1

Periferie e ruolo della Cgil

Ognuna con le sue peculiarità e la sua storia le periferie, figlie di una stagione di edilizia economica e popolare o dello spontaneismo, hanno in comune un risentimento nei confronti delle amministrazioni pubbliche incapaci a trovare soluzioni alle difficoltà e alla domanda di giustizia sociale dei residenti anzi interpretandole spesso più come un problema che un’opportunità. Solo nell’ultimo decennio sono diventate i luoghi dove sempre di più si intrecciano reti informali fatte da associazioni, comitati, movimenti, imprese locali o singole persone che danno risposte in modo pragmatico e non ideologico scombinando gli schemi classici di partecipazione e sviluppo ,dove, per quello che dicevamo prima, anche la pubblica amministrazione è costretta ad assumere un nuovo ruolo che eviti politiche calate dall’alto se non vuole perdere quel poco di autorevolezza rimastole (lo conferma la sempre maggiore astensione o il voto dato a formazioni antipolitiche).
In questa stagione di forti cambiamenti e contraddizioni anche le OO.SS, e con esse la Cgil, hanno vissuto il loro declino rappresentativo privilegiando più un ruolo istituzionale con la politica di territorio, , piuttosto che incidere, essere protagonisti dei cambiamenti e orientare le scelte.
La realtà invece ci dice che manteniamo una forte struttura organizzativa, forse l’unica nel panorama associativo, che siamo capillari ma che spesso ci limitiamo a interpretare il nostro ruolo di prossimità con l’efficienza ed efficacia del nostro sistema servizi delle nostre Camere del Lavoro, delegando la rappresentanza politica allo spontaneismo associativo di quartiere al quale associazionismo vanno riconosciute capacità di ascolto, presenza attiva e competenze specifiche.
Allora il nostro primo impegno è quello di fare il nostro mestiere e di ricollegare il lavoro alle persone e al territorio, perché la periferia diventa sinonimo di abbandono quando in essa il lavoro non rappresenta più il centro delle relazioni sociali ed economiche.
In sintesi la Cgil ha un sistema organizzativo e un personale politico che può prendere di petto i bisogni della periferia romana vecchia e nuova declinandone le differenze e le caratteristiche e come definito nell’ultima conferenza di organizzazione rilanciare con la contrattazione sociale e territoriale un nuovo protagonismo. Le astrattezze accademiche sono utili per un buon bagaglio di conoscenze ma la Cgil come pochi è in grado di intercettare ed elaborare politiche rivendicative che attraverso “la qualità del lavoro” incrocino i temi e le aspettative delle popolazioni residenti .




Più valore dal recupero delle periferie

Progetti fisici, rivolti a riqualificare nel concreto edifici pubblici o di edilizia pubblica, a rinnovare il volto di spazi di aggregazione e piazze, a incidere sul miglioramento delle infrastrutture di mobilità urbana, a ridurre i consumi di risorse e suolo, in ottica smart. Al tempo stesso, programmi immateriali, che hanno alle spalle, spesso, ore e ore di confronto e concertazione con il territorio e che propongono attività per il recupero sociale, la formazione, l’accompagnamento verso nuove forme imprenditoriali.

Piani che lavorano su un nuovo concetto di periferia, individuato in ambiti degradati, ma non per forza marginali rispetto ai centri storici delle città: anche per questo, l’impatto atteso per ogni trasformazione ha, quasi sempre, numeri ampi e promette di propagarsi ben al di là del confine delle azioni in campo, incidendo in modo profondo sia sulla vivibilità di un luogo, che sul valore (anche immobiliare) di porzioni vaste di tessuto urbano.

Sono i contenuti dei progetti presentati dalle amministrazioni comunali italiane in risposta al bando per la riqualificazione urbana e la sicurezza delle periferie dei capoluoghi di provincia, lanciato in primavera dal Governo e a cui concorrono 121 progetti. La graduatorie dei programmi che saranno finanziati è attesa per fine novembre: sul piatto, ci sono ufficialmente risorse per 500 milioni e negli annunci del premier Renzi (ma non risultano ancora in alcun documento ufficiale) per 2,1 miliardi.
Diciotto proposte fra quelle presentate, da Vicenza ad Ancona, da Bari a Messina, sono oggi sotto la lente di ingrandimento di Urbanpromo, la tredicesima edizione dell’evento organizzato dall’Istituto Nazionale di Urbanistica e da Urbit a Milano, per riflettere sulle politiche di governo e sviluppo del territorio, all’insegna dell’hastag #progettaitalia. «Leggiamo le città – spiega la presidente dell’Inu, Silvia Viviani – e cerchiamo di comprendere se e quanto le occasioni di finanziamento a pioggia, promosse in più occasioni dallo Stato, abbiano contribuito all’affermarsi di una nuova politica di progettazione urbana. La logica della rincorsa al finanziamento, che in passato ha indotto le amministrazioni a rispolverare all’ultimo progetti chiusi nei cassetti, va superata. Fare urbanistica oggi significa vagliare le risorse disponibili, approfondire i progetti esistenti e saperli coniugare nel quadro di programmi complessi, che dimostrano di avere alla base una strategia e una visione di futuro».

Dal confronto fra ciò che i capoluoghi hanno presentato emergono una serie di tendenze interessanti. «A partire – commenta Marisa Fantin, vicepresidente dell’Inu – da come è stato interpretato il concetto di periferia. Il bando, su questo punto, non dava un criterio per l’individuazione di un luogo preciso. Ma il degrado, il senso di insicurezza o abbandono non è detto che siano appannaggio dei quartieri che sono ai margini della città. Anzi, spesso riguarda zone inserite nel tessuto consolidato e non lontane, o addirittura parte, dei centri storici. Aree che, specie nei capoluoghi medio-grandi, sono ricche di valori, in termini di patrimonio costruito e di memoria e su cui diventa una priorità investire». Fra i casi che meglio dimostrano questa tendenza, quello di Perugia, che si occupa del quartiere operaio intorno alla stazione, o quello di Vicenza, dove il programma sviluppato dal Comune, insieme all’Ance e all’Ordine degli architetti, insiste sulla Spina ovest della città, un insieme di zone ex produttive che connettono le mura medioevali con i nuovi insediamenti e che necessitano di un rilancio.

«Altro aspetto comune a tutti i progetti esaminati – spiega Carlo Gasparrini, docente di Urbanistica all’Università Federico II di Napoli e coordinatore del convegno di Urbanpromo – è il grande peso dato alla questione ambientale. Rigenerazione dei suoli, riciclo delle acque, mobilità dolce, sviluppo di iniziative di agricoltura urbana sono leit motiv comuni, che ritornano nei documenti delle città». Ad esempio, il progetto di Bologna, uno fra i più strutturati, lavora proprio sugli spazi aperti e sul recupero di edifici esistenti o sulle interconnessioni. Cosi anche quello di Nuoro è incentrato sul tema della corona verde.

Sempre in tema di recupero del costruito, oggi a Urbanpromo, Cdp Investimenti Sgr, che gestisce il Fondo investimenti per la valorizzazione del patrimonio pubblico, fa il punto sul riuso di ex ospedali e caserme. In particolare, si è concluso lo scorso 4 novembre con 42 progetti partecipanti laprima fase del concorso per la riqualificazione a Firenze dell’ex nosocomio militare San Gallo: a giorni sara annunciata la shortlist dei tre finalisti. A breve partirà invece il concorso per l’ex caserma Sani di Bologna.

link all’articolo




Rammendare le periferie non basta

Dopo il caso Milano si riapre il dibattito sulle periferie. L’intervista all’antropologo e architetto Franco La Cecla. «È l’idea stessa di periferia che va eliminata. Perché figlia di un’urbanistica che si è dimenticata di essere una scienza umana e ha affidato i suoi destini ai tecnici»

Che cosa sono le città?, si chiedeva Shakespeare. E la risposta, per lui, era semplice: gente. Le città non sono altro che gente. Le città sono essenzialmente il luogo in cui si gioca la convivenza umana.
Schermata 2016 11 15 Alle 10
Nato a Palermo nel 1956, è antropologo e insegna Laboratorio di ricerca sulle città al Dams di Bologna. È consulente del Renzo Piano Building Workshop

Sono il luogo in cui, nonostante tutto — nonostante terrorismo, stress, paura e crisi — le persone riescono a trovare un modo per convivere.

Ma le città non si salveranno dalla catastrofe sociale e dal mutamento che avanza, ci spiega Franco La Cecla, se non cambieranno la loro idea di periferia. E, di conseguenza, la loro idea di centro. Anzi, aggiunge La Cecla, antropologo e architetto che insegna alla Naba di Milano e ha da poco pubblicato un avvincente saggio, Contro l’urbanistica (Einaudi), forse è proprio l’idea di periferia che deve essere cancellata. A tutto vantaggio di un altro sguardo, che ricollochi al cuore della città — il cuore come un centro diffuso — l’uomo e le sue pratiche di relazione. Con gli altri e con gli spazi che, in comune, abitiamo.

Professor La Cecla, dobbiamo sbarazzarci delle periferie?
Dobbiamo sbarazzarci di un’idea. Chi parla di periferie spesso lo fa partendo da un pensiero sbagliato, un errore di fondo che compromette anche le migliori intenzioni. Le periferie sono il pensiero sbagliato di un’urbanistica che ha mitizzato la condizione operaia, ma le ha negato il centro della città.

Quindi l’errore sulle periferie non è formale, ma di sostanza…
Esattamente. Non si tratta — o, almeno, non c’è solo questo — di cattiva qualità degli edifici, di pessima progettazione e via discorrendo. La periferia contiene in sé un’idea pericolosa, facilmente mitizzabile, pensiamo ai tanti discorsi pietistici sugli slums , o strumentalizzabile, per esempio lasciando intere parti di città in una situazione di perenne emergenza. Se le periferie ci devono interrogare, devono interrogarci alla radice, nel profondo.

Si tratta di far uscire questi spazi dall’emergenza, quindi?
Le periferie non bisogna, come dice il mio amico Renzo Piano, “rammendarle”. Le periferie bisogna eliminarle. Un errore così grosso non può essere “aggiustato”, né migliorato. Sono luoghi, le periferie, a tal punto stigmatizzati che anche migliorandoli non se ne può cambiare la valenza.

Proprio da questi “luoghi”, ossia dalla periferia, arrivano però altri pensieri. Le cosiddette periferie sono vive, spesso più di tanti presupposti “centri” (amministrativi, finanziari, intellettuali)…
Si tratta semplicemente di uscire da un pensiero che ritarda una presa d’atto necessaria, che è poi quella che ci dovrebbe spingere a ripensare la cittadinanza dei luoghi. Oggi è questa la sfida: innervare la cittadinanza nei luoghi e nelle pratiche. Molti credono ancora possa esistere una residenza come funzione separata dall’abitare in una città. Chi abita una città, al contrario, vive la città, “è” la città. Per questo, vedo speranze in un futuro che va nella direzione di città riidentificate, dove la gente torna al centro. Proprio per questo, l’urbanistica non va lasciata nelle mani dei tecnici. L’urbanistica è una scienza umana, non un apparato tecnico-burocratico, ossia una disciplina che ha bisogno di tutti gli strumenti di osservazione della realtà sociale. Ma, di certo, non ha bisogno di tutte le formulette inventate dagli urbanisti negli ultimi cinquant’anni. L’urbanistica si è data un tono di essere una tecnica, invece è una scienza umana che si è dimenticata di essere tale. Ma prima ancora di prescrivere, l’urbanistica dovrebbe avere, soprattutto, la capacità di osservazione. E se ricominciasse a osservare comprenderebbe che è a tutt’oggi un miracolo che, nelle società occidentali, dove l’individualismo impera, la gente trovi nonostante tutto un modo di convivere.

Oggi, ripartire dalle periferie può significare questo: sbilanciare l’egocentrismo sociale…
Può significare che dobbiamo farla finita con le periferie e ripensare la città non a misura di urbanista, ma a misura di urbanità. L’urbanità è una dimensione olfattiva e visiva, tattile e materiale, non una mera congettura. La ritroviamo nei mercati di strada che sono una forma importantissima di convivenza, convivialità e relazione. E, non a caso, spesso sono avversati da regimi politici di varia natura, in tutto il mondo, ma anche da un’ideologia da world city che, per fare spazio alle proprie manie di grandezza e alla propria immagine da cartolina, distrugge la forza viva delle relazioni nei luoghi.

Il cibo, in questo caso, non è solo esposto, ma praticato. Nei mercati torna a essere relazione, di dono e di scambio…
Io credo che una città sia definita proprio dalle occasioni pubbliche di cibo che offre. Questo perché il cibo venduto e cotto per strada è una chiave dei luoghi. Il cibo come convivialità istituisce un paesaggio fatto di ritmi quotidiani-urbani. Non solo la vitalità, ma l’economia informale e la rete solidale che nascono attorno alla presenza del cibo per strada sono un tratto importante dell’urbanità. Pensi a quanta gente vive, grazie a ciò che trova o compra nei mercati, con dinamiche spesso informali di credito, baratto, scambio… La Fao, recentemente, ha fatto un convegno sui mercati di cibo di strada e ne è emerso, dati alla mano, che l’economia o, meglio, le economie formali e informali che si diramano attorno al cibo e ai mercati di strada sono importantissime. Importantissime perché, da un lato c’è un tramite diretto tra il mondo dei produttori e quello dei consumatori, dall’altro si è constatato che dove si uccidono i mercati di strada, crescono la miseria, l’impoverimento e la città degrada, perché non viene vissuta, ma subita.

link all’articolo




La metropoli ineguale

Roberta Cipollini e Francesco Truglia
“La metropoli ineguale”
analisi sociologica del quadrante est di roma
Mercoledì 16 Novembre ore 16.00
Palazzo Valentini
Via IV Novembre 119/A Sala Conferenze Monsignor Luigi di Liegro
La ricerca-inchiesta analizza il mutamento sociale che ha investito Roma negli ultimi 30 anni e che ne ha modificato gli andamenti demografici, la composizione sociale della popolazione, la distribuzione delle risorse, gli orientamenti elettorali e le forme di marginalità ed esclusione.
Materiali interessanti che abbiamo utilizzato nel “nostro fare quotidiano” che crediamo debbano diventare patrimonio della nostra Comunità cittadina.

Indirizzo di saluto:

Marcello De Vito, Presidente Assemblea Capitolina
Bruno Mazzara, Direttore Dipartimento Comunicazione e Ricerca Sociale, La Sapienza, Università di Roma
Pino Galeota, Coordinamento delle periferie di Roma

Presentazione:

Oliviero Casacchia, Dipartimento Scienze Statistiche, La Sapienza, Università di Roma
Maria Immacolata Macioti, Sociologa
Luisa Natale, Sociale Dipartimento di Economia e Giurisprudenza Università CLAM Cassino

Interventi:

Carlo Cellamare, Docente La Sapienza
Alessandro Capriccioli, Comitato Accogliamoci
Antonio D’Alessandro, Vice Presidente CESV
Francesca Danese,Esperta in Politiche e Animazione Sociale
programmaEugenio De Crescenzo, Responsabile Sociale A.G.C.I.
Pasquale De Muro, Docente Roma 3
Salvatore Monni, Docente Roma 3 e coautore di Mapparoma
Francesco Montillo, Dottore di ricerca studi urbani
Irene Ranaldi, Sociologa

Coordina

Paolo Conti, Giornalista Corriere della Sera

Saranno presenti gli autori e i componenti del gruppo di ricerca

programma




Roma tra paura e bellezza, la sfida delle periferie

Viaggio nella Capitale: l’immagine di città solidale cede il posto ad altro, un luogo di coltura del populismo

Come vedete Roma oggi? Come ci vivete? Il declino della città eterna è inevitabile? In parallelo con l’inchiesta di Carmine Fotia che comincia oggi vi chiediamo di esserne protagonisti anche voi: raccontateci la vostra città, a partire dalle periferie scrivendo brevi testi o inviando foto o brevi video a raccontiromani.unita@gmail.com

Le cronache si raccontano Roma come una città in declino, bloccata, incapace di pensare il futuro, paralizzata persino fisicamente dalla crisi drammatica del suo sistema dei trasporti, contaminata da una sporcizia materiale e morale.

Ciò è aggravato da un’amministrazione totalmente inadeguata, per usare un eufemismo, ma non si tratta di una crisi di breve periodo. Nell’arco di un decennio – dal 2006 (rielezione trionfale di Walter Veltroni) al 2016 (disfatta del Pd ed elezione plebiscitaria di Virgina Raggi del M5S), passando per la conquista del Campidoglio da parte dei post-fascisti di Gianni Alemanno (2008), la vittoria del sindaco-marziano, Ignazio Marino (2013) e l’esplosione di Mafia Capitale (2014) – l’immagine di Roma si è completamente rovesciata.

Da simbolo di buon governo del centrosinistra a simbolo di una disfatta ingloriosa; da città trainante dello sviluppo nazionale e dinamica a città che arretra e si blocca; da città coesa a “città disconnessa”, come dice il professor Paolo De Nardis, docente di Sociologia alla Sapienza e autore di un importante saggio (“Capitale senza capitale”, Interventi Donzelli); da città solidale a luogo di coltura del populismo post-fascista prima e grillino poi; da metropoli cosmopolita e accogliente a città ripiegata su se’stessa, preda delle sue paure e dei suoi egoismi dove, mi dice la parlamentare dem Marcella Lucidi, domina una sorta di “depressione sociale”.

Il declino si tocca con mano, nella degenerazione della vita pubblica, nel peggioramento di tutti gli standard qualitativi della vita della città, come ha mostrato una recente ricerca dell’Istat sul Benessere Equo e Solidale (Bes). È una valutazione che non si ferma al dato puramente quantitativo del prodotto interno lordo ma valuta anche altri parametri: sanità, istruzione e formazione, lavoro e conciliazione dei tempi di vita, benessere economico, relazioni sociali, politica e istituzioni, sicurezza, paesaggio e patrimonio culturale, ambiente, ricerca e innovazione, qualità dei servizi.

Ed ecco il ritratto odierno di Roma: una città dove c’è molta ricchezza, ma distribuita ingiustamente, dove l’ambiente entro il quale vivono le persone non è buono e dove le condizioni che determinano l’autonomia delle persone (come i trasporti) sono pessime. Mentre diminuisce la percezione di sicurezza (anche a causa di una precisa scelta da parte della destra romana di cavalcare, a partire dal 2008, le peggiori paure) si diffonde, alimentato da una battente campagna mediatica, un clima di violenza diffusa e anonima che un giovane dirigente dem romano che conosce bene le periferie, Marco Tolli, definisce «una nuova cattiveria». Tutto ciò mentre, come afferma il professor Giandomenico Amendola (“Tra Dedalo e Icaro, la nuova domanda di città”, Editori Laterza), la crisi degli stati nazionali spinge le metropoli a misurarsi autonomamente nella competizione globale all’interno della quale la qualità della vita e dei servizi, la capacità di ripensarsi e reinventarsi sono invece essenziali.

Non si tratta soltanto del degrado degli standard basilari della vita quotidiana, ma di una “narrazione” che Roma offre di sé che va proprio invece nella direzione opposta. Non è un caso che fiorisca tutta una letteratura romana di genere catastrofista ben esemplificata dal romanzo illustrato dello scrittore Luca Marengo e dell’illustratore Giacomo Keison Bevilacqua (“Roma Città Morta, Diario di un’Apocalisse”, Multiplayer edizioni), dove la città eterna è in mano agli Zombie.

In questa inchiesta cercheremo di capire se sia davvero il declino il destino inesorabile della Capitale, quali ne siano le cause e i possibili anticorpi, sperando che non valga anche per noi l’epigrafe posta nell’incipit del romanzo di Marengo-Keison: «Questo è il diario dell’Apocalisse Zombie romana, amici miei benvenuti, e per favore non fatevi uccidere prima di averlo finito di leggere, ok?».

Partiamo dalle periferie, non solo come luogo geografico, ma come punto di vista dal quale osservare i cambiamenti della città. La mappa del voto delle ultime elezioni amministrative disegna una piccola isoletta (i quartieri alti) dove il centrosinistra ha resistito e l’oceano delle grandi periferie urbane, dove vive la maggioranza della popolazione e lì prevalgono i Grillini o la destra. Una sorta di periferia liquida dove tutto si mischia in modo caotico e disordinato.

Per comprendere cosa voglio dire, dovreste almeno una volta prendere il treno Viterbo-Roma delle Ferrovie Roma Nord che è ormai una specie di metropolitana aggiunta che collega l’estrema periferia delle borgate di questo quadrante con il centro della città. Sul treno incontri rom, italiani, rumeni che sono la comunità più presente e altri immigrati. Lungo la linea discariche abusive, accampamenti, ma anche quartieri residenziali.

È una convivenza forzata, molto diversa da quel processo che negli anni settanta avvicinò il popolo delle borgate alla città storica. Lì ci si mischiava per scelta, qui per necessità. Tutto affastellato, sovrapposto, mai riconnesso. I treni sono vecchi e fatiscenti, sporchi. Torridi d’estate e gelidi in inverno. Qui quando piove vien giù tutto, perchè fognature e sistemi di drenaggio sono del tutto inadeguati, e può capitare che per due giorni sia impossibile raggiungere la città. In posti come quelli che vi ho raccontato, a Roma vive circa un milione di persone, e in Italia circa il 60% della popolazione.

Sono luoghi che sono stati troppo a lungo abbandonati, i vecchi ceti popolari che abitano le antiche periferie operaie colpiti dalla crisi, vedono nei nuovi esclusi relegati lì una minaccia per il pochissimo che hanno. Si è creata quella che il sociologo Zygmunt Bauman chiama una paura liquida: «La paura più temibile è la paura diffusa, sparsa, indistinta, libera, disancorata, fluttuante… paura è il nome che diamo alla nostra incertezza, alla nostra ignoranza della minaccia o di ciò che c’è da fare».

Le nostre periferie sono dunque solo degrado? Si tratta di ghetti da abbandonare a se stessi? Per Renzo Piano, architetto, senatore a vita, al contrario, le nostre periferie «sono ricche di umanità, qui si trova l’energia e qui abitano i giovani carichi di speranze e voglia di cambiare. La bellezza naturale del nostro paese non è merito nostro. Ciò che può essere merito nostro è migliorare le periferie, che sono la parte fragile della città e che possono diventare belle». Bellezza e periferie, sembra un ossimoro.

Invece, sostiene Amendola nel saggio già citato, la bellezza, che è un requisito fondamentale nella competizione globale tra le metropoli, «è una richiesta che taglia trasversalmente tutta la città andando dal centro – tradizionalmente considerato il luogo deputato a ospitare bellezza e identità – verso la periferia, dominio dell’uni – formità della banalità progettuale ». Dunque, la sfida è lì ed è doppia: riguarda l’identità della sinistra, ma anche la modernità della città perché se perde la connessione con quel mondo, con quei luoghi, con quelle persone, la sinistra, e non solo a Roma, muore, ma anche la città muore se non fa delle sue periferie luoghi di bellezza.

Infatti, proprio da lì, con il grande sindaco che fu Luigi Petroselli, cominciò la sinistra quando conquisto per la prima volta il Campidoglio nel 1976. Ma questo ve lo racconteremo nella prossima tappa del nostro viaggio.

Link all’articolo




Ragazzi di vita e le periferie di Roma

Cosa è cambiato nella periferia romana? Ragazzi di vita va in scena al Teatro Argentina, adattamento teatrale del romanzo di Pier Paolo Pasolini con la regia di Massimo Popolizi.
Mentre il Riccetto scendeva giù per via di Donna Olimpia coi calzoni lunghi grigi e la camicetta bianca, che «piuttosto che un comunicando o un soldato di Gesù pareva un pischello quando se ne va acchittato pei lungoteveri a rimorchiare», Pier Paolo Pasolini scavato in volto, con gli occhiali scuri, silenzioso e partecipe gli camminava a fianco. L’architettura pasoliniana di Ragazzi di vita – ripresa e sviluppata scenicamente dall’adattamento drammaturgico di Emanuele Trevi e dalla regia di Massimo Popolizio – è tutta lì, nell’affiancare ai personaggi una presenza che osserva, racconta, passo che incede ma non si sovrappone. In quella capitale disseminata di piccoli quartieri, Pasolini attinge dalle borgate romane restituendo al lettore la semiologia di un universo umano; un narratore interno che racconta la povertà del Secondo Dopoguerra, la miseria vissuta allora dai ragazzi come immanenza della vita stessa da portare nello stomaco, sulle labbra, come uno stornello o una canzone di Claudio Villa.

La versione teatrale dei quadri che compongono i capitoli del romanzo pasoliniano è affidata al corpo dei diciannove attori che sciamano sul palco come tra le borgate anni Cinquanta verso il centro – di Roma, e di sé stessi – seguendo e determinando silenziosamente l’unico arco narrativo che coincide con il contenuto morale del romanzo: il Riccetto (in carne e parola di Lorenzo Grilli), quel protagonista-pretesto per la descrizione del sottoproletariato romano, che all’inizio dello spettacolo si getta in acqua per salvare una rondine e alla fine della lunga messa in scena resterà a guardare un altro ragazzo, Genesio (Alberto Onofrietti), che muore annegato nell’Aniene. Tutta qui l’evoluzione da regazzini a giovanotti, verso lo sguardo smaliziato di una Roma che si piegherà all’individualismo portato dal boom economico.

La scelta registica della terza persona che accompagna i discorsi diretti e le descrizioni, e l’allestimento scenico che asseconda l‘energia dei “ragazzi”, esaltano la vocazione del romanzo; la reinvenzione linguistica intercetta la contaminazione tra il romanesco dei parlanti di allora, quelli di oggi e quel codice con cui Pasolini è intervenuto nel tessuto romano; Lino Guanciale da narratore-poeta riesce a vestire i panni di Pasolini e a sposare intenzioni (registiche e attoriali) di Popolizio, la carnalità degli attori è persuasiva nel lasciarsi seguire, così come le scene di Marco Rossi. La recitazione di alcuni interpreti parte però dall’eccesso, la dinamica dei volumi cede a volte al “gridato” soprattutto nelle prime scene, salvo ritrovare poi una propria armonia; l’autonomia dei diversi quadri, la struttura stessa del testo letterario e forse la mancanza di una vera partecipazione emotiva vanno, alla lunga, a scapito dell’attenzione dello spettatore, ché il teatro non gode del privilegio di un libro di poterne chiudere le pagine e di riaprirle poi.

Intanto però il pubblico ride, i frammenti si susseguono ironici e godibili lasciando al dramma pochi stralci di testo tra un’invettiva romana, un froscio, un tuffo dar Ciriola o un furto sull’autobus. Tanto che avvolti nelle poltrone del Teatro Argentina ci si chiede quale sia dell’indagine sociale, costata a Pier Paolo Pasolini l’oltraggio al pudore, l’arco narrativo che ci conduce all’oggi: oltre l’ennesimo omaggio a PPP cosa ha ancora da dire a noi questo testo? A fine spettacolo, davanti all’uscita di servizio degli artisti, è uno degli studenti di italiano di un centro d’accoglienza della periferia romana, venuto a vedere Ragazzi di Vita con il progetto Spettatori Migranti/Attori Sociali (percorso di educazione alla cittadinanza che passa attraverso la spettatorialità teatrale come atto di partecipazione sociale, di formazione linguistica e di integrazione culturale, attivato da Teatro e Critica con il Cas Casilina) che mi anticipa e formula la sua domanda per Francesco Giordano, uno degli interpreti che si ferma a parlare con noi: «cosa vi spinge a fare questo spettacolo?» «Le problematiche che ci sono state nel ’55 le possiamo incontrare ancora. La povertà prima e la globalizzazione poi che ha avuto la meglio sulla persona».

Gli undici ragazzi della periferia romana di oggi, che Pasolini non poteva ancora immaginare, arrivati anche loro al centro, al Teatro Argentina, dopo lo spettacolo sono entusiasti. Si rivolgono senza remore a Francesco Giordano, a Paolo Minnielli e a Silvia Pernarella «Genesio muore nel fiume? », «perché i ragazzi rubavano?», «la situazione è cambiata in Italia, oggi non si ruba più?», «come si diventa attori?», «perché in scena ci sono solo 3 donne?» e poi «perché non ci sono attori neri in scena? Perché non prendete degli attori neri insieme a quelli bianchi e li fate recitare assieme così da creare una grande famiglia?». A rispondere a quest’ultima domanda, e così alla mia e a tutte, è Lino Guanciale: «Noi dobbiamo fare progetti come tu dici; ma, stavolta, questa storia è tutta italiana, non c’erano africani nelle nostre borgate negli anni Cinquanta e io penso che la forza di questo progetto sia proprio questa: dire che adesso c’è la stessa miseria di allora, anche se a volte sembra aver cambiato colore, per questo motivo dobbiamo assolutamente trovare una soluzione nella relazione, perché quella di oggi è la stessa miseria di allora che persiste».

I “ragazzi” di Pasolini sono personaggi emarginati dalla città normale, degna e patinata. Agguantano la vita a piene mani e a pieni polmoni da un universo di fibrillazioni e vitalità anarchiche che è totalmente altro rispetto ai contesti borghesi, ai micro-cosmi protetti e istituzionali di lavoro o scuola.

A casa, mentre rileggo le note di regia, mi viene voglia di chiedermi ancora, e di continuare a farlo: a chi il teatro, oggi, deve riuscire a parlare?

RAGAZZI DI VITA
di Pier Paolo Pasolini
drammaturgia Emanuele Trevi
regia Massimo Popolizio
con Lino Guanciale
e Sonia Barbadoro, Giampiero Cicciò, Roberta Crivelli, Flavio Francucci, Francesco Giordano, Lorenzo Grilli, Michele Lisi, Pietro Masotti, Paolo Minnielli, Alberto Onofrietti, Lorenzo Parrotto, Cristina Pelliccia, Silvia Pernarella, Elena Polic Greco, Francesco Santagada, Stefano Scialanga, Josafat Vagni, Andrea Volpetti
scene Marco Rossi
costumi Gianluca Sbicca
luci Luigi Biondi
canto Francesca Della Monica
video Luca Brinchi e Daniele Spanò
assistente alla regia Giacomo Bisordi

Link all’articolo




Arte, cinema e musica: ecco il bando per “illuminare” le periferie urbane della tua città

Sostenere progetti di promozione e attività culturali nelle periferie urbane. È questo l’obiettivo di “Periferie Urbane”, il bando di concorso indetto dalla SIAE, Società Italiana degli Autori ed Editori, e indirizzato a giovani under 35 residenti in Italia. L’intento è sostenere iniziative che coinvolgano sotto il profilo organizzativo e/o produttivo giovani autori, artisti, interpreti ed esecutori di età non superiore ai 35 anni residenti nel territorio italiano, nei seguenti settori artistici: Arti visive, performative e multimediali – Cinema – Teatro e Danza – Libro e Lettura – Musica.

Come si legge sul bando, l’intervento è diretto ad animare le aree urbane dove la crisi economica e sociale è più intensa, anche allo scopo di promuovere una più ampia partecipazione e fruizione culturale da parte di tutta la popolazione e, in particolare, di quella dei giovani. I progetti finanziabili appartengono a due categorie. La prima relativa a rassegne, festival ed altri programmi rivolti al pubblico da realizzare in spazi teatrali e cinematografici, in spazi non convenzionali o all’aperto, per rappresentare narrazioni, drammaturgie o coreografie, opere visive e multimediali, opere musicali, opere cinematografiche e audiovisive che abbiano come ispirazione primaria il tema del confronto con “l’altro” o il diverso anche, ma non solo, rispetto alle popolazioni immigrate. La seconda categoria, invece, riguarda premi o concorsi destinati a opere nella forma di narrazioni, drammaturgie o coreografie, opere musicali, opere visive e multimediali, opere cinematografiche e audiovisive, che abbiano come ispirazione primaria il tema del confronto con “l’altro”.

Naturalmente requisito indispensabile è che la sede delle iniziative, nella forma di rassegna/programma o di premio/concorso, sia collocata nelle periferie urbane. Le proposte progettuali possono essere presentate dai soggetti pubblici e privati, aventi sede legale in Italia, in forma singola o in partenariato, che svolgono attività di produzione e/o distribuzione, management, edizione nei settori indicati. La dotazione finanziaria ammonta complessivamente a 1.893.000 euro. A ciascun progetto sarà assegnato un contributo massimo di 40 mila euro. Per partecipare c’è tempo fino al 15 novembre 2016.

Ma non si tratta dell’unico bando. Disponibili, infatti, altri 4 bandi di concorso rivolti ad aziende, enti e associazioni che presentino un progetto a sostegno di autori, esecutori ed interpreti under 35: Nuove Opere (rivolto al sostegno della creazione, produzione, edizione e fissazione di opere inedite di giovani autori); Residenze artistiche e Formazione (rivolto al sostegno della creazione di residenze artistiche anche in collaborazione con Istituzioni culturali e Università); Live e Promozione Internazionale (per il sostegno dell’esecuzione pubblica di opere di giovani artisti in contesti live nazionali ed internazionali); e infine Traduzione e distribuzione all’estero ( dedicato alla traduzione delle opere nazionali di giovani autori in altre lingue ed alla distribuzione all’estero di opere di giovani autori).

Testo integrale bando SIAE

Link all’articolo




Al Goethe Institut le diverse periferie al centro del dibattito

Le periferie tornano al centro, almeno nei dibattiti. Ieri sul divano verde del Goethe Institut di Roma si sono incontrati Veddel, periferia multietnica di Amburgo e Torpignattara, quartiere multiculturale a sud di Roma.

Si sono incontrati attraverso le storie e le biografie dei loro attivisti: insegnanti, scrittori, urbanisti che ogni giorno cercano e trovano percorsi di convivenza possibile in queste giungle urbane composte da cittadini provenienti da più di 60 nazioni. Due quartieri molto diversi per dimensione, Veddel conta appena 5000 abitanti mentre a Torpignattara ci vivono 40.000 persone; ma con problemi e dinamiche piuttosto simili.

“Veddel è la nuova Amburgo”, ci dice Malte Jelden, “ed è nata proprio dai movimenti migratori dei nuovi cittadini, senza di loro non ci sarebbe quella Amburgo”. Il quartiere nasce a Sud-Est della città, lungo il fiume NorderElbe, che infatti lo rende particolarmente umido, è a pochi passi da Hafen City, il porto ancora in costruzione, noto per gli skyline fatti di scheletri delle gru e profili delle navi. È da queste parti che è nato Fathi Akim, regista turco tedesco diventato famoso con “La sposa turca” e con “Soul Kitchen” poi, ambientato proprio nella periferia di Amburgo.

Qui si organizzano corsi di lingua, si aprono caffè letterari e i progetti migliori sono finanziati dalle istituzioni; da anni i volontari impegnati lavorano in modo interdisciplinare tra arte, politica e pratiche sociali percependo anche un piccolo rimborso spese.

Malte Jelden è venuto a raccontarci di un progetto speciale: “The Veddel Embassy: Representing Germany”: un’ambasciata mobile organizzata per la Biennale di Venezia per raccontare la realtà di Veddel: una sessantina di abitanti del quartiere sono stati in questo mese a Venezia per inaugurare, nella Chiesa della Misericordia, “The Veddel Embassy” e lanciare, attraverso incontri, installazioni e musica la loro idea di Germania aperta e multietnica. Costo: 500 mila euro per un progetto che durerà tre anni e aiuterà a costruire un’identità forte e multiculturale a Vaddel. Insomma, i nostri amici tedeschi sulle politiche di convivenza ci investono, e molto, perché credono sia anche il miglior investimento sulla sicurezza. “Per costruire questa attività abbiamo lavorato sui legami, il nostro è un quartiere tendenzialmente di sinistra, non presenta problemi di neonazismo, per farci conoscere abbiamo cercato dei moltiplicatori che potessero sponsorizzare la nostra iniziativa nella propria comunità”, dice Jelden.

E poi c’è Torpignattara, Torpigna per gli amici, anche qui, in questo esteso e popoloso quartiere a sud di Roma, a 4 chilometri dalle mura aureliane, fioriscono tante iniziative, però tutte a costo zero per il Municipio, il Comune e lo Stato. Ci si arriva da Termini con il tram o il bus 105, qui a via dell’Acqua Bulicante c’è la scuola elementare Carlo Pisacane, salita agli onori della cronaca anni fa per la percentuale di alunni con background migrante, quasi il 90% dell’Istituto. I media ci sono andati giù pesanti con la Pisacane e l’hanno raccontata come una scuola di frontiera, “invasa dagli immigrati”, dove diventava difficile persino imparare l’italiano. Ma oggi questo istituto è un laboratorio faticoso, ma intenso e fantasioso di convivenza; con il suo orto didattico, le feste per genitori e bambini, i corsi di musica, i lavori di pulizia condivisi. Una scuola aperta e internazionale, una “casa di vetro” come l’ha definita Vania Borsetti che lì insegna da 9 anni e che propone un’offerta formativa così interessante e golosa che ha spinto anche moltissime famiglie italiane a sceglierla come scuola per il proprio figlio; e ora infatti gli alunni figli di italiani sono il 51%.

E poi a Torpigna c’è il Karawan Fest, festival del cinema migrante, che propone una selezione di commedie prodotte dai paesi di provenienza degli abitanti del quartiere (e quindi Bangladesh, India, Pakistan, Marocco primi tra tutti), Karawan si auto sovvenziona ed è migrante anche nella sede, perché il Municipio non gli concede uno spazio fisso. Per le donne immigrate c’è Asinitas, una bellissima e colorata scuola di italiano che funziona soprattutto la mattina, quando i bimbi sono a scuola e le mamme sono libere, e lo sappiamo quanto sia importante la conoscenza della lingua del paese ospite per essere liberi e autonomi. L’impressione, alla fine di questo incontro di realtà, di questo sfiorarsi di periferie, è che mentre in Germania si fanno le cose insieme allo Stato, in Italia, a Roma, le cose si fanno nonostante i freni che la burocrazia pone.

I comitati di quartiere e i volontari di Torpignattara lanciano un grido d’allarme: la lontananza delle istituzioni non ci rende europei, non ci apre l’accesso a fondi, ci rende faticoso il lavoro di costruzione di un tessuto cittadino coeso, dicono.

Ma nei volti di tutti, italiani e tedeschi, almeno per oggi si disegna un sorriso di soddisfazione: ci siamo riconosciuti nell’altro, ci siamo raccontati i problemi e i successi, ci siamo sentiti fratelli di questo mondo e un po’ più cittadini d’Europa.

Link all’articolo




Bando periferie urbane, 10mila euro a progetto: domande entro venerdì 11 novembre

C’è tempo fino a venerdì prossimo 11 novembre per partecipare al bando per la progettazione di interventi di riqualificazione di aree urbane periferiche promosso dalla direzione generale Arte e Architettura contemporanee e periferie urbane del ministero dei Beni e delle Attività culturali e del Turismo e dal Consiglio nazionale degli architetti pianificatori, paesaggisti e conservatori.

Chi può partecipare
Il concorso di idee è a procedura aperta e possono parteciparvi ingegneri e architetti con meno di 35 anni di età iscritti ai rispettivi albi. Ogni concorrente potrà partecipare al bando optando solo per una delle dieci aree oggetto del concorso.
Il bando si concluderà con la proclamazione di un vincitore per ciascuna area, al quale sarà affidato dal relativo comune l’incarico per le successive fasi progettuali, secondo l’impegno assunto dalle amministrazioni all’atto della presentazione della loro proposta.

Gli interventi
Le proposte riguardano aree che necessitano di interventi per il Ri.U.So e la rifunzionalizzazione di aree pubbliche e di strutture edilizie esistenti, per finalità d’interesse pubblico, il miglioramento della qualità del decoro urbano, l’accrescimento della sicurezza territoriale e della capacità di resilienza urbana, il potenziamento delle prestazioni e dei servizi di scala urbana, la mobilità sostenibile e l’adeguamento delle infrastrutture destinate ai servizi sociali e culturali, educativi e didattici, nonché alle attività culturali ed educative.

Le aree
Le aree oggetto del bando sono 10: Aprilia (Latina) – Area in quartiere Toscanini; Corato (Bari) – Area “Case minime” in rione Belvedere; Empoli (Firenze) – Area ex Casa Cioni in frazione Avane; Marsala (Trapani) – Area nel Parco della Salinella; Palermo – Area “Cittadella dello sport” in quartiere S. Filippo Neri (Zen); Reggio Calabria – Area in rioni Trabocchetto e Sant’Anna; Ruvo di Puglia (Bari) – Area ex Convento in rione Cappuccini; San Bonifacio (Verona) – Area in quartiere Praissola; Santu Lussurgiu (Oristano) – Area ex Collegio Carta-Meloni; Sassari – Area in quartiere Latte Dolce.

Risorse
Per l’attuazione dell’iniziativa, la direzione generale finanzierà i premi dei vincitori del concorso di idee, per un importo complessivo di 100mila euro. Ai dieci concorrenti che hanno sviluppato le proposte classificate al primo posto, una per ciascuna area, andrà un premio di 10mila euro.

La piattaforma “Concorrimi”
Come già avvenuto per il bando dedicato all’edilizia scolastica “Scuole Innovative“, anche il concorso per le periferie fa affidamento sul sistema “Concorrimi”, la piattaforma sviluppata dall’Ordine architetti di Milano per incentivare la trasparenza e la pubblicità nelle procedure di concorso.

Scadenza
Il termine ultimo per la consegna delle proposte è l’11 novembre 2016. A seguito della chiusura del bando, verrà elaborata una graduatoria di merito per ciascuna delle dieci aree oggetto del concorso.

Link all’articolo




Sport e Periferie, definito il piano dei 183 interventi.

Il Premier Renzi: facciamo politica con lo sport.
Il Presidente del CONI, Giovanni Malagò, e il Presidente del Consiglio, Matteo Renzi, hanno presentato – nel corso di una conferenza stampa a Palazzo Chigi – il piano degli interventi analitici infrastrutturali che saranno realizzati attraverso il fondo “Sport e Periferie”. La proposta pluriennale, istituita dalla legge 185 del 2015, prevede un investimento complessivo di 100 milioni nel triennio 2015-2017, con una serie di iniziative urgente già approvate, tra cui lo Zen, Scampia, Barletta, Ostia, Reggio Calabria, Milano – Cardellino, Corviale, 15 playground a Roma e, recentemente, Amatrice ed Accumoli.

Il Presidente Malagò (nella foto Mezzelani GMT) ha illustrato le finalità e l’importanza del progetto. “Un uomo di sport deve saper perdere e vincere ma dal giorno dopo ha la possibilità di iniziare una nuova partita. Ringrazio il Premier per la sua disponibilità, siamo felici che abbia lui la delega allo sport perché c’è la possibilità di interagire in modo diretto rappresentando le nostre istanze. Sport e Periferie ci dà la possibilità di sanare situazioni difficili in territori importanti. Le 142 mila società che caratterizzano il nostro mondo hanno bisogno di una casa. Ci sono 3 criteri con cui si è agito nell’ambito di questo piano. Il completamento del censimento dell’impiantistica sportiva con 3 milioni (fondamentale per programmare dove fare gli interventi in futuro), la ristrutturazione, rigenerazione e realizzazione impianti sportivi e la previsione di interventi nell’ottica di quella che era la candidatura di Roma 2024. Per individuare gli interventi da proporre alla Presidenza del Consiglio, il CONI – volendo allargare il proprio patrimonio di conoscenze – ha invitato sul proprio sito chiunque a segnalare entro il 15 febbraio 2016 le proprie proposte di intervento: sono arrivate 1.681 proposte, per circa 1 miliardo e 300 milioni di euro di richieste di contributo. A questo punto, il CONI, con il supporto del Prefetto Riccardo Carpino, ha nominato un Comitato indipendente di giuristi di chiara fama per istruttoria e analisi delle proposte pervenute: Consigliere Carlo Deodato (Consigliere di Stato), Avv. Vincenzo Nunziata (Vice Avvocato Generale dello Stato), Avv. Danilo Del Gaizo (Avvocato dello Stato).

All’esito del lavoro del Comitato indipendente, la Giunta del CONI, sulla base di criteri di politica sportiva, ha individuato gli interventi da sottoporre alla Presidenza del Consiglio. Le decisioni sono state assunte con l’obiettivo di garantire massima diffusione degli interventi su tutto il territorio nazionale, con la rappresentanza del maggior numero di discipline sportive possibile. Prima però, alla luce del devastante terremoto del 24 agosto, la Giunta ha deciso di intervenire con 480 mila euro a favore delle proposte pervenute dai Comuni maggiormente colpiti dal sisma, Accumoli e Amatrice. In futuro cercheremo di fare qualcosa anche per Arquata del Tronto, che non aveva presentato richieste. In tutto saranno 183 gli interventi, oltre a quelli di Accumoli e Amatrice. Nell’individuazione dei progetti, sono rappresentate tutte le Regioni d’Italia, eccezion fatta per Trentino e Val d’Aosta dalle quali non sono pervenute proposte oppure non sono pervenute proposte incomplete. Le Regioni del Sud sono maggiormente rappresentate con particolare riferimento a Calabria (34), Sicilia (22), Campania (19), anche in ragione del maggior numero di proposte ricevute. Al Nord la Regione con più progetti è la Liguria (9), mentre al Centro sono le Marche (15). Sono presenti i Comuni di tutte le dimensioni: piccoli (meno di 10.000 abitanti), medi (tra i 10.000 e i 20.000 abitanti) e grandi (più di 20.000 abitanti).

Il gruppo di Comuni con più di 20.000 abitanti è quello in cui è stato individuato il numero più ampio di progetti (91). Nelle scelte c’è anche un equilibrio dal punto di vista economico, per assicurare la maggiore diffusione sul territorio italiano e tutte le tipologie di intervento (piccole e grandi). Circa il 70% ha valore fino a 200.000 euro. Qui la scelta è stata quella di privilegiare interventi che potessero generare valore economico-sociale sul territorio a fronte di limitati valori di investimento. Sono infine rappresentate quante più discipline sportive possibili: al netto di calcio e calcetto, le palestre e i centri polivalenti rappresentano il 39% dei progetti. Anche qui, l’intento è quello di raccogliere un bacino potenziale di utenza più ampio possibile e di favorire la sostenibilità degli impianti, consentendo la pratica di più discipline. A seguire tennis, atletica leggera, rugby e pattinaggio. La rinuncia a Roma2024 prevede che le somme programmate per gli impianti polifunzionali previsti nelle periferie verranno ri-destinate nel resto d’Italia. La Presidenza del Consiglio dei Ministri dovrà approvare il Piano. Fino a quel momento, dunque, il Piano non ha valore definitivo. Successivamente si passerà alla fase esecutiva. Prima della fase esecutiva, però, dovranno essere firmate le Convenzioni con gli enti proponenti e pertanto andrà preliminarmente verificata la sussistenza di tutti i requisiti dichiarati all’atto della proposta, incluso il valore stimato e la congruità dell’intervento. È fondamentale comprendere che se qualcosa non dovesse quadrare, non verrà stipulata la convenzione e pertanto non verrà realizzato l’intervento. Per l’esecuzione degli interventi sarà costituita un’Unità organizzativa apposita del CONI, sarà applicata la convenzione già stipulata con INVITALIA, che utilizza l’accordo di vigilanza collaborativa con l’ANAC, e saranno individuate insieme a Palazzo Chigi le modalità operative migliori per realizzare gli interventi di piccole dimensioni.

Voglio ringraziare ancora una volta il Governo, perché con l’istituzione di questo Fondo ha fatto contenti tutti. Sarebbe bello venisse confermato anche per il futuro. Grazie Governo e viva lo sport”.

Il Presidente del Consiglio, Matteo Renzi, ha voluto sottolineare l’importanza strategica del Fondo. “Oggi è giornata particolare, perché arriva dopo l’annuncio dell’interruzione della candidatura di Roma 2024. Oggi è un giorno bello per Malagò e per il CONI. La sintesi è che noi pensiamo che lo sport sia fondamentale per costruire comunità, per promuovere i valori fondanti che caratterizzano il vostro movimento. Li dove c’è comunità il Paese è più forte. Questo mondo è tenuto in piedi dai volontari e in passato la politica ha fatto poco. Questo fondo non è un omaggio ma è il minimo per lo sport, per allenare le ambizioni dei giovani in luoghi belli. E sono sicuro che l’aver tarpato il volo il sogno olimpico ai bambini non comprometterà il processo di crescita. Ieri hanno fatto festa le periferie di Parigi e delle altre città candidate non quelle di Roma. Il fatto che la candidatura della Capitale – ora lo possiamo dire – fosse in vantaggio, amplifica le responsabilità di chi si è arrogato il diritto di negare questa possibilità con miopia. Noi però non ci arrendiamo da veri uomini dello sport e per questo offriamo opportunità di fare attività fisica. Questo progetto vuol dire orgoglio e senso di appartenenza e faremo in modo di accogliere l’invito del Presidente Malagò e di confermarlo. Perché significa portare lo sport ovunque, creare comunità e far crescere la civiltà. accanto a questa attività deve stringersi il Paese. Entro ottobre vogliamo chiudere la pratica burocratica, senza entrare nel merito di ogni singolo intervento. Per noi va bene quel che ha deciso il CONI. Fondamentale l’attenzione mostrata verso il Sud e il Mezzogiorno ed è nevralgico far dialogare questi impianti con la scuola. Vanno anche agevolate e semplificate le procedure a carico delle società. Il primo investimento sanitario è fare attività fisica e sta tutto nello sport. In Italia si fa politica con lo sport, nel senso che la politica si occupa di sport e riconosce nello sport un valore universale e di cittadinanza”.

Alla conferenza hanno partecipato anche il Presidente di Coni Servizi, Franco Chimenti, i Presidenti federali Maurizio Casasco (FMSI), Carlo Magri (FIPAV), Angelo Sticchi Damiani (ACI), Carlo Tavecchio (FIGC) e il membro di Consiglio Nazionale Bruno Molea (AICS).

sport-e-periferie

link all’articolo