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Comunicare la periferia

“Il presidente Fico va in bus: la normalità si fa social.”

(Corriere della sera del 27/3/18)

“La Banca d’Italia monitora i social media e in particolare Twitter per calcolare le aspettative d’inflazione o per valutare la fiducia dei depositanti” perché come dice Fabio Panetta, vicedirettore generale della Banca, circa l’8o% dei cittadini europei (e italiani) hanno uno smartphone con il quale raccolgono informazioni da Internet e fanno attività che stanno modificando e influenzando i comportamenti. Il 40% delle persone nel nostro Paese hanno accesso al conto bancario, e molti ormai acquistano, attraverso lo smartphone. Utilizzando i dati che noi depositiamo sulle varie piattaforme e tramite l’intelligenza artificiale, le big tech sono in grado di analizzare e indicare comportamenti e aspettative dei   consumatori che potrebbero essere utilissimi per giudicare, ad esempio, il «merito di credito» di persone e aziende.”

(Sole 24 ore del 27/3/18)

Queste due news descrivono il contesto di cui occorre tener conto per affrontare il tema di come

“comunicare la periferia non solo quando è luogo di violenza e degrado ma scavando, andando oltre il problema, approfondendolo e facendo emergere anche le buone prassi di una comunità e di un territorio. Il contrario di quello che accade oggi come rileva una ricerca della Facoltà di Scienze della Comunicazione dell’Università Pontificia Salesiana di Roma da cui è emerso quanto l’uso degli stereotipi sia ampio nella periferia raccontata. Nei 30 servizi categorizzati come “servizi sulle periferie” andati in onda da novembre 2017 al 1 marzo 2018 nei tg sono state rilevate 1063 parole significative, in cima alla classifica c’è “quartiere” (43 volte), seguito da “bambino” (34), “paura” (30), “periferia” (25), “Napoli” (20), “droga” (20), “spacciare” (20), “ragazzini” (19) e “immigrati” (18), “sicurezza” (16), “piazza” (15), “spacciatore” (15), “rapina” (15), “degrado” (14), “scuola” (13) e “baby gang” (13).”

(G. Marota “Periferie e informazione” in Reti solidali del 26/3/18)

Ma oltre che mettere in rilievo le buone pratiche occorre creare un sentimento d’identità nelle comunità.

Questo è soprattutto il motivo della campagna “Il presidente Fico va in bus”: riaffermare lo spirito identitario anticasta degli elettori 5 stelle che hanno dovuto ingoiare il rospo dell’elezione al senato della forzaitaliota Casellati.

Gli amici di Scampia hanno ben chiaro quest’obiettivo di rafforzare l’identità della comunità, per esempio, con l’esaltazione della passione per la squadra del Napoli.

Anche gli amici del quartiere Libertà di Bari hanno presente questo scopo attraverso una puntuale campagna contro il degrado e il malaffare nel loro territorio per risvegliare un senso di orgoglio e di riscatto.(…)

La strategia comunicativa è insomma quella del sentimento di appartenenza.

Occorre studiare le pulsioni che muovono la propria comunità.

Serve ricercare le linee emotive che innervano le espressioni social degli abitanti.

Analizzare in maniera trasparente e pubblica tali linee espressive esalta l’azione etica di chi vuole rilanciare le periferie.

L’esatto contrario di chi ne fa trampolino di carriere politiche.




La Chimera lungometraggio sull’abbattimento delle vele di Scampia

L’idea di girare La Chimera, il lungometraggio che racconterà passo dopo passo il processo che porterà all’abbattimento delle vele di Scampia e alla costruzione di una vita degna per chi per anni ci ha abitato, è nata quando ci siamo resi conto, guardandoci in faccia durante una delle mille interminabili riunioni, che questa storia non poteva essere lasciata nelle mani del sensazionalismo e del pietismo della stampa main stream.
Già, perché non è una storia come le altre.
È una storia straordinaria, collettiva, la storia di un popolo, come sempre ama ribadire Omero, che ha preso in mano il proprio destino e ha deciso di riscriverlo.
Una storia fatta di riunioni tese, cortei, vittorie, abbracci, risate e incazzature. Una storia di porte sbattute in faccia e poi riaperte, sempre con in testa caparbiamente la realizzazione di un obiettivo comune.
Una storia di democrazia, in cui è la gente che detta alla politica modi e tempi con cui si realizzano le cose.
Il film vi permetterà di mettervi per un po’ dalla nostra parte e seguire con gli occhi di dentro questa trama bellissima.
Per ora lasciatemi solo dire che mi sento incredibilmente fortunata ad avere incrociato durante la mia vita innanzitutto Vittorio e poi il comitato vele e di essermi trovata al loro fianco in questa battaglia fatta per amore e solo per amore.

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Tra il degrado e la borghesia così Scampia prova a risorgere

Siamo andati in una delle periferie più famose d’Italia. Dove bene e male si confrontano ogni giorno.
Scampia è come un mosaico multiforme di grande raffinatezza in cui ogni tassello è finemente lavorato. Ciascun frammento è diverso, ma tutti insieme creano un lavoro molto complesso e a volte enigmatico. Potrebbe essere un’opera d’arte di un’antica cattedrale in cui si rappresentano il bene e il male.
Una di quelle in cui si vedono le anime dell’inferno, del purgatorio e del paradiso. In cui le anime sono contese tra la luce e il buio fino dall’adolescenza.

Scampia, fino a poco tempo fa, gareggiava con San Pietro a Patierno, per il triste primato di zona con la natalità più alta e il tasso più elevato di abbandono scolastico e disoccupazione in Europa. Un quartiere in cui le istituzioni sono state storicamente presente a correnti alterne e in cui la criminalità è invece ben radicata.
I cliché da sfatare

Ma vi sono alcuni cliché che vanno infranti. Il primo è che Scampia sia una periferia abusiva. Non lo è affatto, anzi è piena di spazi verdi ed edifici pianificati da grandi architetti (guarda le foto). Il quartiere fu pensato tra gli anni settanta e ottanta come modello di periferia ideale. Le Vele, come lo Zen a Palermo e il Corviale a Roma, furono costruiti in un momento storico in cui architetti, politici e sociologi pensavano che inurbare persone che provenivano dalle campagne o dai rioni popolari del centro, in enormi condomini con migliaia di abitazioni, fosse un grande passo verso la modernità. In realtà, come bene aveva intuito Pier Paolo Pasolini, che pur non vide mai le Vele, togliere queste persone da contesti che avevano una storia secolare, per metterli in realtà fredde e pianificate, si dimostrò un disastro. I quartieri popolari erano poveri, ma avevano reti sociali e culturali che proteggevano le persone. Nelle nuove periferie queste scomparvero e lo Stato non seppe costruirne di nuove. Questo vuoto ha finito per rafforzare la criminalità organizzata.
Nel quartiere esiste poi una certa separazione tra chi vive nelle case popolari e chi comprò casa negli anni ottanta attratto dall’idea di vivere nella nuova periferia verde di Napoli.

Il secondo cliché da sfatare su Scampia è che non si possa girare a piedi da turista nel quartiere. Scampia è oggi una zona relativamente sicura per i forestieri. È anzi piena di realtà interessanti da scoprire. Ha più di duecento associazioni che lavorano nel sociale, cattoliche come laiche ed è pieno di opere di street art. Da anni ospita anche uno dei carnevali più interessanti di Napoli, organizzato da Gridas.
Il muro che separa le periferie dal centro

La maggioranza delle persone non ha alcun contatto con la criminalità, ma ne sono vittime due volte. La prima perché sono comunque soggiogate dalla violenza della camorra o dai suoi soldi. La seconda perché sono comunque schiacciate dalla fama oscura che la criminalità ha dato al quartiere. La stessa Napoli bene, che si proclama aperta, in realtà sembra esserlo con tutti tranne che con le sue periferie. La tangenziale che separa il centro storico o i quartieri ricchi di Napoli come il Vomero dalle periferie sembra essere un muro. Napoli finisce lì. Dall’altro lato ci sono i leoni. Scampia è praticamente sulla stessa via di piazza del Plebiscito, ma nessuno se ne rende conto. Da via Toledo fino all’inizio di Scampia vi è un rettilineo di poco più di sette chilometri. La via cambia nome, sale una collina e ridiscende, ma sempre dritta è. Eppure se si dice a un napoletano che viale Miano è sulla stessa strada di via Toledo nessuno lo sa. Gli unici che ti dicono di saperlo sono quelli che confessano ridendo che ci andavano a comprare il fumo e che conoscono bene la strada. Questo isolamento è forse uno dei drammi del quartiere e la questione che il mondo dell’associazionismo sta tentando, con sensibilità differenti, di rompere.

L’altro muro da infrangere è quello del garantismo a senso alternato. La criminalità grazie allo spaccio di cocaina, eroina e droghe leggere ha sommerso il quartiere di contanti. Si può frequentare un liceo, lavorare al mercato o guadagnare 200 euro in un’ora facendo da “palo” agli spacciatori. Se poi si finisce in carcere, la camorra stipendia le famiglie e i criminali. L’economia reale è poi schiacciata dalle attività con cui la criminalità ricicla i soldi. Bar o negozi che non hanno nessun bisogno di guadagnare e che quindi hanno molto personale e prezzi concorrenziali. Il risultato è che le altre attività devono chiudere. Sono molte le persone che sono cadute nella rete, ma se si butta la chiave della cella lo Stato ha perso. Con questi ragazzini bisogna pur parlare se si vuole contendere la loro anima alla criminalità. Certo in alcuni casi si fallirà e torneranno in carcere, ma il quartiere è pieno di storie vincenti di figli di boss che hanno cambiato vita e oggi sono impegnati nel sociale. Se invece si continuerà a condannare le persone solo per il cognome, senza guardare se la loro vita è cambiata o meno, allora lo Stato ha perso in partenza.
La criminalità

La criminalità organizzata rimane un problema ed è sempre più ricca. Secondo la Direzione Investigativa Antimafia a Miano, Piscinola, Masseria Cardone, Scampia e Secondigliano “sarebbero in atto delle modifiche agli assetti criminali, in parte determinate dalla destabilizzazione del gruppo lo Russo. Non accenna poi a diminuire l’operatività del clan Di Lauro, che può contare sulla guida dei componenti della stessa famiglia, liberi o latitanti, e sulle ingenti risorse economiche accumulate negli anni, soprattutto dalla gestione della vendita di stupefacenti a Scampia. L’altro gruppo locale, il clan Vanella Grassi, in passato scontratosi con i Di Lauro, rimane punto di riferimento nell’area napoletana per quanto concerne il traffico di stupefacenti, sebbene sia stato colpito da arresti di elementi apicali e di numerosi affiliati”.

Se si vuole sconfiggere la criminalità, oltre che intaccare il mercato della droga con cui si finanzia, bisogna riappropriarsi degli spazi che ha strappato allo Stato. Conoscere Scampia e il suo splendido popolo è il primo passo da fare.

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Così cambieremo l’immagine di Scampia

De Magistris, audizione alla Camera.
La Commissione parlamentare di inchiesta sulle Periferie ha svolto un’audizione al sindaco di Napoli, Luigi De Magistris, trasmessa in diretta dalla webtv della Camera dei Deputati.

«Siamo in condizione entro l’estate di cantierizzare e probabilmente abbattere entro l’estate la prima vela di Scampia», ha detto de Magistris nel corso dell’audizione. «Abbatteremo tre vele su quattro a Scampia e quella che resterà in piedi diventerà sede di uffici istituzionali: Scampia, periferia, diventa centro e centro della Città Metropolitana», ha aggiunto.

De Magistris, parlando del progetto Restart periferie ha detto che «prevede anche una rigenerazione urbana ed è un progetto di grande valenza sociale che porta anche la firma dell’Università di Napoli Federico II e del Comitato Vele. È questo il nostro modo di intendere l’amministrazione pubblica: al centro ci sono i cittadini e questo progetto ha un valore nazionale e oserei dire internazionale per l’immagine delle Vele che c’è oggi nel mondo».

«L’audizione del sindaco de Magistris conferma che Napoli è un laboratorio interessante sul tema delle periferie. Sicuramente la riqualificazione del quartiere delle Vele di Scampia è un modello e ha una portata nazionale, ma è interessante l’attenzione complessiva alla riqualificazione delle periferie che è stata messa al centro dell’azione amministrativa», ha detto Andrea Causin, presidente della commissione parlamentare di inchiesta sulle periferie.

«Dall’audizione sono emersi degli spunti interessanti di cui è necessario tenere conto, soprattutto per quanto riguarda la necessità di mettere mano al sistema dei poteri e dei rapporti tra città metropolitane e regioni» ha spiegato Causin. «Se si vuole investire su una strategia di rigenerazione delle periferie, le città metropolitane devono diventare centrali nelle gestioni di alcune competenze, legate ai servizi alle persone, come il trasporto pubblico e devono diventare centro di attrazione dei fondi europei» ha concluso.

«Stiamo per svuotare la seconda vela, il rischio è che altri vadano ad occupare o che intervenga la criminalità organizzata. Bisogna far presto e abbattere la prima vela entro l’estate anche perché quella struttura non può rimanere a lungo svuotata». Lo ha detto il sindaco di Napoli Luigi de Magistris nell’audizione alla Commissione parlamentare d’inchiesta sulle periferie della camera Il sindaco ha ricordato che a Scampia «interveniamo in un territorio che è difficile e dobbiamo fare in modo che le persone che escono da una Vela possono avere un alloggio popolare, se ne hanno titolo».

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Napoli: pubblicato il bando di progettazione per abbattere le Vele

Avviso da 672mila euro per la realizzazione del progetto “Restart Scampia”. Scadenza 8 maggio.
Il Comune di Napoli ha pubblicato il bando per la realizzazione del progetto “Restart Scampia”, che prevede l’abbattimento di tre delle quattro Vele e la rifunzionalizzazione della quarta, che svolgerà, in un primo momento, il ruolo di infrastruttura per l’emergenza sociale.

Dopo l’assegnazione, da parte del Ministero dell’Economia e delle Finanze, del finanziamento per il progetto presentato dal Comune, gli Uffici hanno lavorato alla predisposizione di due bandi di progettazione.

SCADENZA ALLE ORE 12.00 DEL 08/05/2017. Il primo bando è stato già pubblicato – CLICCA QUI – e prevede 22 giorni di tempo per presentare le proposte e 50 giorni di tempo, al vincitore del bando, per la predisposizione della progettazione esecutiva, che sarà oggetto della successiva gara lavori per l’abbattimento e la rifunzionalizzazione.

Nei prossimi giorni sarà completato e pubblicato il secondo bando, relativo alla progettazione del Piano urbanistico esecutivo dell’area, che andrà a definire in maniera puntuale l’obiettivo di rendere Scampia un elemento di cerniera con i comuni limitrofi, luogo dove si andranno a localizzare alcune funzioni privilegiate e nuove funzioni a carattere urbano e territoriale (metropolitano), in grado di dare una nuova articolazione alla composizione sociale del quartiere.

“Incomincia così a prendere corpo il progetto della nuova Scampia – afferma l’assessore al Diritto alla città Carmine Piscopo – nato dalla collaborazione con le istituzioni universitarie cittadine e dal confronto con i comitati e le associazioni attive sul territorio.”

“Il programma di rigenerazione urbana che vale complessivamente 26 milioni di euro – continua l’assessore – costituisce la coerente proposta dell’Amministrazione di affrontare incisivamente il tema delle cosiddette ‘periferie’ allo scopo di realizzare, con atti concreti, nuove centralità supportate dalla realizzazione di servizi urbani integrati di mobilità, incisivi servizi di assistenza sociale, formazione scolastica, sicurezza, iniziative educative, culturali e sportive.”

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Giù le Vele e poi? Per Scampia un piano vero non c’è

Il progetto, finanziato con 18 milioni di euro, prevede tre casermoni da radere al suolo ed uno che resta in piedi per gli alloggi temporanei di chi aspetta ancora la nuova casa. Niente soldi per le politiche sociali e la lotta alla povertà. Parlano urbanisti e operatori sociali del territorio: se ci occupiamo solo di demolire il cemento Scampia non rinascerà mai.
Buttare giù le Vele non è roba che si sbriga in pochi mesi e, soprattutto, non equivale a fare tabula rasa del disagio sociale. Sono questi gli ultimi temi caldi del dibattito. E così Scampia, dentro il circolo vizioso dei consumati corsi e ricorsi storici, affronta l’ennesima diatriba su cui si gioca il suo futuro. Il progetto “Restart Scampia” non convince tutti. Finanziato dal Governo con 18 milioni di euro tramite il recente bando sulle periferie ed accompagnato dalla promessa, un mese fa, del sindaco Luigi De Magistris dell’abbattimento della Vela Verde prima dell’inizio dell’estate, prevede che delle quattro oggi superstiti ne resterà in piedi solo una, riqualificata e trasformata. Ma dati e date, costi e propositi nelle 70 pagine di relazione tecnica vengono ora passati al setaccio da chi di mestiere e da chi la periferia la vive.
L’urbanista Daniela Lepore: abbattere non basta

«Come al solito continuiamo ad occuparci solo delle pietre – commenta Daniela Lepore, docente di Tecnica e pianificazione urbanistica all’università Federico II di Napoli -. Radere al suolo le Vele e sostituirle con case più carine e dignitose non basta. L’abbiamo già fatto con tre Vele e non mi pare sia andata bene. “Restart Scampia” si limita ad essere un lavoro di computo metrico per capire come demolire tre vele ed aggiustare la quarta, non c’è mezza parola su come migliorare la qualità di vita del quartiere. Andranno a terra, ma a me non è chiaro cosa si è deciso di mettere dopo in quel lotto, chi lo fa e con quali soldi. Servirebbe, invece, una cabina di regia per un programma integrato che, coinvolgendo soggetti pubblici, privati e del terzo settore, metta in piedi politiche non solo di riqualificazione edilizia, ma di welfare e dinamizzazione economica».

Critiche anche sul riciclo della Vela Celeste che accoglierà temporaneamente chi resta in attesa di una nuova casa. «Tenere una Vela in piedi è pura follia – afferma Lepore -. Si spenderanno un sacco di soldi per rendere abitabili, al suo interno, alloggi parcheggio, poi però la svuotiamo per farla diventare sede della Città metropolitana. Ma è noto che a Napoli ciò che è provvisorio diventa definitivo. Inoltre la Città metropolitana ha già tante sedi e come possono alcuni uffici rivitalizzare Scampia? Scampia ha centomila abitanti, non coincide esclusivamente con le Vele, che non sono unico problema di degrado, eppure il soggetto più ascoltato dai politici della città è il suo Comitato. Ben venga, ma se con una botta di soldi pubblici ogni volta si buttano giù pietre per creare altre pietre, allora in questa periferia, a parte il panorama architettonico, non cambierà mai nulla».
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L’architetto Antonio Memoli: ecco il piano.

A rispondere in prima battuta è l’architetto Antonio Memoli, promotore nel 2014 dello studio preliminare per la risistemazione del lotto M, poi alla base del progetto “Restart Scampia” di due anni dopo. «Se il provvisorio diventa definitivo, non sta a me giudicare – replica -. Di sicuro il Comitato Vele lavorerà per evitare che tutto stagni. La vicenda delle Vele è lunga e articolata e a me sembra esemplare l’esistenza di un comitato che per anni ha vigilato e lottato per un diritto di casa e dignità». E spiega: «Nel piano di spesa di “Restart Scampia” c’è, comunque, anche la redazione del PUA per il lotto M (con uno stanziamento di 350mila euro) quando il terreno sarà liberato dalle tre Vele. Su questo lotto si potranno utilizzare 354mila metri cubi, di cui 88mila e 500 come edilizia residenziale (in parte pubblica), e troverà collocazione la sede della Città metropolitana. Quindi i 18 milioni sono soltanto una quota dei complessivi 118 preventivati all’inizio, abbiamo già fatto un’ulteriore richiesta ufficiale di finanziamenti. Se non ci fosse stata l’azione energica del Comitato, non avremmo avuto questo primo stralcio di investimento economico da parte del Governo».
“Ristrutturare le Vele costa più che demolirle”

Finisce sotto esame anche l’aspetto tecnico dell’abbattimento. «Ristrutturare una Vela e renderla abitabile alla luce del loro stato attuale e delle recenti normative è sicuramente più costoso che abbatterla – è la considerazione dell’architetto Enrico Martinelli per 13 anni a capo del Servizio periferie di Palazzo San Giacomo -. L’abbattimento, che è solo una modalità di intervento, a mio avviso è l’unica strada percorribile, ma non si può demolire sic et simpliciter. Occorre un piano preciso e dettagliato, un collaudo specifico che è fotografia dell’attuale stato strutturale degli edifici. Le Vele furono occupate, non ancora ultimate, subito dopo il terremoto dell’Ottanta, e dunque un collaudo ufficiale e complessivo non vi è mai stato. La demolizione va fatta in sicurezza, altrimenti si rischiano crolli pericolosi. Occorrono altresì le gare di appalto. E tutto questo sarà fatto entro giugno? Di quale anno?».

“Qui resta la desolazione”

Dubbi, incertezze che non sono né flemma né sonno né sterile polemica di chi a Scampia vive ed opera. È semplicemente il coraggio di rovesciare il ragionamento: demolire luoghi comuni ed icone negative senza mettere mano al piccone. Ogni giorno, sul campo, in prima linea. «Sono anni che si dicono sempre le stesse cose – afferma Giovanni Zoppoli, coordinatore del centro territoriale Mammut -. Va bene abbattere le Vele perché sono una vergogna, è un inizio, ma qui resta la desolazione. Oggi c’è miseria economica dopo lo smantellamento di buona parte delle piazze di spaccio che davano lavoro, è aumentata la disoccupazione tra i giovani, le scuole al collasso hanno sempre più percorsi speciali, rinunciando alla didattica attiva, il discorso sui rom è regredito a vent’anni fa, l’intervento sociale continuativo è lasciato alle associazioni che sono allo sbando per i continui tagli ai fondi. Le Vele sono la foglia di fico per nascondere i veri problemi alla radice». Il punto è: scassare, rottamare sì, ma innanzitutto l’emarginazione sociale. «Interessante – propone padre Fabrizio Valletti, che da 15 anni dirige il Centro Hurtado – sarebbe un progetto con una partecipazione dal basso di quelle associazioni che già operano sul territorio e possono dar vita ad una reale aggregazione di servizi e di cultura, del resto un modello realizzato con efficacia in altre città e periferie. Purtroppo a Napoli di progettazione urbanistica che non fosse solo per abitazioni ne ho conosciuta poca, le periferie sono concepite come dormitori. La difficoltà strutturale e culturale in questa città sta nel riunire le menti per un programma comune. Le cose si possono fare, ma bisogna pianificarle seriamente e avere il coraggio di investire innanzitutto nelle persone». Altre case popolari nel lotto M liberato? «Per carità – risponde il gesuita -, e poi chi controllerà? L’abusivismo è la regola, spesso avvalorata dagli amministratori. Ci sono, al contrario, possibilità che non vengono sfruttate: un giovane architetto di recente ha tentato di portare il suo piano innovativo per la Vela Celeste, che però è stato bloccato. E invece per fare davvero qualcosa di buono sarà necessario che ci si metta a ragionare. Tutti insieme».

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Corviale e l’occasione perduta

I fondi dirottati ad altre periferie
Il progetto di riqualificazione vincitore di un concorso internazionale è stato proposto da Regione e Ater come candidato a ottenere una parte dei finanziamenti del governo. Ma il Campidoglio preferisce spargere a pioggia i soldi in altri ambiti come i Forti Boccea e Trionfale o San Basilio e il Litorale.
Lo Zen a Palermo, Scampìa a Napoli, Corviale a Roma: tre esperimenti di edilizia popolare realizzati tardi rispetto ai tempi a cui erano destinati e per di più nemmeno portati a termine. Tre «quartieri» all’avanguardia che seguivano però di decine d’anni l’Unité d’habitation di Le Corbusier a Marsiglia, quella sì, veramente anticipatrice.

Tre casi di degrado abitativo che mostrano come buone architetture possono diventare cattive se monche, senza manutenzione e senza mixité sociale. Da anni il Serpentone di un chilometro sulla Portuense è oggetto di modesti interventi di riqualificazione. La grande occasione si è presentata un paio di settimane fa, quando il progetto vincitore di un concorso internazionale (45 partecipanti) è stato proposto dalla Regione Lazio e dall’Ater (proprietario dell’immobile) come candidato ad ottenere una piccola parte del fondo di 500 milioni stanziato da Renzi per il recupero delle periferie. Entro agosto i Comuni delle sei città metropolitane a cui è diretta la somma dovevano presentare i progetti da finanziare. Napoli ha puntato sul risanamento delle Vele, Palermo sulla riqualificazione dello Zen.

La giunta Raggi non ha tenuto conto che il progetto per la rinascita di Corviale ha avuto già oltre sette milioni dalla Regione, mentre ne mancano 15 per il suo completamento. Ed ha proposto di spargere a pioggia i soldi del governo in diversi ambiti periferici come i Forti Boccea e Trionfale o San Basilio e il Litorale. Per Corviale il Campidoglio chiede solo 2,5 milioni, oltretutto in gran parte per la scuola del quartiere. Sul piano elettorale si può capire la scelta della giunta Raggi, ma le elezioni sono alle spalle. Il risanamento di Corviale, secondo il progetto dell’architetto Laura Peretti vincitrice del concorso, si basa sull’idea, apprezzata dall’assessore all’Urbanistica Paolo Berdini, di «creare differenze in un ambito indifferenziato», cioè articolare il Serpentone monoblocco in parti riconoscibili e identitarie per suscitare un rapporto tra abitanti ed edificio. Forse la giunta Raggi non vuole associare il recupero del Corvialone al nome di Renzi: e così ha preferito raccogliere consensi sparsi nel fermento periferico.

Ancora una volta Roma manca un’occasione per dimostrare la capacità di immaginare il futuro, scegliendo la mera gestione del presente. Un presente dove le cose normali diventano fatti straordinari, come le strade pulite o i bus in marcia. Dove il riscatto di Corviale resta solo nelle mani di chi lo abita.

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Delibera Bando periferie Napoli

Delibere città metropolitane Bando periferie 2016




Abbattere le Vele

Napoli e il piano da 18 milioni per Scampia: giù le torri che hanno fatto da set per Gomorra. Il nodo di una casa per un centinaio di famiglie.
A giugno il decreto per le periferie: cinquecento milioni «per farle belle» e, secondo il pensiero di Renzo Piano, trasformarle in un argine «alla barbarie». Lunedì scorso la risposta del Comune di Napoli: un progetto per le Vele di Scampia, quelle immortalate per la prima volta da Salvatore Piscicelli in «Le occasioni di Rosa», e poi rese famose da «Gomorra» e famosissime da «Gomorra-LaSerie». Nel primo film, del 1981, la bella Rosa guarda le Vele da poco abitate e sogna di rifarsi una vita altrove (c’era ancora speranza). Nella serie tv, il boss Savastano le guarda da lontano e trama invece per riprendersele e ripristinare la sua mega-piazza di spaccio (siamo già in piena barbarie).

La «partita» politica

Col decreto del governo e col piano del Comune si aprono ora due partite decisive. Una tutta politica tra Renzi e de Magistris e un’altra tutta di civiltà, con Renzi e de Magistris, si spera, questa volta dalla stessa parte. La partita politica è presto detta: Renzi ha già commissariato l’ex area di Bagnoli e il progetto va a rilento, anche perché de Magistris, messo nell’angolo, non collabora; a Scampia, invece, i tecnici comunali e quelli di Palazzo Chigi hanno lavorato gomito a gomito, e il sindaco vuole dimostrare che è questo il metodo da seguire. Non solo. «Con noi, seduti allo stesso tavolo — spiega l’assessore-architetto Carmine Piscopo — ci sono stati anche i rappresentati dei comitati di base, e questo a riprova del fatto che nulla calerà dall’alto».

La «partita» civile

Più complicata, ma più interessante, la partita «civile». Il Comune vuole abbattere tre delle quattro Vele ancora esistenti, dove vivono 300 famiglie, e vuole salvarne una — la B, quella che nelle intenzioni doveva essere celeste — per riqualificarla e farne o un museo o un centro di aggregazione sociale: sarà un concorso internazionale a dire cosa e come. La gran parte dei residenti, duecento famiglie, hanno già una casa assegnata altrove. Gli altri dovranno invece aspettare l’evolversi del progetto. Per tutto questo, il Comune chiede il massimo che secondo il decreto può chiedere: 18 milioni per sé e 40 per l’area metropolitana. Di suo, poi, ci aggiunge altri 9 milioni. Ne mancano 53, ma intanto è chiaro che de Magistris ha deciso di giocarsi tutto su Scampia. Un’ulteriore sfida a Renzi.

Il simbolo del degrado

Ispirate alle architetture di Le Corbusier e di Kenzo Tange, le Vele sono poi diventate il simbolo del degrado italiano. Cioè l’esatto opposto di quella modernità progressista per cui furono pensate: come il quartiere Zen a Palermo di Vittorio Gregotti e il Corviale a Roma di Mario Fiorentino. Spinto dalla stessa «ideologia», Franz Di Salvo, tra il 1970 e il 1972 coordinò, per conto della Cassmezz, il gruppo di 6 architetti e 11 ingegneri che le disegnò. Ma ecco il punto. Quel gruppo progettò le Vele, ma non ne curò la realizzazione, perché nel frattempo arrivò il terremoto del 1980 e non ci fu più tempo per i corridoi leggeri e trasparenti o le gradinate più larghe che avrebbero dovuto dare luce alle case. «Dovevamo accompagnare quel progetto con un piano di sviluppo e non trasferire là solo i ceti più poveri e emarginati; e invece volemmo il maledetto e subito», disse poi l’assessore comunale del tempo, il comunista Andrea Geremicca. Risultato: in quelle sette Vele di 14 piani, alte fino a 45 metri, e ora quasi tutte con gli ascensori fuori uso da anni, ci finirono oltre mille famiglie. Divennero un inferno. E toccò a Bassolino, nel 1997, il compito di iniziare l’abbattimento. Quando in diretta Tv gli artificieri azionarono il comando a distanza, però, qualcosa non funzionò. Per l’imbarazzo, Bassolino impallidì, e si sentì uno scugnizzo urlargli: «Sindaco, avite fatto fetecchia». Avete fatto cilecca. Ci volle qualche settimana per completare l’opera, ma rimasero comunque in piedi le attuali quattro vele. Ora Renzi ha 90 giorni di tempo per accettare o respingere il piano. Se lo accoglierà, occorreranno altri 30 giorni per stipulare le convenzioni. In primavera potrebbero così iniziare i lavori. Sarebbe una svolta, per Napoli, la fuoriuscita da un dopo terremoto durato 35 anni. E la camorra? Si ritirerà in buon ordine? Si vedrà.

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“L’altro scudetto”. Il Napoli a Scampia contro il disagio e la devianza giovanile

Sono diverse le iniziative sociali della Società Calcio Napoli e riguardano soprattutto i più giovani. È esteso agli oratori di 60 parrocchie cittadine e coinvolge circa 2 mila e 500 ragazzi il progetto dell’Arriap Football Team. Diverse anche le attività a favore dei giovani reclusi di Nisida.
Ufficialmente non se ne vanta anche sono diverse le iniziative sociali della Società Calcio Napoli e riguardano soprattutto i più giovani. Lo scorso aprile la società ha presentato con il Comune di Napoli il progetto “Fratellanza Italiana Calcio”: un’iniziativa “di contrasto alla devianza della sub cultura sportiva in tutte le sue forme e alla violenza dentro e fuori gli stadi”, che prevede, a partire dal prossimo anno scolastico, l’avvio di attività sociali e sportive nel centro polifunzionale di Scampia dato in comodato d’uso all’associazione “Ciro vive”, intitolata alla memoria del tifoso del Napoli ucciso da un ultrà romanista due anni. Nel centro, che è in fase di ristrutturazione, si terranno attività sportive ma anche corsi per la formazione di pasticcieri, pizzaioli e cuochi, in modo da sottrarre all’emarginazione e al rischio di devianza i ragazzi del territorio.

È esteso invece agli oratori di sessanta parrocchie cittadine e coinvolge circa 2 mila e 500 ragazzi il progetto dell’Arriap Football Team, forse la più grande Associazione Sportiva Dilettantistica d’Italia nata dopo due anni di sperimentazione del programma Tutoring ideato dall’Arcidiocesi di Napoli e realizzato grazie al contributo del Calcio Napoli, dell’Asl Napoli 1 e di sponsor tecnici. Il torneo si tiene in parallelo al campionato di calcio di serie A e vede gareggiare oltre 150 squadre delle parrocchie dell’Arcidiocesi, con la competizione finale a maggio alla presenza sia del cardinale Crescenzio Sepe, arcivescovo di Napoli, che del presidente della Società Calcio Napoli Aurelio De Laurentis.

“Il Torneo – spiega don Rosario Accardo, responsabile della Pastorale dello Sport della Chiesa di Napoli – è nato con l’intento di togliere dalla strada i nostri ragazzi, quelli che non possono partecipare alle scuole calcio private, facendoli giocare ed allenare gratuitamente nelle strutture parrocchiali. Inoltre ogni atleta ha avuto gratuitamente un’assicurazione e una visita medica e va qui ricordato un altro grande risultato umano e sportivo: anche quest’anno un ragazzo è stato salvato, mediante un intervento chirurgico, da un serio problema fisico”. Il campionato, diviso per quattro categorie diverse di età e articolato in mesi di allenamento e oltre seicento gare, coinvolge tutti i quartieri di Napoli e ragazzi molto diversi per provenienza sociale, che si confrontano tra coetanei grazie allo sport.

Diverse infine le attività a favore dei giovani reclusi di Nisida, che la Società Calcio Napoli realizza in collaborazione con associazioni e cooperative sociali. Come quella che nel dicembre scorso ha visto chiudere la cena natalizia di Jorginho, Strinic, Rafael e Pepe Reina con panettoni prodotti nel laboratorio di pasticceria dell’Istituto Penale dei minorenni a Nisida.

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Quella palestra di Scampia che salva i ragazzi dalla violenza

Per 8 anni consecutivi la migliore in Italia di karate.
“Per me è una missione. Sogno una città normale”.
C’è un posto che, in un mondo giusto, sarebbe famoso per i campioni di karate che sforna, per le medaglie che riportano in Italia quando tornano dai campionati in ogni angolo del globo,per le coppe e i trofei che riempiono gli scaffali. E invece questo posto – che poi è Scampia, periferia nord di Napoli – è tristemente noto per Gomorra, le sparatorie, lo spaccio, le sentinelle che ululano quando ci si avvicina alle «Vele».

Il luogo di cui stiamo parlando è la palestra di una scuola elementare, dove un’ottantina di ragazzi si allenano nei loro kimono bianchi e, una quarantina di ragazze studiano danza e lo fanno all’ombra di un tabellone per il basket piazzato lì per gli altri, quei bimbi che frequentano l’istituto la mattina. Devono fare tutto presto e in fretta perché il tempo a loro disposizione è tra le 17 e le 20, non un minuto in più. In questa palestra, la A.s.d. Champion Center, ci sono medaglie vere: sessanta ori, cinquantadue argenti, 48 bronzi e il premio – per otto anni consecutivi – di migliore società italiana di karate. Il tutto, a partire dal 2002, certificato dalla Fijlkam, Federazione italiana judo karate arti marziali. Medaglie significa anche volti, storie. Come quella di William,che è arrivato terzo al campionato mondiale e dopo il diploma di geometra sta studiando – grazie ad una borsa di studio – ingegneria all’università o Pasquale, oro alle paraolimpiadi, alle quali, tra l’altro, era iscritto come «partecipante più giovane». O ancora, Emanuele, ventidue anni come William, secondo ai campionati europei e una stretta di mano che ti trasmette tutto il suo orgoglio e la voglia di farcela.

A fondarla è stato Massimo Portoghese, atleta, oggi allenatore della squadra italiana giovanile di karate. «Io sono nato qui, a Scampia, ed ho sempre desiderato che la mia società potesse nascere in questo quartiere. Chiediamo da anni uno spazio più consono, che non ci costringa a concentrare tutte le attività in un tempi così brevi, ma non abbiamo mai avuto ascolto», racconta. Cintura nera quinto Dan, insegnante di body building, ha iniziato a fare karate a sei anni, quasi quaranta anni fa, e nel 1996 ha costituito la prima società.

«Il primo fu don Aniello Manganiello: concesse alla mia associazione una struttura all’Oasi del Buon Pastore e proprio lì, in una palestra sprovvista persino di un tappeto, nel pieno centro della piccola criminalità, iniziai a costruire un primo gruppo. Poi, in un secondo momento, un amico aprì una palestra in via Appia verso Scampia e ci concesse una struttura per poterci allenare; poi siamo venuti qui. Vorrei che le istituzioni ci consentissero di utilizzare uno dei tanti beni confiscati alla criminalità organizzata, perché questo avrebbe anche un valore simbolico», aggiunge. Lo sport è uno strumento che ragazzi e ragazze utilizzano per mettere il naso fuori da una realtà difficile, dura. «Ci sono ragazzi che sono arrivati qui con gravi problemi personali, famiglie distrutte,genitori violenti che entrano ed escono dal carcere, ed oggi sono brillanti atleti, studiano all’università, ce l’hanno fatta. Ho la bellezza di sei ragazzi agonisti che oggi, grazie anche al sostegno economico della Fondazione Pavesi, diventeranno dottori», ricorda.

Molti ce la fanno, ma non tutti. «Penso spesso ad Antonio che trafficava droga e che, per questo, si trova ancora in galera», ammette il maestro, che ha organizzato una struttura nella quale chi vince una medaglia poi mette a disposizione le cose che ha imparato a favore dei più piccoli, diventa maestro a sua volta. «Voglio diventare forte per combattere i cattivi», dice Salvatore, otto anni, nato a Scampia, ospite fisso della palestra. «Io invece voglio diventare un maestro di Karate, così aiuto i bambini a non stare in mezzo alla strada», racconta invece il piccolo Christian. E le bambine? Per loro c’è la danza. E ad insegnare loro piroette,volteggi, ma soprattutto regole e disciplina, c’è Caterina Gibelli, moglie di Massimo Portoghesi da venti anni. Due figli, Morena e Alessandro che a 17 anni è già campione italiano di Karate, studia al liceo scientifico e aiuta il papà ad allenare i piccoli campioni. «Voglio solo che realizzino i loro sogni», dice Massimo parlando dei suoi figli. E a volte, per inseguire i sogni, non bisogna andare molto lontano. A Scampia, all’ombra delle Vele, c’è una palestra dove nascono i campioni.

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