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L’epopea delle lotte per la casa

A Roma le lotte per la casa iniziarono nell’immediato dopoguerra. A guidarle erano due personalità di spicco della Resistenza romana. Il primo era Nino Franchellucci, comunista della prima ora e per questo recluso nelle carceri fasciste, capo della formazione partigiana Garibaldi impegnata tra Tor Pignattara e Villaggio Breda. L’altro era Nicolò Licata, medico socialista, anche lui di Tor Pignattara, che nella lotta di Liberazione aveva organizzato una fitta rete di collegamento tra il Sanatorio Ramazzini e l’Ospedale Forlanini. A loro si aggiungeranno in seguito altri dirigenti di valore: Virgilio Melandri, Aldo Tozzetti e Senio Gerindi.

Nel 1948 a Roma c’erano 122 borgate: 35 legali, costruite nel ventennio fascista; 87 abusive. Il censimento del 1951 rilevò 27.961 strutture abitative invivibili, tra baracche, grotte, scantinati, magazzini, soffitte, ma in cui “vivevano” 105 mila persone. Uomini in fuga, uomini che dovevano fare ogni giorno l’invenzione artistica per sopravvivere, che dovevano scommettere tutto quello che avevano, tutta la loro vita di quel momento su una vita futura che forse non sarebbe mai arrivata. I baraccati vivevano in prigione e fuggivano nel sogno. A sognare l’ordine, la stabilità, la sicurezza.

In molte borgate non esistevano né acqua potabile né strade rotabili. Per soddisfare queste esigenze essenziali Franchellucci e Licata promossero le Consulte popolari. Inizialmente il loro programma si articolava in due punti essenziali: fontanelle pubbliche dappertutto e strade in grado di collegare le borgate al centro della città mediante i mezzi pubblici.

Dal 1° al 3 febbraio 1948 si svolse il primo congresso delle Consulte per trovare soluzioni a favore della parte più povera della popolazione. E nacque così il Centro cittadino delle Consulte popolari con sede in via Merulana. Contemporaneamente fu costituita anche l’Associazione romana degli inquilini e senza tetto che forniva consulenza e assistenza su problemi di sfratto e di affitto, ma anche per la reiscrizione nelle liste elettorali e la cancellazione di piccoli reati. L’Associazione presentò al Comune 18.328 richieste di residenza che venivano regolarmente respinte  ma ogni volta reiterate.

Al centro dell’iniziativa delle Consulte era posto il risanamento delle borgate.  L’inchiesta parlamentare del 1951-52 sulla miseria così le descrive:

Queste borgate sono le maggiori piaghe sociali di Roma, piaghe nascoste, di cui lo straniero, specie il turista frettoloso, non sospetta neppure l’esistenza, ma di cui anche l’italiano sa in genere pochissimo, a meno che il caso non lo abbia costretto ad occuparsene. Solo un fattaccio di cronaca, più straordinario degli altri, fa intravvedere ai lettori l’inquietante realtà di queste borgate fuori mano, anche per una non piccola parte degli stessi romani.

Quell’inchiesta rivelò chi erano, da dove provenivano, come dovevano essere considerati coloro che vivevano ai margini della città. E servì a smascherare l’azione subdola del questore di Roma, Carmelo Marzano, che pensava di alleviare i problemi sociali della Capitale ricorrendo all’applicazione delle leggi fasciste sulle migrazioni interne e contro l’urbanesimo. Queste norme impedivano ad un disoccupato di risiedere in un comune diverso da quello d’origine. Ma non era riuscito a farle rispettare nemmeno il fascismo tanto forte era la pressione della gente a trasferirsi dai centri minori alle città. E i motivi erano solitamente due: la ricerca di un lavoro e il miglioramento delle condizioni di vita.

Bisognerà attendere una legge del 1961 per abolire quella legislazione liberticida. E fu possibile grazie alle Consulte popolari di Roma che promossero nel 1958 una grande assemblea la quale dette vita all’Associazione per la libertà di residenza. Fu eletto presidente Senio Gerindi. Erano 300 mila i non residenti su di una popolazione di due milioni di abitanti. Queste persone clandestine abitavano in baracche o case costruite con le proprie mani senza licenza edilizia. Una massa enorme a cui era impedito iscriversi all’anagrafe e all’ufficio di collocamento, benché la libertà di soggiorno fosse sancita dall’art. 16 della Costituzione.  Ed era, pertanto, costretta ad accettare le peggiori e più pericolose condizioni di lavoro. Quando quella lotta si concluse positivamente, si modificarono profondamente i rapporti sociali nella città.

Tra il 1950 e il 1975 vennero a vivere a Roma un milione e 500 mila persone. E in una città priva di case, servizi e posti di lavoro, questa immigrazione causò un aumento smisurato di baracche e borghetti. Gli immigrati più poveri provenienti dall’estremo Sud e dalle Isole costruivano le case per le famiglie più ricche, mentre per loro esisteva solo una baracca. Quelli provenienti dal Lazio, dall’Umbria, dalle Marche e dall’Abruzzo, disponendo di qualche soldo perché avevano venduto un pezzo di terra, compravano un lotto abusivo nell’Agro romano e si costruivano una casa circondata da un orto.

La periferia romana non ha mai avuto nulla in comune con la banlieue parigina o con la cintura di Milano o di Torino. Roma attrae un forte afflusso di immigrati, quasi sempre disperatamente poveri, ma non riesce a dar loro posti di lavoro stabili, ossia legati a un ciclo produttivo funzionale. Di qui la burocratizzazione ipertrofica, la terziarizzazione fasulla, la modernizzazione spuria. A parte l’edilizia, che ha caratteristiche particolari di attività post-agricola e paraindustriale, la sola vera  industria romana è quella  della sistemazione improduttiva.

Quando i giornalisti Ruggero Zangrandi e Mario Benedetti pubblicarono nel 1958 su Paese Sera un’inchiesta sulla casa, le Consulte chiesero al giornale di farsi tramite di un’iniziativa che si proponeva di organizzare tutti coloro che, disponendo di una certa somma iniziale, potessero dar vita a imprese di costruzione per divenire proprietari di un alloggio decoroso. Si auspicava un censimento dei possibili aderenti. Paese Sera stampò ad ogni puntata dell’inchiesta un tagliando da spedire al giornale coi dati anagrafici degli aderenti e con l’indicazione della somma di cui essi disponevano. Al giornale giunsero migliaia di adesioni e il censimento indicò in centinaia di milioni le somme dichiarate. Nella prima assemblea degli aderenti, nella sede del quotidiano, si formò il comitato promotore e, dopo un mese, nel salone del Palazzo Brancaccio fu costituita l’Associazione Italiana Casa (AIC). Il suo  consiglio d’amministrazione, presieduto da Virgilio Melandri, deliberò di acquistare un terreno in via della Pisana sul quale vennero edificati 14 edifici consegnati ai soci nel 1962.

Intorno al problema della casa  iniziativa pubblica, investimenti privati, speculazione si confrontarono con le attese dei cittadini: disponibilità di alloggi, fitti contenuti e, soprattutto, l’aspirazione alla proprietà formale o di fatto della casa. Nel tempo, questi obiettivi furono sostanzialmente raggiunti grazie a una serie di interventi normativi, all’azione diretta di enti pubblici e alla messa in opera di un complesso intreccio politico e clientelare  che attraverso cooperative, mobilitazione dal basso, abusi e condoni edilizi diede luogo a un consolidato sistema di grandi e piccoli privilegi, di diffuse e articolate parzialità: mantenendo sempre precario e mai equamente risolto l’equilibrio fra aspirazioni e diritti.

Per molti anni 200 mila immigrati sono vissuti nelle baracche costruite nei 72 borghetti e 800 mila persone hanno edificato una casa nei lotti venduti da lottizzatori abusivi. Bisognerà attendere il 1981, quando fu abbattuto il borghetto Prenestino, il più vecchio e il più grande, per considerare conclusa l’ epopea delle lotte contro le baraccopoli e per uscire dalla quieta disperazione del ghetto.

Oggi la periferia romana si è trasformata e accanto ai nuovi immigrati comunitari e stranieri si sono diffuse le nuove povertà, quelle dei ceti medi che cercano disperatamente di salvare le apparenze. I nuovi ricchi sono paradossalmente gli appartenenti alle famiglie operaie o di estrazione popolare. Possono lavorare occasionalmente nell’economia sommersa; per questa via, integrano i guadagni regolari. Per le famiglie medie, giorno dopo giorno, la posizione sociale è erosa dalla crescente impossibilità di far fronte a consumi ritenuti essenziali per un decente, rispettabile tenore di vita.

La via d’uscita non può che essere una diagnosi severa dello stato di povertà e dei suoi modi evolutivi e l’avvio di un processo di autoliberazione dei poveri, vecchi e nuovi, autoctoni e immigrati, che parta da una presa di coscienza di sé stessi come cittadini. Il multiculturalismo non va praticato solo nelle attività culturali, artistiche e ricreative, ma soprattutto nei percorsi partecipativi “dal basso” per promuovere sviluppo locale.
E’ vero, ci sono barriere culturali e linguistiche che lo impediscono. Ma per fronteggiarle non bastano gli slogan. Dovremmo aprire un confronto tra le diverse componenti più innovative e portatrici di capacità imprenditoriali. Ci sono giovani bengalesi, indiani, cinesi che intraprendono e contribuiscono a creare sviluppo in Italia, utilizzando le nuove tecnologie, Così come molti giovani italiani fanno altrettanto all’estero. A queste energie fresche e piene di entusiasmo dobbiamo rivolgerci per disegnare, insieme a loro, nuovi scenari di integrazione e di pluralismo multiculturale. E’ questa la strada che si intende imboccare nelle esperienze concrete di Corviale, Tor Pignattara e altre realtà di Roma in movimento.
baracche

 




Istituire a Tor Pignattara la Casa della società civile

«Alla Marranella lì all’incrocio dell’Acqua Bullicante e la Casilina c’era più via vai di macchine e di gente che in via Veneto…» Così Pasolini descrive il centro di Tor Pignattara in Ragazzi di vita.

Ebbene, proprio in questa piazza, dove via dell’Acqua Bullicante fa angolo con via della Marranella, fu costruito nel 1950 un palazzo di otto piani. I primi due furono acquistati dall’ USIS (United States Information Service) per collocarvi una delle innumerevoli biblioteche che l’organizzazione americana aveva sparse in venti Paesi. Una biblioteca a scopo didattico per dare la possibilità a tutti di prendere in prestito ogni tipo di materiale utile a conoscere la vita americana e le novità in campo industriale. Nella struttura si svolgeva un’intensa attività culturale: mostre fotografiche, conferenze, presentazioni di libri. E i giovani studenti e i cittadini di ogni età la frequentavano con grande interesse.

Ma nelle prime ore di lunedì 19 settembre 1966 una bomba ad orologeria esplose nell’atrio della biblioteca. I locali subirono danni gravissimi. E schegge dell’ordigno colpirono un’auto parcheggiata di fronte, le vetrine dei negozi e le abitazioni dei palazzi vicini. Per fortuna non ci furono vittime. E non si seppe mai chi fosse l’autore del gesto dissennato.

Gli abitanti più anziani di Tor Pignattara ricordano l’episodio come una ferita non più risanata. Un atto insensato e oltraggioso nei confronti del quartiere e una perdita irreparabile. Infatti, dopo l’attentato, l’Usis vendette i locali e la biblioteca non fu più istituita. Col tempo quel luogo di cultura è stato rimpiazzato da una banca.

Ora, a piazza della Marranella, il Municipio V ha concesso ai cittadini la sala dove fino a qualche anno fa si riuniva il consiglio municipale. Si potranno svolgere laboratori e riunire gruppi di studio al fine di elaborare proposte su diversi problemi, da quelli più gravi, come la presenza delle mafie sul territorio, alla necessità impellente di diffondere cultura e conoscenza nel quartiere, integrare gli immigrati con gli italiani, gestire in modo partecipato i beni comuni e progettare lo sviluppo locale.

Sarebbe utile che il Comune di Roma affidasse in modo permanente i locali di piazza della Marranella ad un soggetto partenariale aperto a tutti i comitati, associazioni e singoli cittadini per farne la Casa della Società Civile di Tor Pignattara.

In questo modo, dopo quarantotto anni, la ferita che la comunità locale subì con l’attentato alla biblioteca potrà finalmente essere sanata. E la cultura diffusa potrà riprendere a svolgere la sua funzione generatrice di coesione sociale e sviluppo umano.

 

 

Piazza della Marranella

Piazza della Marranella

 

 




Attivisti di destra cavalcano il malcontento a Torpignattara

La riunione di ieri sera nel cortile della Parrocchia di San Barnaba a Torpignattara ha messo in luce la manovra politica della destra romana volta a strumentalizzare il malcontento della gente per le condizioni di estremo disagio in cui è costretta a vivere. Ma raccontiamo i fatti.

Un gruppo di cittadini – tra cui alcuni commercianti – strumentalizzati da esponenti della destra romana, hanno inteso distaccarsi dall’iniziativa del comitato di quartiere di Torpignattara per adottare metodi di lotta ritenuti più efficaci nel portare avanti la vertenza di territorio. In realtà, la riunione è stata condotta, in spregio a qualsiasi norma democratica e di civiltà, per ottenere il consenso su un documento dai chiari contenuti xenofobi.

La lettera aperta – già consegnata al Sindaco a nome degli ignari cittadini e letta ad essi solo a posteriori –  evita accuratamente di dire che il traffico di cocaina, la prostituzione, l’usura, il riciclaggio di denaro sporco, il proliferare delle sale scommesse, l’istallazione di slot machine in molti esercizi pubblici, il racket delle frutterie che aprono e chiudono continuamente, l’affitto “a materasso” degli appartamenti, il furto continuato di ogni spazio di socialità a Torpignattara non sono altro che l’esito di azioni di criminalità organizzata italiana di stampo mafioso. E l’occultamento di questa verità serve ad addossare la responsabilità del degrado alla presenza degli immigrati.

La responsabilità del degrado a Torpignattara è innanzitutto del Governo e poi del Comune e del Municipio, che non svolgono un’azione adeguata di contrasto alla grande criminalità organizzata di tipo mafioso, accrescendo la presenza delle forze dell’ordine e favorendo la cultura della legalità tra i cittadini per poter resistere, contestualmente all’iniziativa dello Stato, con un forte impegno civico nelle comunità locali.

E’ evidente che quando in una comunità si permette alle cosche mafiose di prosperare nel crimine e negli affari illeciti in perfetta tranquillità, tutti i gangli della società si infettano e dalla grande illegalità si passa alla piccola irregolarità, dai grandi episodi di violenza, alla piccola e diffusa violenza quotidiana. E in questo processo sono coinvolti sia italiani che immigrati. Ma l’origine sta nella presenza della mafia e nell’incapacità dello Stato di comprenderne i nuovi caratteri e di contrastarla.

Nel solco del malessere che questa grave situazione determina, si è ora inserita la manovra di alcuni capipopolo di destra ( personaggi che ricordano i capi dei “forconi” che guidavano le proteste dei camionisti e degli agricoltori e i blocchi delle autostrade coi tir) che si presentano come ingenui apolitici, ma poi alimentano pulsioni xenofobe e cavalcano il malcontento a fini di parte. Non a caso l’obiettivo della riunione di ieri sera era quello di farsi legittimare come rappresentanti dei cittadini di Torpignattara negli incontri che avevano già ottenuto illecitamente con le istituzioni. Ma, in realtà, nessuno li aveva mai eletti per svolgere questa funzione. Hanno dovuto penosamente confessare di essere stati indicati come tali dal presidente del V Municipio per riequilibrare “politicamente” la delegazione che sta incontrando la delegata del Sindaco alla sicurezza. Insomma, sarebbe una comica esilarante se non si trattasse di una vicenda estremamente seria: alcuni nominati dal potere pretendono di rappresentare la protesta nei confronti di quello stesso potere che origina il degrado e la criminalità.

Occorre demistificare questa impostura con una informazione capillare e dando ai cittadini gli strumenti conoscitivi della realtà che si è venuta a creare a Torpignattara e in altri quartieri di Roma per costituirsi in comunità consapevoli. La mancanza di iniziative per favorire l’integrazione degli immigrati è sicuramente un aspetto che aggrava ancor più la situazione di disagio nel quartiere. Tra queste iniziative è urgente programmare un’azione per diffondere la cultura della legalità tra tutti i residenti, autoctoni e immigrati. E’ per questo necessario coinvolgere nei dibattiti e nella mobilitazione anche le comunità degli immigrati per responsabilizzarle in questo processo di autoapprendimento collettivo della democrazia diretta, della capacità di rappresentare le proprie istanze nel confronto con le istituzioni, della cultura della legalità diffusa.torpignattara




Torpignattara. Ci vuole una regola per poter discutere e decidere

Tra stasera e mercoledì 17 settembre nel quartiere di Torpignattara si svolgeranno tre distinte assemblee per affrontare i problemi che creano disagio e malessere tra i cittadini. E’ probabile che i promotori non abbiano trovato un’intesa per organizzarne una sola. Tutte e tre vengono definite dai promotori “assemblea dei cittadini”. Ma per essere tali dovrebbero svolgersi con modalità condivise da tutti i partecipanti.

 

Mobilitazione del quartiere

Mobilitazione del quartiere

Pertanto, questa sera parteciperò alla prima di queste Assemblee pubbliche e proporrò all’inizio della riunione l’approvazione del seguente regolamento in modo tale che tutti i partecipanti abbiano consapevolezza dei diritti e dei doveri durante lo svolgimento dei lavori. Per alimentare la fiducia tra le persone che intendono confrontarsi e decidere insieme iniziative comuni bisogna partire dalla condivisione delle regole in base alle quali si discute e si decide. E queste regole devono essere formalmente deliberate e difese da tutti.

Regolamento per lo svolgimento dell’Assemblea dei cittadini

Art. 1
Costituzione dell’Assemblea

I cittadini residenti nel quartiere di Torpignattara che intendono partecipare all’Assemblea sono tenuti a registrarsi all’ingresso del luogo in cui questa si svolge, indicando i propri dati anagrafici, prima che la stessa abbia inizio.
Potranno chiedere la parola ed esercitare il diritto di voto esclusivamente i cittadini registrati.

Art. 2
Presidente dell’Assemblea

Chiunque si sia registrato può candidarsi a presiedere l’Assemblea. Verrà eletto Presidente dell’Assemblea il cittadino che riporterà più voti.

Art. 3
Predisposizione dell’ordine del giorno

Chiunque si sia registrato può proporre argomenti da trattare o può avanzare proposte di deliberazioni.

Art. 4
Svolgimento della discussione

Il Presidente mette ai voti l’ordine del giorno dell’Assemblea, l’ordine dei lavori e il tempo di durata degli interventi. Qualora fosse necessario per consentire a tutti di esprimere le proprie opinioni, il Presidente propone all’Assemblea di aggiornarsi a una data successiva.
Il Presidente concede la parola a coloro che si prenotano seguendo l’ordine cronologico di presentazione delle richieste. Non sono ammessi interventi non attinenti all’ordine del giorno e non è consentito interferire mentre gli altri espongono le loro opinioni.

Art. 5
Votazioni

Al termine del dibattito di ciascun punto all’ordine del giorno, il Presidente mette ai voti la relativa proposta di deliberazione che sarà approvata a maggioranza assoluta dei presenti al momento del voto. Qualora la proposta non dovesse ottenere il consenso della maggioranza assoluta dei cittadini presenti, si procederà alla seconda votazione in cui sarà sufficiente la maggioranza relativa per l’approvazione.
Le proposte possono essere riformulate o ritirate dai proponenti prima del voto.
Il voto è sempre palese.
Al termine della trattazione di ciascun punto all’ordine del giorno, il Presidente proclama l’esito delle votazione.

Art. 6
Scioglimento dell’Assemblea e verbalizzazione dell’esito dei lavori

Esauriti i punti all’ordine del giorno, il Presidente scioglie l’Assemblea e redige il verbale dei lavori dell’Assemblea, in cui deve essere riportato l’esito delle votazioni per ciascuna delle proposte di deliberazioni.
Entro ventiquattro ore dallo scioglimento dell’Assemblea, il verbale dovrà essere affisso in luoghi aperti al pubblico e diffuso attraverso i social network.




Torpignattara, laboratorio della nuova cupola romana

Una delle cause principali del degrado in cui viviamo a Roma è l’intreccio tra economie criminali e fenomeni di corruzione che, negli ultimi tempi, ha trasformato la nostra città in un vero e proprio laboratorio di una nuova tipologia di mafia con forti risvolti xenofobi e populistici. Traffico di cocaina e di diamanti, riciclaggio di denaro sporco in attività finanziarie e immobiliari, usura, apertura di sale scommesse in ogni angolo di strada sono i puzzle di un’organizzazione reticolare e ramificata nei nostri quartieri. Ne ha parlato in modo persuasivo Lirio Abbate in un recente articolo apparso su “L’Espresso”.

Torpignattara è uno dei territori prescelti da questa nuova cupola per gestire le attività criminali. È, infatti, un quartiere multietnico dove si vive un disagio profondo, ulteriormente accresciuto dalle pesanti ripercussioni causate dalla crisi economica e dalla mancanza di politiche adeguate per integrare le comunità di immigrati nel tessuto sociale. Il modo burocratico e superficiale con cui, in questi giorni, l’Amministrazione comunale ha risposto alla mobilitazione dei cittadini è segno inequivocabile di sciatteria e sottovalutazione dei pubblici poteri.

Mobilitazione del quartiere

Mobilitazione del quartiere

I registi del nuovo intreccio di business e crimine hanno deciso di strumentalizzare il diffuso e snervante malessere dei cittadini mediante una presenza politica che serve ad alimentare ideologie xenofobe capaci di amalgamare i diversi interessi. Lo smarrimento di riferimenti etici e valoriali e la mancanza di anticorpi civili e culturali fanno sì che soprattutto i giovani si lascino conquistare dal fascino perverso del modello apparentemente vincente del crimine e dell’illegalità e cerchino di idealizzarlo, coltivando pulsioni razziste e una malintesa tutela delle proprie radici.  I segnali sono evidenti dando uno sguardo ai social network e ai giornali periodici di quartiere.

È questo il salto di qualità che si è compiuto, la nuova modalità non più oppressiva ma populistica che sostituisce la pratica odiosa del pizzo precedentemente imposta a imprenditori e commercianti. Una modalità che si presenta in nuove forme protettive volte a creare consenso diffuso intorno alle attività economiche criminali.

Per fronteggiare questa nuova situazione la risposta più adeguata è quella innanzitutto di chiamare il fenomeno con il suo vero nome: sistema criminale di stampo mafioso. Non dobbiamo avere paura a farlo perché gli indizi ci sono tutti. Avremmo bisogno di svolgere una ricerca-azione socio-psico-antropologica  – nelle stesse dimensioni di quella che fece Franco Ferrarotti negli anni Sessanta proprio nelle periferie romane – per venire a conoscenza di tutte le tipologie del fenomeno e delle connessioni nazionali e internazionali.

L’altra risposta indispensabile è quella di  promuovere la ricostituzione di legami comunitari con la consapevolezza, però, che la nuova cupola sta operando sullo stesso terreno. Ma è proprio lì che bisogna vincere la partita, affermando la cultura della democrazia e prendendo coscienza del ruolo fondamentale che giocano parole come “libertà”, “dignità”, ”legalità”, “fraternità”, “solidarietà”, “trasparenza”, “sviluppo”.

Non siamo più abituati ad agire su questo terreno perché ci vogliono doti che abbiamo smarrito: rispetto reciproco, capacità d’ascolto, disponibilità alla mediazione. I modelli del confronto e del dibattito pubblico sono quelli della comunicazione politica, dei social network e dei talk-show televisivi. Ma con quei modelli non si ricostituiscono comunità reali capaci di appropriarsi degli spazi vitali. Vi è dunque bisogno di rieducarci alla democrazia diretta mediante percorsi di autoapprendimento collettivo, sbagliando e riprovando continuamente. Perché non ci sarà mai un traguardo definitivo.

Nei prossimi giorni a Torpignattara sono convocate più assemblee in luoghi diversi per affrontare i problemi del quartiere. Bisogna partecipare ma anche pretendere che ci siano regole democraticamente condivise che permettano a tutti di esprimere la propria opinione e di pesare effettivamente nelle decisioni. È un esercizio a cui non dovremmo sottrarci per non lasciare il campo libero a chi vuole ridurre i nostri spazi non solo di democrazia ma di vita.




I love Torpigna: come amare il verde ed il proprio quartiere

tor pignattaraI cittadini di Torpignattara stanno facendo letteralmente rifiorire gli spazi verdi del quartiere, intervenendo nelle aree degradate, aiutando i gatti abbandonati e segnalando i rifiuti ingombranti lasciati per strada

Far fiorire un’aiuola a via della Marranella, pulire il parco Sangalli, riqualificare via di Torpignattara con gesti semplici e quotidiani: è questo che fanno le associazioni e il Comitato di Quartiere di Torpignattara, gruppi di persone stanche del degrado che hanno deciso di rimboccarsi le maniche e dare dignità e valore ai luoghi in cui vivono. “Da luglio siamo partiti con il progetto Adotta un’aiuola per far splendere le aiuole del quartiere ormai secche, piene di erbacce e rifiuti: tanta gente è scesa in strada per donare una pianta, annaffiare, sistemare”, ci racconta Luciana Angelini, Presidente del CdQ. “Da quel momento abbiamo notato un miglioramento, più attenzione da parte dei cittadini e anche di alcuni commercianti che tutti i giorni si occupano di tenere pulita l’aiuola davanti al loro negozio. Questo tipo di eventi, che cerchiamo di replicare almeno una volta al mese – continua Luciana – ha creato aggregazione, senso di identità nel quartiere e collaborazione”. Addirittura, ad agosto i cittadini hanno fatto a turni per innaffiare l’aiuola di Via della Marranella per non far appassire le belle piante. A Natale grandi e piccini hanno addobbato l’ulivo della stessa aiuola mentre in via Laparelli si festeggiava allestendo un artistico presepe. “Abbiamo cominciato sostituendoci al Servizio Giardini e intervenendo in prima persona”, aggiunge Donatella Collura dell’Associazione Amici del Parco Acquedotto Alessandrino, spiegando che ora con il Servizio Giardini collaborano e si confrontano per non vanificare il lavoro fatto fino ad oggi a via della Marranella, a via di Torpignattara, all’acquedotto Alessandrino e a via Laparelli. Purtroppo non si smette mai di intervenire: il Parco Sangalli, di rilevanza archeologica, è stato ripulito, neanche completamente, solo dopo tante richieste e mail inviate dai cittadini all’Ama.

MATERASSI ABBANDONATI? ARRIVA TORPIGNAFLEX
Il CdQ e le associazioni si stanno muovendo anche contro il fenomeno dei materassi e dei rifiuti ingombranti abbandonati in strada e proliferati negli ultimi mesi: è nata cosìTorpignaflex, una casella mail (torpignaflex@gmail.com) cui inviare segnalazioni per costruire una mappa dei materassi nel Municipio Roma V. La segnalazione ovviamente andrà fatta anche alla Centrale Operativa Ama, che a sua volta smisterà le segnalazioni alla società che si occupa della rimozione. “Ci siamo fatti un’idea di chi sia ad abbandonare per strada tutti questi rifiuti ingombranti”, spiega Luciana Angelini. “Si tratta di negozianti che ritirano i vecchi materassi quando consegnano i nuovi e che, invece di pagare per il corretto smaltimento, li abbandonano per strada costringendo l’Ama a intervenire localmente a spese della comunità tutta”.

RIFIUTI, GATTI E INTEGRAZIONE
Per quanto riguarda i rifiuti, a Torpignattara la raccolta volontaria dell’umido stenta a decollare: lo mostrano i dati diffusi sul mese di dicembre 2013 secondo cui il quartiere avrebbe raccolto soltanto 808 kg di umido, e lo confermano i ragazzi del CdQ. La comunicazione dell’Ama su questo progetto è stata quasi invisibile e bisogna tenere conto che a Torpignattara vivono anche tante comunità straniere con cui spesso non è facile rapportarsi o comunicare su queste tematiche. “È necessario pensare ad unacomunicazione più capillare e soprattutto multilingue oltre a diffondere più volantini”, dice Donatella Collura. Anche per questo i classici cartelli del rispetto del verde posti nelle aiuole sono stati tradotti in più lingue e ora grazie ad un bando vinto dal CdQ si stanno formando 15 facilitatori culturali, di 13 nazionalità diverse, che diventeranno poi volontari del Comitato per cercare di superare i problemi legati ai rapporti con le comunità straniere. Ma non finisce qui: i cittadini del quartiere oltre a pensare alla flora, si occupano anche della fauna e con la colonia felina “I Gatti di Torpignattara” curano e aiutano i tanti micetti abbandonati per le strade. “Ogni giorno ci occupiamo di loro e cerchiamo di trovargli una casa”, afferma Luciana e noi raccogliamo il suo appello di diffondere indirizzo e numero di telefono per eventuali adozioni e informazioni (333 428 3821 – cdqtorpignattara@email.it)

Insomma, c’è ancora tanto da fare nel quartiere e per il quartiere. Ma per trovare la forza e la voglia di impegnarsi basta guardare la scritta “I <3 Torpigna” nell’aiuola di via Laparelli realizzata da Alessio Marazzi, l’artista del Comitato, con i tappi di bottiglia recuperatiproprio ripulendo l’aiuola. Dal letame nascono i fior.

di Giorgia Fanari

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