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Progettazione sostenibile e rigenerazione urbana. Lanciato il Protocollo Itaca

Pubblicato come appendice al X Rapporto Ispra sulla “Qualità dell’ambiente urbano”, il Protocollo Itaca ‘A scala urbana’ è uno strumento olistico per valutare la sostenibilità degli interventi progettuali nelle aree urban
l contrasto al consumo di nuovo suolo, l’esigenza di riqualificare un patrimonio edilizio, la maggiore consapevolezza del ruolo che le città possono svolgere quali attrattori di flussi economici, ma anche quali strumenti per il riequilibrio ambientale e la mitigazione degli effetti dei cambiamenti climatici, sono temi sempre più attuali. E che richiedono un profondo ripensamento delle azioni regionali al fine di rispondere alla sempre crescente domanda di qualificazione dello spazio urbano e di contribuire a creare le migliori condizioni per la fattibilità degli interventi di rigenerazione urbana. Sono queste le motivazioni che hanno spinto Itaca ( Istituto per la Trasparenza degli Appalti e la Compatibilità Ambientale) a predisporre un protocollo di valutazione ed approfondimento delle tematiche della sostenibilità ambientale del costruito relativo alle aree urbane.
Appendice al X Rapporto Ispra
Il Protocollo, redatto attraverso il Gruppo di Lavoro interregionale ‘Edilizia Sostenibile’ è inserito all’interno di un Focus di approfondimento tematico su “Le città e la sfida dei cambiamenti climatici”, a sua volta inserito nel X Rapporto Ispra (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale) sulla “Qualità dell’ambiente urbano”, pubblicato lo scorso 18 dicembre 2015.
Approccio olistico alla valutazione della progettazione urbana in chiave sostenibile
Il documento (in allegato) definisce alcuni strumenti per  innalzare la qualità degli interventi e per garantire l’applicazione di strategie di riduzione dell’impatto ambientale sia nel progetto e nella costruzione di aree urbane, sia nell’attività di valutazione di piani/programmi di rigenerazione urbana (valutazione ex ante) e di verifica dell’efficacia degli stessi (monitoraggio ex post). Il Protocollo è dunque un sistema di analisi multicriteria con una struttura modulare che comprende tutti quei parametri, materiali ed immateriali, necessari a caratterizzare e a valutare la sostenibilità degli interventi a scala della città o delle sue parti significative, attraverso un approccio olistico: partendo da un set di criteri, il Protocollo fornisce un punteggio di
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La Sicilia verso una nuova legge urbanistica

23/01/2015 –  L’Assemblea Regionale Siciliana sta per varare una nuova legge urbanistica e sostituire quella vigente, risalente a 37 anni fa.
Nel nuovo testo si prevede l’utilizzo della Società di trasformazione urbana (STU) per realizzare interventi misti pubblico-privato e si introduce il criterio della ‘perequazione urbanistica’ come principio generale da applicare all’uso del suolo.

“Con il disegno di legge – ha affermato Anthony Barbagallo , parlamentare regionale del PD e promotore del progetto di legge – vengono inoltre introdotte delle procedure semplificate e più veloci in ordine all’approvazione degli strumenti urbanistici, generali ed attuativi, da parte degli organi competenti”.

“Il testo base, inoltre, tiene conto anche della nuova architettura istituzionale e amministrativa dei Liberi consorzi. E’ poi previsto in modo specifico un capo dedicato alla Valutazione ambientale strategica (Vas) ed al suo procedimento di approvazione”.

“Sono molto soddisfatto del lavoro portato avanti fino ad ora e del clima di collaborazione che si è creato in commissione con tutte le forze politiche presenti”, ha continuato Anthony Barbagallo.

“Ringrazio il presidente della commissione Territorio e Ambiente Giampiero Trizzino e gli altri colleghi della commissione per l’attenzione dimostrata fino ad oggi al ddl. Nelle prossime settimane ascolteremo gli organi professionali e i rappresentanti dei settori interessati per una serie di interlocuzioni e approfondimenti: mi auguro che il clima positivo riscontrato fino ad ora possa continuare anche nella sottocommissione dedicata alla trattazione del testo, e che il ddl arrivi presto in aula per poter dare alla Sicilia una riforma attesa e necessaria”, ha concluso Barbagallo.
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Dialogo su Roma metropolitana

Nell’ambito del progetto “ROMA 20-25 – Nuovi cicli di vita della metropoli / New Life Cycles of the Metropolis”, presentato a dicembre 2014 dall’Assessorato alla Trasformazione Urbana di Roma Capitale e dal Direttore MAXXI Architettura Margherita Guccione, grazie al sostegno di BNP Paribas Real Estate, main sponsor dell’iniziativa, l’Auditorium del MAXXI ospiterà il prossimo 23 gennaio l’incontro pubblico fra ventiquattro università italiane e internazionali che dialogheranno con Giovanni Caudo, assessore alla Trasformazione Urbana di Roma Capitale e con lo scrittore Marco Lodoli su Roma e la città contemporanea: una fotografia di oggi, aspettative di trasformazione e scadenze future.
Al dibattito, moderato da Paola Pierotti, seguirà una discussione pubblica.

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ROMA20-25




Archivi: nasce Descriptio Romae

Si chiama Descriptio Romae – WebGis la nuova banca dati sulla Roma del ‘700 – ‘800, elaborata dai tecnici della Sovrintendenza Capitolina con l’università Roma Tre, l’Archivio Storico Capitolino, l’Archivio di Stato e l’Istituto Centrale per la Grafica. Un formidabile strumento di conoscenza storico-urbanistica, dal 13 gennaio online e in libera consultazione.

La base è il Catasto Gregoriano, voluto da Pio VII nel 1816 e compiuto sotto Gregorio XVI nel 1835: la prima mappatura sistematica della città, dei suoi spazi, dei suoi edifici. 90 tavole ad acquerello, di valore artistico oltre che documentale, con oltre 15mila particelle. Ad ogni particella è stata collegata la massa dei documenti – finora mai sistematizzati – relativi a tutte le aree allora censite: atti di proprietà, cessioni e acquisti, lavori, eredità… Ne deriva un racconto capillare e ordinato della Roma del periodo e della sua trasformazione: la Roma che per la prima volta, terminata l’avventura napoleonica (e in qualche modo ereditandone lo spirito razionale e modernizzatore) si auto-esplora e prova a darsi un ordine. Fissando ad esempio una volta per tutte i nomi di vie e piazze, gli stessi nomi che compongono l’attuale toponomastica.

Il risultato è una grande mappa interattiva e interrogabile, un corpus di conoscenze aperto a chiunque – studente, urbanista, architetto, storico, semplice appassionato di cose romane – e totalmente gratuito.

Martedì 13 il sistema va online e lo stesso giorno viene presentato all’auditorium dell’Ara Pacis (via di Ripetta 190), alle 14.30. Intervengono i tre coordinatori della ricerca – Susanna Le Pera per la Sovrintendenza di Roma Capitale, Paolo Micalizzi per Roma Tre, Paolo Buonora per l’Archivio di Stato – e un parterre di esperti che affrontano diversi temi, dall’informatizzazione della cartografia storica ai cambiamenti che la città subì all’epoca come risultano dai documenti d’archivio. Seguono la proiezione di un video su Descriptio Romae e una tavola rotonda.

Il nuovo sistema è anche su Facebook

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Urbanizziamoci il cervello

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La maggioranza delle persone prima o poi nella vita ha pensato di avere un figlio, e la maggioranza di queste persone poi l’ha anche avuto, e pure altri. Tutti, salvo qualche raro essere sfigato dalla mente contorta, per questo loro bambino hanno immaginato il più roseo e splendente futuro, ricco, comodo, stimolante, pieno di prospettive. Adesso facciamo rewind e poi subito restart. Letto in modo appena lievemente diverso, quanto sopra suona: la maggioranza delle persone promuove attivamente e consapevolmente la crescita di popolazione, e il suo insediamento in luoghi adeguatamente attrezzati per quanto riguarda l’abitazione, il lavoro, i servizi. Tutta la faccenda è detta urbanizzazione del pianeta, da alcuni anni riguarda oltre il 50% dell’umanità, e ai ritmi attuali sull’arco di un paio di generazioni scarse arriveremo all’80%. Fine dei dati inoppugnabili. Poi ci sono le opinioni, e lì iniziano i guai.

Perché ci sono tanti tipi di cose diverse con la caratteristica di contesto urbano, così diverse che tanta gente ti sbotta: “io in città? Mai, piuttosto la morte”. Mentre sta già da un paio di generazioni felicemente e guazzante dentro a un’area metropolitana statistica, giusto con veduta su un campo di mais davanti al vialetto del garage a confondere le idee. Città sono ovviamente e inoppugnabilmente certe altissime densità edilizie soprattutto asiatiche, coi vistosi grattacieli, o i volumi terziari curtain wall disabitati di notte delle downtown americane e europee. Città sono le baraccopoli sterminate che spesso cingono proprio l’emergenza brillante degli stessi grattacieli. Città, infine, è anche lo sprawl suburbano o esurbano a bassissima densità, con popolazione sparsa ma totalmente priva di rapporti diretti o indiretti con le campagne, spesso per nulla coltivate, dentro cui si trova, anche qui con una curiosa sfalsatura temporale. Perché la casetta magari conquistata coi risparmi di una vita, nel quartierino denominato Salici Piangenti (perché ci stavano i salici una volta, poi appunto sepolti sotto il quartiere) la si può godere solo per dormirci, o riposarsi nei fine settimana. Il resto del tempo si passa altrove, in un altro pezzo della stessa grande città, dove sono gli uffici, o il centro commerciale, o il complesso scolastico integrato.

Il famoso 50% o meno di umanità ancora residente nelle campagne, quella effettiva quota di popolazione rurale, non ha nulla da spartire con l’elegante signora che va “in villa” sgommando nervosa dal parcheggio dell’ufficio la sera. Si tratta in stragrande maggioranza di poveracci al limite della fame, ammucchiati in villaggi privi di servizi essenziali, dalla corrente elettrica all’acqua potabile, che vivono una vita grama e appena possibile si incamminano verso le mille luci della più vicina città, sperando di migliorare la propria situazione. Insomma, come si dice, siamo tutti sulla stessa barca, e la cosa migliore da farsi è riconoscerlo senza troppe storie, ed evitare di ribaltarla con movimenti bruschi. Diconsi movimenti bruschi, ad esempio, gli impatti ambientali determinati dalle nostre attività individuali e collettive, spostarsi, consumare, lavorare, studiare, tutto può avere impronte ecologiche variabili a seconda di come lo si fa. Una cosa è certa: la cosiddetta civiltà dei consumi, così com’è cresciuta almeno per tutta la seconda perte del ‘900, non è un modello riproducibile ed estendibile nel futuro a tutti coloro che sinora ne sono stati esclusi.

L’innovazione urbana è lo spirito che ha animato tantissime ricerche tematiche interdisciplinari, soprattutto rivolte agli strumenti conoscitivi e applicativi che di solito ci vengono propinati dalla stampa sotto l’etichetta smart city, ma che a monte richiedono personalissime innovazioni di cervello, che sommate e ricomposte si fanno poi sociali, politiche, di comportamento e stile di vita, traducendosi in vere trasformazioni ed evoluzioni. Riflettiamo un istante su un fenomeno abbastanza recente e che sta cambiando rapidamente le nostre città: il car-sharing. Fenomeno complesso, che si può leggere per esempio anche a partire da una forte spinta culturale alla condivisione, per cui l’auto un tempo segno di posizione sociale, sorta di prolungamento della famiglia, della casa, dell’individuo, perde tutte queste caratteristiche per trasformarsi in altro. Cambia il modo di produrla e concepirla, potenzialmente il suo rapporto con le fonti energetiche, cambia l’interazione con gli spazi urbani (strade, parcheggi, abitazioni, posti di lavoro, rete commerciale) e si condizionano sul medio periodo anche produzione e manutenzione di questi spazi. Cambia infine anche il rapporto con le tecnologie esterne e le altre modalità di spostamento: se l’auto privata non interagiva o interagiva poco con la pubblica amministrazione, le reti immateriali, il sistema pedonale, ciclabile, dei mezzi pubblici, il car sharing invece si integra perfettamente.

E questo esempio, piccolo e molto a portata di mano, si può estendere e sovrapporre poi a tanti altri aspetti, ad esempio l’intreccio (il grande ed esiziale intreccio) fra ambiente, energia, alimentazione, urbanizzazione, cambiamento climatico. In cui ad esempio risulta importante chiarire davvero quale modello insediativo vogliamo perseguire: il cosiddetto chilometro zero rappresenta solo un fenomeno alla moda, buono per alimentare qualche segmento di mercato? Oppure le riflessioni sull’autonomia alimentare, le infrastrutture verdi, l’agricoltura urbana, la convivenza di elementi naturali e artificiali, hanno davvero un respiro strategico? Infine: stiamo ragionando solo da una prospettiva di paesi ricchi, in grado di costruirsi futuri desiderabili e apparentemente ragionevoli, solo basandosi sul presupposto di un asservimento di fatto di altre aree del pianeta, su cui scaricare ogni diseconomia? Anche queste questioni sociali, sia ampie che di più immediata comprensione come l’organizzazione delle famiglie (e ad esempio delle abitazioni) alla fine rinviano a un mutamento di paradigma personale, soggettivo, volontario, ma tale da riuscire poi a ricomporre un panorama davvero ampio, e a volte sorprendente nella sua capacità di intrecciare temi apparentemente distanti.

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Prestazioni professionali occasionali, niente obbligo partita Iva

Secondo il documento “Professionisti iscritti ad albi e prestazioni occasionali”, pubblicato sul sito del Centro Studi del Consiglio Nazionale degli Ingegneri, per i liberi professionisti iscritti all’albo che intendano espletare un lavoro occasionale, non sussiste il limite temporale entro cui effettuare la prestazione, il limite del compenso e l’obbligo della partita IVA previsto dalla legge.
Si tratta di un’eccezione espressamente indicata dalla normativa che regola il lavoro occasionale oltre che un’interpretazione autentica fornita dal legislatore.
Sulla base di quanto stabilito dalla normativa vigente (in particolare il decreto legislativo 276/2003, art. 61) la “collaborazione occasionale” non deve avere durata superiore a 30 giorni e deve prevedere un compenso entro 5.000 euro. Ma la stessa normativa, poco oltre (al comma 3), chiarisce che i limiti imposti allo svolgimento della collaborazione occasionale, predisposti per evitare un abuso di tale forma contrattuale, vengono meno per i professionisti iscritti ad un albo professionale, poiché il rischio di abuso in questo caso non sussiste.
ISCRITTI AGLI ALBI: PRESTAZIONI OCCASIONALI SENZA LIMITI DI TEMPO E COMPENSO E SENZA OBBLIGO DI PARTITA IVA . Il Centro Studi CNI, riprendendo la normativa, sottolinea come l’iscrizione ad un albo professionale non sia da considerarsi come elemento sufficiente a configurare la professione abituale di un’attività, assoggettabile quindi a regime Iva e non sottoponibile a regime di collaborazione occasionale (che, al contrario, non prevede l’apertura di partita Iva). Di conseguenza, l’iscritto all’albo che non esercita attività di lavoro autonomo (si tratterà pertanto di un iscritto che svolge lavoro dipendente), potrà effettuare attività di lavoro occasionale (cioè un lavoro svolto in proprio, senza vincolo di subordinazione con il committente) senza i limiti di tempo e di remunerazione imposti dalla normativa, oltre che senza disporre di partita Iva.
Il documento del CNI (vedi allegato) segnala infine l’importanza di questa semplificazione, che risponde a dei criteri di ragionevolezza e, per molti versi, incentiva il lavoro. Da questo punto di vista e per la particolare fattispecie dei professionisti iscritti ad un albo, la normativa è molto chiara ed esplicita. Particolarmente rilevante è la possibilità di non disporre di partita IVA, purché ovviamente le attività svolte siano realmente occasionali ovvero abbiano il carattere dell’eventualità, della secondarietà e dell’episodicità. Resta fermo il principio che per lo svolgimento di lavoro occasionale con compensi superiori a 5.000 euro, i professionisti dovranno iscriversi alla gestione separata Inps per il relativo versamento dei contributi previdenziali. Il Ministero del Lavoro segnala a tal proposito che gli iscritti alla gestione separata sono 36.000.
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I 10 canoni per la progettazione secondo il Principe Carlo aprono alla riflessione sull’architettura del XXII° secolo

Rispettare la natura, prediligere l’armonia e la tradizione, rimettere l’uomo (il pedone) al centro della progettazione urbanistica. Il Principe Carlo torna a dire la sua in materia di architettura e progettazione urbana e lo fa stilando una lista di 10 principi- contenuti all’interno di un breve saggio pubblicato lo scorso 20 dicembre sulle pagine della  rivista The Architectural Review- che gli architetti dovrebbero seguire nell’immaginare e realizzare le città del futuro. “Dobbiamo confrontarci- sottolinea il principe- con la terrificante prospettiva di altri tre miliardi di persone entro il 2050 sul pianeta con necessità abitative. E gli architetti e gli urbanisti ricoprono un ruolo enorme nell’affrontare questa sfida”.

Reazioni dure e contrastanti
L’erede al trono britannico non è nuovo nell’esprimere precise opinioni in tema di architettura che spesso lo hanno portato anche a duri botta e risposta con archistar del calibro di Richard Rogers, Zaha Hadid e Norman Forster. E la reazione del mondo dell’architettura, britannico e non, è stata anche stavolta roboante. Se c’è chi, come Alister Scott, professore alla Birmingham School of the Built Environment, accusa il principe di arroganza e superficialità nell’esprimere opinioni da una posizione privilegiata e inadatta a comprendere le reali esigenze dei cittadini, c’è invece un’altra parte della società, rappresentata fra tanti da Patrick Lynch, fondatore dell’omonimo studio di architettura londinese, che continua ad apprezzare il fatto che un personaggio pubblico si interessi di questioni architettoniche.
Un interesse per l’architettura che dura da più di trent’anni
Il recente intervento del Principe Carlo fa seguito infatti a decenni di impegno nel campo dell’architettura, iniziato 30 anni fa quando si pronunciò in termini duri sulla proposta di ampliamento della National Gallery di Londra, proseguito cinque anni più tardi con la pubblicazione del saggio ‘A Vision of Britain’, fino ai primi anni ’90 quando iniziò la realizzazione di Poundbury , villaggio satellite di Dorchester, nella contea di Dorset in Inghilterra, fortemente voluto e supervisionato dal Principe Carlo e realizzato da Leon Krier, molto vicino alle idee neo-tradizionaliste.
Il decalogo dell’erede è il seguente:
1. Gli sviluppi devono rispettare la terra: non dovrebbero essere invadenti e dovrebbero integrarsi al paesaggio circostante
2. L’architettura è un linguaggio: i nuovi progetti dovrebbero rispettare precise regole grammaticali per evitare dissonanze con le strutture esistenti.
3. La scala è la regola: i nuovi edifici dovrebbero rispettare sia la dimensione umana che quella degli edifici circostanti.
4. Armonia:  la ricchezza deriva dalla diversità, ma edifici dovrebbe essere in sintonia con le costruzioni vicine
5. Evitare costruzioni diverse, ma preferire agglomerati ben progettati e che incoraggiano gli spostamenti a piedi.
6. Prediligere l’uso di materiali naturali e locale, preferendo stili architettonici  tradizionali
7. Non abusare dell’utilizzo di segnaletica e illuminazione stradale
8. Il pedone deve essere al centro del processo di progettazione : più percorsi pedonali e meno strade per veicoli
9. Densità: evitare la realizzazione di grandi grattacieli che isolano i cittadini
10. Flessibilità: la pianificazione non dovrebbe essere rigida e convenzionale ma flessibile e innovativa
Il critico Douglas Murphy stila un ‘contro-decalogo’
Le reazioni, come già detto, sono state molte, forti e anche discordanti. Quella più complessa, e completa, è arrivata da parte del critico architettonico Douglas Murphy che, in un articolo pubblicato sul the Guardian, ha riferito come l’intervento del Principe fosse non solo dettato da un elitarismo insito nella propria figura ma anche come frutto di una particolare classe politica che non accetta spinte moderniste ed innovative, credendo che la soluzione ai problemi della popolazione risieda nel ritorno ai ‘vecchi e sani principi’. Ma va oltre Murphy, proponendo quello che potremmo definire un ‘contro-decalogo’ al manifesto reale con alcuni principi ritenuti fondamentali, quali:  “la città è di tutti”, “l’architettura non è un linguaggio “,” l’onestà è ancora una virtù “,” la strada non è tutto “, e forse il punto più critico: “il cambiamento è in arrivo: il prossimo secolo sarà fondamentale per l’umanità, e l’architettura avrà un ruolo enorme. I bei cottage realizzati in pietra locale non aiuteranno di certo.”
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“Così demoliremo via dei Fori imperiali”

Dopo il parere del tavolo degli esperti l’assessore Caudo pronto a abbattere la strada del Ventennio

Qual è il piano del Campidoglio, assessore Caudo?
“Nel disegno urbano, i Fori devono diventare un’area aperta, proprio come afferma l’ex soprintendente La Regina, da vivere prima ancora come cittadini che come turisti. Si deve consentire di realizzare singoli interventi ma dentro un quadro unitario e, infine, si deve stabilire una modalità di coordinamento tra tutti i soggetti interessati, in primis lo Stato e Roma Capitale”.

Ma il Campidoglio è per lo smantellamento della via e la riunificazione degli antichi Fori?
“Certamente. La commissione di esperti ha rimesso in discussione il vincolo monumentale su via dei Fori Imperiali, anche se sulla rimozione della strada mantiene una posizione contraddittoria e restituisce posizioni diverse. Per noi la rimozione dello stradone tra piazza Venezia e largo Corrado Ricci per liberare e dare continuità ai Fori Imperiali non può e non deve più continuare ad essere un tabù. Chiunque, dopo aver visto la bellissima ricostruzione virtuale del Foro di Augusto di Piero Angela, ha maturato la convinzione che non può esserci un nastro di asfalto sopra i Fori. Ed è quanto prevedeva già il Progetto di Leonardo Benevolo e di Francesco Scoppola nel 1988, bisogna ripartire da lì”.

Dunque la via è questa?
“La Commissione scrive che l’area archeologica “va resa più frequentabile e più vissuta dai cittadini, anche solo per la lettura di un giornale o di un libro, per una chiacchierata o per una semplice passeggiata o per il normale attraversamento, accompagnando i bambini a scuola o con le buste della spesa, valorizzando i tracciati esistenti”. E io sottoscrivo in pieno questa tesi, come quella per cui bisogna “evitare ogni forma di separatezza tra la città moderna di Roma, con i suoi bisogni e i suoi problemi, e quella antica””.

Ora serve un progetto definitivo.
“I prossimi mesi, come chiede il sindaco Marino, ci vedranno impegnati a mettere a frutto questo lavoro e ad aggiornare il piano urbanistico complessivo del Progetto Fori, lo faremo e lo discuteremo con il ministero Beni culturali. Bisogna avere il coraggio di un progetto unitario di grande respiro. Sul Colosseo e sulla proposta di ricostruire l’arena non ho elementi per potermi esprimere, mi fido di quanto ha detto La Regina e mi richiamo alla sua prudenza nel valutare le modalità con cui si possono portare avanti interventi in complessi monumentali così delicati. Oltre, ovviamente, all’opportunità di farli”.

Veniamo allo smantellamento di via dei Fori.
“Bisogna rimuovere via dei Fori imperiali fino a largo Corrado Ricci. Un progetto che sono convinto riuscirà a dare ancora corpo alle diverse stratificazioni che l’area ha avuto, compresa quella degli anni ’30, ma che sceglie di ricostituire l’integrità degli spazi dei Fori, assicurando la continuità fra Mercati Traianei, Foro di Traiano, Foro di Augusto, Foro di Nerva, fino al Foro della Pace voluto da Vespasiano. Un progetto che accetta la sfida dell’innovazione e della sperimentazione per disegnare i percorsi, anche a quote archeologiche, tra piazza Venezia e largo Corrado Ricci”.

E poi?
“Bisogna ripristinare le trasversali tra l’area archeologica e la città moderna che gli è cresciuta sopra e intorno. Ad esempio quella che, da piazza Monti, alla Suburra, attraverso via Baccina arriva al Foro di Augusto, lo attraversa e passando dietro il Campidoglio e dopo aver intersecato la via Sacra procede verso il Velabro, il tempio di Vesta e quindi il Tevere e si prolunga fin verso il basamento dell’Aventino con la risalita fino al giardino degli Aranci, per altro da poco ultimata. Una passeggiata unica al mondo, una esperienza urbana senza pari che restituirebbe un senso di cittadinanza a chiunque l’attraversi”.

Come si trasformerà piazza del Colosseo?
“Con la sistemazione di uno spazio pedonale che restituisca il rapporto con le preesistenze archeologiche ridando dignità ad esempio alla Meta sudans dalla quale si misuravano tutte le distanze ai tempi dell’antica Roma. Una sistemazione che superi l’attuale aiuola che “arreda” la piazza, che risolva l’uscita dalla stazione metro Colosseo e indirizzi i flussi pedonali verso l’inizio della via Sacra e, oltre l’arco di Costantino, verso l’ingresso al Palatino”.

E via dei Cerchi?
“Sarà pedonalizzata e si aprirà un accesso al Palatino. Palazzo Rivaldi sarà temporaneamente centro servizi e spazio espositivo in attesa della realizzazione della stazione della Metro C che potrà ospitarne uno più funzionale. Mentre a piazza Venezia, venuto meno il collegamento stradale con via dei Fori Imperiali, si può superare l’attuale sistemazione a rotatoria, che la fa sembrare uno spartitraffico. Ora, dopo i lavori della commissione, possiamo dare corpo al Progetto Fori come previsto dal Prg del 2008 e dare vita all’area archeologica più importante del mondo che sarà il cuore vivo e pulsante di una città millennaria ora estesa su un territorio metropolitano di cui sarà possibile comprendere e apprezzare la modernità e declinarla al futuro”.

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Convegno ” Città e territori nei progetti di Riforma Legislativa “

A cura del Dipartimento di Architettura di Pescara
Attualmente sono depositati in Parlamento diversi Disegni di Legge che, in qualche modo, riguardano tematiche inerenti l’attività edilizia ed urbanistica.  L’on. R. Morassut, nell’ambito dell’VIII Commissione Ambiente Territorio e LL.PP., sta lavorando ad un tentativo di testo unificato.
Uno di questi progetti di legge, il DdL presentato nel luglio scorso dal ministro M. Lupi “ Principi in materia di politiche pubbliche territoriali e di trasformazione urbana ”, assume un significato particolare perché si pone l’obiettivo di predisporre un   quadro normativo unitario   in grado di rinnovare le norme urbanistiche ed edilizie di interesse nazionale, risalenti alla LUN del 1942, la legge che dagli anni quaranta del secolo scorso si pone come scenario di riferimento per i processi di trasformazione urbana e territoriale nel nostro Paese.
Vista l’importanza e la valenza multidisciplinare che questo processo di riforma legislativa viene ad assumere, anche in considerazione dell’attuale contesto temporale (crisi del settore delle costruzioni, fragilità idrogeologica del territorio, necessità di rigenerazione urbana, etc.) il Dipartimento di Architettura dell’Università G. d’Annunzio di Chieti-Pescara, ha deciso di organizzare un convegno nazionale su queste tematiche invitando a partecipare autorevoli esponenti del mondo della politica, dell’accademia, degli istituti di ricerca, degli operatori del settore, e delle associazioni scientifiche ed ambientaliste.
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I 10 edifici più alti al mondo e mai terminati

Progetti approvati, iniziati e mai terminati. Sono molti di più di quanto possiamo immaginare gli edifici la cui costruzione è iniziata, talvolta è arrivata a buon punto e d’un tratto è stata bloccata. Le cause possono essere diverse e vanno dal fallimento delle imprese edili, da un cambio di gestione politica fino a scenari più apocalittici come lo scoppio di guerre. Ma il risultato non cambia: costruzioni a mezz’aria, edifici fantasma, destinati il più delle volte ad occupare il suolo nella loro veste dismessa.
A censire il patrimonio immobiliare ‘fallito’ è il Council on Tall Building and Hurban Habitat (CTBUH), che si concentra sui grattacieli e stila una classifica dei dieci edifici più alti mai completati. Ma come possiamo definire un edificio ‘non completato’? E’ semplice: quando un cantiere è stato aperto, poi fermato e in nessun documento è indicato che il lavoro continuerà.

La Top 10

Venendo alla classifica, il primo posto va alla gigantesca torre Nakheel a Dubai (foto), che svetta nel suo chilometro e più di altezza, ma che è destinata a non crescere più.  Il cantiere, iniziato nel 2008 è stato bloccato nel 2009, in seguito al fallimento dell’impresa di costruzioni e in cinque anni nessuno si è interessato a un rilancio del progetto. ??Altri tre progetti, rispettivamente al 6°, 8° e 9° posto, si trovano sempre nella città di Dubai e un quarto (al 5° posto, con 551 metri di altezza) a Doha, a conferma del fatto che gli Emirati Arabi hanno evidentemente una passione sfrenata per grattacieli e torri ma che non sempre le cose vanno come previsto.

Al secondo posto troviamo la India Tower , una torre alta più di 700 metri, iniziata nel 2010 e ‘terminata’ nel 2011. Segue la Russia Tower di Mosca, alta 612 metri e ferma dal 2008, lo stesso anno in cui sono iniziati i lavori, e che verrà riconvertita in parcheggio. Il Chicago Spire (foto sotto), al quarto posto della classifica, è alto 610 metri ed è una ‘vittima della crisi finanziaria’: è fallito, insieme al suo costruttore Garrett Kelleher, che ha sulle spalle un debito di 79mln di euro, nel 2008.

Ma non è soltanto la crisi a mietere vittime. La seconda guerra mondiale ha fermato la costruzione del Palazzo dei Soviet (al 7° posto nella Top10 con i suoi 495 metri di altezza), un colosso burocratico che Stalin voleva costruire a Mosca, ‘sfidando’ apertamente e dichiaratamente la Tour Eiffel. Iniziata nel 1937, sarebbe stato l’edificio più alto del mondo in quel periodo, ma l’invasione nazista ne ha bloccato la realizzazione nel 1941. Considerando, però, che avrebbe dovuto avere sulla cima una grande statua di Stalin, forse per la Russia sarebbe stato un fardello molto pesante da portare.

To be continued…
Tutto qui? Nient’affatto. La lista stilata dal CTBUH è molto più lunga e comprende in totale 50  edifici che sono più alti di 150 metri. Incompleti, ovviamente. E la lista, avverte il  CTBUH, è destinata ad allungarsi nei prossimi anni.

 

http://www.casaeclima.com/ar_20441__ESTERO-Scenari-grattacieli-edifici-edifici-incompleti-ctbuh-I-10-edifici-pi-alti-al-mondo-e-mai-terminati.html

 

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