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Dai piccoli gesti alla parola, quando una storia diventa un film: Anna dei miracoli

Regia: Arturh Penn  Soggetto: William Gibson  Cast:  Anne Bancroft (Annie Sullivan), Patty Duke (Helen Keller), Victor Jory (Capitano Arthur Keller), Inga Swenson (Kate Keller) Titolo originale: The Miracle Worker 1962

Oltre ad essere un capolavoro e un film di alto spessore morale, Anna dei miracoli  è una storia che va oltre le aspettative. Scompiglia le regole della cinematografia parlando con toni limpidi dell’infanzia di una bambina sordo-cieca dalla nascita, di nome Hellen. Cresce, all’insegna dei capricci e della disobbedienza, pasciuta da una famiglia che la vizia e la tratta come una bambina malata. Infatti, l’idea di volerla trasferire in un manicomio sfiora la mente dei genitori. Viene chiamata un’educatrice, tale Annie Sullivan, interpretata magnificamente da Anne Bancroft, la futura Miss. Robinson de “Il Laureato”, che da Boston si trasferisce a casa Keller.

AnnaDeiMiracoliAnche la sua infanzia  è segnata da dolori e sofferenze ma proprio questo ha forgiato il suo carattere e le ha permesso di passare dalla condizione di allieva a quella di insegnante. Ed è con la forza e la determinazione acquisita con gli anni che Annie dedica corpo e anima nell’insegnare a Hellen qualcosa del mondo che la circonda. Ma la bambina, pur dimostrando furbizia ed un’intelligenza superiore, non vuole obbedire. Famosa e di particolare impatto emotivo è la scena del cibo, in cui l’educatrice le impone, dopo aver messo sotto sopra la sala da pranzo e aver ricevuto un paio di schiaffi, di mangiare seduta, con il tovagliolo aperto al collo e il cucchiaio. Ma la forza e, a volte, la violenza con cui viene trattata Hellen indispone i genitori che tentano di licenziare la governante. Ma le aspirazioni della giovane insegnante sono più alte: la parola. La parola come comprensione e non solo come segno e gioco delle dita, ma come unico mezzo possibile per capire cosa lega un oggetto al suo nome. e poter interagire con la società. La pellicola, in un nitidissimo bianco e nero, uscì nel 1962 e fu un grande successo. I piccoli gesti che giorno dopo giorno si susseguono e le parole insegnate e comprese e i modi, ogni giorno più mansueti, sono la prova che il metodo di Annie non è sbagliato.
La metacomunicazione con cui Hellen si esprime emana il grande senso pedagogico ed evolutivo di un personaggio così ben caratterizzato. Lo stesso vale per Annie per cui un solo gioco con le dita possa divenire un modo di “vedere”, una parabola per arrivare alla comunicazione. Inoltre, è  evidente che si tratta di una pellicola di cinquanta anni fa, in cui un caso del genere è amplificato esageratamente: da una parte i movimenti della  bambina, irreali, dall’altra l’utilizzo di metodi che, ai giorni d’oggi, non sarebbero accettabili. Una Mary Poppins degli ipovedenti, di una mimica sconvolgente, è il cuore pulsante di un film che non racconta solo una biografia ma è una biografia che diventa un film: nonostante la trama sia centrata semplicemente nelle figure di Annie e Hellen e che la trama non sia ricca di colpi di scena o di particolari scenari,  essa scorre, inesorabile, verso un finale romanticissimo.

Una storia retrò e antiquata per i nostri tempi, ma che, nonostante l’età avanzata, colpisce ancora grandi e piccoli.

Elisa Longo




Tra scienza e coerenza – L’alba del pianeta delle scimmie

Un film di Rupert Wyatt con James Franco (Will Rodman), Freida Pinto (Caroline Aranha), Andy Serkis (Cesare), John Lithgow (Charles Rodman). Titolo originale Rise of the Planet of the Apes, casa di produzione Chernin Entertainment, distribuzione in Italia 20th Century Fox

Secondo il Regista: « Tutto questo è parte di una mitologia e deve essere visto come tale. Non è la continuazione degli altri film; è una storia originale. Deve soddisfare le persone a cui piacquero quei film. L’obiettivo è infatti raggiungere e attirare quei fan esattamente come è successo per Batman Begins »

Non avrei puntato molto su un film come “L’alba del pianeta delle scimmie” ma in Biblioteca Renato Nicolini mi hanno convinto. E devo ricredermi. Un genere che oscilla tra la fantascienza, l’azione e il tema drammatico, che, a primo impatto, non attira tutti. L’alba del pianeta delle scimmie è il riavvio della serie cinematografica Il pianeta delle scimmie, tratta dall’omonimo romanzo di Pierre Boulle del 1963, uscito nelle sale nel 2011. Willis è un giovane sperimentatore di un importante casa farmaceutica di Los Angeles e sta cercando, sperimentando sugli scimpanzè, un farmaco che guarisca il morbo di Alzaimer. È un farmaco genico che potrebbe guarire centinaia di persone anziane, che vivono in condizioni deprimenti. Anche il padre di Willis ne è affetto. Ma è proprio quando le sue condizioni psicofisiche si aggravano che una scimmia del laboratorio, durante un trattamento, scappa dal reparto e invade il centro sperimentale creando danni e caos.

La sua reazione era dovuta alla nascita di un piccolo scimpanzé che proteggeva nella sua angusta cella, ma chi se ne accorge, sa che è troppo tardi: la mamma è già morta e Willis trova riparo al cucciolo portandolo nella sua villa. Willis si accorge che le cure geniche somministrate alla madre sono passate geneticamente al cucciolo, soprannominato Cesare.
Vengono affinate le ricerche e i progressi intellettivi di Cesare sono visibili, tangibili: il suo quoziente aumenta giorno dopo giorno, anno dopo anno, impara la lingua dei segni e cammina su due gambe. È proprio quando i test verificano e superano tutte le competenze acquisibili dai primati che il papà di Willis si aggrava e, non del tutto consapevole, somministra al vecchio padre una dose dell’ ALZ-112, virus in grado di potenziare i ricettori neuronali.
Dopo un breve periodo di lucidità in cui lo stato mentale del padre, controllato e studiato dal figlio, appare lucido e controllato, Willis scopre che la cura ha prodotto degli anticorpi e che la malattia è ricomparsa più forte di prima. E, l’ormai adulto, primate viene allontanato dalla sua prima casa. Sarà l’affetto verso l’umano che l’ha salvato a ricondurlo sulle tracce della libertà? 

Di grandissimo effetto scenico e grafico , L’alba del pianeta delle scimmie è un film a cavallo tra moralismo e anticonformismo. Una storia che alimenta lo spirito tecnologico, l’avanzata rombante della scienza e delle sperimentazioni. Ma a rompere questo idillio del progresso c’è la crudeltà del genere umano, che in questa pellicola appare ancora più brutale. Gabbie, reti e trappole per animali e specie più deboli di noi. Citando un vecchio film di Hal Ashby (Harold & Maude): “Gli zoo sono pieni di animali, le prigioni traboccano di poveri diavoli. Oh mio Dio, come è possibile che al mondo ci sia ancora posto per una sola gabbia (….) La coerenza non è decisamente una caratteristica umana”. Un film che tocca le corde dell’animo umano passando tra sentimenti di solidarietà, spirito di sopravvivenza, giustizia e coraggio. Un film visto con gli occhi degli animali.

Elisa Longo