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Cinema. Oscar, il corto “Tiger Boy” in corsa per le nomination

Cinema/Oscar, il corto "Tiger Boy" in corsa per le nominationL’Academy of Motion Picture Arts and Sciences ha selezionato il pluripremiato cortometraggio del regista italiano Gabriele Mainetti, “Tiger Boy”, tra i dieci finalisti per la nomination all’Oscar – categoria “live action short” – all’86esima edizione degli Academy Awards. Per poter accedere alla prima selezione degli Oscar un cortometraggio deve aver vinto un premio Academy® Accredited (premio riconosciuto dall’Academy).

Ne esistono circa 120 sparsi tra Festival Internazionali di grande prestigio. “Tiger Boy” il suo lo ha conquistato al Flickerfest in Australia. Di questi 120 i migliori dieci competeranno per le nomination. Il corto di Mainetti è uno dei dieci finalisti. Le nomination saranno annunciate il 16 gennaio 2014.

“Tiger Boy” si è distinto per aver vinto il Nastro d’Argento 2013, il riconoscimento italiano più importante per la sua categoria. Il piccolo protagonista, Matteo, aveva già impressionato la giuria del Sindacato Nazionale Giornalisti Cinematografici, colpita dalla forza narrativa dell’opera: “Ina storia violenta raccontata con particolare delicatezza, per una molestia ripetuta e umiliante, che diventa riscatto e liberazione negli occhi di un bambino, vittima della pedofilia, capace di gettare la maschera solo quando si libera del proprio aguzzino”.

Tanti gli apprezzamenti per il cortometraggio di Gabriele Mainetti: l’opera è stata finalista al Globo d’Oro 2012 e al David di Donatello 2012, è arrivata seconda al 42esimo Giffoni Film Festival – Generator +13, si è aggiudicata il Premio Emidio Greco al Festival del Cinema Europeo di Lecce 2013 e il Premio Studio Universal al Maremetraggio 2013. Vincitore del Grand Prix du Film Court de la Ville de Brest al 27esimo Brest European Short Film Festival (Francia), “Tiger Boy” ha inoltre partecipato al 28esimo Santa Barbara International Film Festival (USA) come unico corto europeo in concorso, grande riconoscimento per il giovane regista da sempre affascinato ed influenzato dal cinema a stelle e strisce.

“Tiger Boy” è la storia di Matteo, un bambino di nove anni che si crea una maschera identica a quella del suo mito, “Il Tigre”, wrestler del popolare quartiere romano di Corviale. La maschera diventa una seconda pelle per Matteo e non vuole togliersela per nessuna ragione. Quello che a prima vista viene scambiato per un capriccio, in realtà è una drammatica richiesta d’aiuto che nessuno riesce a cogliere. Il dramma di “Tiger Boy” è al centro del cortometraggio realizzato nel 2012 dal regista Gabriele Mainetti, su soggetto e sceneggiatura di Nicola Guaglianone. Interpreti d’eccezione, il piccolo Simone Santini al suo esordio e gli attori italiani Lidia Vitale e Francesco Foti. Tiger Boy non è un esordio alla regia per Gabriele Mainetti, già apprezzato per il corto “Basette” del 2010 e per altri cortometraggi.

Il regista sta ora lavorando al suo primo lungometraggio “Lo chiamavano Jeeg Robot” (prodotto da Goon Films), che uscirà sul grande schermo nel 2014.

Questa è una notizia dell’agenzia TMNews.

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scheda film




Venere in pelliccia

pellicciaRegia : Roman Polanski;  attori : Emannuelle Seigner , Mathieu Amalric

Thomas ( Amalric)  sta uscendo da un teatro un po’ scalcagnato dove, tra gli scenari western di un precedente lavoro ( un musical belga tratto da “Ombre rosse”) , ha terminato i deludenti provini per il ruolo di Wanda nella versione teatrale di “Venere in pelliccia” di Von Sacher Masoch che lui ha curato. Bagnata di pioggia ed in ritardo entra Vanda(Seigner) , un’attrice cialtrona e volgarotta che insiste per fare il suo provino . Il  pur recalcitrante Thomas non riesce ad opporsi ma dalle prime letture appare affascinato dalla capacità dell’attrice a essere il personaggio. I due cominciano a provare, lui nel ruolo di Severin e lei in quello di Wanda (i due protagonisti del romanzo) e , mano a mano che la recita va avanti, lei lo coinvolge fino a  fargli perdere il senso del tempo e a costringerlo a lasciare per telefono la sua fidanzata ( una ragazza ricca, colta e salottiera, apprendiamo). Vanda/Wanda spinge il gioco fino a legarlo sul palcoscenico e , dopo aver improvvisato , nuda e con indosso la pelliccia di scena, una danza bacchica, a lasciarlo lì , allontanandosi nella notte.

Dopo “ Carnage”, Polanski dirige un altro film tratto da un dramma teatrale ( questo è la versione scenica di David Iles ) e ,soprattutto grazie alla chimica che si avverte tra i due protagonisti ( che erano già stati insieme ne “Lo scafandro e la farfalla” di Schnabel) , il racconto è avvincente . Amalric , truccato e pettinato come il regista, è bravissimo e la Seigner è sguaiatamente carnale . Quello che funziona meno è proprio il romanzo di partenza : sappiamo che Masoch vi aveva raccontato , con poche variazioni – Venezia anziché Firenze, l’amante un ufficiale greco anziché un attore italiano – , la propria personale esperienza con la scrittrice Fanny Pistor ; il romanzo ha avuto una gran fortuna extra-letteraria , tanto da far definire masochismo il piacere, descritto nel libro, della sofferenza ma qui finiscono i suo pregi : il racconto è mal scritto e pervaso di  lagnose lamentazioni che , oltre ad essere noiose, ne annullano il potenziale erotico ( un discorso simile, peraltro, si può fare per De Sade). Polanski ha sculacciato e frustato sullo schermo i sederi di Francoise Dorleac (“Cul de sac”), di Sharon Tate (“Per favore non mordermi sul collo”) e di Sydne Rome (“Che? “) ; ora prova a mettersi d’all’altra parte;  tecnicamente il risultato è ineccepibile ma la dolente ed irridente anima polanskiana si intravede appena.

altre letture: http://www.psychiatryonline.it/node/4665




Andiamo al cinema

fuga di cervelliFuga di cervelli

Regia : Paolo Ruffini ;  attori: Paolo Ruffini, Luca Peracino, Andrea Pisani, Guglielmo Scilla, Frank Matano , Olga Kent.

 Emilio è un nerd, è da sempre innamorato di Nadia ( Kent) ma non ha il coraggio di dichiararsi ed ha una comitiva di amici più sfigati di lui : il cieco Alfredo (Ruffini), l’handicappato Alonso (Pisani), il tossico Lebowsky (Scilla), il ritardato Franco (Matano). Nadia va a studiare medicina ad Oxford e i cinque amici decidono – dopo aver fatto falsificare i propri pessimi risultati universitari da Pino La Lavatrice (Michele Manca) – di raggiungerla nel prestigioso ateneo. Qui Lebowski mette fuori uso con le sue pillole il pericoloso corteggiatore di Nadia ,Chamberlain (Nicolò Senni)  ma Nadia vede Emilio , finito per un equivoco nella sala delle autopsie, divincolarsi su di un cadavere femminile e lo crede necrofilo. Anche Alfredo e Alonso si innamorano – uno della voce di Karen ( Giulia Ottonello) e l’altro di Claudia (Gaia Masserklenger) . Nadia invita Emilio ad una cena con i suoi parenti  che sono andati a trovarla e , nello stesso ristorante, gli altri due portano le loro fiamme ma la serata sarà un disastro : Alfredo e Alonso , tentando di mascherare il proprio handicap, combinano disastri e il padre e il nonno di Nadia , luminari della psichiatria, tentano di diagnosticare la presunta necrofilia di Emilio. Tutto sembra crollare ma…

Ruffini per la  sua prima prova di regia ha scelto di riadattare un successo spagnolo con lo stesso titolo del 2009 ; il risultato è un mix di college comedy all’americana, di umorismo un po’ sulfureo alla spagnola e di goliardia all’italiana non proprio riuscitissimo. Per cercare il consenso dei ragazzi  ha poi  arruolato due veterani del web : Guglielmo Scilla , in arte Wilwoosh (qui più in palla rispetto alle precedenti apparizioni cinematografiche : “Una canzone per te”, “Matrimonio a Parigi” e “10 regole per farla innamorare” ) e Frank Matano ; con loro la coppia comica rivelazione di “Colorado “ : Peracino e Pisani e , nel ruolo di genitori , alcuni comici noti : Biagio Izzo, Andrea Buscemi, Marco Messeri, Michela Andreozzi . Insomma, gli ingredienti ci sono tutti , è la ricetta che stenta a funzionare.

 

 




Dai piccoli gesti alla parola, quando una storia diventa un film: Anna dei miracoli

Regia: Arturh Penn  Soggetto: William Gibson  Cast:  Anne Bancroft (Annie Sullivan), Patty Duke (Helen Keller), Victor Jory (Capitano Arthur Keller), Inga Swenson (Kate Keller) Titolo originale: The Miracle Worker 1962

Oltre ad essere un capolavoro e un film di alto spessore morale, Anna dei miracoli  è una storia che va oltre le aspettative. Scompiglia le regole della cinematografia parlando con toni limpidi dell’infanzia di una bambina sordo-cieca dalla nascita, di nome Hellen. Cresce, all’insegna dei capricci e della disobbedienza, pasciuta da una famiglia che la vizia e la tratta come una bambina malata. Infatti, l’idea di volerla trasferire in un manicomio sfiora la mente dei genitori. Viene chiamata un’educatrice, tale Annie Sullivan, interpretata magnificamente da Anne Bancroft, la futura Miss. Robinson de “Il Laureato”, che da Boston si trasferisce a casa Keller.

AnnaDeiMiracoliAnche la sua infanzia  è segnata da dolori e sofferenze ma proprio questo ha forgiato il suo carattere e le ha permesso di passare dalla condizione di allieva a quella di insegnante. Ed è con la forza e la determinazione acquisita con gli anni che Annie dedica corpo e anima nell’insegnare a Hellen qualcosa del mondo che la circonda. Ma la bambina, pur dimostrando furbizia ed un’intelligenza superiore, non vuole obbedire. Famosa e di particolare impatto emotivo è la scena del cibo, in cui l’educatrice le impone, dopo aver messo sotto sopra la sala da pranzo e aver ricevuto un paio di schiaffi, di mangiare seduta, con il tovagliolo aperto al collo e il cucchiaio. Ma la forza e, a volte, la violenza con cui viene trattata Hellen indispone i genitori che tentano di licenziare la governante. Ma le aspirazioni della giovane insegnante sono più alte: la parola. La parola come comprensione e non solo come segno e gioco delle dita, ma come unico mezzo possibile per capire cosa lega un oggetto al suo nome. e poter interagire con la società. La pellicola, in un nitidissimo bianco e nero, uscì nel 1962 e fu un grande successo. I piccoli gesti che giorno dopo giorno si susseguono e le parole insegnate e comprese e i modi, ogni giorno più mansueti, sono la prova che il metodo di Annie non è sbagliato.
La metacomunicazione con cui Hellen si esprime emana il grande senso pedagogico ed evolutivo di un personaggio così ben caratterizzato. Lo stesso vale per Annie per cui un solo gioco con le dita possa divenire un modo di “vedere”, una parabola per arrivare alla comunicazione. Inoltre, è  evidente che si tratta di una pellicola di cinquanta anni fa, in cui un caso del genere è amplificato esageratamente: da una parte i movimenti della  bambina, irreali, dall’altra l’utilizzo di metodi che, ai giorni d’oggi, non sarebbero accettabili. Una Mary Poppins degli ipovedenti, di una mimica sconvolgente, è il cuore pulsante di un film che non racconta solo una biografia ma è una biografia che diventa un film: nonostante la trama sia centrata semplicemente nelle figure di Annie e Hellen e che la trama non sia ricca di colpi di scena o di particolari scenari,  essa scorre, inesorabile, verso un finale romanticissimo.

Una storia retrò e antiquata per i nostri tempi, ma che, nonostante l’età avanzata, colpisce ancora grandi e piccoli.

Elisa Longo

http://www.youtube.com/watch?feature=player_detailpage&v=AohgBO3Ztho




Tra scienza e coerenza – L’alba del pianeta delle scimmie

Un film di Rupert Wyatt con James Franco (Will Rodman), Freida Pinto (Caroline Aranha), Andy Serkis (Cesare), John Lithgow (Charles Rodman). Titolo originale Rise of the Planet of the Apes, casa di produzione Chernin Entertainment, distribuzione in Italia 20th Century Fox

Secondo il Regista: « Tutto questo è parte di una mitologia e deve essere visto come tale. Non è la continuazione degli altri film; è una storia originale. Deve soddisfare le persone a cui piacquero quei film. L’obiettivo è infatti raggiungere e attirare quei fan esattamente come è successo per Batman Begins »

Non avrei puntato molto su un film come “L’alba del pianeta delle scimmie” ma in Biblioteca Renato Nicolini mi hanno convinto. E devo ricredermi. Un genere che oscilla tra la fantascienza, l’azione e il tema drammatico, che, a primo impatto, non attira tutti. L’alba del pianeta delle scimmie è il riavvio della serie cinematografica Il pianeta delle scimmie, tratta dall’omonimo romanzo di Pierre Boulle del 1963, uscito nelle sale nel 2011. Willis è un giovane sperimentatore di un importante casa farmaceutica di Los Angeles e sta cercando, sperimentando sugli scimpanzè, un farmaco che guarisca il morbo di Alzaimer. È un farmaco genico che potrebbe guarire centinaia di persone anziane, che vivono in condizioni deprimenti. Anche il padre di Willis ne è affetto. Ma è proprio quando le sue condizioni psicofisiche si aggravano che una scimmia del laboratorio, durante un trattamento, scappa dal reparto e invade il centro sperimentale creando danni e caos.

La sua reazione era dovuta alla nascita di un piccolo scimpanzé che proteggeva nella sua angusta cella, ma chi se ne accorge, sa che è troppo tardi: la mamma è già morta e Willis trova riparo al cucciolo portandolo nella sua villa. Willis si accorge che le cure geniche somministrate alla madre sono passate geneticamente al cucciolo, soprannominato Cesare.
Vengono affinate le ricerche e i progressi intellettivi di Cesare sono visibili, tangibili: il suo quoziente aumenta giorno dopo giorno, anno dopo anno, impara la lingua dei segni e cammina su due gambe. È proprio quando i test verificano e superano tutte le competenze acquisibili dai primati che il papà di Willis si aggrava e, non del tutto consapevole, somministra al vecchio padre una dose dell’ ALZ-112, virus in grado di potenziare i ricettori neuronali.
Dopo un breve periodo di lucidità in cui lo stato mentale del padre, controllato e studiato dal figlio, appare lucido e controllato, Willis scopre che la cura ha prodotto degli anticorpi e che la malattia è ricomparsa più forte di prima. E, l’ormai adulto, primate viene allontanato dalla sua prima casa. Sarà l’affetto verso l’umano che l’ha salvato a ricondurlo sulle tracce della libertà? 

Di grandissimo effetto scenico e grafico , L’alba del pianeta delle scimmie è un film a cavallo tra moralismo e anticonformismo. Una storia che alimenta lo spirito tecnologico, l’avanzata rombante della scienza e delle sperimentazioni. Ma a rompere questo idillio del progresso c’è la crudeltà del genere umano, che in questa pellicola appare ancora più brutale. Gabbie, reti e trappole per animali e specie più deboli di noi. Citando un vecchio film di Hal Ashby (Harold & Maude): “Gli zoo sono pieni di animali, le prigioni traboccano di poveri diavoli. Oh mio Dio, come è possibile che al mondo ci sia ancora posto per una sola gabbia (….) La coerenza non è decisamente una caratteristica umana”. Un film che tocca le corde dell’animo umano passando tra sentimenti di solidarietà, spirito di sopravvivenza, giustizia e coraggio. Un film visto con gli occhi degli animali.

Elisa Longo