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Rugby nel cuore dalle isole Fiji

I mari del sud

I mari del sud

Mosese Tavutunawailala, per gli amici Mojee, è un bel ragazzo di 27 anni delle Fiji, dal cognome impronunciabile e dal sorriso disarmante. Gioca come centro della squadra di rugby di Arvalia di Corviale periferia popolare di Roma e la sua storia e il suo arrivo in Italia hanno il sapore della magia che si respira in una commedia romantica. Cosa ti ha spinto a lasciare le isole Fiji per venire in Italia? Giocavo in una squadra importante ma mi ero infortunato e così passavo il tempo della convalescenza in spiaggia. Un giorno ho incontrato una ragazza italiana, di Roma, che lavorava in Australia e che si era presa qualche giorno di vacanza da passare alle Fiji. È stato un colpo di fulmine, non ci siamo più lasciati. Lei non solo non è più tornata in Australia, ma neanche in Italia ed io ho passato tutta la convalescenza con lei, sono guarito ed ho ripreso a giocare. Federica, così si chiama, ha così deciso di rimanere con me alle Fiji, abbiamo cominciato a convivere e dopo quattro mesi ci siamo sposati. E poi cosa vi ha fatto cambiare idea e trasferire in Italia? E come è stato l’impatto da un paradiso terrestre al caos di Roma? Dopo circa sei mesi la famiglia di Federica ha avuto dei problemi che hanno reso necessaria la sua presenza in Italia. Per me non ci sono stati tanti problemi, il mio unico pensiero era: “Ma in Italia si gioca a rugby?” Ho chiesto, molto preoccupato, alla mamma di Federica. Perché sapevo che c’era una nazionale di rugby, ma sapevo anche che non c’era e non c’è una vera e propria tradizione rugbistica come nel mio Paese. Noi giochiamo a rugby e non a pallone. Noi abbiamo il rugby nel sangue. I bambini nelle strade con qualsiasi oggetto s’inventano una partita di rugby, in più c’è tutta una filosofia legata alle nostre danze di guerrieri che hanno significato di rispetto dell’avversario che sapevo non esistere in Italia. Eppure, nonostante l’Italia non fosse la patria del rugby, sei arrivato lo stesso qui. Sì, l’amore per mia moglie mi ha fatto superare ogni paura e diffidenza. E poi comunque quando siamo arrivati nel 2008, ho cominciato subito a cercare lavoro e a fare provini in alcune squadre del nord, dove c’è più tradizione nel rugby. Ho anche giocato in una squadra di serie A, però purtroppo ho avuto grandi difficoltà, perché nonostante fossi sposato con una italiana, per la federazione continuavo ad essere straniero e quindi ad avere problemi di tesseramento, di regole e così via. Cosa ti ha portato poi a Roma? Per prima cosa sono nate le nostre bellissime gemelle e così, visto che Federica aveva una casa vicino Corviale e aveva anche maggiori possibilità di trovare lavoro, siamo rientrati a Roma. All’inizio non è stato per niente facile. Roma è una città caotica, molto lontana dal mio mondo. È enorme e in più nel quartiere ci sono state anche delle insofferenze, mi chiamavano negro, e anche se sono stati episodi sporadici mi hanno comunque fatto pensare e preoccupare, anche per le mie figlie. L’incontro con la squadra di rugby Arvalia di Corviale come è avvenuto? Un giorno ero per strada e giocavo a rugby con una palla improvvisata. Si è fermato un ragazzo che fa parte della squadra maggiore dell’Arvalia e mi ha chiesto se volevo andare con lui presso il campo che si trova proprio sotto Corviale. È stato anche lì un colpo di fulmine. Ho incontrato persone meravigliose, che attraverso il rugby cercano di aiutare tanti ragazzi ad uscire da situazioni difficili, questo è un quartiere ad alto livello di disagio e loro credono in questo sport e mi hanno dato una nuova chance. Fai parte della squadra maggiore, per cui immagino che tu sia la loro stella. In fondo deve essere entusiasmante trasmettere ai ragazzi il senso di squadra, l’etica del rugby, e anche la velocità, le dritte di questo sport che voi avete nel sangue. Diciamo di sì. Cerco di trasmettere loro le regole che fanno grande questo sport, il senso di sacrificio, cosa non facile nei giovani di oggi e in un quartiere così, ma anche le furbizie atletiche, i passaggi in velocità, che per la verità gli italiani non hanno proprio nel loro dna. E poi i fondatori di Corviale Salvatore Gallo, Fabio Di Giovannantonio, mi hanno anche dato la possibilità quella di lavorare come barman nella zona ristoro del circolo, incrementare così le mie entrate. In pratica ho trovato una nuova famiglia. Ma insegni loro anche la danza maori, quella che per esempio fa sempre la nazionale delle Fiji quando gioca le sue partite? Assolutamente no! La danza guerriera fa parte della nostra tradizione, non è un gioco, è insita in noi e nel nostro concetto di rispetto dell’avversario, del nemico. Le tue bambine hanno difficoltà a scuola a farsi chiamare per cognome, è lunghissimo. Anch’io pensavo, e invece tutti i loro compagni lo dicono in un soffio come una filastrocca. Tavutunawailala.

Antonella Matranga
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il rugby a Corviale non ha eta