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Roma gentrificata: lungo la Casilina, tra la Certosa e Torpignattara

I-love-Torpigna-2Tor Pignattara, o Torpigna in slang neo-romanesco, è un quartiere popolarissimo sin dalle sue origini, lungamente guardato con sospetto dai romani e ignorato dai non romani. Fino a non molto tempo fa, anche a causa della sua rassegna stampa quasi del tutto presente in cronaca nera (omicidi, accoltellamenti, ritrovamenti di cadaveri e di serre di cannabis sui balconi), pochi si spingevano a esplorare questa zona incastonata tra l’Acquedotto Alessandrino e la Prenestina, confinante con il quartiere, spesso a sproposito definito “gentrificato”, del Pigneto.

Non sono moltissime le associazioni culturali, tra queste Ottavo Colle, che organizzano passeggiate alla scoperta del quartiere. Per arrivarci dobbiamo percorrere Via Prenestina e lo facciamo salendo da piazza di Porta Maggiore sul pittoresco trenino bianco e giallo della linea Roma Giardinetti – che ai semafori fischia e sembra un trenino dei bimbi. Prima, a piedi, potremmo percorrere Via del Pigneto fino in fondo per ritrovarsi in Via dell’Acqua Bullicante o fare tre fermate in più e scendere proprio a Tor Pignattara per scoprire un mondo vivace e variopinto, una mescolanza di popoli orientali (con netta predominanza di bengalesi), romani di Torpigna e alcuni lavoratori squattrinati afferenti alle cosiddette “professioni creative”, nobile stratagemma per dare una dignità a pluri-dottorati e idee per start up miseramente vanificate perché l’Italia non è certo gli USA.

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Il trenino bianco e giallo della linea Roma Giardinetti

Tor Pignattara è un quartiere popolare in attesa di una futura riqualificazione della qualità urbana che probabilmente, tra non meno di cinque anni, potrebbe portarlo a incamminarsi sulla strada della gentrification che lascerebbe sulla strada le vittime di chi non potrà più permettersi l’innalzamento degli affitti (soprattutto lavoratori stranieri). Nel frattempo è anche location di video musicali come questo dei Calcutta nell’album Mainstream, che provano a raccontare la multietnicità di una città in trasformazione, a partire dal cuore pulsante delle sue periferie, in un centro storico diventato da tempo un simulacro artefatto per turisti di bocca buona. Una multietnicità però che, ad esempio nella cucina, si coniuga bene con la persistenza di osterei di cucina romana ancora tradizionale, come nel caso dell’Osteria Bonelli, dove ordinando da una lavagna trasportabile, si possono mangiare filetti di baccalà, fiori di zucca, la gricia (per chi non la conoscesse è la carbonara senza uovo, solo con pancetta e pepe), e un buon bollito condito semplicemente. Nel raggio di poche centinaia di metri, si può mangiare vero cinese, vero bangla, vero peruviano, vero indiano, a prezzi davvero economici, e provare l’ebbrezza di essere gli unici italiani all’interno del locale.

Proprio a metà di Via Tor Pignattara c’è Spice of India, come recita l’insegna, un “bar ristorante pizzeria”, ma indiano. Il locale ha l’aspetto di un normalissimo bar-tabacchi, di indiano ci sono solo i dolci esposti nella vetrinetta del bancone, i video musicali in tv e, naturalmente, baristi e camerieri. È molto ampio, con circa venti coperti e offre a pranzo e a cena le tipiche specialità indiane: samosa, pollo tandoori, riso byriani e così via.

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Il palazzo di Via Galeazzo Alessi col murales dedicato a Pasolini

Nel mercato coperto di Via Laparelli c’è un ristorante peruviano. L’ambiente nei colori del verde e del giallo è molto gradevole, il menu è composto da piatti unici a base di carne o di pesce, con riso e patate. Sull’altro lato della Casilina, in Via Eratostene, ci sono le luci colorate e le vetrine del ristorante dal nome che è tutto un programma: Eurobangla. Un menu fotografico ci alletta con i suoi “Imboltini di carne, imboltini di verdure e imboltini di patate”.

In uno dei quartieri più pasoliniani di Roma, dove Pier Paolo Pasolini ambientò molte scene dei suoi film e racconti, non poteva mancare la street art, che sta facendo di Roma la capitale europea di questa forma d’arte urbana, con un murales dedicato proprio a lui. Ci ha pensato Nicola Verlato, pittore vicentino che lo ha realizzato in Via Galeazzo Alessi, al civico 215. Grande com’è, su un muro di un palazzo alto dodici metri e largo otto, è impossibile non notarlo. Quel muro l’ha individuato l’artista David Diavù Vecchiato, amico e collega di Nicola. David è il fondatore di MURo, il museo di Urban art del Quadraro. “Gli abitanti del quartiere – ha detto l’artista – mentre passavano e mi vedevano lavorare, hanno ribattezzato il muro la Cappella Sistina di Tor Pignattara”.

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Ma forse l’esempio che più viene citato come riqualificazione – e ripeto per chi ha letto i miei precedenti articoli o il volume Gentrification in parallelo. Quartieri tra Roma e New York, è la zona chiamata Certosa. Si trova in cima a una collinetta racchiusa tra la ferrovia Roma-Napoli, il nostro quartiere di Tor Pignattara e la Casilina. L zona rimane nascosta agli occhi dei più. Dal traffico caotico in basso, basta svoltare su Via dei Savorgnan per trovarsi in un altro mondo. L’atmosfera è quella di un paese il cui centro è Largo dei Savorgnan. Le case, in gran parte edificate in proprio dai primi abitanti, per lo più braccianti agricoli provenienti da altre regioni del Centro-Sud, in quello che era chiamato abusivismo di necessità, nascono alla spicciolata e senza servizi. Succede poi che a metà anni Novanta cinquecento famiglie ottennero case popolari in altri quartieri. Alcune delle case rimaste vuote o sfitte furono occupate da immigrati capoverdiani, altre acquistate da speculatori che creavano mini appartamenti da rivendere. Oggi gli abitanti, vecchi e nuovi, sono meno di duemila, alcuni hanno lasciato il Pigneto per sfuggire al chiasso notturno e allo spaccio. La Certosa è un set a cielo aperto: negli anni Cinquanta Luigi Zampa girò qui Ladro lui ladra lei con Alberto Sordi e Sylva Koscina; più recentemente Daniele Lucchetti ha ambientato qui La scuola e Francesca Archibugi Questione di cuore.

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