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La sharing economy rivoluziona il sociale

Accordi fra sharing e imprese sociali, ecco come influiscono sull’economia.

Sono 138 le piattaforme collaborative che operano in Italia, divise in 11 diversi ambiti tra i quali i più interessanti sono il crowdfunding (con il 30% delle piattaforme), i beni di consumo (20%) i trasporti (12%), il turismo (10%), il mondo del lavoro (9%). E’ quanto emerge da una ricerca curata da Collaboriamo.org. Ma soltanto l’11% dei servizi collaborativi – quelli cioè che mettono in contatto persone per scambiare e condividere beni – sono registrati come associazioni o imprese sociali. Infatti, sebbene siamo molti i punti in comune tra il terzo settore e le piattaforme di sharing, i due mondi comunicano appena. Eppure un incontro porterebbe degli enormi vantaggi a entrambe le parti. Stringendo degli accordi con le piattaforme collaborative, le imprese sociali potrebbero, per esempio, rinnovare i servizi esistenti.
Alcuni esempi: Tabbid, piattaforma che mette in contatto persone per eseguire piccoli lavoretti, ha promosso un accordo con una cooperativa per includere i detenuti all’interno della propria piattaforma. Timerepublik, banca del tempo digitale e Scambiacibo o Ifoodshare che promuovono lo scambio in eccedenza di cibo, permettono a servizi come il Banco Alimentare e le banche digitali di raggiungere un pubblico più ampio. Rete del Dono, piattaforma di crowdfunding per la raccolta di donazioni online a favore di progetti d’utilità sociale ideati e gestiti da organizzazioni non profit, permette, come gli altri servizi di questo tipo, di trovare nuove forme di sovvenzioni in un momento in cui le istituzioni non sono più in grado di erogare finanziamenti. SouthwarkCircle, piattaforma di incontro fra volontari e anziani o Bircle, servizio che mira a creare itinerari di viaggio accessibili attraverso guide costruite con la partecipazione dei cittadini, sono, invece, nuovi servizi sociali pensati già in ottica collaborativa.
In questo modo le imprese sociali, attraverso il modello di servizio proposto dalle piattaforme di sharing economy potrebbero recuperare il rapporto con i cittadini che nel tempo si è in parte perduto, trovare nuovi modelli di business, replicare su diversi territori il proprio servizio e rendere l’offerta personalizzata e facilmente raggiungibile. Dall’altra parte i servizi di sharing economy potrebbero trovare nel terzo settore un pubblico culturalmente già predisposto a condividere, e, soprattutto, nel modello di gestione tipico del non profit, la cooperativa, una tipologia giuridica più inclusiva, in grado di garantire una più giusta distribuzione degli utili tra membri e piattaforme.

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