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Una potenza civile: filosofia per l’Europa (II)

Diario Europeo n.28

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“Oggi gli avversari di Habermas non sono pensatori di destra o nostalgici sostenitori di una Germania ‘neoguglielmina’ come Thilo Sarrazin o quelli raccolti attorno alla AfD (Alternative fur Deutschland). Ma intellettuali, sociologi e giuristi – ecco il paradosso – formatisi alla sua scuola, ma radicalmente ostili, dal punto di vista teorico come quello politico, alla prospettiva europeista”.

Così, martedì 12 aprile 2016, su “la Repubblica”, Angelo Bolaffi, attirava l’attenzione dei lettori e delle lettrici su “La deriva antieuropea dei ‘nipoti’ di Habermas”.

Questa stringente attualizzazione di un lungo percorso di una delle correnti filosofiche ed intellettuali della Germania ci aiuta a riprendere le fila dello strategico tessuto di una filosofia per Europa.

(German Philosophy)

Nell’estate del 1940 – mentre gli scritti di Carl Schmitt spostavano il baricentro anche simbolico della filosofia tedesca ed europea oltre i confini di una centralità europea che ormai solo i cantori del passato continuavano a sognare – Max Horkheimer, scrivendo “ per la prima volta in lingua inglese, con il titolo “Studies in Philosophy and Social Sciences”, dà il senso della rottura ormai consumata nel rapporto tra filosofia ed Europa”. E afferma senza incertezze, e per i suoi lettori certamente con una intensa sorpresa: “L’America , e specialmente gli Stati Uniti, è il solo continente in cui sia possibile continuare la vita scientifica” (p. 64).

Torna in scena il “Da fuori”. In realtà sono ben numerosi, infatti, gli intellettuali che ripararono oltre l’Atlantico. Thomas Mann, Ernst Cassirer, Hannah Arendt, Einstein e Sconberg; e, naturalmente, gli altri esponenti della “Scuola di Francoforte”: Marcuse, Lowenthal, Fromm e Adorno, per ultimo nel 1938. Tra gli anni ‘30 e ’40, dunque, “questo passaggio per “il fuori” – anche se compiuto sotto la pressione della necessità – poteva restituire una sorta di egemonia a quella filosofia europea incapace di ritrovarla nella propria origine greca” (p. 66).

L’opera più celebre della Scuola – Dialettica dell’illuminismo – di Adorno e Horkheimer, che tanto influirà anche nella formazione culturale della generazione del dopo-guerra (anche in Italia) è stata anche quella più discussa. “Si è voluta vedere in essa di volta in volta un rifiuto della ragione occidentale, una teoria catastrofica della storia, un frammento di Kulturpessimismus antitecnologico e perfino antidemocratico, una sconfessione esasperata del Moderno (…) L’effettivo rilievo filosofico risiede in una concezione del tempo irriducibile a ogni filosofia della storia, sia di tipo progressivo che regressivo; progresso e regressione, d’altra parte, sono profili, opposti e complementari dello stesso paradigma storicistico (p.79).

Ci sia consentito un salto nel bel mezzo dei giorni nostri (più di chi scrive che di legge, immagino per via della differente età): Torino 1986, siedono di fronte Jurgen Habermas – l’ultimo dei ‘francofortesi’ (venuto a presentare un suo libro: Teoria dell’agire comunicativo, in due volumi di 1091 pagine!) e Enrico Filippini, firma di grande qualità di “la Repubblica”.

“Da Francoforte, che nella vulgata vuol dire poi Horkheimer e Adorno, Habermas prende qualche distanza. I due avevano un concetto forte della Ragione, e in definitiva non erano in grado di dire quali fossero i loro criteri nella critica della società e della cultura”, e Habermas indica con chiarezza il pericolo: “non c’è più teoria critica della società, ma soltanto filosofia negativa della storia. Invece occorre poter formulare una critica contestuale della ragione e della società” (in: Enrico Filippini, “Eppure non sono un pessimista, conversazioni con Jurgen Habermas).

Avvertiranno i lettori e le lettrici di “Diario europeo” che con queste brevi citazioni abbiamo evocato tanta parte delle contraddizioni del pensiero e dell’azione anche delle successive generazioni europee, le quali dal 1968 in poi – con rotture e salti, di varia natura e intensità, di una continuità incerta e spesso obliata – agiscono e sono agite dalla e nella lotta politica e sociale sempre in bilico tra contestazione della ragione e degli assetti sociali e politici e una mai vinta tendenza alla filosofia negativa della storia, resa manifesta da forme di nichilismo, antagonismo e vere e proprie forme di corto-circuito sinistra-destra.

(Questa Europa è in crisi)

Questo salto notevole nella contemporaneità ci consente di planare dalla pura “filosofia tedesca” nell’azione di un filosofo costituzionalista che sta dando molto al pensiero e alla politica europei per una fuoriuscita di Europa dalla crisi.
Sono almeno due gli ostacoli alla comprensione piena e all’azione conseguente, con criteri di irreversibilità, per la integrazione europea: una è di ordine giuridico costituzionale; l’altra appartiene ai limiti della unione economica e monetaria, ai quali ancora oggi gli Stati nazionali e le classi dirigenti europee non riescono a dare compiute risposte.

“La prima innovazione sta nella preminenza del diritto internazionale sul diritto nazionale dei monopolisti del potere. L’Unione europea potrà stabilizzarsi a lungo termine soltanto se sotto la coazione degli imperativi economici farà i passi ormai indispensabili per coordinare le politiche essenziali, non nello stile burocratico-gabinettistico sinora consueto, ma percorrendo la via di una sufficiente ratificazione giuridica democratica.” (Jurgen Habermas, Questa Europa è in crisi).

Jurgen Habermas, come dicevamo sopra, è uno dei massimi costituzionalisti e filosofi viventi; è cittadino della Germania e dell’Unione europea. Il nostro “Diario” ha bisogno di misurarsi, con il suo aiuto, con alcune questioni giuridico-istituzionali e costituzionali, in bilico tra “stati nazionali” (e democrazia nazionale) e democrazia europea, dentro un assetto non statuale, non federale, non confederale; dunque non precisamente definito o definibile.

“Prima di fare chiarezza su un possibile disaccoppiamento del procedimento democratico dallo Stato nazionale – dice Habermas – dobbiamo sapere cosa vogliamo intendere per democrazia. Ebbene, autodeterminazione democratica significa che i destinatari di leggi cogenti ne sono al tempo stesso gli autori. […] Il crescere del potere di organizzazioni internazionali, via via che le funzioni degli Stati nazionali si dislocano sul piano della governance transnazionale, mina di fatto il procedere democratico degli stessi Stati nazionali. Se non ci si vuole rassegnare a tutto questo, mentre si è costretti a riconoscere come irreversibile la dipendenza crescente degli Stati nazionali (e dei loro popoli) dalle costrizioni sistemiche di una società mondiale sempre più interdipendente, s’impone la necessità politica di ampliare le procedure democratiche oltre i confini dello Stato nazionale.” (Jurgen Habermas, ivi.)
Si profila, dunque, una necessità storica: siamo tutti di fronte all’emergenza di un oggetto nuovo, il mondo in quanto tale. Per quel mondo e in quel mondo, questa generazione deve mettere a punto gli strumenti di un procedimento democratico adeguato a quella “immensità”.

Habermas, fa dettagliate proposte di riforme anche del “Trattato” vigente; non senza aver precisato due acquisizioni fondamentali: a) “Dall’angolo visuale teorico-democratico l’elemento della divisione del soggetto costituente in ‘cittadini’ e ‘Stati’ e invero una qualificazione importante. I cittadini partecipano in modo duplice al costituirsi della comunità politica di livello superiore, nel loro ruolo di futuri cittadini dell’Unione e come appartenenti a uno dei popoli dei rispettivi Stati; b) Questa configurazione delle componenti di una comunità democratica nella forma di una confederazione destatalizzata non significa una perdita di legittimazione, perché i cittadini d’Europa hanno buoni motivi perché il proprio Stato nazionale, nel ruolo di ‘Stato membro” dell’Unione, continua a svolgere il ruolo costituzionale di garante del diritto e della libertà” (ivi). Queste elaborazioni tese a esplicitare le basi realmente democratiche del livello “unionale” degli Stati nazionali hanno una indubbia valenza anche sociale (della Società europea).

Queste impostazioni di tipo costituzionale tese a definire i contorni di una Democrazia sovranazionale risalgono al 2011, mentre le prime forme e manifestazioni di populismi apparivano all’ordine del giorno della Politica europea. Chiosava, infatti, Habermas : ”L’ombra lunga del nazionalismo si stende ancora nel presente. Il diffondersi della solidarietà civica dipende da ‘processi di apprendimento’ che, come l’attuale crisi lascia sperare, possono essere stimolati dalla percezione degli stati di necessita in cui versano l’economia e la politica” (Jurgen Habermas, citato). Ma dopo quelle espressioni e forme hanno moltiplicato la loro forza e influenza. Alla crisi economica si è aggiunta, con una intensità inattesa, quella delle migrazioni che hanno investito una Europa – ancora una volta, e fino a quando?- impreparata. “Anche i popoli – spogliati dei diritti e disinformati – barcollano sperduti, fantasticando recinti nazionali eretti contro l’economia mondo. Credono di contestare i governi. Sono in realtà complici, quando non esigono un’altra Europa: forte e solidale.” (Barbara Spinelli, I sonnambuli dell’Europa).

Dunque ancora di più la ricerca teorica dei costituzionalisti tesa a “fondare” le basi democratiche dell’Unione hanno una valenza anche politica. Ma con tutta evidenza non bastano, perché non risultano funzionanti ed efficaci di fronte ai popoli!

Dalla “crisi della Filosofia /Filosofia della crisi” siamo approdati alla crisi di queste ore di una Europa che non ha le Forme e i Modelli Istituzionali adatti al “governo” delle emergenze, tanto meno dei nuovi, strutturali cambiamenti su scala mondiale, di fronte ai quali “questo” modello istituzionale e decisionale europeo manifesta di non poter offrire la necessaria forza di un “potere civile”, ma coesa ed efficace.

Altre ispirazioni e altre basi di un pensiero europeo dovremo e potremo scoprire dalla analisi “French Theory” e dall’ “Italian Thought”.

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