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Alla scoperta del piccolo Bangladesh nelle periferie di Roma

Al parco dell’Aniene, la domenica mattina, le squadre di cricket si ritrovano per giocare partite che durano ore, in un’area attrezzata e gratuita. Arrivano da molti quartieri di Roma, dalla provincia, dall’Umbria. Come il primo ragazzo che incontriamo, che ha la maglia della Ternana e che non è, come davo per scontato, bangladese, ma indiano.

A cricket, infatti, giocano tutti assieme: bangladesi, indiani, pachistani e afgani. Popoli dalle storie intrecciate, spesso segnate da guerre, che parlano lingue diverse ma vicine.

Nel parco, a godere del sole di aprile, famiglie che fanno il barbecue, bambini che giocano a pallone, un altro gruppetto di ragazzini e ragazzine che si allenano anche loro a cricket.

La squadra dei ragazzi bangladesi si allena prima dell’inizio della partita, senza fretta, fra scherzi e risate. Abitano tutti a Tor Pignattara, come la maggior parte dei loro connazionali che vivono a Roma. Uno dei quartieri del VI municipio, che, assieme a Pigneto, Casilino, Quadraro e Gordiani, è il più popolato a livello cittadino in relazione alle sue dimensioni.

Pigneto-Banglatown

Sono i quartieri compresi tra la Prenestina e la Tuscolana, con la Casilina in mezzo, tra i tram 5, 14 e 19, che arrivano a Centocelle, e il trenino delle ferrovie laziali, quello che ha preso il posto dello storico tranvetto. Quartieri nati nei primi decenni del novecento, a togliere spazio alla campagna, in forma di borgate e di case più o meno abusive. Quartieri nati per essere abitati da immigrati, genti arrivate da lontano, con abitudini e tradizioni diverse, che spesso non sapevano parlare l’italiano: erano abruzzesi, pugliesi, veneti, sardi, marchigiani. Sono le piazze e le vie in cui si è combattuta la Resistenza, spesso le stesse case nelle cui cantine sono stati nascosti i gappisti, i renitenti alla leva, gli antifascisti. Quartieri in cui è stato vivo sempre, e molto poi negli anni sessanta e settanta, l’associazionismo, la politica dal basso, spesso legata ai problemi abitativi che ancora gravano sui residenti.

Quartieri legati anche alla malavita, che negli anni ottanta hanno conosciuto da vicino l’eroina e i suoi effetti, che sono invecchiati, in cui i negozi hanno chiuso uno dopo l’altro per la concorrenza dei grandi centri commerciali più in periferia. Dalla fine degli anni ottanta hanno cominciato a ripopolarsi, ringiovanire, hanno riaperto i negozi. Le scuole sono tornate ad avere le classi piene, hanno aperto altre sezioni. Grazie ad altri immigrati: primi fra tutti i bangladesi, seguiti da cinesi, filippini, egiziani, peruviani e marocchini (Pigneto-Banglatown. Migrazioni e conflitti di cittadinanza in una periferia storica romana, a cura di Francesco Pompeo, Meti Edizioni 2011-2013).

Una delle cose che si sente ripetere più spesso nei bar della città è che la comunità bangladese è molto chiusa. Che comunque sono troppi e le moschee pericolose.

Io e Simona, la fotografa, tra la comunità bangladese troviamo sorrisi e disponibilità, porte aperte e storie e parole. Conosciamo Shobin, che è stato promotore di una delle prime associazioni Italia-Bangladesh, che oggi si chiama Villaggio Esquilino e si è aperta alle altre collettività di migranti. Parla un italiano chiaro e ricco, grazie anche al fatto che quando è arrivato qui, a vent’anni, con una laurea, si è iscritto di nuovo alle superiori, e poi all’università. Conosciamo Bachcu, presidente di un’altra associazione, la Dhuumcatu, molto attiva nella richiesta di diritti fin dagli anni novanta.

Conosciamo Opu, che ha ventotto anni e abita al Pigneto insieme a uno dei suoi fratelli. Ha vissuto i suoi primi sette anni in Italia in un paese tra Firenze e Pisa, lavorando in un’industria tessile, così quando parla usa spesso “sicché”. Con lui andiamo a cena in un ristorante di suoi connazionali a piazza Vittorio, dove lavora un suo amico che lui chiama, romanamente, “zio”. L’insegna dice “Ristorante indiano”, ma le scritte sono in bangladese. Opu ci spiega che la cucina è più o meno la stessa, ma loro usano meno spezie, sua sorella non le usa per niente, ma a lui piace quel mangiare piccante.

Parlo, domando e ascolto le storie delle persone con cui, da anni, condivido strade, negozi e mezzi pubblici. Il barista e il fruttivendolo, la vicina e i suoi bambini che, come i loro coetanei figli di genitori bangladesi crescono confrontandosi quotidianamente con culture diverse, fra un lessico incapace di definirli, discorsi e sguardi dell’altro su di loro, di loro sull’altro. Parlano in italiano con tutti tranne che con i loro genitori e gli altri adulti della comunità che conoscono e frequentano.

A casa imparano la lingua materna, la ascoltano e la parlano, più o meno bene. Non imparano, nella maggioranza dei casi, a leggerla e a scriverla, la lingua bengali, per questo una ventina di loro vanno il sabato pomeriggio a studiare con Mary, una ragazza che ha più di vent’anni e quando parla sembra sussurrare. Si ritrovano alla casa del popolo, in via Bordoni, in quella parte di quartiere che molti conoscono come la Marranella. Sede di Rifondazione comunista, ospita nei suoi spazi numerose attività organizzate dai nuovi cittadini: lezioni di manguera per le ragazzine peruviane, messe cristiano evangeliche per i filippini, corsi di italiano per stranieri. Fino al 2008 la scuola si chiamava Bangla Academy e contava più di cinquecento iscritti.

È felice di quest’occasione: fare nel paese di arrivo lo stesso lavoro che faceva in quello di partenza

Il gruppo che, la domenica mattina, impara invece musiche e canti tradizionali è composto da una cinquantina di ragazzine e ragazzini fra gli otto e i tredici anni. I maschi hanno i jeans e il cappelletto con la visiera un po’ di lato, le femmine vestiti colorati se sono piccole e camicie a scacchi se sono più grandi, i capelli lunghi neri e molti raccolti in una coda bassa, o alta. Quando una di loro, una delle grandi, va alla lavagna a scrivere il testo della canzone, lo fa con l’alfabeto latino. Compie un’operazione di traslitterazione che le viene automatica, non conoscendo l’alfabeto bengali.

La lezione si tiene nel centro Asinitas, in una strada che da via dell’Acqua Bullicante sale verso Centocelle, in uno spazio di verde, con case a un piano, qualche animale, tra i palazzi dei due quartieri. L’insegnante si chiama Sushmita, è venuta ad Asinitas per seguire il corso di italiano e poi le hanno offerto l’aula per le sue lezioni domenicali. Suona un armonium indiano, con una mano batte il mantice per far passare l’aria e con l’altra suona la tastiera. Mi dà l’impressione, da quello che vedo, che sia una di quelle insegnanti che riescono ad avere gli occhi su tutti gli alunni, senza che nessuno resti escluso dal loro campo visivo, dalle loro intenzioni. Faceva l’insegnante anche nel suo paese, prima di sposarsi e di raggiungere suo marito a Roma, sette anni fa. Per questo, nonostante le difficoltà, è grata e felice di quest’occasione, di questa cosa preziosa e rara in cui è riuscita: fare nel paese di arrivo lo stesso lavoro che faceva in quello di partenza.

La grande menzogna

L’italiano, Sushmita, lo parla a fatica, come la maggior parte delle sue connazionali, che qui non lavorano e non hanno quindi occasione di parlarlo quasi mai. Cominciano a farlo quando i figli crescono e iniziano ad andare alla scuola materna e poi a quella elementare: si confrontano con le insegnanti, con gli altri genitori, gli altri bambini. E con i loro stessi figli, che imparano in fretta e che rischiano altrimenti di perdere nel loro percorso scolastico italiano.

Come Mary, l’insegnante, o come Toma, che ci offre un caffè e il payesh, un dolce di latte, zucchero e riso, quando andiamo a casa sua, un pomeriggio, mentre sua figlia Tasnia che ha cinque anni gioca con uno smartphone.

Le donne bangladesi a Roma sono solo il 29,6 per cento della comunità, perché non partono quasi mai da sole ma al seguito dei mariti. Arrivano qui dopo essersi sposate, spesso con matrimoni organizzati, nel senso che i loro coetanei emigrati, quando decidono di sposarsi, tornano a casa per qualche mese, si rivolgono alla famiglia o a una persona fidata per trovare una moglie che li segua in Europa. Sposarsi con un probashi, così si chiamano gli emigrati, è considerata cosa prestigiosa, anche perché di solito in patria non sanno come realmente vivono gli uomini quando arrivano da noi. Gli antropologi la chiamano “la grande menzogna”. Così le donne il più delle volte sono convinte di migliorare il loro stile di vita e invece lo peggiorano. Anche perché la società fortemente patriarcale e centrata sull’uomo, che non caratterizza solo i musulmani ma anche gli indù, minoranza in Bangladesh, limita le loro libertà di movimento, impedisce quell’esperienza di riscoperta di sé che spesso fa chi lascia la sua terra.

Così le si vede in giro per il quartiere quasi sempre accompagnate da qualcuno, o con i figli, con i loro sari colorati, che alcune usano anche come velo, mentre altre non si coprono i capelli.

Una società attraversata da forti contraddizioni, quella bangladese, sia in patria sia qui.

Trovo su Youtube un documentario sulle donne, sui loro corpi, le mode e i modelli di bellezza che mi ricorda l’italiano Il corpo delle donne. A parlare sono scrittrici, docenti universitarie, studentesse, cantanti, attrici e modelle, alcune di loro esprimono un discorso femminista ricco e complesso.

Il film Television, uscito nel 2014, di Mostofa Sarwar Farooki, racconta con i toni della commedia la storia di una giovane coppia di innamorati in lotta con il padre di lui, imam del villaggio, per ottenere il permesso di guardare la televisione. L’imam, le sue regole e le sue chiusure, sono visti come parte di un mondo in declino, assurdo e illogico.

Al parco dell’Aniene chiedo a Micha, che mi ha spiegato un po’ come funziona il cricket, se non ci sono delle squadre femminili e mi risponde che no, che in Bangladesh le ragazze non possono giocare, quindi non sanno giocare. Mi spiega che quelle ragazzine che si stanno allenando là in fondo sono nate qui, dice: “Se a mia figlia, che nascerà qui, piacerà il cricket potrà giocare, lei sì che potrà farlo”.

La nuova generazione

Nel film 2 francos, 40 pesetas, del regista spagnolo Carlos Iglesias, un gruppo di amici emigrati in Svizzera agli inizi degli anni settanta si confronta sul tema dell’identità, dell’integrazione. Uno di loro afferma di essere integrato. L’altro gli fa notare che, nonostante vivano in Svizzera da sette anni, sua moglie non parla una parola di tedesco e frequentano solo altri spagnoli. Allora il primo ammette che in effetti è così, ma che è disposto a sopportare tutto questo perché ha fiducia nel fatto che per suo figlio non sarà così, che lui avrà, anzi, le occasioni raddoppiate, e una vita più felice.

Si “salta” una generazione, si confida nel fatto che quella successiva sarà più libera, avrà più diritti e soffrirà di meno.

La nuova generazione di bambine e bambini bangladesi romani, intanto, sotto la guida attenta di Sushmita, prepara uno spettacolo per il capodanno, che è stato lo scorso 14 aprile ma i cui festeggiamenti vanno avanti fino al 25. Indosseranno gli abiti tradizionali, colorati e festosi, e canteranno le bellezze del Bangladesh davanti alla loro comunità. Magari sperano che a vederli vengano anche i loro compagni di scuola, i loro insegnanti, gli abitanti del quartiere, italiani egiziani o peruviani, che saranno curiosi di conoscere un po’ più da vicino quelle persone che incrociamo ogni giorno per strada, sul tram, al bar sotto casa o al banco del mercato.

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Pigneto città aperta

Workshop, live-painting e musica dal vivo, al via la quinta edizione di “Pigneto città aperta”.

Dal 21 al 24 maggio, il quartiere apre le porte ai romani, per una serie d’eventi totalmente gratuiti.

Dal 21 al 24 maggio al Pigneto giornate di mostre fotografiche e pittoriche, concerti e video-performance, live-painting e street art, tutto rigorosamente ad ingresso libero. Un successo annunciato per il festival Diy più grande della Capitale, che nell’arco del quinquennio è cresciuto esponenzialmente. “E pensare che all’inizio eravamo in poche centinaia”, ricorda Lorenzo del Trauma Studio, il collettivo che, in modo del tutto gratuito e “dal basso”, organizza e promuove l’evento. “Abbiamo creato una rete, quest’anno prevediamo più di 300 artisti e una partecipazione superiore alle 10mila persone”. Per l’occasione è stata creata una mappa interattiva con il percorso completo.

La prima giornata, in linea con la tradizione iniziata lo scorso anno, porterà il pubblico fuori dal Pigneto. Stavolta l’appuntamento sarà al Garage Zero al Quadraro, spazio culturale autogestito, che aprirà i battenti dalle ore 18:00, con una mostra fotografica e pittorica seguita da un incontro con la dott. ssa Irene Ranaldi, incentrato sul tema della gentrificazione, in un viaggio per immagini da Brooklyn al Pigneto. A seguire un’asta batterà e venderà al pubblico oggetti di uso quotidiano rivisitati da artisti, il cui ricavato andrà a sostenere la realizzazione di 5 nuove opere murarie al Pigneto che verranno realizzate nel corso della kermesse e che vedranno, tra gli altri, la mano degli street artist romani Alice e Solo.  A concludere la serata il concerto inaugurale del bolognese Dj Farrapo e la sua formazione electro-swing, con la partecipazione di Cico, Mc dei Negrita.

Da venerdì 22 maggio il quartiere Pigneto sarà il grande protagonista, con l’apertura di una miriade di mostre e gallerie, personali e collettive, tra librerie, centri culturali, associazioni, centri sociali. Alle 18:30 il coro polifonico giovanile Diapason (che ha preso parte al recente flash mob di lancio dell’evento), diretto dal Maestro Fabio de Angelis, si esibirà nel cortile della Biblioteca Comunale G. Mameli. In tutto l’arco della serata sarà possibile ascoltare decine di band impegnate in concerti per le strade e gli spazi del quartiere.

Sabato 23 maggio le attività saranno divise in due aree tematiche. ECOcentrico, una serie di workshop e incontri tesi a offrire uno spunto di riflessione rapporto tra uomo e natura. Dalla bioarchitettura all’alimentazione, fino all’attuazione di progetti concreti per la riqualifica del verde pubblico, senza dimenticare l’intrattenimento musicale, in questo caso rigorosamente acustico. TECHNOcentrico, al contrario, esplorerà il rapporto tra uomo e tecnologia. Workshop dedicati alla musica e arte digitale, un viaggio multimediale ed interattivo alla scoperta di software e nuove frontiere. Inevitabile l’omaggio alla musica elettronica con una line-up di 20 Dj.

Per chiudere in bellezza domenica 24 maggio, tra i tanti finissage, ci si potrà rilassare ascoltando stornelli romani, musica leggera anni ’60, cantautori italiani e ritmi tropicali, nell’ultima serata di concerti nel quartiere che più di tutti è simbolo della Roma che, forte della sua storia, guarda al futuro con entusiasmo. “Questo è Pigneto Città Aperta – conclude Lorenzo – il nostro auspicio è diventare un esempio positivo per i giovani. C’è chi fa il pittore e usa i colori, c’è chi fa il musicista e lavora con le note o chi fa lo scrittore e armeggia con le parole. Noi siamo promotori culturali e ci piace sperimentare con la produzione l’organizzazione di eventi… che sono giocattoli piuttosto articolati e complessi! Ma lo facciamo con quello stesso fuoco creativo e quella stessa innocente passione che hanno gli artisti di cui promuoviamo mostre, concerti o libri”.

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APPasseggio: sabato 11 e domenica 12 aprile

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Roma, domenica 12 aprile 2015, dalle 10,00 alle 13,00
Walkshop ecologico: Tra le erbe del Parco della Caffarella

Come ultimo appuntamento nell’ambito dell’iniziativa “Ecologicamente: passeggiate, pedalate e walkshops ecologici nel Municipio Roma VII”, proponiamo una passeggiata-laboratorio dove insieme agli alberi ed ai cespugli coltivati a scopo ornamentale, scopriremo le specie erbacee commestibili che crescono spontaneamente fra i prati o al bordo dei vialetti. Impareremo a riconoscerle e ad apprezzarne la variabilità dei colori e delle forme: gli strigoli, l’erba stella, le orecchie d’asino, gli ingrassaporci, la cicerbita, l’acetosella, il tarassaco, la bardana e molti altri.

Punto d’incontro: Largo Pietro Tacchi Venturi, all’ingresso del parco
Coordinate: 41.867269, 12.525675
N. max partecipanti: 30
Info: 3393585839
Costo: gratuito

CEDOLA DI PARTECIPAZIONE: http://www.appasseggio.it/index.php?it/253/modulo-ecologicamente-12-aprile-2015

Le successive informazioni sono corrette.

Roma, sabato 11 aprile 2015, dalle 10,00 alle 13,00
Il Borghetto del Pigneto
Accompagna: Chiara Morabito

Gli stili architettonici del Borghetto del Pigneto sono tra i più svariati e le tipologie edilizie eterogenee: dai villini della città giardino ai palazzetti di edilizia popolare, ai palazzi di stile umbertino, alle case di edilizia popolare intensiva. Oggi il Pigneto conta circa 60.000 abitanti con una grandissima concentrazione di anziani, gli abitanti storici che costituiscono l’anima popolare del borghetto e che ancora ricordano gli anni in cui il Pigneto era frequentato da Pasolini. Numerose comunità di immigrati provenienti per lo più dal sud-est asiatico e dall’Africa hanno aperto attività commerciali nel quartiere. Negli ultimi anni, il Pigneto è divenuto zona di “movida”, ricca di locali e ritrovi trendy. Un itinerario questo ricco di punti d’interesse storici, urbanistici, architettonici, cinematografici, artistici che includerà anche una breve visita alla Biblioteca Mameli con un’introduzione in anteprima alla mostra digitale “Lettori di strade: itinerari multimediali sui quartieri Pigneto e Tor Pignattara”, realizzata dalla nostra associazione.

Punto d’incontro: Via del Pigneto 22, di fronte alla Biblioteca comunale “Goffredo Mameli”
Coordinate:41.889572, 12.524018
Punto di arrivo: Ponte Casilino
Lunghezza: circa 3 km
Info: 339-3585839
Max 20 persone
Costo: offerta libera

CEDOLA DI PRENOTAZIONE: http://www.appasseggio.it/index.php?it/132/modulo-online-per-la-prenotazione-della-passeggiata-al-pigneto

Roma, sabato 11 aprile 2015, ore 11,00
Presentazione della Mostra digitale
“Lettori di strade: itinerari multimediali nei quartieri del Pigneto e di Tor Pignattara”

L’11 aprile alle 11:00 presso la Biblioteca Goffredo Mameli in via del Pigneto 22, si terrà l’evento conclusivo del Progetto “Lettori di Strade-Itinerari multimediali per raccontare la storia del tuo quartiere”, promosso dalla nostra associazione.
Con l’occasione sarà presentata ai cittadini del Pigneto e di Tor Pignattara, in un’atmosfera insolita di “porte aperte” in biblioteca, la mostra virtuale di Lettori di Strade, realizzata grazie ai materiali raccolti e digitalizzati dai ragazzi partecipanti ai 4 laboratori didattico-formativi, organizzati nel corso del progetto e a molti residenti che si sono offerti di arricchire il patrimonio raccolto.

Ingresso libero.

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Dal 9 maggio 2015:
Laboratorio creativo “Come diventare un buon narratore di storie”

a cura di Stefania Fabri e Maurizio Caminito

Partirà il prossimo 9 maggio, il Laboratorio creativo “Come diventare un buon narratore di storie” organizzato dalla nostra associazione presso la sede di Monteverde Living Lab (MOLL) in via Andrea Busiri Vici, 10.

Il laboratorio intende dare strumenti e conoscenze per diventare un buon narratore di storie che mirano a stupire l’uditore utilizzando luoghi particolari. Ed è molto utile per ogni tipo di storytelling, per i giovani che vogliano esprimersi in maniera più brillante, per tutti i  creativi di ogni età che vogliano sapersi far apprezzare.

Il laboratorio prevede una passeggiata con raccolta di documentazione nel quartiere Ostiense, 4 incontri nella sede di MOLL e l’ingresso finale al “Piccolo Festival dei Narratori” che si terrà nel mese di settembre 2015.

Sul sito di MOLL il programma dettagliato del laboratorio:http://www.monteverdelivinglab.it/index.php?it/173/come-diventare-un-buon-narratore-di-storie

Per far partire il laboratorio è necessario il raggiungimento minimo di 10 adesioni.

INFO: monteverdelivinglabcorsi@gmail.com – cell. 3393585839 (dal lunedì al venerdì: ore 10:00-18:00)

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ALTRE ATTIVITA’ presso la nostra sede a Monteverde Living Lab (MOLL), via Andrea Busiri Vici 10)

Il calendario degli incontri che proponiamo nei prossimi mesi è consultabile al link:http://www.monteverdelivinglab.it/index.php?it/159/corsi-seminari-incontri-professionali

Gruppi di conversazione in lingua inglese:
http://www.monteverdelivinglab.it/index.php?it/91/archivio-eventi/62/gruppi-di-conversazione-libera-in-inglese-e-francese

Laboratori di lettura gratuiti per bambini dai 5 agli 8 anni (ripartiranno l’11 aprile)
http://www.monteverdelivinglab.it/index.php?it/91/archivio-eventi/64/leggendo-si-diventa-grandi-letture-per-bambini-dai-5-agli-8-anni

Dal 13 marzo al 24 aprile 2015
Mostra: Storie di sarti, nasi lunghi e fantasmi benevoli
Fiabe illustrate da Rosalba Catamo, Orsola Damiani, Marilena Pasini, “L’ago” di Luigi Capuana, “Il compagno di viaggio” di Andersen, “Desiderio e Vezzosetta” di Madame de Beaumont

a cura di Stefania Fabri e Maurizio Caminito
presso Monteverde Living Lab (via Andrea Busiri Vici 10).
Apertura della mostra ogni sabato ore 11-12 e su appuntamento.

Maggiori informazioni sul sito di Monteverde Living Lab al link seguente:http://www.monteverdelivinglab.it/index.php?it/91/archivio-eventi/65/mostra-storie-di-sarti-nasi-lunghi-e-fantasmi-benevoli

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CONTATTI

Progetto APPasseggio
Associazione culturale GoTellGo
www.appasseggio.it
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appasseggio@gmail.com




Cresce al Pigneto una società civile antimafia

Lettera aperta agli spacciatori e alla mafia

Lettera aperta agli spacciatori e alla mafia

La manifestazione intitolata Giù le mani dal Pigneto che si è svolta in via Pesaro – una delle strade del quartiere di Roma considerato il punto focale della movida cittadina ma anche quello più controllato dai pusher – è iniziata con una lettera aperta ai narcotrafficanti mafiosi. All’insegna dell’ironia, i rappresentanti del comitato di quartiere, insieme agli avvocati Claudio Giangiacomo e Alessandro Ianelli, hanno informato i cittadini sugli esiti della denuncia alla Procura della Repubblica presentata un anno fa da 500 residenti. Si segnalava che nelle strade del quartiere, in ogni ora della giornata, si spaccia droga di ogni tipo e in quantità tali da far immaginare l’esistenza di un’associazione a delinquere. Di tale denuncia è stata richiesta l’archiviazione non perché il fatto non sussista ma soltanto perché sono ignoti i responsabili. E anziché andarli a trovare, si archivia la denuncia dei cittadini. Di qui l’idea di rivolgersi direttamente e in modo burlesco ai responsabili. Che il fatto sussista, eccome, lo dimostra il documentario curato dalla redazione di Presa diretta, in onda su Rai 3, intitolato L’erba del Pigneto. Lo ha presentato il redattore del programma Vincenzo Guerrizio che ha posto l’accento sull’esigenza di legalizzare il consumo di droghe. «Non è in discussione – ha precisato il giornalista – il danno alla salute che i narcotici indubbiamente provocano ma si vuole sollecitare il Parlamento a equipararli al tabacco.  In tal modo si sottrarrebbe alle mafie un affare di grandi dimensioni.»

Per limitare il consumo di droghe si potranno attivare campagne pubblicitarie e soprattutto servizi di prossimità. Insomma, tra i due mali si tratta di scegliere il male minore. Il narcotraffico non si combatte solo con la repressione ma eliminando il proibizionismo. E poi promuovendo un welfare locale fatto anche di inclusione socio-lavorativa delle persone affette da dipendenze, in attività produttive da costruire localmente. La campagna romana è piena di risorse agricole per creare fattorie sociali e percorsi di vita in cui i tossicodipendenti possano ritrovare un senso alle proprie esistenze. Hanno assistito alla proiezione del documentario oltre 300 persone che abitano nel quartiere. Esse non si capacitano dell’inerzia delle istituzioni; si sentono abbandonate e, soprattutto, avvertono la mancanza di una riflessione seria sul fenomeno. Tutti sanno che Roma è la capitale delle mafie, ma nessuno lo vuole ammettere apertamente. Tutte le famiglie che hanno nel proprio nucleo adolescenti e giovani, sono perfettamente consapevoli che in gran parte delle scuole di Roma si spaccia e si consuma droga, ma si fa finta di niente. Non si attiva alcun programma di sensibilizzazione sul fenomeno. C’è un silenzio assordante sulla mafia romana da parte delle istituzioni locali e del governo da indurre tutti alla rassegnazione e alla rimozione. È per questo che le iniziative come Giù le mani dal Pigneto, promosse spontaneamente dalla società civile, vanno sostenute e incentivate anche in altri quartieri come Tor Pignattara e Corviale. Solo con la sensibilizzazione e l’impegno della cittadinanza attiva può crescere la consapevolezza individuale e collettiva che le mafie si possono sconfiggere, le istituzioni possono autoriformarsi e la società può cambiare.

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Makerspace, il loft del Pigneto dove i trentenni fanno gli artigiani

famocoseda Repubblica:

Si chiama “Famocose”, apre a metà settembre. Sul modello delle officine di mezza Europa.

Seghe elettriche, macchine da cucire, saldatrici, ma anche stampanti e scanner 3D, plotter e macchine a taglio laser, una camera oscura e una cabina di verniciatura. Sono alcuni degli strumenti degli “artigiani digitali”: designer, falegnami, sarti, fotografi, architetti, che dal 13 settembre si ritroveranno in una Bauhaus del Terzo Millennio nel cuore del Pigneto, in via Caltanissetta, a ridosso dell’area pedonale.

Qui al civico 26, in quella che un tempo era una tipografia, aprirà “Famo cose”, il primo makerspace romano, prendendo a modello spazi analoghi nelle capitali del mondo, come la Beta Haus di Berlino, che da cinque anni è la casa degli artigiani urbani, quei giovani professionisti che nelle affollate e care metropoli occidentali non hanno spazio e risorse per un laboratorio personale. “Famo cose” è un open space di 210 metri quadri in cui far confluire passioni e professionalità dei trentenni freschi di università, unendo le tecnologie all’avanguardia alla vocazione artigiana del Pigneto.

Così mentre in centro le botteghe storiche chiudono per lasciare spazio ai fast food la soluzione per i creativi di ieri e di oggi è il makerspace. “Sono il primo ad aver bisogno di un posto dove “fare cose”  –  racconta Luca Magarò, designer romano, 30 anni,  –  e a Roma mancava un punto dove riunire le idee e le professionalità, che andasse oltre il coworking e i fablab. Questa non è un’associazione o un centro sociale, ma un punto di servizi e formazione artigiana”.

“Famo cose” sarà aperto a tutti, dai bambini alle casalinghe, dagli studenti ai pensionati. Se di giorno (dalle 9 alle 18) sarà dedicato ai professionisti, che troveranno attrezzature e consulenza, anche per start up e gruppi di lavoro, la sera (dalle 18 alle 22) il makerspace aprirà le porte agli hobbisti. Chi non ha un luogo dove fare decoupage, dipingere o creare piccoli mobili, cucire abiti o realizzare gioielli, smanettare con l’elettronica, insieme alle idee e agli stimoli di altri creativi. E chi non sa da dove cominciare, potrà iscriversi a corsi di elettronica, falegnameria, design, moda: il sabato l’open space si trasformerà in un’aula con videoproiettore, per lezioni in cui gli attrezzi del mestiere sono parte integrante della formazione.

“Le persone devono uscire da qui con un oggetto realizzato da loro  –  spiegano i “makers” che sono diventati otto  –  anche se avremo una piccola sala relax, non ci sarà spazio per perditempo”. Fin dal nome, che è una provocazione al “faccio cose vedo gente” di Moretti, una dichiarazione di guerra a quello spirito “radical chic” che nell’immaginario urbano sembra essersi impossessato del Pigneto. Qui si viene a sporcarsi le mani. Di vernice e trucioli, con il seghetto in una mano e l’iPad nell’altra. Artigiani con passione, come nel simbolo di “Famo cose”: un bullone stilizzato a forma di cuore.

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Viaggio nella cultura zen: intervista a Alessandro Cives, cantautore creativo romano

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Alessandro Cives, come ti definiresti? Dal punto di vista umano, culturale e musicale?

“Una persona molto curiosa e fantasiosa, per avere curiosità ci vuole fantasia secondo me, dal punto di vista umano un ingenuo e dal punto di vista musicale un semplice creatore di storie, quindi un cantautore.”

Da quando fai musica?

“Dal 2001, da quando ho ritenuto di essere in grado di scrivere canzoni autoriali, autonomamente. Ho cominciato nel 1995/6, le prime volte che accordavo qualcosa, che mettevo le dita sulle corde. Usavo una chitarra classica, ma il motivo per il quale ho cominciato non mi fa molto onore: non avevo un interesse sulla musica, volevo fare colpo su una ragazza! È andata a finire che con la ragazza non ci sono mai stato, e con la musica ci vivo tutti i giorni!”

“Era il 2007, quando suonavo nei Linea B, band da me fondata e da altri affondata. Non dimenticherò mai questo progetto. Oggi sono molto diverso da allora, migliore? peggiore? boh…”

Elisa Longo, giornalista, e Alessandro Cives

Alessandro Cives e Elisa Longo durante l’intervista

Alessandro, mi spieghi che cosa sono i giardini zen ?

“Nascono nei paesi dell’estremo Oriente: Cina, Giappone, Corea, Vietnam,e sono legati alla cultura e alla filosofia Zen, buddista. Sono giardini non coltivati, sono fatti di sola sabbia e possono essere molto grandi! Si trovano anche nei monasteri  buddisti, grandi quanto dei giardini normali, fatti di sabbia e di sassi; con un rastrello viene curato dal monaco adibito a questa cura.
In Italia la cultura zen non c’è, o meglio, non è accolta come in quelle terre.
L’oggetto “giardino zen” è importato artificiosamente, come giocattolo occidentale, per il pubblico europeo. Quindi, nell’Occidente, ha perso di valore, mentre dove è nato continua ad avere una forte simbologia. Noi importiamo tutto e, importando, rendiamo tutto prodotto, giocattolo e cosa da poco. Consumismo.
A fine anni 90, inizio 2000, c’è stato un boom di vendita di questo tipo di prodotti etnici e anche misteriosi, comunque fuori dal quadro dell’oggettistica comune, italiana ed europea. A me è sempre piaciuta l’idea di un giardino zen, anche se non mi lego alla cultura buddista. Essendo un creativo, mi piace rastrellare questo piccolo quadratino di sabbia!
Si possono creare forme geometriche disegni, puoi inventarti un mondo! È un modo per uscire dalla quotidianità, spesso grigia e noiosa.”

Alessandro Cives, classe '77, è un cantautore romano che vive in zona Casilina, a Roma.

Alessandro Cives, classe ’77, è un cantautore romano che vive in zona Casilina, a Roma.

E dimmi, che funzione hanno?

“Liberano la mente dai pensieri, e hanno la funzione di alleggerimento dell’anima. Il giardino toglie la pesantezza delle preoccupazioni.
La mia canzone che si chiama, appunto, ”Giardino zen” è un elogio a questo prodotto occidentalizzato, molto più piccolo perchè ne ho uno anche io e mi diverto a immaginare, a sognarci, a disegnare, a creare.
– Mi sento quasi un piccolo re di un piccolo mondo fatto di sabbia – cita il suo brano.La canzone parla del mio giardino zen dove io amo creare, disegnare, considerare che in un giardino zen, amo anche immaginare che ci si possa atterrare con un piccolo aeroplano in miniatura  e che tutto questo possa benissimo sostituire la televisione.
La canzone è stata scritta nel 2008, finita di registrare nel 2009 e pubblicata nel 2010.”

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Profilo personale Alessandro Cives:
https://www.facebook.com/alescives?fref=ts

Alessandro, dove hai suonato di recente?

“Ho suonato in vari locali di Roma, dal Pigneto a San Lorenzo, alla Locanda Atlantide, alle Mura e anche in altre città, come Milano. Faccio musica da cantautore, ma a volte sono accompagnato da un bassista e batterista.”

 

Intervista Elisa Longo




Ma che succede al Pigneto?

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Da tre giorni consecutivi, nelle strade del quartiere Pigneto, ci sono assemblee spontanee e blocchi del traffico. Cento persone martedì, 150 mercoledì poi 200 giovedì. Una mobilitazione disorganizzata ma crescente, partita da un semplice volantino e i contatti rimasti dalla mobilitazione dell’autunno scorso, ma senza nessuna struttura politica o sociale a supporto. Una mobilitazione che nasce in realtà dall’esasperazione e la rabbia di un intero quartiere, letteralmente occupato dalla criminalità organizzata, in modo sempre più massiccio.

 

Ma cosa è successo in questo rione considerato fino a solo poco tempo fa quartiere trendy, una nuova Trastevere, regno di artisti e radical chic oltre che luogo di iniziative sociali e politiche della sinistra antagonista e antirazzista romana?
Se qualcuno ancora si chiede cosa sia la gentrification, e perché a qualcuno non piace, venga qua, a soli dieci anni da quando tutto è cominciato. Il Pigneto ne è il modello supremo. Quartiere trasformato alla velocità della luce, tanto da renderlo irriconoscibile in pochi anni. Un simbolo di ciò che produce questa particolare fase del capitalismo in crisi.
Un rione vissuto negli anni Ciquanta dal sottoproletariato, set diAccattone di Pasolini, da sempre luogo di immigrazione – molti degli anziani del quartiere sono lucani e calabresi – e per questo abituato ad intrecciare diverse culture. Negli anni Ottanta base logistica della banda della Magliana, per un periodo installata dentro al Cinema L’Aquila. Luogo a ridosso del centro, mai sfiorato dalla movida della capitale fino ai primi anni del 2000, tanto che tutti si ricordano che ancora nel 2005 nell’isola pedonale c’era un solo locale. E a mezzanotte non trovavi più nulla di aperto.

 

Poi pian piano la gentrification, la ricerca ossessiva del capitale di nuovi facili margini di profitto. E se i luoghi della produzione non rendono più come prima, ci si butta sulla speculazione, in particolare edilizia, poi via con il resto. Via del Pigneto, da sempre sede della grande fabbrica Serono, si trasforma. Proprio la Serono inizia le danze, con un enorme cambio di destinazione d’uso dei propri locali che investono il 50% dell’isola Pedonale. La fabbrica ormai ne occupa solo una piccola porzione, il resto è un Hotel a quattro stelle, e diversi mini appartamenti da 40-50 metri quadrati. Da affittare ovviamente, meglio se a studenti, non certo luoghi dove far vivere stabilmente una famiglia. E’ da qui che parte la riqualificazione, pompata dalla retorica dei governi di Centrosinistra che invitano a “riscoprire” il Pigneto di Pasolini, tanto da veder arrivare da queste parti anche qualche guida turistica con comitiva al seguito. Grazie alle rivendicazioni dei comitati, arrivano anche alcune effettive conquiste per la cittadinanza: la ristrutturazione e nuova apertura del Cinema l’Aquila, e qualche spazio pubblico ottenuto in compensazione dei cambi di destinazione d’uso e dalle nuove costruzioni: una piazza vicino a via Fanfulla da Lodi, uno spazio pubblico sull’Isola pedonale che oggi ospita la Biblioteca, qualche spazio verde.
Sono anche gli anni della liberalizzazione delle licenze ideata dal ministro Bersani, per permettere una nuova crescita economica. Ma quale crescita? Quella della competizione selvaggia, in cui i quartieri non sono pensati per i servizi ai cittadini, ma lasciati a disposizione del maggior margine di profitto. Garantito da locali tutti uguali e distanziati di pochi metri, con dentro lavoratori precari o, più spesso, al nero.
Al Pigneto ne iniziano ad aprire alcuni, insieme anche a librerie, laboratori, associazioni. La cosa per qualche tempo sembra quasi poter funzionare. Sono gli anni tra il 2005 e il 2008 e il Pigneto sembra quasi una piccola isola felice con le case basse di inizio Novecento ristrutturate, persone mediamente più aperte e accoglienti di altre zone della città, iniziative sociali e culturali interessanti. Ma dura pochissimo. Mentre salgono alle stelle i prezzi delle case e i costruttori buttano giù palazzi per costruirne di nuovi, aumentano in modo incredibile il numero dei locali, che senza soluzione di continuità raddoppia ogni anno rispetto all’anno precedente. Chiudono tantissime attività diurne – barbiere, ciclofficina, librerie, negozi di vestiti, di scarpe, di giocattoli, Bottega dell’equo e slidale, agenzia viaggi, officina meccanica… – e in ognuno di loro apre inesorabilmente un nuovo locale… sempre più simile a quello affianco. Resiste solo il mercato dell’Isola pedonale, che rende ancora bello passeggiare la mattina, se ad ogni angolo non ci fossero chili di rifiuti della serata precedente.
Un quartiere da consumare non da vivere, un quartiere dove regna soltanto la legge del profitto, con ogni sera un numero di persone enormemente superiore a quelle che lo abitano, e gli spazi pubblici occupati dai tavolini dei locali. Costruendo in realtà un modello di socialità molto lontano da quello sognato da queste parti fino a qualche anno fa.

 

Capita la dinamica, è almeno dal 2008 che il Comitato di quartiere chiede il blocco delle licenze per i locali, sostegno alle attività diurne, riqualificazione degli spazi pubblici e verdi, gestione differenziata dei rifiuti porta a porta, apertura della metro C, rispetto degli accordi con la Serono che per il cambio di destinazione d’uso dovrebbe ristrutturare l’isola pedonale, e aprire al pubblico due dei giardini interni all’ex fabbrica. Non avviene nulla di tutto ciò, arriva anzi un’altra speculazione, quella del narcotraffico. Prima in forma più marginale, poi sempre più pesante. Fino alla vera e propria colonizzazione del quartiere da parte della criminalità organizzata avvenuta negli ultimi 12 mesi. Ogni giorno 100, nei fine settimana anche 150, spacciatori occupano le quattro strade del quartiere, fermando ossessivamente chiunque passi, e vendendo di tutto. Ma anche consumando di tutto, con episodi ripetuti di persone che liberamente si fanno di eroina per le strade.
La cosa che colpisce, rendendo invivibile il quartiere, è proprio la quantità del fenomeno, e la tranquillità e arroganza nell’appropriarsi delle strade. Gli effetti della crisi e della legge Bossi-Fini, producono del resto un esercito di manodopera immigrata a basso costo e senza speranza, che di fatto vive per strada dormendo spesso a Piazza del Pigneto, spesso finendo per diventare tossicodipendente, ed è sfruttata dalla criminalità organizzata che gli fornisce la merce.. Un sistema che produce il minor costo del lavoro possibile, in uno schema del tutto simile a quello del legale capitalismo liberista contemporaneo: le organizzazioni criminali, un tempo attente ai rapporti con i quartieri di insediamento e alla tutela dei propri scagnozzi, hanno oggi completamente “esternalizzato” il proprio traffico. I 100 spacciatori immigrati che quotidianamente occupano le vie del Pigneto sono solo l’ultimo anello della catena, e del loro destino non interessa a nessuno fin da quando sbarcano nel nostro paese, men che meno interessa ai loro datori di lavoro. Il turn over è velocissimo, in 12 mesi tra loro si possono riconoscere almeno il 90% di facce nuove, senza alcun rapporto con il luogo in cui vivono. E con un’arroganza che sfocia anche in minacce agli abitanti, oltre che in periodici scontri tra bande negli ultimi due anni sfociati anche in due omicidi.
E gli abitanti storici rimpiangono i tempi della banda della magliana…

 

E la polizia di Alfano? Sempre produttiva quando ci sono da sgomberare case, spazi sociali e manifestazioni troppo determinate, qua dimostra un’efficacia pari a zero. Solo azioni di “propaganda”, con alcune retate e arresti che non cambiano di una virgola la situazione, vista la rotazione continua della manodopera. Una polizia resasi addirittura ridicola con la trovata degli sms con cui i cittadini dovrebbero comunicare la fragranza di reato. Al Pigneto lo spaccio è h24, dalle 15 alle 3 di notte è a pieno regime, non servirebbe nessuna azione spettacolare e nessun arresto dell’ultimo anello della catena. Servirebbero indagini sull’organizzazione che rifornisce, impedendo in modo intelligente la possibilità di essere padroni della strada agli spacciatori di zona. Ma sembra proprio la Prefettura ad aver deciso che lo spaccio della capitale si deve concentrare in poche vie, dove più o meno va lasciato fare. Del resto il mercato esiste e non si può fermare.

 

Già il mercato esiste, e è anche il suo aumento ad impressionare. Aumento tipico delle fasi di crisi economica e politica, e le siringhe per strada e la diffusione dell’eroina riportano a scenari tipici degli anni Ottanta. L’irrazionalità del proibizionismo in un quartiere come il Pigneto viene fuori in modo dirompente e percepito da ogni cittadino. Da un lato la politica impedisce qualsiasi legalizzazione, dall’altro di fatto ne rende legale lo smercio in alcuni luoghi, con la sola particolarità di esser gestito dalla criminalità organizzata che aumenta i propri profitti, detta le condizioni di lavoro, e gestisce la qualità della merce venduta…

 

Marino otto mesi fa era venuto al Pigneto promettendo di sgominare la criminalità dalle strade, e di lavorare ad una rinascita del Pigneto, rispondendo alle richieste che i cittadini gli consegnarono in un documento. Oggi ha paura a venire qui, come i cittadini stanno chiedendo negli ormai quotidiani blocchi stradali, perché la rabbia di chi abita il quartiere è feroce. La mobilitazione è disorganizzata, fatta da persone con nessuna o pochissima esperienza politica. Un quartiere storicamente aperto e di sinistra è diventato una bomba ad orologeria, e la dinamica può essere facilmente strumentalizzata dalle destre più reazionarie e razziste. La crescita e lo sviluppo positivo della mobilitazione è l’unica speranza del quartiere, a cui servono risposte dalle istituzioni, ma anche una capacità di autogestione, di riprendendosi le strade in prima persona con iniziative sociali e culturali, ricostruendo una solidarietà e una socialità che negli ultimi 2-3 anni si è perduta tra abitanti che sono scappati via, e la maggioranza che sconsolata preferisce chiudersi in casa una volta tornata dal lavoro.
Dal Comune ad oggi c’è solo un invito del vicesindaco Nieri ad andare da lui il 25 giugno. Ma ormai la gente ha ricominciato a scendere in strada, e una cosa è sicura: anche quel giorno tra Porta maggiore e Piazzale prenestino le strade della città saranno bloccate.

Giulio Calella (communianet.org)

link all’articolo

 




E a Roma saltò fuori un lago

 

pellegrinaggio dei cittadini  al lago

pellegrinaggio dei cittadini al lago

A largo Preneste, Roma est, c’è un lago. Sì, un vero lago, emerso da qualche anno, ma pochissimi romani lo conoscono. “Naturalmente” è a rischio cementificazione. Cosa rende straordinario questo fazzoletto di acqua e vegetazione? Le sue dimensioni, certo, diecimila metri quadrati, e che sia perfino balneabile, ma soprattutto che da oltre un mese un quartiere intero si è messo in testa che quel lago è di tutti, ed è giusto che tutti lo conoscano per poterne godere. E così si creano belvedere per ammirarlo, si va nelle scuole per raccontarlo ai bambini, persone comuni si mettono in strada a diffondere volantini. Un lago comune

Giulia Barra

http://lagoexsnia.wordpress.com/

 

clicca sulla foto e guarda il sevizio  di Giordano Pennisi

l'obbiettivo di un grande fotoreporter: Giordano Pennisi

l’obiettivo di un grande fotoreporter: Giordano Pennisi




MEGLIO UN PARCO CON UN LAGO O QUATTRO GRATTACIELI?

convegnoSCIENZIATI E STUDIOSI PER L’EX-SNIA VISCOSA: POTENZIALITÀ, CRITICITÀ E VALORIZZAZIONE DI UN PATRIMONIO AMBIENTALE E CULTURALE IN UNA DELLE ZONE PIÙ INQUINATE E DENSAMENTE ABITATE DI ROMA

★PROGRAMMA DEL CONVEGNO★

15:00 Introduzione a cura del Forum Territoriale Permanente

15:30 I Sessione: “L’Ex Snia-Viscosa: archeologia industriale e patrimonio culturale collettivo”
– Francesco Careri, architetto

– Alessandra Valentinelli, architetto

– Carmelo Severino, architetto e storico del territorio

– Livia Bergamini, ingegnere

16:30 Dibattito.

17:00 II Sessione: “E’nato un lago in città: l’importanza della sua tutela come risorsa ambientale nel tessuto urbano”
– Giovanni Salerno, botanico

– Pierluigi Bombi, zoologo CNR-IBAF

– Michele Panuccio, ornitologo

– Cristina di Salvo, idrogeologa CNR-IGAG

– Paolo Carsetti, Coordinamento romano per l’Acqua Pubblica

18:30 Dibattito e Conclusioni.

MEGLIO UN PARCO CON UN LAGO O QUATTRO GRATTACIELI?

SCIENZIATI E STUDIOSI PER L’EX-SNIA VISCOSA: POTENZIALITÀ, CRITICITÀ E VALORIZZAZIONE DI UN PATRIMONIO AMBIENTALE E CULTURALE IN UNA DELLE ZONE PIÙ INQUINATE E DENSAMENTE ABITATE DI ROMA

Negli ultimi due mesi a Roma Est è nato un movimento per liberare un patrimonio pubblico nella zona di Largo Preneste, tra Casal Bertone e il Prenestino, e conquistarne l’accesso e l’uso da entrambi i lati. Si tratta dell’area della ex SNIA Viscosa, quella parte di fabbrica chiusa negli anni ‘50, la più grande di Roma, che si può ammirare dall’alto dall’attuale Parco delle Energie.

E’ un’area alle porte del centro di Roma di circa 14 ettari, dei quali 6,5 da tempo già pubblici, sulla quale valgono vincoli archeologici e paesaggistici , dove gli speculatori che acquisirono la proprietà alla fine degli anni ’70 hanno in tutti i modi, anche fraudolenti, tentato di fare profitto provando a costruire in maniera indiscriminata centri commerciali, piscine, residence…. Fino ad ora sono stati fermati dalla lotta degli abitanti. Ultimo tentativo, costruire quattro grattacieli alti più di 100 metri l’uno, come si legge dal progetto vincitore del Bando relitti urbani indetto dal Comune, depositato ad aprile 2013.

Dagli scavi per la costruzione di un centro commerciale abusivo, nella zona oggi abbandonata e negata, da vent’anni sorge un lago, che in tanti hanno potuto visitare domenica 24 novembre, con tanto di canoe e canotti. Un lago di circa 7.000 metri quadrati e profondo fino a 9 metri, l’unico lago di acqua sorgiva di Roma, che presenta caratteristiche straordinarie dal punto di vista naturalistico e che può rappresentare se valorizzato e tutelato una eccezionale risorsa per tutta la città ma che il progetto speculativo ha intenzione di eliminare…

Ora questa nuova battaglia che si sta conducendo per fermare di nuovo le ruspe vorremmo che fosse l’ultima. Gli abitanti del territorio, raccolto l’allarme lanciato dal Forum Territoriale del Parco delle Energie, si sono organizzati non solo per bloccare l’ennesima speculazione ma scrivere il capitolo fine, per ottenere il completamento dell’esproprio dell’intera area, la salvaguardia del lago, l’allargamento del Parco delle Energie fino a via di Portonaccio e il recupero per fini sociali, didattici, scientifici e culturali delle persistenze di archeologia industriale.

Domenica 1 dicembre vogliamo confrontarci con tutti coloro che dal punto di vista scientifico e tecnico possono darci un contributo per capire cosa significa tutelare un lago nel mezzo di una città, difendere la biodiversità, valorizzare il patrimonio storico di una fabbrica, impedire l’ennesima cementificazione selvaggia per salvaguardare la nostra salute. Acquisire gli strumenti per elaborare una proposta sostenibile sia in termini scientifici che di fruizione è la premessa indispensabile per rivendicare con ancora maggiore determinazione la necessità di estendere il parco e bloccare qualsiasi speculazione edilizia.

La lotta continua.

Lago per tutti, cemento per nessuno – Parco subito!

Forum territoriale permanente – parco delle Energie.

Tutti e tutte quell* che si sono mess* in movimento.

per info: 3476789567

http://www.exsnia.it/

http://www.lapigna.info/

www.facebook.com/lagoexsnia

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