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Viaggio nella cultura zen: intervista a Alessandro Cives, cantautore creativo romano

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Alessandro Cives, come ti definiresti? Dal punto di vista umano, culturale e musicale?

“Una persona molto curiosa e fantasiosa, per avere curiosità ci vuole fantasia secondo me, dal punto di vista umano un ingenuo e dal punto di vista musicale un semplice creatore di storie, quindi un cantautore.”

Da quando fai musica?

“Dal 2001, da quando ho ritenuto di essere in grado di scrivere canzoni autoriali, autonomamente. Ho cominciato nel 1995/6, le prime volte che accordavo qualcosa, che mettevo le dita sulle corde. Usavo una chitarra classica, ma il motivo per il quale ho cominciato non mi fa molto onore: non avevo un interesse sulla musica, volevo fare colpo su una ragazza! È andata a finire che con la ragazza non ci sono mai stato, e con la musica ci vivo tutti i giorni!”

“Era il 2007, quando suonavo nei Linea B, band da me fondata e da altri affondata. Non dimenticherò mai questo progetto. Oggi sono molto diverso da allora, migliore? peggiore? boh…”

Elisa Longo, giornalista, e Alessandro Cives

Alessandro Cives e Elisa Longo durante l’intervista

Alessandro, mi spieghi che cosa sono i giardini zen ?

“Nascono nei paesi dell’estremo Oriente: Cina, Giappone, Corea, Vietnam,e sono legati alla cultura e alla filosofia Zen, buddista. Sono giardini non coltivati, sono fatti di sola sabbia e possono essere molto grandi! Si trovano anche nei monasteri  buddisti, grandi quanto dei giardini normali, fatti di sabbia e di sassi; con un rastrello viene curato dal monaco adibito a questa cura.
In Italia la cultura zen non c’è, o meglio, non è accolta come in quelle terre.
L’oggetto “giardino zen” è importato artificiosamente, come giocattolo occidentale, per il pubblico europeo. Quindi, nell’Occidente, ha perso di valore, mentre dove è nato continua ad avere una forte simbologia. Noi importiamo tutto e, importando, rendiamo tutto prodotto, giocattolo e cosa da poco. Consumismo.
A fine anni 90, inizio 2000, c’è stato un boom di vendita di questo tipo di prodotti etnici e anche misteriosi, comunque fuori dal quadro dell’oggettistica comune, italiana ed europea. A me è sempre piaciuta l’idea di un giardino zen, anche se non mi lego alla cultura buddista. Essendo un creativo, mi piace rastrellare questo piccolo quadratino di sabbia!
Si possono creare forme geometriche disegni, puoi inventarti un mondo! È un modo per uscire dalla quotidianità, spesso grigia e noiosa.”

Alessandro Cives, classe '77, è un cantautore romano che vive in zona Casilina, a Roma.

Alessandro Cives, classe ’77, è un cantautore romano che vive in zona Casilina, a Roma.

E dimmi, che funzione hanno?

“Liberano la mente dai pensieri, e hanno la funzione di alleggerimento dell’anima. Il giardino toglie la pesantezza delle preoccupazioni.
La mia canzone che si chiama, appunto, ”Giardino zen” è un elogio a questo prodotto occidentalizzato, molto più piccolo perchè ne ho uno anche io e mi diverto a immaginare, a sognarci, a disegnare, a creare.
– Mi sento quasi un piccolo re di un piccolo mondo fatto di sabbia – cita il suo brano.La canzone parla del mio giardino zen dove io amo creare, disegnare, considerare che in un giardino zen, amo anche immaginare che ci si possa atterrare con un piccolo aeroplano in miniatura  e che tutto questo possa benissimo sostituire la televisione.
La canzone è stata scritta nel 2008, finita di registrare nel 2009 e pubblicata nel 2010.”

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Profilo personale Alessandro Cives:
https://www.facebook.com/alescives?fref=ts

Alessandro, dove hai suonato di recente?

“Ho suonato in vari locali di Roma, dal Pigneto a San Lorenzo, alla Locanda Atlantide, alle Mura e anche in altre città, come Milano. Faccio musica da cantautore, ma a volte sono accompagnato da un bassista e batterista.”

 

Intervista Elisa Longo




Viaggio a Roma est: Pigneto

Intervista a Max, barman di CO.SO,

Via Braccio da Montone, 80, Roma.

 

Max, barman di CoSo

Massimo D’Addezio, barman di CoSo e Gabriella Trinco, barman

 

CoSo? Che significa?

“Cocktail and social: social inteso come il nerd della tecnologia che si perde nei meandri della comunicazione e sia come concezione di sociale, condivisione in un posto gradevole, l’idea di scambiarsi due chiacchiere umane, non virtuali”.

 

Parliamo del martini cocktail..

“Il Martini cocktail è un esempio di social. Se oggi il social lo ascriviamo a un Facebook, ad un Twitter, il Martini cocktail è il facebook o il twit di 60 70 anni fa.
Prima il bar era il modo per parlare, per interagire, legato alla condivisione. Esperienza che in Italia non è mai arrivata, che potremmo trovare, forse!, nell’ombra veneziana o nel bicchiere di vino ad Udine, ma che al Sud non è mai arrivato come concezione di vita, per condizioni culturali, climatiche o socioambientali”.

“Esperienza che, invece, nel resto del mondo, in Occidente, nell’ Europa del Nord ma anche in America c’è sempre stata: il Martini cocktail è un concetto, uno stile di vita, è una “cosa” che ti appartiene.
Un bar di questo standard non può prescindere da un basic così famoso”.

 

Perchè, questo, che tipo di bar è ?

Coso è il cocktail bar per eccellenza. Possiamo creare una metafora: pensiamo a tre tipi di macchine: una macchina da corsa, un 4×4 per fare la legna e una macchina da città. Con la macchina da città ci si può fare un po’ tutto, ti ci apparti con l’amante, vai a fare la spesa, porti il bambino a scuola, vai al cinema, e questo è paragonabile ad un autogrill, un bar di strada, dove trovi l’aranciata, il caffè ma anche un gelato”.

Mmm..

“Poi invece ci sta il 4×4, che è un bar ristorante dove hai una connotazione, un arredamento di un certo tipo, che in qualche modo ha una specializzazione, caffè o primi piatti che siano.
E poi c’è la macchina da corsa, che ha una misse, deve essere leggera. La macchina da corsa è un locale dove il bancone è fatto solo per i cocktails, per andare in velocità, dove tutto è posto davanti al barman in modo da non perdere il contatto con il cliente. Perchè il barman guarda negli occhi. Sempre”.

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Il banco di CO.SO. è ricco, anzi ricchissimo: “Quello che tu vuoi sarà servito nel modo migliore che posso. E anche se non corrisponde oggettivamente ad un meglio, stabilito da chissà quale scala, qui dentro troverai il meglio”

Guardare negli occhi il cliente, rapporto con il cliente, fondamentale? Perchè?

“È un’ altra pagina che si chiama il barman è come uno psicologo.

Perchè fa 5 cose contemporaneamente: ti accoglie quando entri, è l’oste-hostess, ti fa accomodare quindi diventa il meitre di sala, ti vende quindi è un venditore dietro il bancone, ti prepara e diventa lo chef , e controlla la sala, si rende conto se stai bene.
Dopo queste 5 cose che succede? Ricomincia da capo e l’accoglienza diventa un parlare con te, un intrattenerti con un “ciao come stai, bella questa borsa, questo accessorio” . E la porta per capire veramente una persona qual’è ? l’occhio.
Il barman lavora con la fisiognomica: in pochi secondi deve capire che tipo sei, che cosa bevi, qual’è il tuo stile di vita, se deve dire “Vattene!” oppure “Sei la benvenuta! non te ne andare mai più”.
La fisiognomica è il mio strumento di lavoro perchè definisco tutto ciò che ho davanti e tutto ciò che vuoi. “Stasera non hai sete? Vuoi dell’acqua?” Io ti darò l’acqua più buona del mondo, perchè la prossima volta che hai voglia di qualcosa sai che qui, la cosa più semplice o la più complicata, la avrai al meglio di quello che puoi ottenere”.

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Arredamento new age e colori sgargianti, ambiente lounge, divanetti e pouff per chi preferisce stare al tavolo o comodo, come se fosse a casa!

 

E il tuo meglio qual è?

“Quello che tu mi chiedi. Quello che tu vuoi sarà servito nel modo migliore che posso. E anche se non corrisponde oggettivamente ad un meglio, stabilito da chissà quale scala, qui dentro troverai il meglio”.
“Come quando qualcuno mi chiede quale sia il migliore gin? Il migliore rum? io rispondo sempre È quello che piace a te!” “Io devo fare l’affabulatore, l’incantatore di serpenti. Devo conquistare te e devo fare in modo che tu creda che meglio, di quello che stai prendendo, non c’è”.

 

E invece il tuo preferito? Cosa ti piace servire di più? Perchè, come lo servi?

“Il mio preferito è il Bloody Mary perchè è sapido, ha una connotazione da aperitivo, si beve prima di un pasto e non dopo, per una questione di meccanica fisica, di funzionamento del corpo. Sarebbe riduttivo però dire questo: A me piace servire te. Mi piace servire e non esser servile! Mi piace la tua soddisfazione, che è la risposta che devo leggere nei tuoi occhi”.

 

Da quanto tempo è aperto questo locale?

“Da 7 mesi”.

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E tu hai lavorato in molti locali?

“Ho cominciato facendo il carrozziere e poi ho fatto un corso da barman! (ride)
Non ho lavorato in moltissimi posti, quello che mi è servito è stato viaggiare molto e conoscere l’animo umano. Quello che ti da soddisfazione è fare qualcosa, non necessariamente lavorare. Lavorare è relativo, tu lo fai in qualsiasi ambiente, non è importante farlo dove, ma il farlo come.
Ma ho servito più di un milione di persone in 10 anni”.

 

 

Parliamo delle nuove leve.

“Pochissime, ahime! Il problema è alla base: manca la furbizia non capiscono che quello che facciamo è un lavoro in cui bisogna vendere. Perchè a fine serata il cassetto deve essere riempito, vuoi del tuo padrone o del tuo locale, devi promuoverti e promuovere gli altri. Se vai a criticare chi hai accanto non vai avanti. Quindi le nuove leve sono tante e buone ma poco furbe.

C’è l’incapacità di autoprodursi. Mettiamo caso che aprire un bar è come fare un film, quello che produci hai, ma non hai modo di reinvestire. Non ci sono stimoli!
Negli USA, invece, c’è la remunerazione in base a quello che produci, lì tutto il personale è coinvolto. In tutto il mondo quando vai da un cliente che sta bevendo e chiedi “Vuoi qualcosa da bere?” è un servizio; in Italia è maleducazione e viene intesa come perchè manca il social. È proprio un discorso culturale che manca”.

 

Manca il social!

 

(intervista, foto e articolo di Elisa Longo)