato che in via Fondazza si è sempre vissuto così, come in un piccolo paese. Un posto dove tutti si conoscevano, si salutavano, collaboravano. Però quell’abitudine è andata sparendo, ed è scomparsa, da almeno venti anni. Se oggi la vecchia Fondazza rinasce come social street vuol dire che il bisogno di socializzare, compartecipare e condividere è ancora fortissimo, inalterato, anche ai tempi di Facebook». E su Facebook qualcuno gli fa eco: «Fino a poco tempo fa non amavo molto questa strada, anzi, la trovavo brutta. Ora la guardo con occhi nuovi. Comincia a piacermi».
Rita Cenni
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Google: mea culpa di Eric Schmidt, “grave errore non credere nei social network”

googleFine anno amaro quello di Google, almeno stando alle parole del Ceo Eric Schmidt che, intervistato da Bloomberg, ha ammesso che il non credere all’ascesa dei social media ha rappresentato il più grande errore dell’azienda. A parziale difesa dell’atteggiamento di Big G c’era il fatto che “eravamo impegnati a lavorare su molte altre cose, ma avremmo dovuto essere in quell’ambito e mi prendo la responsabilità di quanto accaduto”. ”Ed è un errore – ha aggiunto – che non commetteremo più”

Schmidt ha guidato Google come amministratore delegato dal 2001 fino al 2011 quando divenne presidente esecutivo, proprio durante l’affermazione di Facebook che, nato nel 2004, è progressivamente diventato il più grande social network del mondo con più di 1 miliardo di utenti che utilizzano il servizio ogni giorno. Google+, il social network di Google, arriva solo nel 2011 ed ora le due grandi hanno ingaggiato un braccio di ferro da cui dipendono milioni di dollari di investimenti pubblicitari.

E per il futuro Schmidt non ha dubbi: il mobile vincerà su tutti i fronti. Inoltre “l’arrivo dei big data e della machine intelligence” segnano l’inizio per nuovi servizi, basati sulla capacità di individuare e classificare le persone. Fattori che cambieranno e impatteranno su “ogni business a livello mondiale.”
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