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Un artista a colloquio con Le Corbusier

Cristian Chironi abiterà in 30 case progettate da Le Corbusier in giro per il mondo. La prima tappa si è appena conclusa a Bologna, al Padiglione Esprit Nouveau. Qui l’intervista all’autore

È partito da Bologna, per l’esattezza dal Padiglione Esprit Nouveau, il progetto a lungo termine “My house is a Le Corbusier” ideato da Cristian Chironi con il sostegno della Fondazione Le Corbusier. L’artista sardo s’insedierà, come in una performance dilatata nel tempo, nelle numerose abitazioni progettate in tutto il mondo dal celebre architetto svizzero.
 Saranno circa 30, in 12 nazioni differenti, le tappe abitative che Chironi farà rivivere in una sorta di grande mostra “work in progress”, un cantiere espositivo di idee, installazioni site-specific e performance. La prima residenza è durata circa tre settimane, dal 7 al 31 gennaio 2015, e ha coinvolto il Padiglione Esprit Nouveau, originariamente realizzato da Le Corbusier nel 1925 per l’Esposizione Internazionale di Parigi, e ricostruito nel 1977 davanti all’ingresso della Fiera di Bologna. Più che una casa, un vero e proprio manifesto dell’architettura come teoria sociale, che Cristian Chironi ha occupato in collaborazione con MAMbo – Museo d’Arte Moderna di Bologna e Xing in occasione di Art City 2015, percorso di eventi e mostre collegato ad Arte Fiera. Al primo step farà seguito l’occupazione dell’appartamento-studio di Le Corbusier all’interno dell’edificio denominato Molitor in rue Nungesser et Coli a Parigi, previsto per aprile/maggio 2015.

In attesa che inizi, abbiamo chiesto all’artista qualche dettaglio in più sul progetto generale:

L’anno scorso hai vinto una borsa di studio alla Fondazione Le Corbusier, com’è coinvolta esattamente quest’ultima nel progetto “My house is a Le Corbusier”?
Il progetto iniziale che avevo proposto alla Fondazione Le Corbusier riguardava l’analisi di una serie di relazioni legate al concetto di comunicazione, lettura e interpretazione, con conseguenti implicazioni linguistiche e socio-politiche. L’interpretazione può incidere, infatti, anche nel rapporto tra una forma di architettura ideale e la sua funzionalità popolare, e dare luogo a una sorta di scollamento tra opera e fruitore. Utilizzo la figura di Le Corbusier come uno strumento, per parlare di questioni collegate all’abitare contemporaneo. Una volta ottenuta la borsa di studio, ho proposto al direttore della Fondazione Michel Richard e all’architetto conservatore Bénédicte Gandini l’idea di poter fare un’esperienza diretta nelle numerose case progettate da Le Corbusier, confrontandomi con le diverse culture di ogni paese. Calandomi, in un periodo storico di difficile e precaria stabilità economica, nell’impossibilità di possedere una casa di proprietà e prendendomi la libertà di abitare le case di Le Corbusier.

Per questo progetto ti sei ispirato a un fatto realmente accaduto, un caso di “cattiva traduzione” che coinvolge l’artista sardo Costantino Nivola, tuo conterraneo, e un progetto di Le Corbusier, di cui era molto amico. Ce lo vuoi raccontare?
Nella seconda metà degli anni Sessanta, Costantino Nivola, originario di Orani come me, affidò al fratello “Chischeddu” il progetto di una casa di Le Corbusier, con l’auspicio che, insieme ai figli muratori, seguisse scrupolosamente le istruzioni contenute al suo interno. L’importanza di questo lascito non fu però capita. Tempo dopo Costantino, visitò la casa e notò che non corrispondeva alle caratteristiche del progetto iniziale che, a detta della famiglia “non aveva né porte né finestre e assomigliava più a un tugurio che a una casa vera e propria”. Costantino Nivola reagì riprendendosi il progetto, di cui oggi non si conosce più il destino.

Hai parlato di queste abitazioni come “postazioni di osservazione privilegiate”, cosa esattamente si può vedere (e fare) in questi luoghi?
Viaggiando di casa in casa, mi sarà possibile rendermi conto delle dinamiche che caratterizzano quel determinato contesto e i differenti ambienti di vita. Quando parliamo delle case di Le Corbusier è più corretto usare il termine “opere abitabili”. Abitare un’opera significa che ogni azione quotidiana assume un senso diverso. Vivere all’interno di una casa di Le Corbusier è un privilegio, anche se, in generale, oggi è già un privilegio possederla una casa! Durante le residenze, raccolgo suggestioni e input e li restituisco attraverso approcci creativi interdisciplinari tra installazione, video, fotografia, opere su carta e performance.

Vuoi citarci alcune tra le abitazioni più interessanti, progettate da Le Corbusier nelle 12 nazioni, che My house is a Le Corbusier intende coinvolgere il futuro?
Ogni casa ha la sua particolarità. Sono interessato a percorrere soprattutto la geografia dettata da queste abitazioni, quindi dopo l’Esprit Nouveau a Bologna e il Molitor a Parigi, vorrei spostarmi in Svizzera, Giappone, Germania, Belgio, India, Stati Uniti, Argentina, Tunisia, Russia, Iraq. Le ultime tre nazioni, per diverse ragioni, sono problematiche da affrontare, e andranno sicuramente vissute diversamente dalle altre: sono Villa Baizeau a Cartagine, il Centrosoyuz a Mosca e lo Stadio di Baghdad.