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Trullo, un museo a cielo aperto nella periferia di Roma

Tra‘Street art’ e poesia il quartiere rivive di nuova linfa.
Piove. Dai vetri sporchi dell’autobus si intravedono accese note di colore che stridono con il bianco del cielo. Stralci di poesie ed enormi figure campeggiano sui muri scrostati dei palazzi. Sono i murales del Trullo, quartiere periferico a sud ovest di Roma, tra Magliana e Portuense. Un museo a cielo aperto dedicato «agli artisti di se stessi», a quei passanti con il «cuore ballerino», capaci ancora di versare lacrime d’emozione. Un’ ode alla borgata da parte di chi lì, «in quel giardino periferico» (noto più che altro per fatti di cronaca fino a non molto tempo fa) ci è sempre vissuto: «Trullo, l’unico modo di scriverti è viverti sul baratro della strada. Sei l’abbraccio di una madre al figlio in cui perdersi per ritrovarsi come viandanti», si legge su una parete colorata di un giallo tenue come il timido raggio di sole che tenta di affacciarsi tra le nuvole rigonfie di pioggia.

Giovani donne, grandi occhi, animali, madonne, fiori, mare, navi e pesci. Sono questi i soggetti della Street Art del quartiere che rivive di nuova linfa grazie ai versi in romanesco dei Poeti der Trullo («Siamo in sette e siamo un coro che vuole cantare l’amore e la rabbia, l’esperienza e la meraviglia, la provenienza e il viaggio») e alle pennellate vivaci dei Pittori Anonimi del Trullo, un gruppo di residenti che, armati di vernice, hanno deciso di ridare colore a quell’angolo di città (anche qui c’è un monumento dedicato ai caduti della seconda guerra mondiale) sprofondato nell’oblio.
Così, vicino alle finestre, ai panni stesi e ai prati che crescono incolti, sulle saracinesche chiuse dei negozi e addirittura accanto alla carcassa di un vecchia motocicletta, spuntano massime che fanno da didascalie a immagini variopinte. «Oggi dipingo, scrivo e sento di poter cambiare quelle strade facendo parlare il cuore. Sono e rimango uno qualunque, così chiunque potrà fare la mia strada» scrive Giulia, con lo spray nero, su un enorme muro verniciato di rosa.

«La bella che è prigioniera ha un nome che fa paura: Libertà» leggiamo accanto a una donna con un copricapo indiano dalle piume colorate. «Seppelliscimi: augurio di sopravvivere meno di chi si ama per non viverne la mancanza» è impresso, invece, a ridosso di un mare turchese affollato di pesci. Quello stesso mare in cui un uomo e una donna si ancorano «per navigare altrove». Perché, come si legge poco più in là, «il viaggio è la ricerca di un coraggio clandestino che non conosce muri». Un viaggio che diventa esso stesso «meta», «vita», in cui ci capita di incontrare persone che «come stelli cadenti, lasciano a noi qualcosa di grande dando risposte a mille domande».

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“Gojo” è risultato vincitore della categoria Street Art “Arvalia in Mostra”

È questa l’ultima fase del progetto che ha visto già numerose iniziative a partecipazione attiva dei cittadini, avviate nella primavera scorsa in virtù dell’affidamento alla Iside, da parte del Municipio Roma XI – Arvalia Portuense, di alcune attività per la conoscenza e valorizzazione del territorio, attraverso il linguaggio dell’arte e creatività contemporanea.

In particolare, il concorso aperto a tutti gli street artist, prevedeva l’ideazione, e la successiva realizzazione nella parete esterna del Mitreo con ripresa live e pubblicazione del video on line, di un bozzetto sul tema: “Il MitreoIside di Corviale un luogo di trasformazione e creatività nel Municipio XI”.

Lunedì 21 Novembre 2016 sono stati quindi avviati i lavori, che si protrarranno per diversi giorni, e che tutti potranno seguire, oltre che recandosi presso il Mitreo, attraverso foto e riprese video pubblicate sulla pagina Facebook “Mitreo-ArteContemporanea”.

Scrive l’artista vincitore, nato e cresciuto sul nostro territorio, riguardo al proprio progetto:

“L’opera rappresenta le divinità Mithra e Iside, alle quali si ispira il centro culturale del Mitreo, in quanto divinità “rinnovatrici”, che danno nuova vita.

In questa immagine Mithra è intento nella tauroctonia, come nella quasi totalità delle opere che lo ritraggono, ed è circondato da una fauna al suo servizio: un cane, un serpente, un corvo ed uno scorpione. Ogni personaggio della rappresentazione evoca le omonime costellazioni: toro, scorpione, corvo, serpente e Mithra stesso, che richiama la costellazione che oggi conosciamo come “Perseo”.

Iside invece sta accudendo suo figlio Horus. Entrambi sono rappresentati con i simboli che li definiscono: l’Ankh (croce ansata simbolo della magia e chiave della vita), il Wadj (scettro con il fiore di papiro, simbolo di vigore e dell’eterna giovinezza e rappresentazione del delta del Nilo), le corna di mucca della dea Hathor (a cui spesso Iside era associata) con al centro un sole; sopra la testa, nel disco solare, vi è rappresentato un trono, in quanto Lei base della potenza del Dio Sole e fonte del potere del faraone.

La colorazione si ispira a quella del Corviale e delle zone circostanti: il grigio del bètonbrut che caratterizza il brutalismo architettonico presente nella locale Hunité d’habitation ispirata a Le Corbusier, il rosso e l’azzurro presenti nelle imposte e nei particolari dell’edificio (così come i rilievi diagonali presenti sulle lastre cementizie simili al sand casting nivoliano), il verde ed il giallo imperanti nella natura del luogo.

I personaggi non sono rappresentati con interesse realistico fotografico, ma iconico, e fusi con il luogo tramite decostruzione”.

Quindi un’opera fortemente simbolica che annuncerà dall’esterno, con la forza e l’energia del colore e la maestria di Gojo, la Mission del Mitreo e della Iside, rispettivamente luogo dell’azione e strumento operativo, voluti dalla sua ideatrice per la rinascita di una funzione sociale e spirituale dell’Arte, dell’Essere Umano e dei suoi talenti, e per la rigenerazione ed il rilancio di un territorio come quello di Corviale, al fine di testimoniare che nulla è impossibile e che ogni realtà è prima di tutto imMAGInAzione.

La chiave di ogni Nuova CreAzione, il nodo da sciogliere che la Dea Iside custodisce in seno, sta nel riconoscimento che morte e vita, luna e sole, femminile e maschile, negativo e positivo, sono polarità di una medesima unità con numerose polarità, a seconda del punto di vista, intimamente collegate fra loro e che il coraggio della conoscenza delle luci (il potere personale del Sé superiore simboleggiato dal sole e dal trono) e delle ombre (il toro dell’inconscio e delle pulsioni primordiali, dominato dal Dio Mithra), il prendersi cura (il figlio Horus) e l’esserne consapevole (Horus stesso), nonché l’agire per unire ciò che è stato separato (la Iside ricomporrà il corpo del suo sposo Osiride frammentato e disperso per il mondo dal fratello Set, come in un puzzle), permette a potenzialità e virtù di manifestarsi in tutta la loro esplosiva meraviglia, trasformando luoghi interni ed esterni, relazioni e visione (la Dea Iside ha le ali per sollevarsi ed osservare da un’altra prospettiva), a vantaggio di tutta una collettività

Il Mitreo è in via Marino Mazzacurati 61/63




L’impronta di Pasolini

Il 2 novembre 1975 veniva assassinato ad Ostia Pier Paolo Pasolini. Quella di Pasolini è una memoria ancora viva, lo è soprattutto nelle periferie romane dove è impossibile non incrociare i tanti murales dedicati a lui. L’artista Nicola Verlato qualche tempo fa ne ha realizzato uno bellissimo “Hostia”, ribattezzato la “Cappella Sistina di Torpignattara”. «Questo lavoro rappresenta la discesa del corpo di Pasolini al momento della sua morte», dice l’artista. «Con lui Petrarca, suo mentore ideale e il poeta controverso Ezra Pound»

Nella notte tra il 1º e il 2 novembre 1975 Pier Paolo Pasolini veniva ucciso. Il suo corpo è stato ritrovato sulla spiaggia dell’idroscalo di Ostia. Quella di Pasolini è una memoria – per fortuna – ancora viva. Lo è in modo particolare in quelle periferie romane, in quella terra della “subcultura”, di cui lui stesso aveva fatto il suo oggetto di studio, indagine e anche creazione poetica principale.
 Prima le ha amate, poi aspramente criticate quando le ha viste sempre più velocemente. omologarsi lasciando appiattire quel fermento vitale che le accendeva tutte.
La città pullula di murales dedicati a lui. Li troviamo ovunque. Pigneto, Torpignattara, Quadraro.

Torpignattara in maniera particolare è stata una delle borgate più amate dal poeta. Ed è qui che nell’aprile 2014 l’artista Nicola Verlato ha “dipinto” quella che poi è stata definita la “Cappella Sistina di Torpignattara”. Un murale “Hostia” sulla facciata di una palazzina, alta circa dieci metri per sei di lunghezza, in via Galeazzo Alessi. Realizzato con acrilico su intonaco, il murale rappresenta biblicamente la morte, la caduta di Pier Paolo Pasolini.

«Questo lavoro rappresenta la discesa del corpo di Pasolini al momento della sua morte. In alto si vede la figura del presunto assassino Pelosi e due giornalisti che lo intervistano. Pasolini precipita verso un luogo allegorico, una sorta di isoletta in cui trova se stesso bambino seduto sulle ginocchia della madre cui dedica i suoi primi versi, mentre si rivolge a Petrarca, suo mentore ideale a quel tempo. Vicino a lui c’è anche il poeta controverso Ezra Pound, che lo scrittore incontrò nel 1969 per un’intervista», racconta Nicola Verlato. «Credo che i due artisti siano accomunati dall’essere stati respinti dalla società, ma speravano entrambi di essere poeti formatori della società stessa».

Nell’opera Pasolini, appena ucciso, sprofonda sotto terra, attraversando un girone infernale, che ricorda le scene del suo Salò; dall’alto lo osserva il suo assassino, trattenuto da un carabiniere e circondato dalla stampa; nella parte inferiore un gruppo scultoreo ritrae Paso- lini bambino, vicino alla madre, a cui dedica i suoi primi versi, Francesco Petrarca, maestro e punto di riferimento fin dalla giovane età, ed Ezra Pound, grande esponente della poesia del Novecento: due uomini lontani, per storia politica e riferimenti ideologici, ma vicini per via di una certa sensibilità poetica, per l’attrazione verso il tema delle radici e della tradizione, per quell’esprit romanticamente rurale, declinato con la forza di outsider e di pionieri. Tutto questo rivive nel grande murale di Verlato. Un dipinto che assomiglia a un gigantesco lavoro a grafite, in cui si fondono cinema, teatro, poesia, ma anche pittura, scultura e architettura, evocando la forza primigenia del disegno.

Come nasce l’opera dedicata a Pier Paolo Pasolini a Tor Pignattara?
Il Murale a Torpignattara nasce come un tentativo di contenere in una unica immagine una serie di pensieri su Pasolini che facevo da molti anni.
Avevo ascoltato una serie di sue interviste su Radio Radicale qualche anno fa e mi avevano molto colpito alcuni aspetti, soprattutto quelli relativi all’infanzia nei quali mi sorpresi di quanto mi riuscisse facile identificarmi. In più, nello stesso programma radiofonico, ho avuto modo di conoscere le teorie (non necessariamente condivisibili) di Zigaina sulla sua morte.
Un documento che mi ha molto colpito poi è stata l’intervista per la Rai che Pasolini ha fatto a Pound nel 1967: il confronto fra i due, provenienti come si sa da fronti opposti, si risolve nel loro comune antagonismo al sistema sociale in cui erano venuti ad operare, entrambi accomunati da una fede nel potere dell’arte che la modernità ha rifiutato.

Perché proprio Pasolini?
Io sono sempre alla ricerca di mitologie che mi permettano di articolare la superficie della tela secondo quella che io ritengo sia una funzione sociale che l’artista deve svolgere, dare forma alla produzione mitologica del proprio tempo. Pasolini è l’unica figura italiana recente che secondo me ha il potere di vedersi protagonista delle mie composizioni, proprio per la complessità della sua figura, insieme di intellettuale e di corpo, e quindi di un mito in formazione di cui lui stesso ha avviato consapevolmente la creazione.

Secondo te, da artista, che rapporto esiste tra Pasolini e Roma, anche considerato che sono tantissimi i murales dedicati a lui in città.
Credo che il rapporto sia quello di una sorta di processo di beatificazione popolare in corso. Pasolini, credo consciamente, ha voluto creare di sé un’immagine che sgorgasse proprio dai ceti popolari della città; quelli che vivono il territorio nel modo più intenso, e credo che non sia un caso che proprio il territorio ora si trovi ad essere il luogo privilegiato della materializzazione in immagini dipinte e della moltiplicazione della sua immagine. Pasolini ha riattivato un processo di figurazione che si fonda sull’eccezionalità corporea del suo protagonista. L’intellettuale che si fa corpo, è come, nella modernità secolarizzata, il logos che si fa carne, riproponendo la possibilità, nel mondo deserto di significati del capitalismo, che le immagini ritornino a formare il territorio.

Secondo te è un “più” di vitalità che in qualche modo cerca di rispondere a quello che PPP aveva ipotizzato alla fine degli anni ’70 sulla fine delle periferie e sulla loro qualità identitaria?
Credo che Pasolini avesse perfettamente compreso cosa fosse la radice della cultura occidentale. Egli sapeva bene cosa il mercato stava costruendo nelle periferie delle città che, proprio per la sua radice nichilista se non contrastata dal suo opposto dialettico (l’arte), produce dei mostri urbani. Le immagini e l’arte in genere, soprattutto se radicate forte- mente nei luoghi e connessa con le narrative proprie delle comunità che li abitano, vanno considerati, secondo me, come lo strumento per l’inizio di un possibile riscatto.

Nicola Verlato è nato a Verona il 19 febbraio 1965. Ha iniziato a dipingere all’età di sette anni, e a vendere i suoi quadri a nove. La sua formazione artistica è stata poco ortodossa. Lui si considera quasi un autodidatta. La sua prima mostra importante è stata organizzata quando lui aveva quindici anni nel municipio di Lonigo. Ha inoltre studiato architettura presso l’Università di Venezia dove ha vissuto per quasi 13 anni realizzando quadri e ritratti con scene allegoriche per dell’aristocrazia locale e gli stranieri benestanti che vivono in quella città. Durante questo periodo a Venezia, ha lavorato su quasi tutto ciò che era collegato con il disegno: scenografia, decorazioni temporanee, illustrazioni, fumetti, storyboard. Intorno ai 28 anni ha iniziato ad interessarsi di arte contemporanea, e a fare mostre, personali e collettive, in numerose galleria sia italiane che estere. Dopo aver trascorso 7 anni a Milano, nel 2004 ha deciso di trasferirsi a New York. In questi ultimi anni ha fatto mostre a New York e in varie gallerie e musei di tutti gli Stati Uniti. I suoi lavori sono stati esposti anche in Italia e Norvegia, India, così come in Germania, in Olanda e in altri paesi euro- pei. Ha partecipato con un’installazione di dipinti e sculture come rappresentante del Padiglione italiano alla Biennale di Venezia del 2009.

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Ci vediamo al muro di Pinacci nostri

Se la street art è il mezzo, l’impressione, a dispetto di McLuhan, è che qui tutto si giochi sul luogo, ossia la strada. Lo penso mentre, in una luminosa domenica di ottobre, passeggio nel quartiere, fra Boccea-Pineta Sacchetti e Primavalle, in cui vivo da 13 anni e comincio a conoscerlo attraverso il percorso fra 56 murales in cui ci conduce Lello Melchionda e gli attivisti di Pinacci nostri.

In un anno e poco più hanno realizzato, grazie al contributo di street artist (alcuni molto noti come Carlos Atoche, Beetroot, Alessandra Carloni, Carlo Gori, Tina Loiodice, Moby Dick; altri emergenti di quartiere come Francesca Mosca, Oscar Money, Ishmael Guesan, Diana Campanelli, Edoardo Isonzo, Andrea Mazzoni; e tanti altri), appunto 56 opere che raccontano il quartiere, la sua storia e i suoi personaggi, con incursioni su quella che oggi è una Roma diffusa e percepita, del malaffare ma anche dell’accoglienza, della crisi ma anche della generosità.

“Immaginiamo che, portando la bellezza sui muri, il nostro quartiere possa trasformarsi in un luogo felice, in cui tutti, a proprio modo, vengano fuori e inizino ad adoperarsi per difenderlo dalla lenta e inesorabile rassegnazione al brutto e al degrado. Siamo convinti che qualsiasi processo di rigenerazione territoriale, promosso dal basso e su base spontanea, debba essere fondato sul concetto di fruizione dello spazio pubblico quale ambito ideale per la promozione di eventi artistici, culturali e sociali. Allo stesso tempo, crediamo che chi vive a Pineta Sacchetti abbia le capacità per costruire “qualcosa di bello” che possa riaccendere la speranza e rendere finalmente il nostro quartiere un luogo caratterizzato da una forte identità, partendo dalla valorizzazione del suo ricchissimo passato”, dice Lello Melchionda, promotore di Pinacci nostri.

Nella lunga passeggiata abbiamo incrociato, quasi ad ogni angolo del nostro quartiere, decine e decine di immobili chiusi o abbandonati, esercizi commerciali dalle serrande abbassate, una realtà “Disponibile!” come la chiamiamo noi di Cittadinanzattiva che andrebbe solo riportata a nuova vita e offerta alla cittadinanza. E su cui Pinacci nostri ha avviato un progetto dal bel nome “Su[l]le serrande. Per dire: dipingiamo queste serrande chiuse, perchè quello che vogliamo è riaprirle! La globalizzazione e la grande distribuzione hanno dato il colpo di grazia ai negozi di vicinato.
“Per questo motivo abbiamo pensato di accendere un faro su questa situazione, promuovendo il progetto su(!)le serrande: su ogni serranda abbassata alcuni artisti rappresenteranno elementi collegati alle attività commerciali che si svolgevano in quei locali, facendo rivivere atmosfere e situazioni ormai perdute. L’obiettivo di Pinacci Nostri è porre l’attenzione su questo fenomeno, con l’auspicio che il nostro quartiere possa recuperare la vivacità di un tempo, in controtendenza rispetto alla progressiva chiusura di botteghe e negozi”.

Visita il sito web www.pinaccinostri.org

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Street Art: Tor Marancia sbarca a Venezia

Il progetto Big City Life selezionato per la Biennale

Il Progetto ormai nel quartiere lo conoscono un po’ tutti, difficile farlo passare inosservato, soprattutto per le splendide facciate dei palazzi Ater reinterpretate da grandi street artist internazionali. Big city life è stato realizzato a Tor Marancia nel 2014, grazie al Protocollo di intesa tra Municipio VIII, ATER, Associazione Culturale 999Contemporary e al contributo di Fondazione Roma.

Un progetto che ha già portato molta attenzione sul quadrante e che adesso riceve anche questo importante riconoscimento: la selezione per il Padiglione Italia alla 15° Mostra Internazionale di Architettura, che ha per tema “Taking Care – Progettare per il bene comune”. “Possiamo dirci davvero orgogliosi di portare l’eccellenza culturale del nostro Municipio VIII fino alla vetrina internazionale ‪della Biennale‬ di ‪Venezia‬ – afferma l’Assessore municipale alla Cultura, Claudio Marotta – Perché è con questo spirito che abbiamo lavorato al servizio del territorio: tentare di raggiungere risultati di eccellenza e, allo stesso tempo, insistere su ogni fronte con un attento lavoro di coesione sociale”.

Da sempre il progetto ha avuto il sostegno delle istituzioni municipali: “Un’esperienza unica, dove arte e rigenerazione urbana si sono incontrate per regalare bellezza e cultura al quartiere, al Municipio, alla città ed oggi al mondo intero, grazie alla visibilità universale della Biennale – scrive in una nota che annuncia la selezione il minisindaco uscente e ricandidato al Municipio VIII, Andrea Catarci – Big City life a Tormarancia rappresenta anche molto di più, per quel che è nato durante ed intorno alle opere dei 22 artisti internazionali. Si è attivata la partecipazione diretta degli abitanti dei lotti popolari, dove è nata l’esperienza dell’Associazione mast35 – seguita – Tanti giovani hanno abbracciato il progetto di recupero e hanno realizzato un vero e proprio museo a cielo aperto di arte contemporanea con visite guidate e cura dei lotti e delle opere”.

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Jorit Agoch. Il volto che cambia le periferie di Napoli e del mondo

“Da piccolo sono cresciuto in una realtà periferica, tra i binari di Quarto. A questo devo la nascita della mia arte”

Periferia, uno spazio racchiuso da una linea chiusa: insieme delle zone di una città al di fuori del suo centro storico. Il concetto di periferia circoscrive uno spazio urbano, ma anche una comunità, un’etnia. Le persone che vivono in questi ambienti sono quasi considerate come emarginati, vivono nella periferia del mondo, lontano dalle dinamiche del mondo contemporaneo. Oltre alle persone esiste un’arte spesso considerata ai margini di quella ufficiale: il graffitismo. È prima di tutto un movimento spontaneo, che nasce dalla strada, in cui giovani talenti realizzano le loro opere d’arte in spazi urbani improvvisati. La conseguenza è la nascita di un museo a cielo aperto.

Jorit Agoch rientra in questa categoria. Ragazzo della periferia di Napoli, che ha fatto del suo talento e della sua arte ‘periferica’ un linguaggio unico e distintivo. Fedele alle sue origini, opera a volto coperto, cosa quasi naturale per la sua attività. Prima di arrivare alla realizzazione dei suoi volti, ha iniziato, come tutti gli altri, con scritte e immagini di relative dimensioni negli angoli della sua città. Travolto dalla sua passione decide di iscriversi all’Accademia di Belle arti di Napoli, che gli ha dato modo di completarsi stilisticamente. Questo periodo di formazione gli ha consentito di dilatare lo sguardo verso la realtà, verso il mondo figurativo. Jorit ha concluso i suoi studi con il massimo dei risultati e ha approfondito il mondo della pittura ad olio su tela. Questa sarà solo una breve parentesi, perché la tecnica che l’artista predilige è la bomboletta.

La sua arte cresce e si evolve fino a trovare nel volto la maggiore resa espressiva. Il volto costituisce il mezzo ideale per la trasmissione del messaggio di Jorit: alla base c’è l’umanità che accomuna tutti gli individui. Il mondo contemporaneo divide le persone per etnie, classi sociali e provenienza geografica. Ma, se ci si sofferma ad osservare il volto, ecco che ogni forma di gerarchia viene azzerata e le persone sono unite dal loro essere umani.

Jorit cerca l’umanità in ogni parte del mondo. Trascorre molto tempo in Africa e porta con se un grande bagaglio culturale. Il concetto di fratellanza si sedimenta nei pensieri e nei sentimenti dell’artista, tanto da costituirne in maniera essenziale il linguaggio. Le strisce rosse che riporta sui suoi volti sono un altro elemento che egli porta con se dall’Africa e trasferisce nelle sue opere.

Le strisce costituiscono l’interpretazione in chiave figurativa delle cicatrici che i giovani africani recano sul volto. Queste sono nate dai riti d’iniziazione che si compivano nelle diverse tribù del continente e sono differenti nelle diverse comunità di provenienza. Il volto rappresenta l’umanità, ma il marchio del luogo d’origine è un qualcosa che ogni persona porta con se per tutta la vita.

Periferia può anche essere interpretata come uno spazio del mondo, che viene contestato non tanto per la sua collocazione, ma anche per l’essere etichettato come zona a rischio.

Forcella è un quartiere presente nel cuore della città, della storia di Napoli e della tradizione. È qui che Jorit ha realizzato il suo San Gennaro, che s’inserisce perfettamente, come se fosse stato sempre li, nella struttura urbanistica del quartiere e nel cuore dei suoi cittadini. San Gennaro è il patrono della città, la figura a cui si rivolge la maggior parte della devozione dei cittadini napoletani e non a caso esso non è lontano dalla Cappella del Tesoro di San Gennaro. Il volto sembra volgere verso i turisti il suo sguardo intenso, incoraggiando il passaggio nel quartiere, andando oltre i pregiudizi e i fatti di cronaca. In questo caso l’arte è canale di comunicazione, per promuovere alla conoscenza e allo stesso tempo è interprete dello spirito del luogo.

Attraverso il graffitismo di Jorit si pùo leggere l’evoluzione di questo tipo di arte. Combinato alla tecnica e al supporto tipico di questo linguaggio, c’è uno stile realistico, volto alla promozione del concetto di umanità. L’artista si pone così come un ponte tra i due mondi, quello della strada e quello dell’arte ufficiale.

L’umanità è al centro dei suoi interessi e determina l’unità tra le persone, consentendo di andare oltre la gerarchia dell’arte e del mondo. Andare oltre la periferia attraverso un unico volto, che rappresenti il cittadino del mondo.

INFORMAZIONI UTILI

Jorit Agoch: http://www.jorit.it/index.html

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Il Mitreo presenta tre Bandi per artisti, street artist, gruppi e singoli cittadini

Il Mitreo in collaborazione con il Municipio XI presenta:

Tre Bandi aperti e gratuiti destinati ad artisti, street artist, gruppi e singoli cittadini
con PREMI PER I VINCITORI e visibilità durante un evento dedicato per tutti i selezionati!!!

-Bando per artisti: nato con l’intento di documentare e amplificare la percezione del Municipio XI con l’aiuto di osservatori originali, mai omologati e spesso anticipatori di nuove strade e percorsi inimmaginabili ai più: gli artisti!

SCADENZA 15 MAGGIO 2016

– Bando per gruppi (famiglie, classi di studenti, scuole, associazioni, amici, ecc.) e singoli cittadini: che si prefigge di raccontare il territorio del Municipio XI e le sue ricchezze, attraverso piccoli filmati autoprodotti anche con smartphone (di durata dai 30” ad un max di 5’)

SCADENZA 16 MAGGIO 2016

– Bando per street artist: con la finalità di dare spazio alla creatività e valorizzare l’opera degli street artist nei processi di rigenerazione urbana, ed in particolare nelle aree e strutture architettoniche maggiormente degradate, riconoscendo nella loro forma comunicativa, un privilegiato canale verso le nuove generazioni ed una funzione di crescita culturale dei cittadini, attraverso il recupero della funzione più alta del valore estetico degli ambienti in cui vivere.

SCADENZA 17 MAGGIO 2016

BANDO x ARTISTI – ARVALIA IN MOSTRA

BANDO x CITTADINI E GRUPPI – ARVALIA IN MOSTRA

BANDO x STREET ART- ARVALIA IN MOSTRA




La Street art colora la periferia

Anna Magnani sulla casa dei “nonni uderground” di Corcolle.
La palazzina è stata tirata su con tanti sacrifici, nel lontano 1968. Una delle prime ad essere costruite a Corcolle. Certo, nessuno avrebbe potuto immaginare che a distanza di quasi 50 anni, una delle sue pareti sarebbe diventata la “tela” di un’opera d’arte. Nemmeno loro, ormai ribattezzati come “i nonni uderground di Corcolle”.

Per Michele Vivilecchia, classe 1928 , e sua moglie Maria Mazzenca, classe 1936, avere uno splendido apertura nonni underground corcollemurales gigante con ritratto il volto della bellissima attrice Anna Magnani, è una gioia. E una grande soddisfazione. “L’altro giorno mi sono affacciata e ho sorpreso due ragazzi mentre facevano una foto alla mia casa, mi sono messa a piangere dalla commozione – racconta Maria –. I ragazzi erano arrivati fin qui da Tor Bella Monaca, solo per ammirare questo disegno”.
L’arte urbana, che riqualifica e da colore alle periferie, può anche essere un affare di famiglia. È il caso di questi due splendidi nonni che, sotto suggerimento del nipote, Danilo Proietti, hanno accettato di concedere la parete della loro casa all’artista peruviano Carlos Atoche, reduce da un altro intervento di street art nella vicina Castelverde. Li, Carlos, aveva dipinto un colorato Rino Gaetano sul muro adiacente alla Corriera Stravante, rino gaetano castelverdeconosciuto pub di zona che, ogni anno, promuove numerose iniziative a favore di cultura e musica di periferia. “Visto quel bel murales, e vista la necessità di dare colore alle nostre periferie ho proposto subito la cosa ai nonni e al resto della famiglia – spiega Danilo -. Il dipinto è magnifico, ma soprattutto la reazione dei miei che, all’alba dei 90 anni, si sono dimostrati di vedute molto più aperte di tante altre persone più giovani del quartiere”.
Ma non solo, perché per Michele, l’occasione è stata importante anche per fare una nuova amicizia. “Sono stato tutti i dieci giorni di lavoro accanto a Carlos – racconta – Gli passavo gli attrezzi, gli tenevo la scala, e gli portavo anche da mangiare, i piatti che mia moglie preparava anche per lui. Mi sono divertito e sono anche molto contento del risultato. Anna Magnani è un’attrice a cui io e mia moglie siamo molto legati, perché racconta la nostra giovinezza, e con questo murales siamo i più originali di tutta Corcolle”.

Il prossimo a Villaggio Prenestino?
Certo, lo stesso Michele fa una distinzione importante: “Sono contrario a chi scrive su muri e treni solo per il gusto di rovinare qualcosa – spiega -. Questa invece è arte, e ci sentiamo due nonni speciali”.
La prossima periferia ad essere dipinda? Probabilmente Villaggio Prenestino, dove l’associazione di quartiere ha recentemente avviato un sondaggio tra i residenti per vedere cosa ne pensavano in merito. “Il sondaggio è durato un mese – spiega Stefano De Prophetis, dell’associazione -. Hanno votato 146 persone rispondendo positivamente ben 125, ovvero l’85,6%”. Dopo la scelta dell’artista, Alice Pasquini, romana apprezzata in tutto il mondo, è arrivata la scelta del muro: una cabina Acea in via Fosso dell’Osa. “Siamo in attesa del via libera di Acea, che abbiamo contattato” conclude De Prophetis.
Esiste già una mappa che raccoglie i murales della zona del versante prenestino, che il prossimo punto sia proprio quello in via Fosso dell’Osa?. La periferia che si colora attarverso la street art.

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Il Trullo. Tra poesia, viandanti e street-art

Il nostro viaggio nelle periferie si arricchisce di una nuova meta e stavolta ci porta a scoprire il Trullo: un quartiere di Roma un tempo malfamato, incastrato tra Magliana e Portuense, e oggi alle prese con un riscatto dal basso capace di spazzare via il degrado a colpi di vernice colorata.
Tutto è cominciato circa un anno fa, in un giorno di aprile, quando questo piccolo angolo di città si è risvegliato con i muri colorati di giallo, verde, viola e arancione. Durante la notte, un gruppo di residenti era uscito di casa con vernice e pennelli per colorare i muri grigi delle case popolari, insieme alle stradine e ai vicoli più malconci e dimenticati.
E’ così che sono nati i “Pittori Anonimi del Trullo”, considerati in zona come abitanti storici della borgata, che oltre all’infanzia e ai luoghi della memoria condividono intenti e problemi di vita: il lavoro che va e viene, i soldi che non bastano mai. All’inizio erano solo in tre, oggi più di una ventina.
Senza sosta e con lo stesso entusiasmo continuano a colorare scale, aiuole, muretti e a dare nuova vita a quelle facciate grigie troppo piene di malinconia. «Un tocco di colore –scrivono i pittori sulla seguitissima pagina facebook- Un colpo di ramazza. Non cambiamo quartiere. Cambiamo il quartiere per chi ci vive e per chi ci passa. Per me, per te, per loro, per tutti».
Colorare il quartiere per uscire dal degrado:
Nel giro di pochi mesi, un fiume di vernice e di colori arcobaleno ha inondato gli spazi che circondano la scuola comunale, i giardini davanti la chiesa San Raffaele, le vie accanto al mercato comunale e la piazzetta dell’ex cinema Faro, storico punto di ritrovo per chi vive qui e qui resta.
Nel tempo, l’impresa di strappare la borgata al degrado nel quale da sempre era stata confinata è continuata a crescere fino a che, accanto ai pittori, sono arrivati i poeti. Er Bestia, Er Pinto, Er Farco, Inumi Laconico, Er Quercia, ‘A Gatta Morta, Marta del terzo lotto: sette ragazzi accomunati dalla voglia di esprimersi in versi, di scrivere poesie per non soffocare le emozioni che esplodono dentro.trullo2
Un coro che concepisce il quartiere come un luogo della mente, la periferia come un fiume colorato di versi da far fluire e con cui sporcare i passanti. I “Poeti der Trullo” raccontano una mentalità metroromantica (come loro stessi amano definirla) che vuole cantare l’amore e la rabbia, l’esperienza e la meraviglia, la provenienza e il viaggio.
E’ così che le vertigini del sentimento diventano a volte un tributo all’amicizia, altre il ricordo di un amore passato, altre ancora uno sguardo sulle strade di Roma, protagonista e musa di tante poesie create in questo piccolo pezzo di mondo. I giovani poeti diffondono le rime attraverso la rete, dove vengono accolte da centinaia di followers e condivise attraverso i principali social network.
Un successo talmente contagioso da aver portato alla pubblicazione di un vero e proprio libro, simbolo del quartiere che in tutto e per tutto è complice di questo risveglio culturale.
L’arte urbana al Trullo:
La sfida finale il Trullo l’ha vinta lo scorso mese, ospitando il terzo festival internazionale di arte urbana. Un evento esclusivo che ha unito pittura, musica e poesia, organizzato col sostegno del Municipio XI.
Il tema scelto è stato “viandanti“: il viaggio inteso come migrazione, per riflettere su un tema di scottante attualità, ma anche come ispirazione, ricerca di nuove occasioni, come condizione di chi sogna mete alternative alla paura e alla sfiducia. Acclamati artisti di strada e gruppi musicali di spicco nella scena romana e non solo, hanno trasformato la periferia in un laboratorio creativo a cielo aperto, con concerti, poesie e murales. T
utti hanno lavorato in modo indipendente per sostenere il festival, i pittori utilizzando i propri materiali e i cantanti rinunciando al cachet, allestendo concerti al CSO Ricomincio dal Faro a prezzi stracciati. Quando dici “Trullo” la gente non storce più il naso. L’ispirazione, qui, è di casa.

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L’arte che ridà vita ai quartieri di Roma

Intervista al fondatore di “MURo”, il Museo di Urban Art di Roma.
Un artista a 360° gradi spinto dal nobile obiettivo di donare nuova vita a tutti quegli spazi che appartengono ai quartieri della Capitale (e non solo) lasciati in balia del degrado e nell’indifferenza delle istituzioni, portando così i cittadini vecchi e quelli nuovi a confrontarsi con la storia di ieri e oggi fusa in un’opera di arte urbana.

Lui è David “Diavù” Vecchiato, uno dei principali esponenti della Urban Art in Italia, che partendo dal Quadraro – suo quartiere di origine – è riuscito a tracciare un percorso che lega attraverso le opere che vanno dai murales alle scalinate diverse zone di Roma, creando così un “MURo – Museo di Urban Art di Roma”.

Noi di Abitare A Roma abbiamo voluto conoscere “Diavù” da vicino per comprendere come una sola persona è stata in grado in poco tempo di rivoluzionare una città e scoprire le passioni e i sogni nel cassetto dell’artista.

Artista, fumettista, scrittore, musicista. Chi è David “Diavù” Vecchiato?

Sono un artista che impugna strumenti diversi, dai pennelli al microfono, dalle matite alla reflex. Per esagerare ho anche curato la serie di documentari “Muro” sulla Street Art che sta andando su Sky Arte ogni martedì alle 22. Insomma, il termine “artista” potrebbe inglobare tutte le discipline espressive per come la vedo io, poi occorre valutare se ciò che fai è davvero arte o semplice intrattenimento…o chissà che altro. Ma ciò spetta agli altri deciderlo. Magari ai posteri.

Hai conquistato un tuo spazio nel panorama della Urban Art in Italia e non solo. In che modo ti sei avvicinato a questo mondo?

La mia storia personale si è spesso incontrata coi graffiti e la conquista degli spazi pubblici è sempre stata un mio pallino, ma non sono mai stato un writer perché io disegnavo e dipingevo, non scrivevo e non facevo tag. Ammiravo Haring, Kenny Scharf e Basquiat ed esponevo i miei dipinti – che riconosco già allora fortemente influenzati da quell’immaginario street – in occasioni come l’Happening Underground, al Leoncavallo di Milano come al Forte Prenestino di Roma, fianco a fianco coi writers che esponevano le foto dei loro ‘pezzi’ sui treni.

Io però la notte mi limitavo ad attaccare per Roma i miei poster con disegnato sopra Kontrol, personaggio dei miei fumetti di allora che pubblicavo su le fanzine che auto-producevo e mandavo in edicola con un gruppo di disegnatori ‘underground’ come me. L’interesse per le opere in strada mi è sempre rimasto però, ho curato mostre di Street Art fin dai primi anni 2000 e realizzato performance di live painting ovunque, ma ho preso a dipingere regolarmente murales solo dal 2009-2010, su per giù quando ho ideato il progetto MURo Museo di Urban Art di Roma. Mi sono fatto strada velocemente forse perché ho idee ben chiare sull’argomento.

Chi ispira i tuoi lavori?

Le persone ispirano i miei lavori. L’umanità con le sue contraddizioni a volte mi interessa, altre volte mi ripugna, ma comunque mi incuriosisce ed influenza molto il mio lavoro. Cerco sempre di andare oltre la prima impressione, di comprendere cosa c’è dietro ai comportamenti, alle parole o ai prodotti dei miei simili. E da quello sguardo attento spesso partono le idee.

Raccontaci il progetto “MURo – Museo di Urban Art di Roma”

Nel 2010 ho iniziato a dipingere dei murales nel quartiere Quadraro a Roma con l’idea di invitare là gli street artist più forti del mondo, raccontargli le storie del quartiere dei miei nonni, dove io sono tornato a vivere dopo molti anni di assenza, presentargli quindi le persone che ci vivono e poi chiedergli di realizzare là le loro opere di Street Art. Ho voluto creare quindi una connessione, un rapporto di empatia, tra artisti (internazionali ed italiani) e l’identità di quel luogo dove la storia del Novecento rischiava di essere dimenticata.

Al Quadraro hanno subìto un’infame deportazione nazifascista, hanno visto nascere negli anni 20 il cinema di Cinecittà e lo hanno visto risorgere negli anni 50, hanno combattuto contro la cementificazione dei palazzinari negli anni 60 e 70. Tutte storie che ora si ritrovano sui muri. Negli ultimi anni MURo è cresciuto, ha prodotto murales a Torpignattara e si è espanso dipingendo grazie al Festival Ossigeno alcune scalinate romane, col progetto Popstairs, e arrivando fino alla Borghesiana col mio dipinto antimafia realizzato con l’Associazione DaSud alla Collina della Pace. MURo è un Museo perché grazie a una collezione pubblica di una trentina di murales di grandi artisti oggi conserva le memorie e tramanda le emozioni di una Roma diversa da quella del turismo di massa. Sul sito muromuseum.com si può vedere come procede il progetto, ci si può iscrivere ai tour e bike-tour e molto altro.

E’ sempre più lunga la lista dei quartieri di Roma che possono godere dei tuoi lavori. C’è un quartiere su cui vorresti mettere le mani?

Si, vorrei proseguire col progetto Popstairs dipingendo su una scalinata una monumentale Gabriella Ferri a Testaccio, quartiere dov’è nata. Glielo devo perché quando ero piccino aspettavo ogni settimana i programmi “Dove Sta Zazà” e “Mazzabubù” di cui era protagonista che mi hanno fatto amare ed assorbire quell’ironia tipica romana capace di sdrammatizzare tutto, che appare strafottente ma è la reazione al malessere antico di un popolo che per centinaia di anni è stato schiacciato dal potere politico e religioso del papato a cui si poteva rispondere solo con lo sberleffo, dal basso. La incontravo spesso da ragazzo a via de’ Giubbonari la Ferri, ma non avevo il fegato di infastidirla. Eppure ne ho disturbati da Federico Fellini a Nanni Loy, da Jacovitti a Carlo Rambaldi, ma lei no. Era venerazione la mia.

Diversi sono stati i personaggi che nel corso degli anni hai omaggiato attraverso la tua arte. Qual è l’opera che ti ha dato più soddisfazione?

Per ragioni stilistiche sono legato alle scalinate di Popstairs perché mi diverte lavorare gradino per gradino e vedere alla fine un’opera così monumentale. Per ragioni politiche sono legato ai murales del Cinema Impero, coi ritratti di Pasolini, Monicelli, la Magnani e i fratelli Citti, perché hanno avuto una forza tale da contribuire a far riaprire uno spazio enorme rimasto chiuso per oltre trent’anni, che era negato dunque alla comunità.

Quella a cui sei più legato?

Di solito è sempre l’ultima. Ma alle opere gli si vuole bene a tutte, come ai figli. Quel bene consapevole del fatto che sono si parte di te, ma soprattutto liberi di andarsene per la loro strada.

Come è nata la collaborazione con Matteo Maffucci per la rubrica “Rifatto”?

Matteo è un grande appassionato di arte, specialmente di Street Art e ci siamo conosciuti nella galleria MondoPop a Roma, dove io mi occupavo della direzione artistica e lui acquistava opere, tra cui anche le mie. L’idea ci è nata lo scorso anno poiché entrambi giriamo molto a causa dei nostri lavori, e discutevamo di quanto sarebbe stato interessante far realizzare ad alcuni artisti dei murales ‘virtuali’, cioè come bozze di opere murarie da proporre ai lettori, su edifici in abbandono e su ecomostri, anche per parlare di questi spazi, visto che il territorio italiano è ferito da due milioni dei primi e centinaia di migliaia dei secondi. Lo abbiamo proposto a Il Fatto Quotidiano che ha accolto a braccia aperte l’idea cogliendone anche lo spirito da guerriglia artistica e mettendoci a disposizione due pagine a settimana.

La prima serie di RiFatto di 24 uscite si è conclusa prima dell’estate, ora vedremo con il giornale se riprenderla. Nel frattempo una di queste bozze è diventata realtà in uno dei documentari della serie “Muro” di cui ti parlavo prima, la cava dismessa di Arcevia che davvero è stata dipinta dall’artista statunitense Zio Ziegler, come avevamo ipotizzato su RiFatto.

Quali sono i tuoi progetti futuri?

Chi può dirlo? Decido sempre all’ultimo momento quale murale dipingere, quale nuovo progetto avviare o chi ritrarre nelle mie opere. E sono veloce nel realizzarli, quindi consiglio di andare su www.diavu.com e di cercare “Diavù” sui social network per vedere cosa sto facendo proprio in quel momento in cui mi cercate.

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