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L’#innovazione che vorrei nei comuni dal 2014 in poi

smart-city

I comuni italiani sono migliaia di enti pubblici territoriali che erogano il maggior numero di servizi essenziali alla collettività. Nei comuni c’è un fabbisogno di innovazione in vari ambiti, per la gestione efficiente della mobilità, dell’ambiente, dell’energia, della cultura, del settore sociale e scolastico, delle aree verdi, dei servizi all’utenza in generale.
L’innovazione nel 2014 dovrebbe permettere almeno:
l’ottimizzazione delle procedure operative interne agli uffici,
l’erogazione di migliori e nuovi servizi all’utenza,
la partecipazione e collaborazione dei cittadini alle scelte di governo locale.
Le amministrazioni comunali conoscono i problemi locali, ma spesso non riescono a individuare le soluzioni più idonee ad uscire dalle criticità, a volte chiedono e pagano nel mercato beni e servizi che poi non risolvono definitivamente i problemi. C’è una difficoltà ad individuare lo specifico fabbisogno di innovazione! Quali tipologie di innovazioni adottare nella Pubblica Amministrazione per superare le criticità, soddisfare i bisogni dei cittadini e migliorare la qualità della vita degli individui?
Un mix armonioso e intelligente di:
Innovazione Sociale (human-culture),
Innovazione di Processo (management),
Innovazione Tecnologica (tech).

[L’innovazione sociale]
è il tipo di innovazione più complessa e difficile da innestare dentro la Pubblica Amministrazione, in quanto deriva da processi non codificati (nè legiferati) e da approcci culturali squisitamente spontanei dei dipendenti e dirigenti, che, anche in caso di assenza di un forte supporto politico (all’innovazione), si propongono come attori di iniziative e progetti nuovi, sperimentali, casuali si ma orientati a funzioni tipiche di una città cosiddetta “intelligente”. L’innovazione sociale fuori dalle stanze degli enti pubblici è facile da individuare e monitorare, basta prestare attenzione alle realtà ormai diffuse dei coworking, dei fablab, dei barcamp, dei guerrilla gardening, degli hackathon, dei crowdsourcing, delle startup che animano i territori. L’ideale sarebbe mettere in diretta comunicazione e collaborazione queste realtà esterne direttamente con i dipendenti e dirigenti della Pubblica Amministrazione. Questa “contaminazione” culturale può portare ad uno svecchiamento delle politiche e metriche gestionali degli enti pubblici a cominciare dalla gestione degli spazi pubblici esterni, degli spazi verdi, o di quelli dismessi e abbandonati. I soggetti e le associazioni private attive nel campo dell’animazione territoriale possono essere di grande aiuto alla Pubblica Amministrazione che spesso non riesce a valorizzare tanti immobili e spazi non utilizzati. Queste contaminazioni culturali e di metodo dovrebbero avvenire con una frequenza temporale costante (es. mensile), diventare nuova consuetudine.
L’innovazione sociale dentro la P.A. si può agevolare attraverso l’utilizzo di format aggregativi quali le GOVJAM ad esempio, utilizzate da qualche anno e con risultati positivi in varie città del mondo. Dipendenti pubblici e soggetti privati a vario titolo ed esperienza si incontrano per 48 ore ed insieme, attraverso l’uso di tecniche di gioco e strumenti multimediali, costruiscono, disegnano progetti utili alla collettività e li caricano istantaneamente su idonei portali web rendendoli pubblici. Un format che da ai dipendenti pubblici e ai soggetti della Società civile ruoli operativi precisi. L’innovazione sociale dentro la P.A. sopperisce alle leggi vigenti che spesso non riescono ad innovare efficacemente i modelli e processi gestionali interni in quanto sono disposizioni imposte e quindi viste come scomode o difficili da attuare. L’innovazione sociale fuori dalla P.A. è libera da schemi e quadri legislativi di riferimento, per questo si diffonde con velocità portando vantaggi nella vita quotidiana di tutti.
L’innovazione sociale dentro la P.A. per realizzarsi si deve alimentare di dipendenti e dirigenti intraprendenti e creativi (ci sono, tranquilli!), con idee nuove, sperimentali, capaci di fare rete dentro la stessa P.A. in maniera trasversale, orizzontale (uso di servizi cloud), in controtendenza alle tradizionali modalità organizzative per compartimenti stagni (la UO, il Servizio, l’Ufficio, il Settore, l’Area). E’ quello che sta succedendo nelle città più intelligenti e lo si legge chiaramente nel Vademecum delle smart cities italiane dell’ANCI (pag. 14): “…organizzazioni costruite in funzione delle policy e dei progetti più rilevanti, piuttosto che (come spesso accade ora) solo in funzione della produzione diretta dei servizi”. E ancora a pag. 17: “Lavorare nell’amministrazione: dalla conoscenza verticale all’integrazione orizzontale. Molte delle città che hanno avviato il percorso di programmazione (smart city, n.d.A.) sono partite dal confronto tra i settori interni dell’amministrazione stessa. Superare la verticalizzazione interna dell’amministrazione è una delle prime sfide delle città in trasformazione.”
L’innovazione sociale dentro la P.A. ha bisogno di utilizzare strumenti di cloud per la condivisione e gestione di dati/informazioni/progetti/attività; senza cloud si resta isolati e fuori dalle logiche operative e collaborative di rete. Capita sovente che più dipendenti, anche appartenenti a diversi enti pubblici, condividono documenti di lavoro su piattaforme online gratuite di cloud di terze parti, ma lo fanno perchè sentono l’esigenza operativa quotidiana di usarli, perchè sono consapevoli dei benefici che ne derivano, quelli sono in qualche modo innovatori che usano strumenti di lavoro spesso non forniti dalle rispettive amministrazioni!
L’innovazione sociale dentro la P.A. deve permettere (data input) e deve gestire (data management) la partecipazione dei soggetti attivi della Società alle scelte di governo del territorio: “core” della democrazia partecipativa. L’innovazione sociale dentro la P.A. serve contemporaneamente a migliorare la qualità interna della P.A. ed a migliorare i rapporti che la P.A. intrattiene con la Società.
L’innovazione sociale nella P.A. è l’uso quotidiano dei social network da parte di ogni singolo ufficio per migliorare la qualità e quantità della comunicazione pubblica con la collettività. Oggi Linkedin facilita la costruzione di partenariati trasnazionali per progetti da presentare a seguito delle call europee.
L’innovazione sociale nella P.A. è pensare alla produzione e rilascio dei dati in formato aperto (open data) nel momento preciso in cui si avvia una qualsiasi attività lavorativa negli uffici che prevede l’uso di dati e informazioni, a partire da quelli già in possesso dell’ente: questo serve non soltanto a raggiungere gli obiettivi imposti per legge di “amministrazione trasparente” (d.lgs. 33/2013), ma anche per dare l’opportunità alla società più creativa di generare applicazioni e servizi innovativi utili a tutti derivanti dall’uso e riuso degli open data.

[L’innovazione di processo]
è necessaria per:
permettere il miglioramento (o ridisegno) delle procedure operative esistenti dentro una Pubblica Amministrazione,
permettere l’ottimizzazione dei flussi di lavoro e dei tempi,
consentire una più efficace interazione e comunicazione tra i dipendenti pubblici,
permettere l’adozione di applicativi gestionali nuovi, più efficaci e user friendly,
permettere ai dipendenti di usare le videoconferenze su piattaforme online gratuite evitando tanti inutili spostamenti fisici o invio di lettere per piccoli chiarimenti e conseguenti rimpalli di competenze con perdite enormi di tempo,
stabilire degli indicatori di performance dei servizi pubblici erogati dagli uffici, (indicatori da rendere online), al fine di dare alla Società e alla stessa P.A. un metro di valutazione realmente oggettivo dell’efficacia del metodo e procedura utilizzata dagli uffici, abilitando in tal maniera la Collettività ad effettuare attività di ranking online in grado di fornire indicazioni alla P.A. per eventuali aggiustamenti.
abilitare i dipendenti all’uso dei servizi cloud per la condivisione/gestione documentale (collaborazione),
permettere a tutti i dipendenti della P.A. la consultazione (data visualisation) delle banche dati georeferenziati, mantenendo solo a chi ne ha il ruolo l’immissione dei dati (data entry),
permettere l’interscambio completo delle banche dati tra i diversi uffici eliminando definitivamente l’invio di carta per richieste dati all’interno dello stesso ente (osceno nel 2014), ecc.
generare la pubblicazione di set di dati in formato aperto (open data), quale procedura automatica abilitata dagli applicativi usati ogni giorno dai dipendenti nello svolgimento delle proprie mansioni,
abbandonare possibilmente per sempre (senza che nessuno si offenda) il vecchio e sudicio fax.
Alla base dell’innovazione di processo si pone l’inevitabile attività di ridisegno dell’architettura interna dei servizi e degli uffici (vecchia di svariati decenni), ovviamente dopo avere condotto un’accurata radiografia/ricognizione delle competenze e ruoli di ogni singola Unità Organizzativa (= la cellula organizzativa di lavoro più piccola dentro la P.A.). Per ridisegnare l’architettura interna dei servizi e degli uffici è necessario che l’intero ente pubblico con le sue figure apicali si metta in discussione, senza mantenere assetti preesistenti consolidati spesso non più in funzione dell’efficacia ed efficienza della governance urbana!
Questo è il punto di partenza per l’innovazione di processo, che può essere generata solo attraverso
una conversione culturale della classe politica, della dirigenza tecnica/amministrativa e dei dipendenti, (c’è anche innovazione sociale in questo punto),
una forte motivazione delle figure apicali delle amministrazioni pubbliche ed il pieno supporto della classe politica che governa l’istituzione (quindi: sindaco + tutti gli assessori + tutti i dirigenti = tutti compatti).
L’innovazione di processo è innovare il modo in cui si lavora, il modo in cui fanno le cose quotidiane dentro gli uffici, innovare le interrelazioni tra gli uffici interni, innovare le relazioni di lavoro tra ufficio e cittadini. Per disegnare i nuovi assetti di un ente pubblico locale, al fine di assicurare una maggiore efficienza/efficacia nel governo del territorio, inevitabilmente bisogna fare riferimento alle 40 professioni ICT dello schema europeo E-competence Framework 3.0, in modo tale che tutto il processo di reingegnerizzazione dell’ente orientato all’uso intelligente dell’ICT sia effettuato da personale dotato di competenze professionali specifiche. Quindi partire dalla redazione e approvazione di un dettagliato Piano ICT comunale, ampiamente condiviso, nel quale stabilire almeno:
competenze ICT da individuare in ogni ufficio assicurando una rete interna con modalità operative omogenee,
obiettivi da raggiungere con i rispettivi tempi e responsabilità,
tecnologie digitali da utilizzare per ottimizzare il lavoro quotidiano,
procedure operative omogenee da seguire nei diversi uffici per ogni servizio da erogare all’utenza,
modalità di monitoriaggio e scelta di indicatori semplici per valutare nel tempo le prestazioni dei vari uffici dell’ente,
modalità operative di partecipazione online dei cittadini all’azione di governo,
modalità di comunicazione online dei vari uffici (amministrazione trasparente, social network vari,…),
ecc.
Nell’era caratterizzata da un uso massiccio di strumenti ICT, i dipendenti di una PA identificati come maggiori esperti “informatici” nelle varie aree devono poter collaborare in rete quotidianamente al fine di implementare costantemente le funzionalità della piattaforma digitale utilizzata, assicurando sempre l’omogeneità, la semplicità e la standardizzazione delle procedure operative in maniera tale che l’avvicendamento periodico di operatori non comporti ritardi nell’erogazione dei servizi all’utenza. Fare in modo che gli applicativi gestionali vengano disegnati e sviluppati con un unica architettura gestionale per tutti i servizi web della stessa PA e avendo in mente che gli utilizzatori finali sono i cittadini, per la maggior parte senza particolari conoscenze informatiche. Evitare al cittadino servizi web che prevedono operazioni quali: scarica il file, stampalo, firmalo, scansionalo, ricaricalo online e quindi invialo, optando per procedure più semplici analoghe a quelle utilizzate nel campo dell’e-commerce (acquisto biglietti aerei, oggetti, ecc.). Un Piano ICT comunale deve stabilire con chiarezza questo e tanto altro ancora.
L’innovazione di processo deve portare all’abbandono delle procedure che comportano ancora l’uso della carta (oppure l’orrenda abitudine di stampare le email), la duplicazione di procedure/attività solo per mantenere gattopardiane abitudini consolidate nel tempo. Richiede l’uso intelligente di applicativi gestionali online (e non sul pc), e open source, in grado di permettere la gestione totale dei flussi di dati/informazioni insieme alla relativa pubblicazione periodica nel portale web istituzionale (raggiungendo gli obbiettivi di “amministrazione trasparente”).
L’entrata in vigore di nuovi obblighi normativi può comportare difficoltà ad un ente non attrezzato con processi gestionali innovativi: lo spettro delle sanzioni per l’inadempienza porta a lavorare comunque, ma perdendo l’efficienza operativa. Viene in mente il Decreto 33/2013 Trasparenza che impone la pubblicazione delle informazioni sulle attività di un ente pubblico, obiettivo estremamente positivo, ma che per la sua completa attuazione comporta il ridisegno degli applicativi gestionali dell’ente se si vogliono evitare duplicazioni di attività e tempi. Mi spiego meglio: è o non è insensato redigere ordinanze, deliberazioni, determinazioni, bandi, capitolati, ecc. attraverso l’uso di editor di testo di terze parti e successivamente impiegare ulteriore tempo per reimmettere le stesse informazioni degli atti citati, con altri software diversi dai primi, su un portale web per ottemperare agli obblighi del D. Lgs.33/2013 Trasparenza ?! Si può fare il lavoro una volta sola andando a soddisfare 2 esigenze diverse se la P.A. fa prima innovazione di processo.

[L’innovazione tecnologica]
permette ed abilita gli individui a co-gestire informazioni e dati e processi partecipativi in maniera tale che la Società ne possa beneficiare in vari campi e nella maniera più totale/completa/ottimale possibile. L’innovazione tecnologica è un fattore fortemente abilitante, che fornisce gli strumenti idonei per fare le cose al meglio, farle in maniera partecipata nell’era dell’Open Government, quindi attraverso flussi di dati/informazioni bidirezionali (dalla e alla Pubblica Amministrazione).
Questa tipologia di innovazione si rivolge sia a chi produce software/hardware che alla vasta platea di utenti dal dipendente pubblico all’associazione, all’impresa, al cittadino. Molte città del mondo già impegnate a realizzare progetti concreti per diventare luoghi intelligenti, cioè luoghi che migliorano la qualità della vita di tutti, hanno sperimentato con successo l’uso delle piattaforme digitali abilitanti, che permettono ai dipendenti di una P.A. e ai cittadini/imprese/associazioni di una Società:
la generazione e condivisione di un flusso bidirezionale di informazioni/dati utili sia alla P.A. che alla Società. A tal riguardo ci viene ancora in aiuto il Vademecum delle città intelligenti (a pag 18) “I data analytics hub: i dati IN comune. Ancora in poche città è possibile osservare all’opera un vero e proprio sistema cittadino che integra in un singolo centro di data analytics i dati provenienti da un grande numero di agenzie su fenomeni centrali come il controllo del traffico, delle emergenze e le infrastrutture dei servizi, insieme anche ai dati generati dai cittadini o dalle imprese”;
la generazione di servizi nuovi online che fino a poco tempo fa la Società non fruiva, si pensi ad esempio alle applicazioni su dispositivi in mobilità o servizi web georeferenziati che possono essere realizzati non solo dalla P.A. ma anche dalla comunità degli sviluppatori e civic hackers che dispongono dei dati pubblici in formato aperto;
la generazione di un senso di fiducia nuovo da parte della Società nei confronti della P.A. che governa i territori;
la gestione ottimale delle procedure di lavoro interna della P.A. con riduzione dei tempi operativi, azzeramento delle duplicazioni, permettendo la dematerializzazione;
la generazione di proposte e progetti da parte della Società (Associazioni, Cittadini, …) che la P.A. può recepire e co-gestire insieme al proponente sulle stesse piattaforme digitali abilitanti (in puro spirito Open Government);
la generazione automatica di set di dati aperti come processo di output delle funzioni operative svolte quotidianamente dai dipendenti, fattore che permette agli sviluppatori di realizzare applicazioni dai contenuti dinamici, aggiornati tempestivamente.
L’innovazione tecnologica, se pianificata, progettata e ingegnerizzata da un ente pubblico sia attraverso la consultazione capillare di tutti gli uffici interni che dei vari soggetti della Società civile (Associazioni categoria, Ordini professionali, ecc), ingloba al tempo stesso l’innovazione di processo.
Le piattaforme digitali abilitanti (dashboard, pannelli di controllo) stanno diventando gli ecosistemi di gestione intelligente del territorio, gli attrezzi per effettuare anche le analisi predittive degli amministratori pubblici, abbracciano ambiti quali: energy management, sicurezza urbana, mobilità, logistica urbana, spazi pubblici, aree verdi, aree sportive, servizi sociali e scolastici, cultura, biblioteche digitali, protezione civile, ecc. Funzionano solo con l’immissione giornaliera di dati e informazioni per poi essere organizzate/elaborate/aggregate/…e rilasciate sotto forma di servizio web utile alla PA e alla collettività.
Vengono chiamati anche Cruscotti Smart City per indicare un pannello di controllo di informazioni, dati, analisi, processi, scenari,… (il caso di Torino nel Vademecum delle città intelligenti, pag. 179).
Le piattaforme digitali devono permettere l’erogazione di servizi cloud per la memorizzazione, gestione e condivisione di una mole notevole di dati/informazioni che un qualsiasi cittadino/associazione, dietro procedura di autenticazione, intende mettere a disposizione della P.A.
L’innovazione tecnologica HW/SW è fondamentale per attuare concretamente l’agenda digitale, per omogeneizzare le “procedure” digitali necessarie alla fruizione di uno stesso servizio pubblico nei comuni del territorio nazionale, che già al nascere sono “procedure diverse” da città a città.
L’innovazione tecnologica nella P.A. deve servire per fare in modo che tutti gli uffici abbiano velocità elevata di connessione alla rete, evitando disservizi causati da tempi lunghi di latenza, e dando priorità alle soluzioni tecniche che minimizzano impatti ambientali e spesa.
L’innovazione tecnologica è essenziale per generare cambiamenti positivi e tempestivi nella Società, la nuova metodologia degli appalti pre commerciali (PCP – Pre Commercial Procurement) potrebbe supportare tantissimo la P.A. italiana nel migliorare le proprie performance nel governo del territorio. E’ auspicabile un ricorso a tale procedura, che consente un ideale incontro tra la P.A. dei servizi e il mondo della ricerca tecnologica (al riguardo il PCP è contemplato dal Programma europeo Horizon2020 [1] – [2] – [3]). Che le nuove programmazioni finanziarie pubbliche nazionali e regionali 2014-2020 (con la Strategia Regionale dell’Innovazione) diano ampio spazio alla metodologia degli appalti pre commerciali per soddisfare meglio i fabbisogni di innovazione tecnologica dei numerosi Comuni. E mentre noi leggiamo una Università slovacca ha persino costruito una piattaforma digitale per la gestione ottimale e smart delle diverse procedure prevista dal PCP.

— Conclusioni non innovative —
L’innovazione è un processo umano che deriva da un attitudine culturale: idee che camminano nella testa delle persone e si trasformano dopo in comportamenti anche senza una legge statale che lo imponga.
Le 3 tipologie di innovazioni elencate devono essere pensate e fuse insieme e non tenute separate da una linea di confine tecnico/amministrativo come spesso avviene nelle funzioni di alcune #PA.
Le innovazioni tutte avvengono realmente quando il numero di soggetti della P.A. e della Società Civile coinvolti nel ridisegno del funzionamento dei servizi pubblici (reingegnerizzazione ICT), è il maggiore possibile = esiste una diretta proporzionalità.
L’innovazione è un processo politico: se i politici che governano il territorio lanciano gli input di azione attraverso piani definiti senza “burocraticizzare” ogni singola iniziativa, l’innovazione sarà oleata ed agevolata per generare mutamenti positivi e rapidi nella Società.
Dai processi di innovazione nessun individuo della Società è escluso: tutti hanno una conoscenza utile, ma devono essere disposti a condividerla facilmente e quotidianamente nella rete = la foresta pluviale è un ecosistema ricco di vita e rigoglioso proprio perchè fatto di tante specie diverse che coesitono (“the Rainforest”, V.Hwang & G.Horowitt, 2012).
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Enjoy your innovation

Ciro Spataro (da innovatoripa.it)

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Rassegna stampa > Roma: il Corviale si riqualifica e diventa sostenibile

wise-society-people-for-the-future-logoA trent’anni dalla sua costruzione l’edificio della periferia di Roma esempio negativo di architettura popolare punta alla rinascita grazie ad un progetto condiviso

E’ possibile trasformare un esempio di architettura residenziale poco riuscita in uno spazio riqualificato dove pensare persino di sperimentare un nuovo modo di abitare la città? Sembra proprio di sì, secondo quanto emerso dal Forum dedicato alla rinascita di un edificio che in realtà, per dimensioni, costituisce da solo un quartiere della periferia ovest di Roma, il Corviale. Il titolo della kermesse, svoltasi a Roma tra il 21 e il 23 novembre scorso, Corviale 2020, intelligente sostenibile inclusivo, rispecchia la giusta ambizione degli abitanti che affiancati dalle istituzioni (Regione Lazio, Comune di Roma, Ministero per i beni e le attività culturali, Facoltà di architettura della Sapienza, Istituto case popolari) si stanno impegnando nel progetto diriqualificazione degli spazi del quartiere  attraverso un protocollo di intesa in cui l’obiettivo è di “promuovere e favorire tutte quelle attività volte a innalzare la qualità della vita e per il benessere della comunità, attraverso lo sviluppo di una cultura dell’abitare e del paesaggio”. L’idea è di creare un modello abitativo innovativo che preveda non solo il consumo ma anche la produzione di energia, di cibo, di innovazione. Insomma l’affermazione di un’economia che genera inclusione sociale e diminuzione della spesa del welfare.Ma cos’ è Corviale? Si tratta di un progetto di edilizia popolare nato alla fine degli anni ’60 in una situazione in cui il problema di dare una casa agli operai era centrale. A questo rispondeva l’idea, per molti versi utopistica, dell’architetto Mario Ferrandino. Ma Corviale divenne in breve l’emblema deldegrado urbano, di povertà e delinquenza. In una parte – l’intero quarto piano, che i progettisti avevano destinato a spazi comuni e commerciali – l’edificio fu occupato in modo abusivo da intere famiglie che oramai lì ci vivono da trent’anni. Una leggenda metropolitana è arrivata addirittura ad accusare Corviale di essere la causa della scomparsa del ponentino, il famoso vento romano… Insomma ciascuno si è fatto un’idea di quello che è anche chiamato il Serpentone, comprese le molte amministrazioni pubbliche succedutesi alla guida della città che hanno oscillato dalle ipotesi estreme di riqualificazione a quelle di abbattimento. Si è detto che Corviale sia troppo grande (e in effetti l’edificio principale è alto nove piani), troppo lungo (un chilometro, adagiato come un enorme grattacielo sul terreno), troppo isolato (qualcuno ha aggiunto, situato tra la fine della città e la campagna). Quello che è evidente è che versa in stato di degrado, avendo necessità, a trent’anni dalla sua costruzione, di manutenzione soprattutto delle parti esterne e di rifacimento degli impianti, alcuni mancanti come quelli antiincendio. E non è un luogo piacevole dove vivere per le oltre 8000 persone che occupano i 1300 appartamenti anche perché mancano spazi di aggregazione, previsti dal progetto ma mai costruiti.Ma negli ultimi anni, è accaduto qualcosa di diverso e di importante che rende Corviale una realtà molto più viva e complessa di come appare a una prima superficiale impressione. “Accanto alle criticità esistono – ha detto l’architetto Paolo Castenovi del Politecnico di Torino – anche potenzialità da sfruttare che rappresentano l’altra faccia della medaglia, per ripensare a un modo nuovo di abitare questi spazi”. Per esempio, proprio per la sua posizione periferica ma immersa nel sistema dei parchi più vasto della città costituito dalla Tenuta dei Massimi e dalla Valle dei Casali, Corviale può funzionare da cerniera tra città e campagna svolgendo un ruolo di integrazione con gli spazi rurali, peraltro molto belli dal punto di vista paesaggistico. Esiste inoltre una forte identitàrispetto a Corviale da parte dei suoi abitanti che può costituire un punto di forza. Infine, è vero che è isolato, ma proprio perché circondato da spazi vuoti, è facile intervenire per creare o migliorare le aeree comuni destinate a servizi e usi pubblici e dall’arrivo dei primi inquilini nel ‘82 sino a oggi, qualcosa è stato fatto. Sono stati costruiti impianti sportivi, uffici pubblici e una piscina comunale, sono attive associazioni come il Calcio Sociale e il Rugby, esiste una biblioteca. C’è un giornale on line, www.corviale.com in cui si svolge anche attività di formazione giornalistica. Da uno spazio abbandonato è nato il Mitreo, centro culturale e artistico di arte sede del comitato Corviale Domani e un mercato a km zero si svolge settimanalmente per le strade del quartiere e raccoglie i prodotti delle aziende agricole circostanti. I cittadini di Corviale, ora puntano a un salto di qualità per trasformare il Serpentone da “mostro” a esempio virtuoso. Per questo il sociologo Fabrizio Battistelli della Sapienza di Roma, ha parlato di “rigenerazione degli spazi”, da realizzare attraverso due strumenti: la partecipazione popolare e lo sviluppo economico sostenibile. Anche la cultura, in questo processo di crescita, “dev’essere integrazione sociale e rilancio” come ha sottolineato l’assessore alla cultura di Roma Flavia Barca – e “questa è una sfida nuova per il quartiere e la città intera che può diventare un modello da esportare anche all’estero”.

In termini concreti, è in attesa di essere messa a disposizione per gli interventi sul territorio una somma consistente già stanziata di quaranta milioni per partire con la riqualificazione degli spazi e la ristrutturazione degli edifici. Ed anche per realizzare quell’idea che sicuramente potrebbe rivelarsi il simbolo della rinascita di Corviale: il riuso del tetto “più grande del mondo”come luogo vitale di incontro e di aggregazione di persone, beni, informazioni che operano nelSerpentone. Il progetto prevede la creazione di uno spazio verde – costituito da serre idroponiche(tecnica di coltivazione fuori suolo), pergole fotovoltaiche, orti e verde pensile, laboratori artigianali e mini fab lab per servizi digitali personalizzati. – in stretto dialogo con il territorio circostante. In primo luogo con lo spazio che circonda gli edifici che dovrà contenere aree riconoscibili di aggregazione, come le piazze, che oggi non esistono, e poi piste ciclabili e un sistema di pedonalità diffusa. L’integrazione del sistema verde creato sul tetto di Corviale dovrà svilupparsi anche con l’ampia campagna e il bosco circostante per mettere le basi ad un’economia sostenibile, in grado di generare profitti ma anche di fornire migliore qualità di vita.

http://wisesociety.it/

http://wisesociety.it/architettura-e-design/roma-il-corviale-si-riqualifica-e-diventa-sostenibile/




Mannheimer: “Qualità della vita in periferia a Roma, netto peggioramento”

periferieIl presidente dell’organismo di verifica lancia l’allarme su trasporti, scuole e biblioteche
“QUALITÀ della vita in calo e servizi in molti casi inefficienti”. L’allarme è lanciato da Renato Mannheimer, lo studioso che dal luglio del 2012 è presidente dell’Agenzia per il controllo e la qualità dei servizi pubblici localidi Roma Capitale.

Presidente il calo della qualità della vita è molto elevato?
“Possiamo dire che rispetto al 2012 siamo passati da una valutazione di 6,27 su 10 ad una di 5,95. In sostanza, per i romani la qualità della loro vita non raggiunge la sufficienza”.

È un sentimento che riguarda tutti oppure viene vissuto diversamente nei vari quartieri della città?
“Il malessere riguarda tutti, ma alcuni più di altri. La zona dove la qualità della vita in generale è migliore è quella esterna verso i sobborghi “buoni”. Il complesso dei servizi pubblici migliora avvicinandosi al centro, viceversa in periferia sta peggiorando molto dal punto di vista dei trasporti, dell’accesso culturale per esempio alle biblioteche, della scuola pubblica”.

Dove risiedono le maggiori criticità?
“Le principali denunce dei residenti intervistati arrivano dalle periferie e si rivolgono soprattutto come dicevo all’accessibilità dei servizi legati al territorio come i trasporti. Insomma i servizi più problematici, come la pulizia delle strade e il trasporto pubblico di linea, non hanno registrato cenni di miglioramento. La maglia nera forse spetta all’igiene urbana, servizio erogatodall’Ama in virtù di un affidamento diretto che scadrà nel 2015 e regolato da un contratto di servizio ormai obsoleto e non rispondente alle prestazioni erogate dall’azienda”.

A che punto siamo con i piani della raccolta differenziata?
“L’ambiziosa tabella di marcia del Patto per Roma, che mette la raccolta differenziata alla base dell’uscita dall’emergenza (con obiettivi che vanno dal 30% nel 2012 al 65% nel 2016, con il banco di prova del 40% da realizzare nel 2013), trova nell’alto costo del servizio a carico degli utenti una difficoltà ulteriore,
che pone vincoli di sostenibilità economica per l’incremento delle differenziate e getta un grosso punto interrogativo sul futuro della raccolta nella Capitale”.

Chi ha ottenuto invece la promozione?
“Tra i servizi promossi ci sono l’acqua potabile e la cultura. Mediamente soddisfacente il settore del sociale (6,4) con le farmacie comunali che si sono meritate 6,8, gli asili nido che guadagnano un 6 e i servizi sociali municipali 6,3”.

di DANIELE AUTIERI

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Come rendere verdi e pedonali le periferie urbane

seattleOggi più che mai è attuale il dibattito sullo stile di vita attivo, opposto come modello salutare a quello sedentario e dipendente dall’uso dell’automobile per qualsiasi minimo spostamento.
Si tratta di una questione particolarmente importante in un Paese come gli Stati Uniti, dove la conformazione delle cittadine provinciali e dei suburbs (le periferie urbane), costituite da abitazioni isolate, grandi centri commerciali sparsi e mega arterie stradali trafficate, favorirebbero l’uso smodato delle macchine, a discapito degli spostamenti a piedi. Il tutto con ricadute negative sulla salute dei residenti, a rischio obesità e attacchi cardiaci.
MODIFICARE I CENTRI URBANI E SUBURBANI A FAVORE DEI PEDONI E DEL VERDE. In molti urbanisti e architetti si stanno quindi interrogando su come invertire questa tendenza in positivo, modificando questi centri residenziali a favore dello stile di vita attivo. Un esempio ben riuscito in tal senso è rappresentato dal quartiere Northgate, a nord di Seattle, recentemente interessato da un profondo – e ragionato – intervento di retrofit, in chiave green.
PIÙ DENSO, PIÙ VERDE. Northgate è sempre stato “famoso” per essere sede di alcuni dei più antichi centri commerciali del paese, ma anche – negli ultimi tempi – per l’alto numero di malattie croniche associate a stili di vita sedentaria e per i numerosi decessi da incidenti stradali. Ragion per cui un team di progettisti è stato incaricato di riqualificare un’ampia porzione del quartiere, seguendo tre principali direttive: rendere interrati i parcheggi, riportare alla luce il torrente Thornton Creek, costretto sotto terra, e realizzare un vicinato denso, efficiente e verde, con spazi in comune, dove ritrovare il gusto dello stare all’aria aperta e muoversi a piedi.
CONDOMINI LEED SILVER E SPAZI COMUNI. Per Northgate i progettisti, insieme ad una squadra composita di urbanisti e paesaggisti, hanno stabilito un’infrastruttura civica di nuovi parchi, una nuova biblioteca pubblica, un centro comunitario e un grande parcheggio sotterraneo in comune. Tutt’attorno sono stati realizzati una serie di condomini certificati LEED Silver (di cui una parte con alloggi a prezzi agevolati), che incorporano un sistema di teleriscaldamento e che, in fase di cantiere, hanno riciclato il 90 per cento dei rifiuti da costruzione. Tutt’attorno è stato ripristinato l’habitat naturale del fiume Thornton Creek, che aiuta ad assorbire l’acqua piovana in eccesso e che nel giro di pochi mesi ha attirato una serie di specie vegetali e faunistiche andate disperse.
IN MOLTI RESIDENTI HANNO RINUNCIATO ALL’AUTO DI PROPRIETÀ. I risultati non si sono fatti attendere: in moltissimi residenti hanno scelto di rinunciare all’auto di proprietà, preferendo i mezzi pubblici e il car sharing, mentre biblioteca e centro di incontro hanno registrato subito un alto numero di iscritti.

L’auspicio è che ora altri suburbs – americani e non – possano seguire l’esempio.
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Napoli, inaugurata la metro Quartieri Spagnoli: «È la più bella d’Europa»

metroLa metro arriva nel cuore dei Quartieri spagnoli a Napoli: la seconda uscita della stazione Toledo della Linea 1 è stata inaugurata oggi.
La seconda uscita, aperta ai passeggeri a partire dalle 14, completa il tema del progettista catalano Oscar Tusquets Blanca che attraverso i colori ha indicato sui muri della metro i livelli di profondità: il nero per la terra, l’ocra del tufo, l’azzurro dell’acqua. Due tapis roulant conducono da Toledo a Montecalvario e sui pannelli retroilluminati ci sono gli scatti del fotografo Oliviero Toscani, raccolti nell’opera Razza Umana.
Dai 50 metri di profondità si risale con la scala mobile più lunga d’Europa, circa 60 metri, superando un dislivello di 31 metri. I pannelli in nero portano la firma dell’artista statunitense Laurence Weiner e l’ingresso è decorato dal pannello in mosaico di ceramica di Francesco Clemente.
«La stazione rientra nel piano di completamento – spiega il presidente della Metropolitana di Napoli, Giannegidio Silva – della linea che ci porta a inaugurare due stazioni all’anno con un ritmo regolare».
L’intera Linea 1 Dante-Garibaldi ha costo complessivo di più di 1,3 miliardi di euro ed è inserita tra i Grandi Progetti approvati dall’Unione Europea. La Regione Campania ha assegnato più di 700 milioni di euro di risorse Por, cui si aggiungono 659 milioni di altre risorse (fondi statali, fondi privati e mutui del Comune di Napoli). Dal Por sono stati già erogati 434 milioni.
«Un’opera funzionale che collega via Toledo con i Quartieri spagnoli e che ha portato a una riqualificazione importante» ha detto il sindaco di Napoli. Fatti salvi imprevisti dell’ultim’ora, «il prossimo 30 novembre ci sarà l’inaugurazione della stazione metropolitana, sempre Linea 1, di piazza Garibaldi» e «dal primo dicembre partiranno i cantieri per la tratta Centro direzionale-Capodichino».
«Non è un caso che abbiamo inaugurato l’uscita di Montecalvario durante la settimana della mobilità sostenibile – ha affermato -. Ed è frutto del lavoro sinergico e forte tra Regione Comune e metropolitana».
«Questa stazione verrà premiata in settimana a Londra come la più bella stazione d’Europa – ha concluso il sindaco – un bel segnale per la città».
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