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Sin City – Una donna per cui uccidere. Sin City – A Dame To Die For

di Frank Miller [II]Robert Rodriguez. Con Mickey RourkeJessica AlbaJosh BrolinJoseph Gordon-LevittRosario Dawson USA 2014

Marv ( Rourke), si sveglia con accanto i cadaveri di quattro teppisti, ricorda di averli uccisi e, soddisfatto, si reca allo strip bar Kadie. Qui arriva Johnny (Gordon-Levitt) che, dopo aver rimorchiato l’entreneuse Marcy (Julia Garner) e aver sbancato le slot machine del bar, raggiunge sul retro un tavolo di poker dove siede il potente sen. Roark (Powers Boothe) e lo batte, umiliandolo davanti agli altri giocatori; quando esce dal locale, gli uomini del senatore lo catturano, gli levano i soldi, lo pestano e Roark gli spezza le dita delle mano destra; Johnny va da Marcy, scopre che l’hanno uccisa e si trascina dal dottor Koenig (Christopher Lloyd), il quale, in cambio dei pochi soldi che ha in tasca lo rabbercia alla meglio. Ora lui ha solo i soldi per un caffè ma la cameriera Bertha (Lady Gaga), impietosita, gli dà un dollaro; Johnny torna al bar e, di nuovo, vince un sacco di soldi alle slot, con questi va a sfidare a poker Roark, vince, lo umilia pesantemente e il senatore gli spara in testa. Dwight (Brolin), il difensore delle ragazze dei bassifondi, ha appena ucciso Joey (Ray Liotta) che aveva aggredito Sally (Juno Temple) e da Kadie gli si presenta Ava (Eva Green), la donna per la quale in passato aveva perso la ragione, che gli chiede di salvarla dal sadico marito Damien Lord (Marton Csokas); dopo poco arriva il gigantesco autista Manute (Dennis Haysbert) che la porta via. Dwight va alla villa di Lord ma Manute e gli altri scagnozzi lo riducono in fin di vita; lui va da Gail (Dawson), prostituta killer e, lei, insieme alla feroce Miho (Jamie Chung) lo cura e lo protegge. Una volta guarito, Dwight insieme a Marv e alle due donne torna alla villa, qui Marv abbatte Manute e gli cava un occhio, le ragazze fanno fuori tutte le guardie del corpo e lui uccide Damien. In ospedale però Manute rivela che né lui, né il suo padrone hanno mai fatto del male a Ava, che ha architettato il piano per ereditare le ricchezze del marito. Lei nel frattempo seduce il poliziotto Mort (Christopher Melon) e lo convince ad andare a catturare Dwight; l’agente è talmente preso dalla donna da uccidere il collega Bob (Jeremy Piven), quando questi lo rimprovera, per poi suicidarsi. Ava tenta ancora la carta della seduzione ma Dwight le spara. La spogliarellista Nancy (Alba) si esibisce al Kadie ma beve smodatamente e ha tra gli attrezzi di scena una pistola che punta contro il senatore – il mostruoso figlio di Roark, Bastardo giallo (Nick Stahl), assassino e pedofilo, protetto dal potente padre, la aveva rapita e il poliziotto Hartigan la aveva salvata, morendo, un istante prima che lui la finisse – mentre il fantasma di Hartigan veglia angosciato su di lei. Ora, capisce di doversi liberare dei propri incubi e, dopo essersi sfregiata con un vetro, accompagnata da Marv va dal senatore e, dopo una feroce lotta, riesce ad ucciderlo.

Come il precedente del 2005 anche Sin city – Una donna per cui morire è tratto da alcuni racconti grafici di Steve Miller (Una donna per cui uccidere, Solo un altro sabato sera, Quella lunga, brutta notte e La grossa sconfitta) ma stavolta, almeno in America, Rodriguez e Miller non hanno raccolto incassi soddisfacenti, forse perché è finito l’effetto sorpresa del primo o forse perché il ritardo nell’uscita del sequel (dovuto a difficoltà finanziarie di Rodriguez) ha fatto scemare l’attesa per il sequel – nel quale, peraltro, alcuni personaggi hanno cambiato interprete (Dwight da Clive Owen a Brolin, Manute da Michael Clarke Duncan a Haysbert e Miho da Devon Aoki alla Chung). Il risultato però è sempre di alta qualità e, come il primo, alla tecnica perfetta unisce un’ interessante atmosfera di chiara derivazione dal primo Mickey Spillane: gli eroi giustizieri, il cinismo sentimentale e l’erotismo da pin-up anni’50 sono tipici dei romanzi con Mike Hammer. Il merito è sicuramente del geniale Miller, autore oltre che dei due 300, anche dei due racconti a fumetti che hanno dato vita alla recente saga Batman/Il cavaliere oscuro.




La buca

di Daniele Ciprì. Con Sergio CastellittoRocco PapaleoValeria Bruni TedeschiJacopo CullinIvan Franek Italia 2014.

Oscar (Castellitto) è un avvocaticchio e campa di piccole truffe: una buca nel selciato davanti casa sua gli dà, ad esempio, l’idea di usare un suo cliente, finto invalido (Giovanni Esposito), che al passaggio dell’autobus si dovrà buttare sotto le ruote per riscuotere un adeguato indennizzo. Armando (Papaleo) è appena uscito di galera dopo 27 anni scontati, da innocente, per rapina omicidio e non ha dove andare: la madre svampita (Silvana Bosi) non lo riconosce e la sorella (Lucia Ocone) lo scaccia perché il marito (Fabio Camilli) non vuole un assassino in casa; lo segue solo un cane (Sioux), che lui chiamerà Internazionale. Nel bar di Carmen (Bruni Tedeschi), già quasi fidanzata di Oscar, i due si incontrano e l’avvocato finge di essere stato morso dal cane per spillare ad Armando qualche soldo ma, quando conosce la sua storia- i rapinatori, guidati da Tito (Fabrizio Falco), avevano fatto irruzione, travestiti da camerieri, in una nave da crociera dove Armando e la ragazza da lui amata, Arianna (Valentina Bellè) servivano ai tavoli, era partito un colpo e Tito era fuggito lasciando la pistola nelle mani di Armando; i banditi avevano preso in ostaggio Arianna, erano poi periti nell’incendio dell’auto con la quale erano fuggiti e della ragazza si erano perse le tracce – si offre come legale per la revisione del processo con conseguente favoloso indennizzo. Armando si mette invano in cerca di Arianna ma trova una cameriera (Lucia Lisboa) sua collega sulla nave e il figlio di costei, Nancho (Cullin), ora cantante di flamenco, che, bambino, era con lei sul piroscafo e può testimoniare in suo favore. Rintracciano anche l’indirizzo di Arianna, che ora è in Svizzera e si fa chiamare Rosa ma quando arrivano a casa sua trovano la di lei figlia che dice loro che la donna è morta. Con la testimonianza un po’ forzata di Nancho i due decidono di aprire la vertenza – in fondo la condanna era nata dalla deposizione della cantante Monterosa (Silvana Fallisi) quindi una testimonianza oculare che la contraddica sarà più che sufficiente. Al processo il giudice (Teco Celio), che ha fretta di chiudere perché vuole vedere una partita in televisione , fa cadere in contraddizione Nancho e la sig.ra Monterosa (Sonia Gessner), decrepita ma caparbia, conferma la versione di allora. Tutto sembra perduto ma Tito (Franek), invecchiato e malato, si presenta a sorpresa e scagiona Armando.

E’ il secondo film, dopo E’ stato il figlio, che Ciprì firma senza Maresco (che a sua volta ha diretto il recente Belluscone) e conferma le impressioni suscitate dal precedente: Ciprì è uno splendido direttore di fotografia e tutto il cast tecnico è di primordine, a partire dalle geniali scelte scenografiche di Marco Dentici ( E’ stato il figlio lo aveva addirittura salvato) ma il film fa fatica ad uscire dai teatrini del grottesco (piacevole ma limitativo) nei quali il regista sviluppa la narrazione. Il cast, di conseguenza, è adeguato, anzi (se si esclude la incomprensibile presenza della Bruni Tedeschi) di ottimo livello (ci sono molti amici, compreso il serissimo produttore Amedeo Pagani nei panni di un’ avventore muto ed impiccione del bar) ma il grottesco, per svilupparsi in un racconto complesso, ha bisogno di una autorevolezza di regìa che a Ciprì ancora manca.




Lucy

di Luc Besson. Con Scarlett JohanssonMorgan FreemanAmr WakedChoi Min-sikPilou Asbæk USA, Francia 2014

Lucy (Johansson) è una studentessa americana, vive a Taiwan e si arrangia come può; un ragazzo con il quale sta da poco, Richard (Pilou Asbaek) le chiede di portare una valigetta ad un certo mr. Jang (Min-sik) ma quando la ragazza arriva dei figuri armati uccidono Richard e la portano, terrorizzata, da Jang. Lui apre la valigetta e ne estrae un sacchetto pieno di pillole blu e, dopo aver freddato un drogato (Pascal Loison) a cui le aveva fatte provare, la fa mettere ko. Lei si risveglia con una ferita all’addome e, quando viene portata da Jang, apprende da un sadico inglese (Julian Thin-Tutt) che a lei ed ad altri tre – un tedesco (Wolfgang Pissors),un francese (Jean Olivier Schroeder) e un italiano (Luca Angeletti)- è stato messo nello stomaco un contenitore di CPH4 (questo è il nome della droga); a ciascuno viene dato un biglietto aereo per il proprio Paese d’origine e, una volta prelevata la droga, saranno ben pagati. Lucy viene tenuta in una cella prima della partenza ma un carceriere tenta di violentarla e, di fronte alle sue resistenze, la prende a calci facendo rompere il sacchetto nel suo stomaco. Intanto in una università il prof. Norman (Freeman) sta spiegando che l’uomo usa solo il 10 per cento delle proprie facoltà intellettive e fa delle ipotesi sulla possibilità che qualcosa possa aumentare questa potenzialità. L’effetto del CPH4 su Lucy sembra essere proprio questo: lei, diventata astuta e agilissima, fa fuori tutti i carcerieri e, prese le loro armi, va in un ospedale dove, puntandogli un mitra, costringe un chirurgo (Paul Chan), a tirarle fuori il sacchetto. Dopo aver telefonato a Norman, decide di impadronirsi di tutta la droga in viaggio. Va da Jang, gli ammazza tutti i gorilla e, dopo averlo inchiodato alla poltrona con due pugnali infilati nelle mani, vede, toccandolo, le destinazioni degli altri corrieri. Telefona a Parigi, parla con il commissario Del Rio (Waked), gli comunica i nomi e le destinazioni degli altri, prende appuntamento con lui e con il prof. Norman a Parigi dove sperimenterà su di se l’effetto di tutto il CPH4. Anche Jang con un piccolo esercito, guidato dallo spietato Jii (Nicholas Phogpeth), va alla stazione di polizia per vendicarsi e riprendere le pillole. Le facoltà di Lucy, che si è fatta iniettare tutta la droga, crescono rapidamente e lei e Norman sanno che quando arriverà al 100 per 100 morirà. Dopo un violentissimo scontro a fuoco, Jang sta per ucciderla ma…

Dopo Nikita e Il quinto elemento, Besson ha messo insieme un altro block-buster: Lucy ha spopolato in Francia, in U.K. e in Spagna (sta andando bene anche da noi) ma soprattutto ha avuto grandi incassi in America, dove pochissimi film stranieri hanno un vero successo commerciale. Il regista e produttore francese ha, va detto, un senso speciale nel cogliere le tendenze del pubblico; qui mette insieme, alla brava, action, splatter, ecologismo e pillole di filosofia orientale in mix pasticciato ma efficacissimo e dà alla Johansson , dopo Under the skin e Lei ,il terzo ruolo di donna bionica. Non è tutto perfetto (ci sono buchi di script e situazioni tirate via) ma chapeu al genio del marketing.




Senza nessuna pietà

di Michele Alhaique. Con Pierfrancesco FavinoGreta ScaranoClaudio GioéRenato MarchettiIris Peynado  Italia 2014

Mimmo (Favino) è un bravo capomastro e lavora con l’impresa di suo zio Santilli (Ninetto Davoli), che, dopo la morte violenta di suo padre, lo ha cresciuto e che però è anche un usuraio e lui ha anche il compito di esattore per questa attività: spesso in compagnia del suo amico Roscio (Gioè) sollecita, anche picchiandoli duramente, i morosi a mettersi in regola. Mimmo odia questa parte del proprio lavoro mentre ama costruire le case e soprattutto detesta gli incarichi che gli dà suo cugino Manuel, figlio arrogante e sadico di Santilli. Un giorno Manuel lo incarica di portargli una giovane escort, Tanya, che dovrà allietare un’orgetta che lui ha organizzato nella sua villa con alcuni amici. Mimmo esegue di controvoglia e, per tutto il tragitto, non apre quasi bocca con la ragazza ma, arrivati alla villa, Manuel gli dice che la festa è per l’indomani e che perciò dovrà tenersela in consegna per un giorno. Lui la porta a casa sua e continua a stare sulla difensiva. Il giorno dopo la porta al cantiere e lì trova il muratore Stefanino (Renato Marinetti) disperato perché la moglie Deborah (Samantha Fantauzzi) ha passato la notte con Manuel; dopo un po’ la donna li raggiunge e i due vedono che ha un occhio nero, chiaro segno delle intemperanze di Manuel. Insieme al Roscio Mimmo porta Tanya alla villa e lì Manuel dopo averlo congedato bruscamente comincia a fare giochi aggressivi con la ragazza; Mimmo torna con una scusa qualsiasi e, accecato dal comportamento brutale di Manuel – e, forse, anche dalla gelosia – afferra uno skateboard e lo lascia a terra quasi in fin di vita. I due si rifugiano in una casetta abusiva di Ostia da Pilar (Peynado), una cubana che divide l’alloggio con altre sudamericane. L’indomani mattina Pilar, temendo le reazioni di Santilli, gli chiede di andarsene e Mimmo, che non ha contanti con se -e nemmeno un bancomat perché, orso com’è, non si fida delle banche – deve andare a prendere i soldi a casa; qui trova gli uomini di Santilli che lo aspettavano, riesce ad atterrarli ma busca una coltellata. Roscio lo fa ricucire alla bell’e meglio da un medico suo amico e Tanya lo porta da Pilar. Mimmo è un bestione e si rimette in sesto rapidamente; decide di partire con Tanya (Pilar è riuscita a prendere a casa sua i soldi e qualche vestito). Prima di raggiungerla al pullman, lui va da Santilli per scusarsi dell’aggressione al figlio ma anche per spiegargli che avrebbe voluto fare una vita onesta. Arrivato al capolinea degli automezzi, viene raggiunto dal Roscio che, pur dichiarandogli affetto, lo uccide.

Allhaique è un buon giovane attore ed è al suo primo lungometraggio come regista (aveva già diretto qualche interessante corto). Favino, che lo ha anche prodotto, ha messo molto di sé nel progetto (è addirittura ingrassato di più di 20 chili per interpretarlo) e tutto il cast è ben motivato. Manca però una credibile struttura narrativa. La storia ricorda Pericle il nero, il bel romanzo noir di Giuseppe Ferrandino e, per altro verso Un giorno speciale, la commedia amara di Francesca Comencini ma il racconto è appesantito e manicheo: il noir non consente rallentamenti di tono o, peggio, sospensioni moraleggianti: se ha una morale (Melville insegna) questa nasce dalle cose, i protagonisti vanno verso il proprio destino sospinti dalle proprie pulsioni ed incapaci di soffermarvisi. Qui anche nelle ambiguità, tutti sono ad una (al massimo due) dimensione ed inoltre quel tanto di supporto che poteva venire dalla regia – almeno quella avrebbe dovuto essere secca ed essenziale – viene a mancare per l’inesperienza ma anche la voglia di inutili abbellimenti stilistici. Era nella recente Biennale di Venezia nella sezione Orizzonti.




The Giver – Il mondo di Jonas

di Phillip Noyce. Con Meryl StreepJeff BridgesBrenton ThwaitesAlexander SkarsgårdKatie Holmes USA 2014

Jonas (Thwaites) è un adolescente e, insieme ai suoi amici Fiona (Odeya Rush) e Asher (Cameron Monaghan), sta per partecipare alla Cerimonia che individuerà il loro posto nella società. Loro, infatti, vivono nel futuro, in un’epoca nella quale il loro mondo, limitato a un’altura circondata da nuvole, è governato dall’assenza di emozioni: i bambini vengono assegnati a famiglie considerate adatte alla loro crescita, ai giovani viene assegnato il ruolo socialmente utile che svolgeranno per tutta la vita, la regola di fondo che governa la società è l’inidentità acciocché non compaiano invidie o rivalità e i non validi vengono accompagnati verso un misterioso congedo. Ogni mattina tutti gli abitanti si praticano un’iniezione che li vaccina contro ogni impulso e che fa loro apparire la realtà in bianco e nero. La Cerimonia, guidata dall’ologramma del Capo Anziano (Streep) destina Fiona alla puericultura, Asher alla guida dei droni che sorvegliano i confini e, riconoscendo in Jonas delle doti eccezionali, gli affida il compito di Accoglitore di Memorie (lui ,in realtà, è sempre stato particolarmente curioso e una volta – ma nessuno lo sa – ha pure percepito il colore rosso dei capelli di Fiona). Il padre (Skarsgard), la madre (Holmes) e la sorella Lilly (Emma Tremblay) con cui vive sono orgogliosi di lui ma lo invitano a mantenersi nelle regole di autocontrollo che governano la società. Jonas viene affidato all’anziano Donatore di Memorie (Bridges), che dovrà sostituire e che (sapremo presto) ha fallito il compito con un precedente Accoglitore. Il Donatore fa, via via, conoscere a Jonas tutto la complessità, la meraviglia e l’orrore del mondo che li aveva preceduti e il ragazzo comincia a saltare le iniezioni, a vedere i colori che lo circondano, a provare e a dichiarare amore per Fiona e a sentire un forte legame con Gabriel, un neonato che il padre puericultore aveva portato in casa per curarlo e che lui, da una voglia sul braccino, riconosce come proprio fratello naturale. Ora Jonas ha capito che il mondo non finisce con la loro comunità e che se qualcuno riuscisse a superarne i confini potrebbe far tornare tutto alla normalità. Il Donatore dapprima riluttante – il precedente Accoglitore era sua figlia Rosemary (Taylor Swift), che aveva tentato la stessa cosa ed era stata portata al congedo (cioè condannata a morte) – accetta di aiutarlo. Jonas prima rapisce Gabriel con l’aiuto di Fiona (che ha capito di amarlo ma rifiuta di seguirlo), poi fugge inseguito dal drone di Asher. Fiona sta per essere congedata ma Jonas – che Asher ha finto di aver ucciso – supera i confini e…

Noyce (Ore 10: calma piatta, Giochi di Potere, Salt) si è visto affidare l’ennesimo best seller – autore Lois Lowry -di fantascienza nel quale, sulla falsariga di Hungy games e Divergent, adolescenti volenterosi salvano l’umanità da un destino di appiattimento e di oppressione (è chiara l’ispirazione dai non lontani orrori del nazismo e del comunismo). Lui svolge il tema da solido mestierante, carpendo situazioni da A.I.(2001) e Minority report (2002) di Spielberg e da Gattaca (1997) di Andrew Micol e Pleasentville (1998) di Gary Ross ma non va oltre un racconto più verboso del necessario e sostanzialmente senz’anima: proprio il confronto con il delizioso film di Ross ce ne sottolinea i limiti: il passaggio dal bianco e nero ai colori in Pleasentville è un susseguirsi di tenere emozioni, qui una abile trovata tecnica e nulla più.




Under the Skin

di Jonathan Glazer. Con Scarlett JohanssonAntonia Campbell-HughesPaul BranniganKrystof HadekRobert J. Goodwin USA, Gran Bretagna 2013

In Scozia, un alieno in tuta da motociclista (Campbell-Hughes) raccoglie un cadavere di donna e dà i vestiti ad un’altra aliena che, prese di sembianze umane di Laura (Johansson), gira con un camper per Glascow e chiede informazioni ai passanti. Ad uno di questi, Joe (Joe Szousa) dà un passaggio e dopo averlo sedotto lo porta in una casa desolata e, quando sono nudi, lo attira in una palude nera che lo inghiotte. Stessa sorte avrà di lì a poco Andrew (Brannigan), il quale, sommerso dal liquido nero e oleoso vede Joe disossarsi e sgonfiarsi (finiranno entrambi in una fornace a fornire nutrimento agli alieni). Laura assiste al coraggioso e vano tentativo di un nuotatore (Hadek), di salvare la moglie preda del mare agitato e, quando lui stremato torna a riv, lo uccide e ne trascina via il cadavere. Poco dopo deve fuggire da un uomo violento (Jeremy McWilliams) che, spalleggiato da altri teppisti, tenta di tirarla giù dal camper. Di lì a poco prende su Adam (Adam Pearson), un timido giovane afflitto da una malattia che lo rende simile ad elephant man; lo porta nel suo covo, si spoglia con lui ma ne prova pietà e fugge via. Ora gli alieni la cercano – evidentemente per sopprimerla – e lei fugge a piedi nelle Highlands. Qui incontra un uomo gentile (Michael Moreland) che la ospita e la corteggia garbatamente; quando però fanno l’amore, Laura lo allontana, si guarda terrorizzata la vagina e fugge per i boschi; qui si imbatte in un taglialegna (Dale Acton), che cerca di violentarla ma, quando sotto la pelle di donna appare uno strano pigmento scuro, terrorizzato le dà fuoco.

Glazer (Sexy beast, Birt –Io sono Sean) ha partecipato con questo film alla Mostra di Venezia del 2013 (e l’uscita così ritardata rischia di far arrivare il film nelle nostre sale già abbondantemente piratato); non è certo sorprendente che sia stato scelto: stralunato e scarno è molto nelle corde del direttore del festival Barbera. In realtà è una sorta di aggiornamento estetizzante del filone fantascientifico dell’invasione da parte di quinte colonne extraterrestri – quello che va dall’inimitabile L’invasione degli ultracorpi (1956, di Don Siegel) a Ho sposato un mostro venuto dallo spazio (1958, di Gene Fowler jr.), fino a L’uomo che cadde sulla terra (1976, di Nicolas Roeg) e a Starman (1984, di John Carpenter). Detto che senza la Johansson il film non avrebbe alcuna ragion d’essere, non si può non apprezzare il lavoro della casting Kahleen Crawford, collaboratrice di Ken Loach, che, seguendo le indicazioni del regista che voleva una recitazione in straniato understatement, ha scelto prevalentemente attori presi dalla strada (anche Brannigan, già protagonista de La parte degli angeli, era un non professionista quando Loach gli aveva affidato il ruolo); in particolare Adam Pearson è un vero malato di neurofibromatosi.




Into the Storm

di Steven Quale. Con Richard ArmitageSarah Wayne CalliesMatt WalshAlycia Debnam-CareyArlen Escarpeta USA 2014.

Pete Moore (Walsh) è un documentarista specializzato nella ripresa di catastrofi naturali e gira l’America in cerca di cicloni in una specie di carrarmato di sua invenzione, che ha chiamato Titus; lo accompagnano la meteorologa Allison (Wayne Callies), e due operatori: l’esperto Darryl (Escarpeta) e il novellino Jacob (Jeremy Stumper); Pete maltratta tutti perché sono mesi che non arriva nessun segno di tempesta e lui sta finendo i soldi. All’improvviso si manifesta un ciclone e tutte le fonti ufficiali ne prevedono il percorso verso est; solo Allison intuisce che si dirigerà verso la cittadina di Silverton e convince Pete ad andarvi. Nel liceo di Silverton, intanto, è in corso la cerimonia di consegna dei diplomi e il vice-preside, il vedovo Gary Fuller (Armitage) ha chiesto ai suoi due figli, il più giovane ma giudizioso Trey (Nathan Kress) e il ribelle Donnie (Max Deacon, di riprendere l’evento. Trey è, però, innamorato di Alicia (Kaitlyn Johanson) e quando lei, a sorpresa, gli chiede di accompagnarla, lui lascia tutto al fratello e va con la ragazza in una vecchia fabbrica abbandonata. In piena cerimonia scoppia un violenta tempesta, subito seguita da un tornado e tutta la scolaresca si rifugia nella cantina anti-sismica della scuola. Pete e i suoi arrivano in piena tormenta e cominciano a riprendere mentre tutta la cittadina è sconvolta – tranne i due ubriaconi locali Donk (Kyle Davis) e Reevis (Jon Reep), che vedono l’evento come una possibilità di arricchirsi facendo riprese spericolate. Gary, che è uscito con il figlio maggiore per cercare Trey, ottiene, grazie alle insistenze di Allison, l’aiuto di Pete che lo accompagna alla fabbrica. Qui Trey ed Alicia sono intrappolati per via del crollo del tetto del fatiscente edificio e rischiano di annegare a causa della violenta pioggia. Gary riesce a salvarli ma Allison vede dai propri strumenti che il tornado sta per moltiplicarsi e il gruppo si precipita nella scuola, che a questo punto rischia di trasformarsi in una trappola mortale. Con difficoltà convincono il preside Walker (Scott Lawrence) a trasferire tutti i ragazzi sugli scuolabus e ad allontanarsi con quelli. L’ultimo, enorme tornado porterà con se Pete (Jacob era morto poco prima e Donnie ne aveva coraggiosamente preso il posto) mentre gli altri superstiti si sono rifugiati in una discarica sotterranea.

Steven Quale è un esperto di effetti: ha diretto Inferno di fuoco e Final destination 5 ed è stato regista di seconda unità con Cameron in Titanic ed Avatar; è insomma il realizzatore ideale per la nuova stagione di film catastrofici, quella iniziata nel 1996 con Twister di Jan De Bont, caratterizzata appunto da grandi effetti e con un cast non costoso e funzionale, mentre negli anni ’70 (nei quali il genere aveva avuto una gran fortuna) film come L’inferno di cristallo (1974 di John Guillermin ed Irwin Allen) o Terremoto (1974 di Mark Robson) erano pieni di grandi divi anche in ruoli minuscoli I limiti di Into the storm sono se mai nella sceneggiatura: banale, prevedibile e con scarsa attenzione alla credibilità a vantaggio dell’effetto immediato (per dirne una: i due ubriaconi sono risucchiati dal ciclone ma, essendo i simpaticoni del racconto, li ritroviamo vivi, solo un po’ malconci come Wile E. Coyote dei cartoon).




Hercules – Il Guerriero Hercules: The Thracian Wars

di Brett Ratner. Con Dwayne JohnsonAksel HennieRufus SewellIan McShaneJoseph Fiennes  USA 2014

Ercole (Johnson), dopo le 12 fatiche è dovuto fuggire da Atene poichè il re Euristeo (Finnies) lo ha condannato a morte accusandolo del massacro della propria moglie Megara (Irina Sayk) e de loro figli , accanto alle cui spoglie era stato trovato in stato di incoscienza.. Ora vaga per la Grecia in cerca di ingaggi come mercenario per missioni estreme; sono con lui cinque compagni: Autolycus (Sewell), coraggioso ma avido, Tydeus (Hennie), primitivo e leale, l’indovino Amphiarus (McShane), l’amazzone Atalanta (Ingrid Bolso Berdal) e suo nipote, l’aedo Iolaus (Reece Ritchie), che, magnificando le sue gesta, attira gli ingaggi. I sei sono raggiunti dalla principessa Ergenia (Rebecca Ferguson) che li conduce dal proprio padre Cotys (John Hurt), re di Tracia che offre loro un ricca ricompensa se combatteranno contro Rhesus (Tobias Santelmann), che sembra essere dotato di poteri demoniaci e con le sue truppe sta portando la desolazione nella Tracia. Ercole ed i suoi accettano ma, mentre iniziano ad addestrare il raccogliticcio esercito guidato dal generale Sitale (Peter Mullan) una spia (Joe Anderson) informa il re che i nemici stanno per conquistare i vicini Bessi; sono così costretti a partire immediatamente; lungo la strada vengono assaliti dai Bessi, guerrieri nudi, tatuati e feroci che-Cotys lo afferma- Rhesus , con le sue arti, ha mobilitato contro di loro. La forza e l’abilità dei mercenari impedisce la disfatta ma Ercole, contro il parere di Sitale, impone al re una sosta per addestrare le truppe. Finalmente pront, i Traci affrontano gli armati e li sconfiggono, prendendo Rhesus prigioniero. Quando tornano alla reggia, Ercole intuisce di non aver combattuto una battaglia giusta ed interroga Ergenia: lei gli confessa che il padre ha ucciso suo marito, il legittimo re, e che ora la tiene in pugno minacciando di ucciderle il figlio, il piccolo Ario (Isaac Andrews). Ercole ed i suoi amici, escluso Autolycus che parte con la ricca ricompensa, decidono di aiutare la principessa ed il bambino ma, presi prigionieri, scoprono che Cotys è mosso da Euristeo –che sogna di divenire il Tiranno di tutta la Grecia- e che è stato proprio il re di Atene a far sbranare dai lupi la moglie ed i figli di Ercole. Liberatisi, i nostri (aiutati da Autolycus tornato a dar loro man forte) sconfiggono i nemici.

Per la mia generazione Ercole al cinema è sinonimo dei cosiddetti pepla o, come li chiamavano gli spettatori sandaloni: storie ispirate alla mitologia greca e romana, interpretati da muscolosi culturisti (gli antenati dei successivi body-builders) quali Steve Reeves, Reg Park, Gordon Scott, Gordon Mitchell; alcuni titoli potevano contare su registi di grande qualità (Pietro Francisci, Vittorio Cottafavi, Mario Bava) ed erano spesso basati su tragedie greche, rielaborate e mescolate tra loro; insomma un genere cinematografico di tutto rispetto che, come il parallelo spaghetti-western, ha avuto grande fortuna commerciale e riconoscimenti critici in tutto il mondo (a chi voglia saperne di più, divertendosi, consiglio l’imperdibile Il grande libro di Ercole di Steve Della Casa e Marco Giusti). Hercules – Il guerriero ha vari pregi: la regia di uno specialista (Ratner ha diretto i due Rush hour con Jackie Chan e X-men: conflitto finale), la derivazione dalle bella graphic- novel di Steve Moore (della quale ha mantenuto, in alcune sequenze, il tratto gotico), il gioco dell’ambiguità tra mito e realtà; gli sceneggiatori hanno inoltre assunto dai nostri pepla (che dimostrano di conoscere bene) un paio di sequenze (Ercole che sradica le catene e l’enorme statua scagliata contro i nemici) e lo stratagemma di circondare di ottimi attori (Sewell, Mullan, McShane) l’ ex- wrestler Dwayne Johson dotato delle due espressioni d’ordinanza: con e senza la testa di leone. Il mio cuore però palpita per i vecchi massi di polistirolo.




2047 – Sights of Death

di Alessandro Capone. Con Daryl HannahNeva LeoniKai PortmanTimothy MartinBenjamin Stender  Italia 2014

Siamo in un futuro nel quale la terra, a seguito di mostruosi conflitti, è governata da una tirannica Confederazione, della quale il colonnello Asimov (Rutger Hauer) è il braccio armato. Al loro strapotere si oppone l’organizzazione GreenWar; Sponge (Danny Glover) è uno dei capi dei ribelli ed ha inviato Ryan Willburn (Stephen Baldwin) a cercare in un avamposto abbandonato le prove degli eccidi della Confederazione. L’agente scopre una montagna di cadaveri, trova il circuito integrato che contiene le prove che cercava e si imbatte in Tuag (Leoni), una ragazza con il corpo dipinto che vive nel forte; lei lo aiuta a trovare una vecchia trasmittente che gli consentirà di mettersi in contatto con Sponge per rientrare alla base ma Ryan manda un segnale non criptato per farsi raggiungere da Asimov ed affrontarlo. Questi arriva con il maggiore Anderson (Daryl Hannah), figlia di un suo ex-amico della quale è innamorato ed un manipolo di uomini; per maggior sicurezza si fa raggiungere anche dal mercenario Lobo (Michael Madsen) e dai suoi feroci guardaspalle, Jimmy (Benjamin Stander) ed Evilenko (Kai Portman).Ryan elimina i due soldati mandati ad ucciderlo, Jano (Mario Opinato) e Greshnov (Marco Bonini), mentre alcuni altri uomini del colonnello sono attaccati da un morbo mortale dovuto alle forti radiazioni. Mentre Jimmy dà fuoco ai cadaveri, Evilenko sorprende Tuag e sta per violentarla ma Ryan lo uccide   Anderson si ribella alla ferocia del comandante e viene messa agli arresti. Tuag è catturata e Ryan si consegna ad Asimov in cambio della salvezza della ragazza. Lobo lo prende in consegna ma non lo ammazza perché ha in mente di ricattare Asimov. Nello scontro finale, solo Ryan, dopo aver scoperto che Tuag era una specie di fantasma, sopravvivrà e porterà le prove che condurranno alla fine della Confederazione.

Negli anni ’90 alcune produzioni televisive nordamericane (ad esempio la Curb) avevano messo in campo piccoli tvmovie, caratterizzati da un cast pieno di ex-divi in disarmo; il risultato era commercialmente accettabile anche se le spese sopra la linea (cioè quelle relative agli interpreti principali) sacrificavano la qualità tecnica dell’insieme (in fondo anche I mercenari di Stallone hanno una logica simile ma lì, soprattutto negli ultimi due, il valore produttivo è perfettamente adeguato). Andrea Iervolino, il giovanissimo produttore del film, lavora più o meno nello stesso modo: suoi sono, ad esempio, Operazione vacanze, Outing ed E io non pago – anche questo diretto da Capone- zeppi di facce note ma non certo particolarmente curati nella confezione. Ora Iervolino, che ha anche origini canadesi, ha allargato il suo orizzonte al Nord America e il multifunzionale Capone (gli dobbiamo il farsesco Uomini sull’orlo di una crisi di nervi, lo psicanalitico art movie L’amore nascosto ma anche le ultime serie tv con Bud Spencer) lo asseconda, mettendo insieme alla meglio un filmetto pieno di vecchie, stanche glorie (la povera Sirena a Manhattan Hannah, peraltro, si era già trovata con Boldi e Salemme in Olè), con scenografie, situazioni e dialoghi al minimo sindacale.




Anarchia – La Notte del Giudizio The Purge: Anarchy

di James DeMonaco. Con Frank GrilloMichael K. WilliamsZach GilfordCarmen EjogoKiele Sanchez. USA 201

Nel 2023,un anno dopo i fatti narrati ne La notte del giudizio, i Padri Fondatori (nuovo regime autocratico americano) hanno deciso, al fine di dare sfogo alla violenza che loro erano riusciti a contenere, di mantenere la pratica di una notte di Purificazione durante la quale si può impunemente commettere qualunque crimine. A Los Angeles, Ella (Ejongo) lascia in tempo il bar dove lavora come cameriera per andare a casa, lì l’aspettano la figlia Cali (Zoe Soul) ed il padre Rico (John Beasley); Cali è affascinata dalle prediche vie internet di Carmelo (Michael K: Williams), che sostiene che in quella notte le autorità massacrino i più deboli per una sorta di pulizia etnico-economica. In un’altra parte della città Shane (Zack Gilford) e Liz (Sanchez) stanno tornado a casa ma la macchina ha un guasto e loro si trovano in mezzo all’autostrada, guardati a vista da una banda di minacciosi teppisti mascherati, pronti ad entrare in azione non appena, di lì a poco, scatterà la notte fatidica. C’è infine il sergente Leo Barnes (Grillo) che, armato di tutto punto, esce a bordo di un’auto corazzata. Ella scopre che il padre, malato terminale, è andato a farsi uccidere a pagamento da una famiglia di ricchi per lasciare a lei ed alla figlia una grossa somma; mente se ne dispera nel suo appartamento penetra il portiere Diego (Noel Guglielmi), ubriaco, armato e intenzionato a violentare ed uccidere le due donne; un gruppo in divisa abbatte Diego e porta Ella e Cali nel camion di Big Daddy (Jack Conley), un anziano con una mitragliatrice pronto a farle fuori. Joe assiste alla scena e, dopo qualche tentennamento, salva le due donne, ferendo Big Daddy; nella macchina blindata si sono, intanto, nascosti, Shane e Liz e il sergente accetta di scortare i quattro fino alla casa dell’amica di Ella, Tanya (Justina Machado), in cambio della macchina di quest’ultima (la sua si è guastata nel conflitto a fuoco). Dopo una serie di scontri violenti – in uno di questi Shane perde la vita – i nostri eroi arrivano a casa di Tanya : lei e il padre (Castulo Guerra) li accolgono affettuosamente ma Tanya , che si è accorta che la sorella (Bel Hernandez) è l’amante di suo marito (Nick Nicotera), li ammazza entrambi. Nell’edificio fanno irruzione gli uomini di Big Daddy e i quattro si salvano per miracolo ma, nel fuggire, sono catturati dai teppisti mascherati che li vendono ad un club esclusivo, nel quale una elegante banditrice (Judith McConnell) li mette all’asta come prede di una caccia all’uomo. Loro si difendono come possono ma quando stanno per soccombere arrivano Carmelo e i suoi giustizieri che li salvano. Joe, inutilmente dissuaso dalla tre donne, si appresta a compiere la sua missione: uccidere Warren Grass (Brandon Keener), l’uomo che, ubriaco, aveva investito ed ucciso suo figlio. Uscito dalla casa di Grass, viene atterrato da Big Daddy, che gli rivela di essere un suo superiore con la missione da parte dei Padri Fondatori di completare la insufficiente Purificazione (come Carmelo aveva capito).

Il primo La notte del giudizio era stato una piccola sorpresa al botteghino: costato solo 3 milioni di dollari ne aveva incassati più di 90; un anno dopo DeMonaco ci riprova con un budget leggermente superiore che spende in location ed effetti, rinunciando ad avere nomi noti nel cast (il protagonista del precedente era Ethan Hawke) ed il risultato è interessante( anche finanziariamente :in pochi giorni ha già raccolto più di 50 milioni). Anarchia si iscrive bene nel filone del futuro gestito da una dittatura basata sulle diseguaglianze sociali (Hunger games, Upside down, Snowpiercer, Elysium) ma il basso costo gli dà una libertà di racconto che le mega-costruzioni dei film del genere non consentono e, di suo, DeMonaco ci mette una accentuazione sulla adrenalinica violenza congenita nell’uomo, sulla falsariga dei grandi film di Sam Peckinpah (Cane di paglia) e di Michael Winner (Il giustiziere della notte); non a caso aveva già sceneggiato il remake di Distretto 13: Le brigate della morte. Produce Michael Bay (Trasformers).