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La Regione Lazio taglia l’Ater

Una sola agenzia per l’edilizia popolare.

Un’unica agenzia per l’edilizia pubblica, il taglio di 68 poltrone e risparmi per oltre 2,5 milioni. E’ la rivoluzione della Regione Lazio che domani approverà in giunta la nuova delibera sull’abitare: le 7 Ater (Aziende territoriali per l’edilizia residenziale) saranno sostituite da un soggetto unico, l’Areps (Azienda regionale per l’edilizia pubblica e sociale). 
Il nuovo ente sarà composto da un presidente, un cda di 4 membri, un collegio di revisori di 3 membri effettivi più 2 supplenti. Mentre sul territorio ci sarà una sola direzione generale con sede a Roma – costituita da un direttore generale, un direttore tecnico e un direttore amministrativo – e 6 distretti territoriali comprendenti i capoluoghi di Provincia, la Città metropolitana di Roma Capitale e il Comune di Roma, e potrà contare su un’unica centrale acquisti. In sostanza l’unificazione delle Ater comporterà una sforbiciata sui costi per 2,5 milioni e il taglio di 68 poltrone (6 direttori generali, 44 consiglieri di amministrazione e 18 revisori dei conti).  «Si avvia la trasformazione delle 7 Ater in un’unica azienda – spiega l’assessore regionale alle Infrastrutture e Politiche abitative Fabio Refrigeri -. È una promessa mantenuta con cui si conclude un’era e si avvia una fase di razionalizzazione che punta a conseguire risparmi economici importanti e una politica gestionale più snella ed efficiente dedicata all’abitare». Come previsto dalla delibera, che dovrà poi ricevere il via libera della Pisana, il presidente dell’Areps e il collegio dei revisori saranno nominati dal presidente della Regione mentre il cda sarà eletto dal Consiglio regionale.
«Ater Lazio, stiamo cambiando tutto – commenta il governatore Nicola Zingaretti. – Meno poltrone, meno burocrazia, più qualità dei servizi».

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Tor Sapienza: cassonetti in fiamme per gli sfratti Ater

I rifugiati non c’entrano.

La rabbia dei residenti stavolta non ha niente a che fare con i profughi del centro di accoglienza. “Pensano di prenderci in giro? Questo è solo un modo per togliere i riflettori dai problemi veri”

Cassonetti in fiamme nella notte, istituzioni sul posto al mattino, rifugiati allontanati dal centro di accoglienza, blindati dei Carabinieri, cittadini davanti al Lory Bar. A Tor Sapienza sembra di assistere al copione di Novembre, quando nel quartiere scoppiò la rivolta contro il centro di accoglienza di viale Morandi. Ma attenzione, perché l’apparenza inganna.

Se infatti in autunno i profughi hanno fatto almeno da capro espiatorio di una periferia malata che gridava aiuto, stavolta non c’entrano nulla. La rabbia covata, quella che ha spinto qualcuno a incendiare i secchioni, ha ben altra ragione: ottanta lettere di sfratto arrivate da Ater agli inquilini delle case popolari, decine e decine tra occupanti e morosi. Decine e decine di famiglie con bambini che rischiano di restare senza un tetto. E’ questo il motivo reale. E l’estraneità dei rifugiati rispetto al gesto di protesta è chiara a tutti, anche agli amministratori.

“Non c’è stata nessuna tensione tra cittadini e ospiti del centro” ha spiegato il vicesindaco Luigi Nieri, sul posto per un sopralluogo in mattinata con la dottoressa Rossella Matarazzo, delegata alla sicurezza del Campidoglio, e il presidente del V Municipio, Giammarco Palmieri. Nessuna tensione, niente di più vero. Ma la prima mossa dell’amministrazione è andata comunque in quella direzione.

I quaranta richiedenti asilo sono stati trasferiti a notte fonda, come ha subito comunicato alla stampa l’assessore alla Politiche Sociali, Francesca Danese, sul posto dopo il rogo. “Prenderò questi ragazzi e li porterò in un posto importante della città, non posso dire quale”. Nel più breve tempo possibile e rigorosamente scortati dalla polizia, onde evitare qualunque tipo di ritorsione. La decisione di allontanarli era stata già presa e comunicata al quartiere a Gennaio, ma la stretta sul trasferimento e le parole di commento dell’assessore non sono piaciute granché ai residenti.

“E’ una sconfitta per me e per tutta Roma, li trasferiamo subito e da questa sera avranno una casa più accogliente. Non meritano questa situazione nè loro nè i residenti. Spero che questa città sappia accogliere in maniera diversa”. Già, ma questa volta non sembra esserci ragione alcuna per tirare in ballo l’accoglienza. E comunque “l’emergenza immigrazione è l’ultimo dei problemi per questo quartiere”.

Lo dicono tutti, dal Comitato di Quartiere Morandi Cremona, interlocutore delle istituzioni da mesi che proprio questo pomeriggio verrà ascoltato in Campidoglio, ai semplici cittadini seduti sul muretto del bar, che ora temono il tranello mediatico. “Ci vogliono prendere in giro? Allontanare quelli del centro non è altro che un modo di spostare l’attenzione dal problema. Li hanno cacciati nella notte facendoci passare a noi come i cattivi che non li volevamo. Ma il problema non è questo, e lo sanno tutti”.

Roberta è tra quelli che hanno ricevuto il “decreto di rilascio di alloggio di edilizia residenziale pubblica”, perché “occupa senza titolo” da novembre 2013. Due figli piccoli, disoccupata, tira avanti con l’assegno di mantenimento che le gira il marito, non può permettersi un affitto, e al di là che sia in torto e sia la prima a riconoscerlo, si aspetta almeno un accordo con Ater che preveda forme di tutela, ma soprattutto si aspetta che gli amministratori non chiudano gli occhi. “Se quello di spostare i rifugiati è un modo per togliere i riflettori dal quartiere e fare finta che tutto si stia risolvendo hanno sbagliato”. Che insomma non passi il messaggio “ora che non ci sono più i rifugiati, è tutto a posto”. Perché così non è.

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Gli inquilini più disagiati

L’assenza della deroga per gli sfratti dalla legge finanziaria 192/2014 (milleproroghe 2015) consentirà ai proprietari di immobili che ne faranno richiesta di poter sfrattare gli inquilini con particolari disagi, pensionati – portatori di handicap – minori, che fino al 31/12/2014 venivano salvaguardati da questo rischio.
Ad oggi non esistono dati certi sul numero di sfratti per questa tipologia di inquilini, poiché erano tutelati dalla deroga.
Questi inquilini particolarmente disagiati andranno ad aggiungersi all’emergenza nazionale che consta al 2013 di circa 73.385 sentenze emesse di sfratto.
Per UNIAT aps​ è paradossale che in una fase di continua crescita del numero degli sfratti il Governo per esigenze di bilancio aggravi l’attuale situazione aggiungendo ulteriori tipologie di inquilini sfrattabili.
Inoltre va ricordato che gli inquilini precedentemente tutelati dalla deroga non sono morosi e pagano il 20% in più il canone di affitto a titolo di indennità di occupazione. Gli stessi proprietari di casa non hanno intimato loro lo sfratto per vendita dell’immobile o cessione dello stesso ai parenti di primo grado.
Quest’ultima tipologia di sfratto se voluta dal proprietario di casa poteva essere sempre garantita dalla legge e dal Prefetto.
Oggi per questa tipologia di inquilini, non morosi e con reddito superiore a 27.000 euro si aggiunge la beffa di vederli esclusi dalle coperture ​previste dai fondi affitto e morosità incolpevole, poiché per loro non ricorrono i  requisiti di accesso agli stessi​ e nella stragrande maggioranza sono anche esclusi dalle graduatorie per le assegnazioni degli immoblili pubblici (ex I.A.C.P, ATER , ALER …)​

La richiesta avanzata al Governo da UNIAT aps​, dalle associazioni degli inquilini e dall’Anci,​ per ottenere delle soluzioni che salvaguardino questa tipologia di inquilini dal rischio di sfratto ​non può essere schiacciata  sul piano della mera richiesta di soldi  piuttosto​, la richiesta, ​testimonia l’attenzione che le associazioni esprimono sul piano sociale per una migliore qualità di welfare e protezione delle famiglie.

Nel caso in cui il Governo non dovesse provvedere con atti solleciti, UNIAT ​aps ​e le altre organizzazioni​​, impegnate nella tutela dei cittadini più vulnerabili​, presenteranno ai Prefetti la richiesta di non concedere la forza pubblica a fronte di eventuali sfratti passati in esecuzione.

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La rabbia dell’Italia senza casa

Riaccesa dalla crisi e dal mancato rinnovo del blocco degli sfratti da parte del governo, la tensione cresce soprattutto nelle città. Colpa anche della grande contraddizione tra le tante famiglie che si trovano prive di un tetto e le decine di migliaia di appartamenti pubblici non ancora assegnati ai quali si aggiungono quelli privati rimasti vuoti o invenduti. Da qui la ripresa delle occupazioni e delle proteste

Edifici sfitti e occupazioni, il paradosso italianodi LUISA GRION

ROMA – Un paese di case in proprietà, ma anche di sfratti e occupazioni abusive. L’80 per cento degli italiani è padrone delle quattro mura in cui abita, ma per chi un tetto non ce l’ha trovarne uno può diventare un incubo. La crisi economica ha visto esplodere l’emergenza abitativa, aggravata dalla mancanza decennale di una politica dell’abitare. L’ultimo corposo intervento pubblico è stato quello avviato nel dopoguerra e arrivato fino agli anni Sessanta: le cosiddette “case Fanfani”, costruite per dare una abitazione alle famiglie a basso reddito. Poi dagli anni del boom dell’edilizia privata e dei piani regolatori spregiudicati si è arrivati a quelli, attuali, dell’invenduto. Da una parte sono crollate le compravendite, dall’altra la perdita di redditi ha fatto lievitare il tasso di morosità degli inquilini.
Niente blocco. Oggi un pezzo del Paese è a rischio: per la prima volta dopo oltre trent’anni la legge di Stabilità varata a fine dicembre non ha rinnovato il blocco degli sfratti per finita locazione. Un diritto riconosciuto ai nuclei familiari con determinati limiti di reddito (27mila euro lordi l’anno) e con a carico persone malate, minori o anziani. L’ultima proroga è scaduta a fine anno, fra l’esultanza di Confedilizia – l’associazione dei proprietari che chiede al governo di non scaricare sui privati il problema abitativo – e la disperazione dei sindacati degli inquilini, secondo i quali ci sono fra le 30 e le 50mila famiglie a rischio. Non esistono cifre ufficiali invece per l’altro tragico effetto dell’emergenza abitativa: quella degli immobili violati e occupati. Fenomeno che riguarda soprattutto le case popolari (stime parziali parlano di 15mila illeciti solo fra Roma e Milano), dove si entra abusivamente approfittando di una momentanea assenza del legittino inquilino o per le quali si punta ad una sanatoria (o al comodato, come avvenuto a Parma tra mille polemiche), contando sulle lentezze dei bandi comunali che ne determineranno le assegnazioni e la vendita.

I dati sugli sfratti. Sugli sfratti il Codacons tiene i conti aggiornati: “Nel 2013 sono stati 31.399, con un incremento del 7,7 per cento rispetto all’anno precedente. Negli ultimi 5 anni il totale ha raggiunto quota 332.169, di cui 288.934 per morosità. E nel 2014 il ritmo è proseguito a circa 150 sfratti al giorno”. La mancata proroga rischia devastanti effetti sociali, annunciano le associazioni degli inquilini e i comuni sono d’accordo. Ma il governo assicura di non voler tornare indietro. Palazzo Chigi snocciola gli investimenti stanziati nell’ultimo anno sul settore e messi in fila in quel Piano Casa operativo, sulla carta, dal maggio scorso, ma di fatto lì rimasto in buona parte. Si tratta di 200 milioni per un fondo di sostegno alla locazione e 266 per la morosità incolpevole destinati a chi, per via della crisi, si trova in difficoltà economiche temporanee. Più 400 milioni volti alle ristrutturazione delle case popolari. Il viceministro alle Infrastrutture Riccardo Nencini parla di “19 provvedimenti per un totale di 2,3 miliardi” e assicura che ciò permetterà ai Comuni di cavarsela senza ricorrere al blocco.

Sfratti richiesti (*) Sfratti eseguiti (**)
Totale Variaz.% Totale Variaz.%
2007 109.446 8,55 22.468 0,85
2008 139.193 27,18 25.108 11,75
2009 116.573 -16,25 27.584 9,86
2010 111.260 -4,56 29.889 8,36
2011 123.914 11,37 28.641 -4,18
2012 126.852 2,37 29.154 1,79
2013 129.577 2,15 31.399 7,70
(*) Domande presentate all’Ufficiale Giudiziario
(**) Con l’intervento dell’Ufficiale Giudiziario

fonte: Ministero Interni

Pubblico e privato poca chiarezza. Il fatto è che, sempre ammesso che i soldi entrino in tempo nelle loro casse, ed emergenza sfratti a parte, il problema abitativo resta tutto da risolvere: sia nel settore privato, dove le case restano vuote e gli affitti languono, che nel settore pubblico, dove i meccanismi di assegnazione sono poco chiari. Per Guido Piran, segretario generale del Sicet, sindacato degli inquilini, l’emergenza attuale si risolve solo rilanciando l’edilizia pubblica e ristrutturando in primis il patrimionio esistente. “Ma l’edilizia pubblica, come la sanità, costa”. La gravità attuale, assicura, “nasce dal fatto che gli affitti privati sono troppo alti e la locazione concordata non esiste più. Puntare sul taglio delle tasse a carico del locatore, la famosa cedolare secca, è stato un errore. Quella misura non ha funzionato, non ha prodotto una riduzione degli affitti”. Quanto all’edilizia pubblica, per Piran è essenziale “ridefinire la norma di alloggio sociale: oggi è equivoca. Serve una legge quadro sull’edilizia pubblica che chiarisca chi ha diritto ad usufruirne e in base a quali criteri: ora ogni Regione va per proprio conto, decide da sola anche i limiti di reddito e le iniquità sono evidenti”. E soprattutto servono più risorse: “Vanno coinvolti i privati, va studiata una politica fiscale d’appoggio, ma le cifre di cui parla il governo arrivano tardi e coprono più anni. In Europa si fa molto di più, il solo Regno Unito spende 2 miliardi di sterline l’anno”.

A Roma a caccia di morosi con un softwaredi MARIO REGGIO

ROMA – Più di 71mila appartamenti. Oltre 220mila abitanti, più dei 200mila residenti a Trieste. Quarantasettemila gestiti dall’Ater, l’ex Istituto autonomo case popolari, 23mila direttamente dal Campidoglio che ha anche il compito di esaminare le domande di assegnazione di una casa popolare ed autorizzarne l’assegnazione. Una lista d’attesa che ha raggiunto quota 30mila. Ma non basta. Tremila e 500 famiglie sono parcheggiate nei residence, con grande soddisfazione economica per i proprietari privati. Intanto, sui residence, sta indagando la Procura di Roma perché sugli appalti aveva messo le mani l’allegra compagnia di Buzzi e compagni.
E all’assessorato alle Politiche abitative del Comune di Roma, dopo le dimissioni di Daniele Ozzimo, indagato nell’inchiesta Mafia Capitale, non c’è alcuna voglia di parlare. Ma qualcosa riesce a filtrare lo stesso: “Il governo non ha ripresentato il decreto di blocco degli sfratti – dice un dirigente che chiede di restare anonimo – ma la questione riguarda solo i contratti scaduti per fine locazione, ergo sono esclusi quelli di morosità e non sono ovviamente coinvolti gli enti che gestiscono le case popolari. Per Roma parliamo di alcune migliaia di famiglie che si aggiungeranno a quelle già in lista attesa. Al momento il Comune di Roma non è in grado di gestire questa situazione drammatica. Un esempio concreto: su 10 casi segnalati dagli assistenti sociali, che riguardano soprattutto i “nuovi poveri”, solo uno viene risolto. Senza contare le famiglie che vivono nei residence, una scelta che dovrebbe essere provvisoria e che invece è diventata endemica con costi di milioni di euro per Roma Capitale”.
Come uscire dall’emergenza. “L’emergenza abitativa è una condizione strutturale dal dopoguerra – rispone Daniel Modigliani, commissario straordinario dell’Ater – ma sono contrario al suo uso strumentale, mantenere l’emergenza fa comodo sia alla politica che agli utenti. Manca e servirebbe una ricognizione puntuale dei numeri e delle emergenze, per programmare una concreta politica abitativa. Faccio un esempio. La domanda di alloggi è cambiata: servono tipologie di immobili più piccole rispetto al passato, mentre sono cambiati i nuclei familiari che sono aumentati ed hanno meno componenti”.
E con l’emergenza non si ferma il mercato clandestino. Nel 2013 ottocento persone sono state denunciate per occupazione abusiva di alloggio. E ogni anno centinaia di case passano di mano in maniera abusiva, subaffittate o vendute. Negli anni passati andava di moda il passaparola, oggi con internet è cambiato tutto. È cresciuto e si è consolidato un racket che entra in azione quando una famiglia si assenta per qualche settimana. Basta un click e la casa viene venduta dopo aver sostituito la serratura. Sono lontani i tempi di Cristiana Petriacci, alias “la padrona di Testaccio”, finita poi in carcere con l’accusa di estorsione e truffa per aver gestito la compravendita di immobili dell’Ater. La signora si avvaleva di un esperto del settore, più noto come “Er tapparella”, in grado di entrare negli appartamenti vuoti passando dalla finestra o dal balcone.
I numeri dell’Ater. Un po’ di storia. L’Istituto Case Popolari nasce nel 1903, sindaco di Roma il principe Prospero Colonna. Nel 1928 diventa Istituto Autonomo Case Popolari. Nel 2002 si trasforma nell’azienda territoriale edilizia residenziale pubblica del comune di Roma. La proprietà è della regione Lazio. Il suo patrimonio è valutato attorno a 10 miliardi di euro e comprende: 47.674 alloggi, 3.126 locali, 27.905 cantine, 147 terreni e 159 cartelloni. I dipendenti sono 482. Nel 2013 ha incassato 23 milioni di euro dagli affitti, mentre il 24,2 per cento degli inquilini risulta moroso. Mancano all’appello 7 milioni e 386 mila euro. Malgrado tutto, i conti dell’Ater non vanno poi così male. Dopo anni di perenne deficit, nel 2013 il conto economico ha registrato un avanzo di oltre 7 milioni di euro. “Abbiamo scoperto che i bilanci degli ultimi anni non erano mai stati approvati – afferma Claudio Rosi, direttore generale dall’ottobre del 2013 – dopo un lungo periodo di sonno profondo, l’Ater comincia a marciare”. E snocciola una serie di progetti.

L’azienda ha presentato alla Regione Lazio un programma quadriennale per la costruzione di 651 nuovi alloggi con un costo complessivo di 84 milioni di euro. E sulla manutenzione ci sono 18 gare d’appalto per 40 milioni di euro. Ma l’asso nella manica dell’Ater è la nuova piattaforma informatica per la gestione del patrimonio immobiliare che è collegata con la Guardia di Finanza. Il programma è stato “girato” a Roma Capitale, l’azienda casa della Provincia di Torino, di Trieste e Bologna. “Grazie alla piattaforma informatica – conclude Rosi – stiamo recuperando la morosità e siamo arrivati a incassare, assieme ai proventi che derivano dagli affitti e dai servizi, circa 130 milioni di euro”. E dopo anni di vacche magre sono in arrivo dalla Regione Lazio 19 milioni di euro per la manutenzione di Corviale, il serpentone sulla via Portuense.

Tor Sapienza e San Basilio. L’anello stradale che circonda Tor Sapienza si chiama via Giorgio Morandi. All’intero, il grande quadrilatero delle case popolari. Nei 504 appartamenti abitano quasi duemila persone. Poi ci sono gli abusivi, cioè gli occupanti. Lungo il cortile interno un serpente ad un piano di quelli che avrebbero dovuto essere i negozi. Ci hanno provato, ma poi Auchan e Carrefour, che sorgono a poca distanza, hanno massacrato qualsiasi attività. Ergo, i locali sono stati occupati da famiglie al limite della povertà ed immigrati e rom. Impossibile entrare in questo girone infernale. A parte il buio la risposta è sempre la stessa: “Niente domande, andate via…..”. Altro caso esemplare è quello di San Basilio. Qui la storia è diversa dalle altre. Primi anni 70. Il governo Fanfani decide di varare un robusto piano di edilizia popolare. E proprio a San Basilio sorgono come funghi i quadrilateri delle case popolari. Partono le occupazioni. Nel settembre del ’74 la questura decide lo sgombero di 150 famiglie. Un gigantesco spiegamento di poliziotti inizia le operazioni. Il quartiere scende in piazza. La polizia si ritira. L’8 settembre torna in forze. Fabrizio Ceruso, 18 anni, perde la vita colpito da un proiettile di pistola. Da tutta la città arrivano migliaia di manifestanti, la polizia ingaggia una battaglia senza esclusione di colpi, ma San Basilio non cede. Oggi è tutta un’altra storia. A San Basilio vivono 3 mila e 400 famiglie nelle case popolari più le 700 che hanno occupato gli alloggi ma hanno beneficiato della sanatoria. Oggi il verde è aumentato, campeggiano quattro murales uno dei quali dedicato a San Basilio e a Fabrizio Ceruso. Per il resto si tira avanti. “Gli spacciatori ci sono anche ai Parioli…. ognuno di noi ha i suoi problemi, come tutti…”

Alloggi occupati sul totale degli alloggi gestiti (percentuale)
2001 2003 2004 2006 2008 2011
Nord 1.4 0.4 0.9 1.5 1.8 1.3
Centro 5.1 6.0 5.1 5.5 8.3 9.7
Sud 11.0 10.0 9.9 7.4 8.6 10.4
Italia 5.5 4.9 5.0 4.4 5.5 5.9
fonte: Ufficio studi e statistica Federcasa

L’esistenza stravolta di chi subisce lo sfrattodi MARIA ELENA SCANDALIATO

MILANO – “Bisogna viverlo, per capire”. È questa la premessa che fa ogni famiglia sfrattata, prima di iniziare a raccontare la sua esperienza. Perché essere sbattuti fuori casa è anzitutto un trauma. Soprattutto per i bambini, le cui certezze – scuola, amici, quartiere  – vengono polverizzate in pochi istanti da uno sconosciuto ufficiale giudiziario.
Siamo andati nel residence sociale “Aldo dice 26×1”, a Sesto San Giovanni; un enorme stabile dell’Alitalia occupato da diversi comitati per la casa, dove trovano alloggio quasi cento inquilini, di cui una trentina bambini. Si tratta di famiglie in emergenza abitativa, che hanno subito uno sfratto e che magari sono da anni nelle liste dell’Aler, in attesa di ricevere una casa popolare. Le loro storie si assomigliano molto: iniziano tutte con un affitto di sei-settecento euro al mese e un lavoro a basso reddito che all’improvviso viene meno. A quel punto diventa impossibile continuare a pagare e i debiti si accumulano per mesi. Fino all’arrivo dello sfratto, che tutti pensano di procrastinare, ma che alla fine bussa puntuale alla porta di casa, costringendo gli inquilini a prendere quel che possono e a lasciare l’alloggio immediatamente.  

Nel 2014 Milano ha registrato oltre 13mila richieste di sfratto esecutivo: 4mila per finita locazione, il resto per morosità. A pagarne le spese sono soprattutto i bambini, i cui bisogni vengono pressoché ignorati. Ahmed è stato sfrattato a marzo e si è rivolto subito al Comune di Milano in cerca di una soluzione d’emergenza. Non tanto per sé e sua moglie, quanto per i suoi figli di nove e undici anni che il giorno dopo dovevano andare a scuola: “Mi hanno detto di arrangiarmi. Sono riuscito a pagare un albergo per una settimana, e poi sono andato alla Caritas. Alla fine un consigliere di zona mi ha suggerito di venire qui, in questo residence. È un posto occupato, ma almeno i miei figli hanno un tetto sulla testa”.
Senza Caritas e comitati i figli di Ahmed, come quelli di molte altre famiglie, sarebbero rimasti in mezzo alla strada. Non solo a marzo, ma anche nel freddo invernale. “Alle famiglie con minori vengono offerte quasi sempre delle soluzioni alternative – afferma Pierfrancesco Majorino, assessore alle Politiche Sociali del comune di Milano – sono pochissimi i casi di persone che dormono in macchina”. In effetti, una donna cui è stata proposta una soluzione alternativa l’abbiamo incontrata: si chiama Francesca e ha tre figli di sette, quattordici e sedici anni. Quando è stata sfrattata il Comune ha offerto a lei e alla sua bambina più piccola un posto in una comunità protetta, dove sono ospitate madri con minori vittime di violenza. Purtroppo, però, questa comunità si trova in un paesino della provincia di Asti, decisamente lontano da Milano. I due figli più grandi, che il comune avrebbe destinato a una struttura per adolescenti chissà dove, alla fine sono andati a stare con la nonna, a Monza. La famiglia, quindi, è divisa da più di un anno e lo resterà finché a Francesca non sarà assegnato un alloggio Aler. “È un’esperienza dura, perché gli altri bambini della comunità hanno dei problemi molto seri e mia figlia non c’entra niente con loro”, racconta Francesca. “Mangiamo solo pollo e riso, tutti i giorni. E in quel paesino non posso certo cercare lavoro. Per guadagnare qualche soldo e dare a mia figlia del cibo diverso faccio dei lavoretti per le educatrici della comunità. Stiro i loro abiti, lavo la loro auto… Cose così, per avere qualche soldo in tasca”.

Anno Provvedimenti di sfratto emessi
Necessità locatore Finita locazione Morosità / Altra causa Totale Variaz.%
2007 674 9.236 33.959 43.869 -3,64
2008 539 10.549 41.203 52.291 19,20
2009 700 9.208 51.576 61.484 17,58
2010 900 8.495 56.269 65.664 6,80
2011 832 7.471 55.543 63.846 -2,77
2012 1.174 6.640 62.501 70.315 10,13
2013 2.659 5.424 65.302 73.385 4,37
fonte: Ministero Interni

Senza contare la distanza dagli altri figli. “Se penso che il Comune di Milano spende 4500 euro al mese per tenerci lì, mi viene da piangere. Se avessero dato a me quei soldi, avrei risolto tutti i miei problemi”. E qui scopriamo i “numeri” di questo sistema emergenziale, poco efficiente ma costosissimo. Il Comune di Milano, nel 2012, ha inserito in comunità 404 minori accompagnati dalle madri, e 844 minori soli; per farlo, ha speso ben 30 milioni e 661mila euro. Cifra che nel 2013 è salita a 32 milioni. Somme da capogiro, con le quali si sarebbe potuto fare ben altro, soprattutto per le famiglie sfrattate. Un budget che, d’altronde, lo stesso Majorino intende ridimensionare: “Abbiamo avviato il progetto della residenzialità sociale temporanea, con cui daremo a mille persone, ogni anno, uno sfogo abitativo di emergenza”. Il progetto dovrebbe partire nel 2015. Ad oggi, però, il Comune continua a spendere tra i 70 e i 90 euro al giorno solo per collocare in comunità un minore sfrattato. Cifra che raddoppia in presenza della madre.

Il flop dei centri d’emergenza di Milanodi MARIA ELENA SCANDALIATO

MILANO – L’emergenza abitativa, però, non riguarda solo gli sfrattati, ma anche i Rom sgomberati dai campi e gli occupanti colti in flagranza di reato. Lo scorso novembre, infatti, Comune e Prefettura hanno siglato un patto contro le occupazioni abusive da cui è nata una task force di pronto intervento. Tutto parte dalle segnalazioni dei cittadini, che possono chiamare il 112 per denunciare ogni tentativo di occupazione. Ricevuta la segnalazione, vengono allertate le forze dell’ordine, l’operatore sociale e l’ispettore di Aler o di MM, che sono i due enti gestori delle case popolari. Una volta sul posto, bloccati gli occupanti “in flagranza”, l’operatore sociale valuta la loro condizione: se ci sono minori o c’è una situazione di fragilità, viene offerta accoglienza presso uno dei centri di emergenza sociale del Comune. In realtà, come ammesso dagli stessi operatori sociali, sono pochissimi gli occupanti che accettano questa soluzione; la stragrande maggioranza, alla fine, si arrangia da parenti e amici, o in altro modo, perdendo ogni possibilità di avere un alloggio popolare (chi occupa, infatti, viene cancellato dalle liste per cinque anni).

I centri di emergenza sociale a Milano sono due e godono di una pessima fama: uno si trova in via Barzaghi, l’altro in via Lombroso. Si tratta di strutture della Protezione Civile adattate, con grande difficoltà, a ospitare delle famiglie che possono restare al massimo 40 giorni (prorogabili in condizioni particolari), ricevendo una branda per ogni membro di più di tre anni, l’uso di cucine comuni e l’uso di bagni comuni.

La struttura di via Barzaghi, che abbiamo visitato, può ospitare un centinaio di persone dislocate in quattro camerate. Uomini, donne e bambini dormono negli stessi ambienti, separati da “capannine” costruite dagli ospiti incastrando manici di scopa e tende da doccia, per garantire almeno un minimo di privacy. La gestione del centro è affidata alla Fondazione Progetto Arca, che nel 2013 ha stipulato una convenzione con il Comune di Milano. Nonostante la struttura si mostri già in pessime condizioni, la situazione potrebbe essere peggiore di quanto sembri. “È un luogo terribile, dov’è impossibile lavorare”, racconta uno degli operatori del centro, che ci ha contattati dopo la nostra visita.
Stando alla testimonianza in via Barzaghi gli educatori si trovano costretti a gestire non solo le decine di ospiti presenti, ma anche la portineria (il portone è rotto), i macchinari (dalle lavatrici ai forni delle cucine) e l’ingresso dei mezzi della Protezione civile, parcheggiati nel cortile della struttura. Senza contare la presenza di infiltrazioni di acqua e i servizi igienici di difficile utilizzo: “Il bagno degli uomini sarebbe privo di acqua calda, mentre le turche (non ci sono water) sono inutilizzabili per i bambini più piccoli”.
Ecco perché nessuno accetta l’alternativa dei centri di emergenza, dove si dovrebbero costruire dei percorsi di “autonomia abitativa”. Gli unici a essersi adattati sono i Rom, che pure abituati a condizioni di vita pessime non meritano certo di abitare in un luogo simile. Un luogo subìto soprattutto dai bambini, che non vengono neppure accettati nelle scuole di prossimità. Racconta ancora l’operatore che ci ha chiesto di rimanere anonimo: “Li rifiutano perché gli altri genitori non li vogliono. L’anno scorso a dicembre sono arrivati dei piccoli che sono riuscita a iscrivere a scuola solo a marzo. A novembre è arrivata una famiglia con 5 figli. Nonostante le mille telefonate e le lettere ai dirigenti scolastici, ancora non hanno un posto in nessun istituto. E pensare che ci sarebbe l’obbligo scolastico”.

Tra affitto e proprietà, il progetto Abita Giovani di EDOARDO BIANCHI

MILANO – Nella Milano delle occupazioni e delle polemiche per le politiche di Aler, la società Aler che gestisce il patrimonio immobiliare pubblico in Lombardia, c’è anche un’esperienza positiva di cui si parla poco. Grazie ad un’idea del membro della Fondazione Cariplo, don Gino Rigoldi, da oltre due anni è nato un progetto denominato Abita Giovani che ha il fine di allocare ragazzi Under 35 in abitazioni popolari ristrutturate, di proprietà Aler. Lo scopo, è quello di rendere nuovamente abitabili residenze sfitte e in decadimento, ricreando un concetto di: vivere il quartiere sociale, intessendo una stretta connessione tra le persone che ne fanno parte.

Deguene, ingegnere civile e mamma di due bambini, racconta con entusiasmo la sua esperienza in questo progetto. Ci descrive l’iniziativa del gruppo su Facebook che le ha dato l’opportunità di ottimizzare le spese per l’appartamento. Grazie al gruppo social, ha avuto modo di chiedere suggerimenti a chi facesse già parte del programma e quindi con più esperienza in merito. La pagina web rappresenta un modo per avvicinare le persone attraverso interazioni telematiche che rendano partecipi tutti coloro che hanno aderito al progetto Abita Giovani.

Alice ci racconta come l’iniziativa funzioni e che oggi giorno, secondo la ventottenne studente di veterinaria, è uno dei programmi più interessanti per i giovani in cerca di un’appartamento. Si sofferma inoltre sui costi relativamente bassi d’affitto e come a quel prezzo sia difficile trovare un’offerta migliore nel panorama milanese. Dario, impiegato in una banca, ci spiega come l’acquisto di una casa oggi sia estremamente difficoltoso per un giovane con un reddito di fascia media, anche con possibilità di accesso a mutui agevolati. Nello specifico, sostiene che senza aiuti da parte del nucleo familiare l’investimento in immobili sia possibile solo grazie al sostegno di realtà quali quella di Abita Giovani.

Caterina, insegnante in un sobborgo di San Siro, nonostante abbia trovato attraverso questo programma una soluzione abitativa, si sofferma sulla svendita del patrimonio pubblico immobiliare in Lombardia. A tal proposito, si chiede come mai non vengano più costruiti alloggi popolari e perché quelli esistenti vengano dismessi. Ritiene inoltre i criteri di selezione dell’Housing Sociale buoni per le persone di ceto medio, ma non idonei per le famiglie meno abbienti.

I programmi per agevolare l’acquisto immobiliare sono in costante aumento a seguito del positivo esito dei programmi come Abita Giovani e di altri progetti che stanno prendendo piede a Milano. Oggi le persone in possesso di un lavoro a tempo indeterminato e con meno di 35 anni possono permettersi attraverso un contratto d’affitto con futura vendita una casa di proprietà. Resta da capire se l’organizzazione sia volta a far ripartire una città immobilizzata che presto ospiterà una manifestazione di livello mondiale come l’Expo, o se sia l’ennesimo bacino che verrà sfruttato per interessi e ritorni economici.

A Napoli fallisce uno sgombero su duedi TIZIANA COZZI

NAPOLI – Sono 2.300 gli sfratti che avrebbero diritto alla sospensiva tra Napoli e provincia. E sono ben 4 mila le occupazioni abusive in corso tra Napoli (con 1.500 alloggi di proprietà comunale) e provincia (con 2.200 alloggi dell’Istituto autonomo case popolari). Il problema casa nel capoluogo campano va avanti da sempre, ma la crisi degli ultimi anni e il conseguente impoverimento delle famiglie ha trasformato un fenomeno in un’emergenza continua. Anche il patrimonio storico napoletano paga il prezzo all’illegalità. Ci sono circa 800 posizioni irregolari nei palazzi storici. E sugli sgomberi il bilancio è cosa da poco: 60-70 all’anno nella città di Napoli sono quelli andati a buon fine su 130 tentativi finiti nel nulla. Un numero veramente esiguo rispetto al numero reale degli immobili occupati. Anche a Napoli, come a Milano, ci si può ritrovare con la casa occupata dopo un lungo periodo di assenza. Ad un’anziana signora del rione Rossetti di Fuorigrotta, quartiere periferico della città, ci sono voluti 2 anni per rientrare nella sua casa occupata da una famiglia con bambini. Ogni volta lo sgombero era impossibile per motivi di salute di uno dei componenti o perché l’occupante era incinta. La dinamica degli abusivi di rado è violenta. Chi occupa subentra illegalmente a chi va via e spesso dietro c’è un traffico di denaro. Nemmeno la camorra può dirsi estranea al fenomeno: in più di un’occasione si è adombrata la regia dei clan.
I grandi numeri, anche se inferiori a Milano, riguardano anche gli sfratti che hanno diritto alla sospensiva. Ma se nella città del Duomo si è provveduto in altri modi all’assegnazione di nuovi alloggi, all’ombra del Vesuvio il provvedimento ora negato dal governo resta l’unica speranza. “A Napoli c’è esigenza della sospensiva – spiega Gaetano Oliva, Cgil Casa Napoli – perché non c’è nient’altro che abbia messo in moto nuove assegnazioni. L’ultimo bando è del 2010 e in 4 anni hanno esaminato solo 8 mila pratiche, non si riesce nemmeno a pubblicare la graduatoria provvisoria”. L’ultima risale a 20 anni fa e su 20 mila aventi diritto, in 15 anni è stata data sistemazione a 1.500 famiglie. “Questo vuol dire che un’intera generazione è tagliata fuori – sottolinea Oliva – non avrà diritto a un bel niente. La nostra preoccupazione è che torneranno gli ufficiali giudiziari a bussare alle case, come accadde nel 2010, con il governo Berlusconi, quando in un mese si contavano a Napoli 6-7 esecuzioni di sfratto. Si buttava fuori gente che non sapeva dove andare. Il ministro Lupi risponda sui fatti e intervenga concretamente sulla nostra emergenza”.
Anche le agevolazioni per morosità incolpevole non hanno sortito grandi effetti. Su un fondo di 1 milione e 400 mila euro assegnato alla Campania, a Napoli sono ben poche le domande arrivate al Comune, per questo l’avviso pubblico è stato  prorogato fino al 15 febbraio. Eppure si contano circa 2.400 morosi incolpevoli tra Napoli e provincia.
Nel 2013 sono 3.320 gli sfratti emessi di cui 1.505 a Napoli e 1.815 in provincia. L’80 per cento sono sgomberi per morosità, si tratta appunto di inquilini che non ce la fanno più a pagare, un fenomeno sempre più frequente in provincia. La crisi corrode le possibilità economiche anche dei proprietari. Accade sempre più spesso che chi possiede un solo immobile non abbia la forza economica per fare causa al suo inquilino moroso. Non tutti gli sfratti emessi nel 2014 sono stati eseguiti proprio perché il proprietario non poteva rivolgersi ad un avvocato per aprire la procedura. Così gli inquilini morosi continuano a restare in casa. Sono stati 2.684 gli sfratti esecutivi per morosità (1.382 in provincia e 1.302 in città). Quasi seimila (5.849) invece le richieste di esecuzione di sfratto, cioè quelle in cui la procedura è stata avviata e si attende solo l’arrivo degli ufficiali giudiziari.

Edifici in comodato, polemiche a Parmadi MARIA CHIARA PERRI

PARMA – La lista d’attesa per l’assegnazione di un alloggio popolare è lunga e difficile da scalare, con patrimonio di edilizia residenziale pubblica vecchio di decenni o bloccato in cantieri in costruzione. In piena emergenza abitativa: nel 2013, tra Parma e provincia, sono stati emessi dal tribunale 726 provvedimenti di sfratto, di cui 363 in città. Sono state 489 le richieste di esecuzione per morosità di affitto e spese condominiali. Più di una al giorno. D’altro canto, abbondano gli immobili privati lasciati sfitti per la crisi del mercato immobiliare. Ed ecco che anche a Parma negli ultimi anni si sono moltiplicate le occupazioni. Edifici vuoti in pieno centro storico si sono riempiti di famiglie straniere con bambini, in situazioni di estrema indigenza, supportate dai movimenti autonomi che da anni si battono per il diritto alla casa.

Proprio nelle ultime settimane la giunta 5 Stelle ha deciso di risolvere il problema di due occupazioni, in un ex cinema e in uno stabile privato, scendendo a patti con gli occupanti e con i loro sostenitori. Come? Concedendo alle famiglie uno spazio pubblico in comodato d’uso. Una soluzione che ha scatenato una marea di polemiche.

L’assessore ai Servizi sociali Laura Rossi difende la scelta, spiegando che si tratta di una soluzione temporanea d’emergenza, per fare uscire dall’illegalità famiglie disperate che solo così potranno essere prese in carico dai servizi sociali. Dall’altra, l’opposizione politica parla di “premio all’illegalità”. Una scorciatoia concessa a chi commette reati rispetto ai tanti che rispettano la legge. Il dito è puntato non tanto contro l’accoglienza ai senzatetto, ma contro la decisione di concedere parte dello stabile anche alle attività di un centro sociale pur di mettere fine all’occupazione, mentre tante altre associazioni aspettano in fila il benché minimo contributo.

Ragioni contrapposte su un problema delicato, destinato a ripresentarsi presto: altri due condomini in centro sono occupati da 13 famiglie con otto bambini, tra cui due gemelline neonate. I tecnici si sono già presentati per staccare il gas.

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Raoul Bova e Tor Sapienza

scusate

Tor Sapienza ci riguarda scrive giustamente in Carteinregola la nostra amica Anna Maria Bianchi (blogger romana). E riguarda in modo particolare noi di CorvialeDomani che dal 2008 abbiamo capito che dalla crisi si esce rilanciando le periferie perché, come dice Renzo Piano, è lì che c’è lo spazio, le energie, il bisogno su cui si può costruire un nuovo modello di sviluppo dopo la crisi irreversibile del modello industriale fossile.

Alfonso Pascale (politico, scrittore) nel suo articolo indica la strada di un nuovo welfare produttivo che realizzi obiettivi concreti nei quartieri periferici.

Noi di Corviale Domani abbiamo da tempo identificato questi obiettivi concreti e, dopo anni di lotte e proposte, abbiamo ottenuto che venissero inseriti nelle Linee guida dell’ATER per rigenerare Corviale.

Noi continuiamo, caparbi, a proporre temi, miglioramenti, osservazioni, progetti perché l’occasione dei lavori al palazzo ATER, finalmente assunti come priorità dalla regione, siano l’occasione per il rilancio produttivo dell’intero quadrante.

Ma di una cosa siamo assolutamente certi, e Tor Sapienza ci rafforza in questa consolidata convinzione: senza legalità e sicurezza non si fa la rigenerazione del palazzo. Ce l’hanno fatto capire i bambini con la loro accorata lettera a Cantone e don Ciotti. Ne siamo talmente convinti che su queste parole d’ordine apriremo i lavori di un seminario di riflessione e confronto che faremo al CESV (Centro servizi per il volontariato) il prossimo 4 dicembre (salva la data).

La partita ora è portare al centro del dibattito politico cittadino il tema delle periferie come occasione per sanare l’abbandono di anni rilanciando un’economia di nuovi servizi fondata sull’ambiente, il risparmio e l’autoproduzione energetica, il riciclo dei rifiuti, l’autoproduzione di cibo a chilometro zero.

Per fare tutto questo dobbiamo far conoscere le nostre lotte, i nostri progetti, le nostre idee. E’ una lotta impari contro un sistema dell’informazione concentrato solo sulle dispute di nomi tra chi saranno i prossimi assessori. Noi a questo proposito diciamo solo che al Campidoglio occorre un cambio di passo: meno vetrine e spot e più attenzione al cuore della città e dei suoi problemi. Cuore che ormai da tempo si è spostato fuori dal centro in quelle periferie dove vive e soffre la maggior parte dei romani.

E non è un caso se Scusate se esisto, ottima parabola della difficoltà di emergere per gli outsider, sia non solo ambientato ma interamente scritto sulla storia delle speranze di rigenerazione di Corviale.

Concludiamo, come nel film: “speriamo”.

https://www.youtube.com/watch?v=fDWSpqQiH4I

 

 




Linee Guida per il concorso internazionale di progettazione per la rigenerazione di corviale

palazzone

rigenerare Corviale

Il concorso internazionale di progettazione “Rigenerare Corviale” ha per obiettivo la riqualificazione del complesso residenziale di Corviale, di proprietà pubblica, realizzato negli anni tra il 1980 ed il 1984, nel Piano per l’Edilizia Residenziale Pubblica n.61.

consulta il documento completo




Osservazioni di Corviale Domani alle linee guida ATER

1) Per la riqualificazione del Palazzo Ater di Corviale queste le priorità e modalità individuate:

LEGALITÁ — Ristabilire la legalità è priorità assoluta, per farlo, si suggerisce di:

– verificare il nominativo dell’assegnatario con  l’attuale possessore dell’alloggio;

– fare contratto di locazione a  coloro che ne hanno diritto, verificando la situazione familiare ed eventuali sanatorie presentate nei termini di legge;

– verificare le condizioni socio-economiche dei soggetti per la chiusura dei contenziosi;

– prevedere in fase contrattuale l’assegnazione con patto di futura vendita.

SICUREZZA — Strettamente collegata a quanto sopra indicato ai fini di ristabilire la legalità. Inoltre i progetti di connessione orizzontale e verticale, trancio H compreso, dovranno tenere in considerazione:

– la criticità di spazi troppo vasti che da sempre favoriscono vandalismi, furti ed uso impropri;

– recupero ed assegnazione ai titolari degli alloggi dei posti auto e cantine ad oggi occupate abusivamente per farci depositi di materiali vari ed attività sociali e artigianali (carrozzieri, meccanici, falegnami ecc.) le quali dovranno trovare sistemazione legale ed adeguata nel progetto di riqualificazione, previa disponibilità degli stessi e indagine in merito. Attualmente tali attività risultano prive di autorizzazioni quali CPI (certificati prevenzione incendi) ed altro ai fini della sicurezza;

–  sistemazione degli ascensori, peraltro non adeguati ai portatori di Handicap, per vano ascensore e porte inadatte all’introduzione di carrozzine;

–  trasferimento dei contatori di energia elettrica dai sottoscala ai singoli alloggi, al fine di impedire gli allacci abusivi per il prelevamento di corrente elettrica;

– prevedere strumenti necessari per la messa in sicurezza quali impianti di videosorveglianza (videocitofoni, telecamere, ecc..) o guardiania.

-Riscaldamenti e uso acqua  diamo per scontato che con i lavori previsti questi servizi essenziali saranno messi a norma con contatori nelle singole abitazioni o  nei locali assegnati per attività socio-culturali e produttive.

COSTRUZIONE DEGLI ALLOGGI QUARTI E QUINTI PIANI — Dopo la realizzazione dei nuovi alloggi, già previsti nei progetti: –  assegnarli con i requisiti previsti agli aventi diritto previa identificazione e verifica di idoneità  anche per gli occupanti delle sale condominiali e delle torrette.

SVOLGIMENTO LAVORI — I lavori dovranno rispettare quanto previsto dai piani di riqualificazione, nel rispetto delle normative vigenti e dei tempi di attuazione.

Queste le priorità individuate:

– coibentare totalmente il Palazzo, utilizzando la bioarchitettura, soprattutto se si vuole che gli interventi ai fini del risparmio energetico siano efficaci;

–  intervenire e/o sostituire gli infissi degli alloggi;

–  intervenire al rifacimento o la risistemazione dei tetti di tutto lo stabile compreso il Corpo Basso e trancio H;

–  ricostruzione delle fognature esistenti e di servizio al Palazzo, al trancio H e a tutte le strutture collegate (vedi gli stabili che ospitano il consiglio municipale, vigili e mitreo, il mercato, la scuola, ecc..),  in gran parte ostruite o insufficienti e causa di  continui allagamenti e fuoriuscita di liquami con necessario continuo intervento di auto spurgo dai costi elevatissimi e che causano danni alle strutture e alle attività esistenti. Costi aggiuntivi per le casse regionali e comunali

– Anche qui diamo per scontato che  i 9 piani esistenti vengono collegati con ascensori e scale dirette.

2) Ristrutturazione del piano terra: obiettivi e strategie — Il Progetto di rigenerazione funzionale, ambientale e sociale dell’edificio Corviale  dovrà occuparsi anche del  sistema di servizi e degli spazi aperti ad esso connessi (Distretto evoluto d’arte, cultura, sport e ambiente), migliorando così le prestazioni dell’edificio  inteso come condensatore sociale, energetico e di comunicazione. In questo senso appare molto importante creare spazi idonei a supportare le nuove relazioni tra edifico e contesto, attraverso la rigenerazione di parti del basamento con eventuali demolizioni e creazioni di spazi liberi trasversali  in cui realizzare  percorsi e aree attrezzate e in generale spazi della socialità, tenendo in conto  sicurezza e gestibilità. Il sistema di attraversamenti dell’edifico dovrà essere in stretto rapporto con il progetto di  riorganizzazione ambientale e paesistica degli spazi verdi sui due lati opposti dell’edificio (verso il calcio sociale, il municipio, il mercato, il mitreo, la biblioteca, la scuola, i campi sportivi rugby, piscina, ecc) da un lato e verso la campagna (orti urbani, passeggiate, ecc.)  dall’altro.

3) “Colorare il Corviale” — Gli interventi di ristrutturazione dovranno tenere in considerazione la volontà  più volte espressa con inchieste e incontri da parte della Comunità e non solo, circa la necessità di “colorare il Corviale” anche attraverso elementi identitari.

4) Connettività di Corviale con il resto della città e sviluppo produttivo — Una attenzione particolare merita il tema mobilità e connettività da e verso la città che, per quanto riguarda il servizio pubblico verso le due stazioni Termini e Tiburtina, attualmente necessita di due o tre mezzi (bus + metro), penalizzando lo sviluppo economico delle attività già presenti sul territorio. Tale tematica va inquadrata anche in previsione della costruzione del nuovo stadio della A.S. Roma e dell’ipotesi di prolungare la Metro B da Laurentina a Muratella che suggerisce la realizzazione di un rapido e diretto collegamento con il Corviale e il suo quadrante tramite navette e funivia. Ciò risulta essere una priorità anche in relazione all’idea di sviluppo produttivo che il progetto nel suo insieme rappresenta. Aree specifiche, oggi spazi occupati o vandalizzati saranno infatti destinati ad attività legate al riuso e riciclo dei rifiuti, al recupero artigianale ma anche allo sviluppo turistico e culturale legato alla storia del Corviale da attuare di concerto con le strutture già esistenti sul territorio. Al proposito andranno individuati, per favorirne lo sviluppo produttivo tenendo in conto il Terzo Settore,  requisiti e parametri per l’affidamento degli spazi  pubblici a soggetti attivi a favore  della collettivita’ e che, insieme a forme di tutoraggio, andranno  verificati con indirizzi, scelte e  risultati ottenuti.

5) Attività innovative/creative connesse — La rigenerazione sociale dell’edificio Corviale  dovrà passare attraverso lo sviluppo di progetti che rendano i suoi abitanti protagonisti della loro storia. Tali attività potranno essere gestite dalle strutture socio-culturali esistenti, in collaborazione con le scuole, che hanno contribuito in questi anni a generare una fitta rete di relazioni, dando voce ai cittadini e richiamando, in più occasioni, l’attenzione dei media e delle istituzioni. Scelta questa che si coniuga con consapevolezza, competenze e partecipazione come hanno dimostrato nel corso di questi anni eventi, manifestazioni, proposte ed i Forum “La forza nel segno”, tanto per citare, che insistono  sulla necessità di intervenire nella riqualificazione e nel completamento del Progetto Corviale. Vanno in questa direzione le linee guida dell’ATER,  arricchendolo di spunti di riflessione e progettualità innovative ed avveniristiche, il Corviale nel terzo millennio,   in cui si ineriscono, fra l’altro, la nascita del 1° Distretto dell’arte, cultura, sport ed ambiente di Roma e la sottoscrizione di un partenariato interistituzionale che vedrà il Corviale e il suo territorio presente nel  prossimo autunno alla Biennale Internazionale dell’Architettura di Venezia quale prima  vetrina del nostro contributo all’Expo’ 2015 su cui tutti i soggetti interessati stanno lavorando.

6) la ricchezza verde — I parchi urbani – Tenuta dei Massimi e Valle dei Casali 1350 ettari – che definiscono i limiti territoriali del quadrante Corviale e altre aree verdi complementari sono parte centrale del progetto con l’obiettivo di progettare il territorio oltre l’urbano e agricolo per migliorare  la qualità paesaggistica, l’efficienza energetica e la sua capacità di ripristinare  la condizione di equilibrio dell’ecosistema.  Questa ricchezza   dovrà parlare sempre di più la lingua della multifunzionalità e dell’interdisciplinarietà dell’agricoltura, della tutela attiva dei territori, uno sviluppo locale partecipato, un’interazione dell’urbano rurale che rispondano ad una domanda di servizi e di spazi pubblici. Progettare il territorio oltre l’urbano e l’agricolo per migliorare la qualità paesaggistica, l’efficienza energetica e la sua capacità di riequilibrare l’ecosistema territoriale sono  resi possibili se accompagnati da un percorso partecipativo a cui la Comunità allargata sta lavorando. Multifunzionalità e interdisciplinarietà dell’agricoltura, la tutela attiva dei territori, uno sviluppo locale consapevole, un’interazione dell’urbano rurale che  risponda ad una domanda di servizi  che i cittadini e le nuove economie verdi richiedono. Nella traduzione del fare significano orti urbani; agri club; chilometro zero; agricoltura sociale; tetti da costo a ricavi; energie rinnovabili; risposte all’inquinamento; economie dei rifiuti urbani; spazi pubblici collegati, formazione,  conoscenza,  forma collaborative di organizzazione e produzione.

7) Corviale 2020  intelligente sostenibile inclusivo — Un capitolo a parte merita Corviale 2020/ fondi europei su cui il progetto ATER e le sue linee guide sul Palazzo Corviale avranno un rilievo importante in quanto  strettamente connesse con il suo territorio e con il modello di rigenerazione urbana proposto. Nel  contempo  sono in corso d’opera incontri promossi dal MIBACT con tutti i firmatari del partenariato interistituzionale, come da Forum 2013, per definire la proposta quadro degli interventi da presentare in modo pubblico a fine giugno su questo tema.

Si segnalano al proposito alcune possibili iniziative di partecipazione diretta:

Laboratorio inclusivo di scrittura, realizzazione e comunicazione di uno spettacolo sulla storia di Corviale dagli anni ’70 ai giorni nostri. Al centro del laboratorio saranno le persone con il supporto degli operatori specializzati sul territorio e delle diverse realtà del partenariato ognuna delle quali metterà a disposizione idee, progetti, competenze, tecnologie, ecc..ma soprattutto la sua storia legata al Corviale.

Realizzazione di uno  spazio/laboratorio sul tetto del Mitreo, con la costruzione di una sorta di Casa di Vetro, in cui lavorare ed essere visibili dall’edificio e dal territorio.

Condividiamo:

– L’opportunità di valutare, di concerto con Roma Natura, l’implementazione del numero degli orti urbani ( valorizzando quelli esistenti) e lo sviluppo della prevista vocazione agricola e  di progetti/strutture/attrezzature per rendere gli spazi aperti  intorno al Palazzo, piazza di Corviale compresa, funzionali all’idea che il progetto complessivo rappresenta (fattorie sociali, ippovie, ecc..).

– la valorizzazione del bene Corviale anche attraverso:

il recupero di risorse aggiuntive per interventi di manutenzione ordinaria e gestione con operazioni di marketing quali:

– quella sul tetto del Palazzo (visibile da Google Map), come suggerito durante la riunione   del 12 marzo scorso, in attesa dell’avvio della sua rigenerazione come da modello di sviluppo del prof. Panunzi. Al proposito si condivide l’opportunità che il tetto divenga l’elemento orizzontale    unificante, ricordando che la Comunità ha favorito l’accordo fra l’università del Molise e  l’Ater per la sperimentazione dei primi 500mq;

– il facilitare le richieste da parte di registi, artisti, ecc. di utilizzo degli spazi del Corviale come location per film, performance, istallazioni, ed altro;

la diffusione di opere d’arte sul territorio del Quadrante e la continuazione dell’iniziativa avviata durante il Forum e che sta coinvolgendo le persone che a vario titolo si stanno impegnando per la rigenerazione del territorio.

la formazione come elemento qualificante di conoscenza e di competenze per la riuscita  degli interventi previsti nel progetto di riqualificazione  (vedi smart community, riuso e riciclo, spazi interni per attività produttive e artigianali. agricoltura sociale…)

la gestione come requisito determinante su cui investire risorse, competenze e coinvolgimento diretto degli abitanti nelle attività che verranno attivate e negli spazi pubblici da affidare.  Che sia in filo diretto con la sicurezza e il mantenimento curato del bene Corviale.

La registrazione del marchio Corviale  per evitarne usi distorti e valorizzazioni improprie.

– di intervenire, come suggerito dal Presidente Veloccia, sulle carenze dei locali che

ospitano realtà  già attive ed a rischio e che hanno coinvolto fin qui finanziamenti pubblici

e privati ( vedi Centro N. Campanella, struttura che ospita il Consiglio del Municipio,

l’ufficio Tecnico, i vigili, il Mitreo, i centri sportivi…) .

– l’opportunità di costruire gli interventi individuando un preliminare complessivo e poi, a seconda delle priorità, da individuare in modo condiviso, da programmare le scelte in base  alle risorse esistenti e a quelle prossime venture.

Scuola Collodi 7




Non solo verde

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Il Roof Top Lab di Corviale (preconvenzione ATER Roma-UNIMOL)  è stato selezionato a Smart City Exhibition 2014 a Bologna – 22 Ottobre 2014

Abbandonare i vecchi modelli di lavoro è ormai una necessità, ora bisogna trovare nuovi luoghi per connettere e condividere vecchi e nuovi lavori basati sulla straordinaria capacità artigianale e creativa del saper fare italiano. E’ l’obiettivo concreto che emerge dopo una lunga stagione di errate valutazioni del concetto di Smart City come sola incentivazione di procedure virtuali e immateriali. Questa è stata l’apertura di Andrea Di Benedetto, vice presidente del Consiglio Nazionale Artigiani alla quale ha risposto Massimiliano Colella, direttore generale di Asset Camera, che ha riferito come Roma sia ormai considerata in USA come la capitale dei Makers dopo lo straordinario e imprevedibile successo consecutivo delle due Maker’s Fair romane, i raduni dei nuovi artigiani digitali. A queste domande hanno risposto Daniel Lanfrey (segreteria tecnica del Ministro del MIUR), Pedro Sampaio Nunes (Eureka – Esco vision), Carolyn Hassan (Knowle West Media Centre) e molti altri partecipanti. E’ in questa cornice che la presentazione del progetto di fattibilita’ del tetto produttivo più grande del mondo, il Roof Top Lab di Corviale (Universita’ del Molise – Ater Roma) è sembrata la risposta più innovativa e paradossalmente concreta a quella domanda di nuovo lavoro e nuovi luoghi per il lavoro. Trasformare i tetti degli edifici residenziali ad alta densità abitativa in luoghi produttivi, innovativi, ecosostenibili e a KM Zero è il messaggio lanciato a Smart City Exhibition 2014 di Bologna. Una proposta selezionata fra molte, come sfida concreta legata prima di ogni altra cosa al lavoro, appoggiata da una comunità associativa attivissima, da un invidiabile tavolo interistituzionale, confermata dalle linee guida del futuro concorso internazionale di rigenerazione del distretto di Corviale che ATER lancerà entro primavera 2015, sfida lanciata ormai anche all’imminente Esposizione Universale di Milano.

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“Corviale rinasce” nelle foto di Aldo Feroce

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corviale al centro dell'attenzione dei media

corviale al centro dell’attenzione dei media




Zingaretti: 19 MILIONI PER RIQUALIFICARE CORVIALE

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COMUNICATO STAMPA

 

19 MILIONI PER RIQUALIFICARE CORVIALE

 

Zingaretti: “la Regione Lazio ha stanziato oltre 19 milioni di euro per la rigenerazione urbana di Corviale”.

Dopo un’attesa lunga 18 anni parte un concorso internazionale per la ristrutturazione del 4° piano, la messa in sicurezza, la manutenzione ordinaria e straordinaria dell’intero complesso.

Il Bando di progettazione, condiviso con gli abitanti di Corviale, si basera’ sulle linee guida dell’Ater condivise con il Tavolo di Concertazione Istituzionale avviato dal Ministero dei Beni e delle attivita’ Culturali e del Turismo e che saranno presentate alla Biennale di Venezia venerdì 3 ottobre.

Finalmente ciò per cui abbiamo tanto lottato si realizza ma come sempre, come Coordinamento Corviale Domani, ribadiamo che senza la premessa della legalità e della sicurezza Corviale non si rigenera.