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Continua, a Corviale, la Pasqua delle periferie

Continuano i segnali di rinascita di questa Pasqua delle periferie: Francesco, il papa de “la realtà si capisce meglio dalla periferia” viene a Corviale, alla Parrocchia di San Paolo della Croce domenica 16 aprile alle ore 16.

Qualche giorno fa il TAR ha dato torto ai ricorrenti che rischiavano di bloccare l’inizio dei lavori di riqualificazione del Palazzone. Lavori che ora possono avere inizio a cominciare dalla liberazione delle parti dell’edificio che devono diventare cantiere di riqualificazione. L’attuazione di questa delicata fase, senza cui non si possono cominciare i lavori, è già in atto con tutte le accortezze necessarie.




Oggi Gesù abita nelle periferie

Esce il libro di Andrea Riccardi.
Nel volume lo storico esplora la nuova frontiera della Chiesa nel mondo globale
Vivere il Vangelo tra la gente dei quartieri degradati, l’impegno indicato dal Papa.
Pubblichiamo un estratto dal saggio dello storico Andrea Riccardi «Periferie. Crisi e novità per la Chiesa» (Jaca Book), che esce giovedì 7 aprile. Un viaggio nelle realtà marginali che si richiama agli appelli di Papa Francesco.

La condizione umana è cambiata rapidamente nel XX secolo: ai primi del Novecento solo un decimo degli abitanti del mondo viveva nelle città, soprattutto nel Nord America e in Europa, mentre nel 2030 si prevede che quasi il 60% della popolazione mondiale sarà urbana. Il pianeta è una realtà ormai urbanizzata: nel secolo scorso si è avviata la grande svolta, che ha invertito il rapporto tra città e campagne. Nel 2007, in pieno processo di globalizzazione, per la prima volta nella storia umana, gli abitanti delle città hanno superato quelli delle campagne: il mondo è divenuto essenzialmente urbano. Ma tutto questo è avvenuto in modo molto particolare: gran parte della popolazione delle città vive ormai nelle periferie. Paolo Sellari osserva che le città del Terzo Mondo tendono a riprodurre la dialettica centro-periferia che in larga parte caratterizza ancora oggi il mondo socio-economico, non solo nei centri urbani ma in interi Paesi.

La periferia caratterizza in profondità il mondo contemporaneo con agglomerati che si addensano attorno alle città. Infatti il processo di urbanizzazione globale induce un fenomeno caratteristico della città contemporanea: la cosiddetta slumizzazione. Nel 2003, il 71,9% della popolazione dell’Africa subsahariana vive negli slum. Questa è la condizione urbana più diffusa nel continente: quella di periferico. A livello mondiale gli abitanti degli slum accolgono oggi il 31,6% della popolazione. È un popolo enorme. Un mondo che non ha voce, ma riceve costanti messaggi da un centro («mediatico»), che attrae verso standard di vita peraltro non praticabili. I periferici sono un popolo di «esclusi», che vengono continuamente sollecitati e messi a contatto con modelli non raggiungibili.

I problemi concreti posti dal rapido cambiamento della condizione di vita della popolazione mondiale sono numerosi: da quelli inerenti agli approvvigionamenti alimentari, a quelli della diminuzione o dell’inquinamento delle risorse idriche, alla difficoltà dei trasporti urbani (inadeguati o estremamente carenti in alcune città), agli ovvi, ma drammatici, problemi del lavoro. La realtà umana e sociale della città del XXI secolo è fortemente diversa da quella della città novecentesca. La presenza di grossi agglomerati di proletariato (quindi di periferici) nella città novecentesca spesso era in rapporto dialettico o conflittuale con il «centro» attraverso la realtà della lotta politica e sindacale, ma in fondo si ritrovava — pur in contrapposizione — all’interno di un orizzonte comune. Attraverso lo scontro e la politicizzazione delle aspirazioni della periferia, si veniva a creare un processo integrativo.

Oggi è molto diverso. Le periferie, che sono molto più integrate da un punto di vista di comunicazione rispetto a quelle del secolo scorso, sono invece distaccate e non rappresentate da un punto di vista sociale e politico. Qui spesso le reti sociali sono scadenti o assenti. Il controllo sugli spazi urbani periferici risulta complesso e difficile, tanto che vaste aree — specie nelle megalopoli — finiscono sotto il dominio di mafie e di cartelli internazionali o nazionali del crimine.

La città del XXI secolo è sempre meno una comunità di destino. Anzi, mentre una parte di essa viene assorbita nei flussi globali e procede sulla via dell’internazionalizzazione, un’altra resta ai margini e fuori dai circuiti di integrazione, se non sprofonda in una condizione di isolamento. Sono i quartieri abbandonati dove spesso le persone vivono per l’intera esistenza e dove forse i figli faranno la stessa vita dei genitori. L’universo delle megalopoli si è strutturato in modo che molto spazio abitato diventi luogo di esclusione. La megalopoli produce costantemente periferie urbane e periferizzazioni umane. Di fronte a questa realtà, specie nel Sud del mondo, lo Stato e le istituzioni sovente rinunciano ad un controllo reale di questi spazi. Diventa un mondo perduto, in cui i drammi umani e sociali si annodano con reti criminose e ribellismi endemici, nel quadro di una cultura della sopravvivenza.

Il cristianesimo — su impulso di papa Bergoglio — ha la possibilità di comprendere in modo nuovo la condizione umana e urbana del XXI secolo. Certo questo processo richiede profondi cambiamenti. Non è più possibile affrontarlo con la mappatura territoriale, tipica di altre età, fortemente influenzata dal mondo delle campagne, che divideva lo spazio in circoscrizioni predefinite. L’idea stessa di territorio come habitat esclusivo dell’uomo e della donna è rimessa in discussione dalla mobilità umana e dai trasporti, oltre che dalle comunicazioni via internet. Il sistema pastorale si rivela inadeguato.

Dopo il Vaticano II, sulla scorta del rinnovamento dell’eccelesiologia, si è molto insistito sulla dimensione della Chiesa locale, ma è stato un rinnovamento a metà. La Chiesa locale, a sua volta, ha spesso una visione centralistica che non dà spazio alle periferie. Non basta dividere le diocesi e rendere il centro più prossimo alle periferie. Occorre suscitare nuove realtà cristiane nelle periferie, accettandone la storia e la configurazione. Non tutto può essere programmato dal centro. E la diversità delle esperienze cristiane sullo stesso territorio non significa competitività. Il vero punto focale è quello di un cristianesimo inserito nella cultura e nella realtà urbana, soprattutto, delle periferie.

Papa Francesco, parlando ai superiori generali delle comunità religiose, ha fatto un’importante affermazione: «Io sono convinto di una cosa: i grandi cambiamenti della storia si sono realizzati quando la realtà è stata vista non dal centro, ma dalla periferia. È una questione ermeneutica: si comprende la realtà solamente se la si guarda dalla periferia, e non se il nostro sguardo è posto in un centro equidistante da tutto».

La «chiave ermeneutica» di Franceso non è un progetto di riforma della Chiesa attraverso strutture più decentrate. È una proposta che va recepita e realizzata con costruttività, inaugurando o continuando percorsi nelle periferie e con una visione dal basso. Bisogna infatti chiedersi che cosa significa vivere il Vangelo in un mondo urbano globale così cambiato, anzi vorrei dire in una «civiltà» per tanti aspetti nuova, come quella introdotta dalla globalizzazione. Per compiere questa operazione così importante, che rappresenta un passaggio storico, occorre dislocarsi nelle periferie come vissuto cristiano e come punto di partenza per un’intelligenza della realtà. Non si tratta di una posizione ideologica, ma di ripensare una storia che può e deve ricominciare da queste posizioni e di maturare una visione in questi ambienti.

Il tema delle periferie e quello della città globale segnano un passaggio fondamentale da una concezione ecclesiastica della Chiesa e della pastorale, che faticosamente e con contraddizioni ha provato a recepire il Concilio Vaticano II, a una concezione di Chiesa di popolo. Non si tratta certo di sottovalutare il ministero sacerdotale, ma di non concentrare in esso tutta la responsabilità pastorale (come si fa generalmente, nonostante i tanti discorsi di segno contrario e quelli ricorrenti contro il clericalismo). Si deve far emergere un popolo che, nella sua complessità e interezza, sia capace di comunicare il Vangelo, di viverlo nelle periferie delle città, di dar origine a percorsi cristiani diversi, anche se convergenti nell’unica grande famiglia della Chiesa.

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Le periferie d’Europa e la profezia (inascoltata) del Papa

Da Molenbeek e Saint Denis, le periferie delle capitali europee sono associate al terrorismo. Ma Francesco aveva avvertito: nessuna ’intelligence’ ci salverà se abbandoniamo una parte della società. Il degrado facilita la manipolazione da parte di organizzazioni criminali. La necessità di abbattere le barriere dell’egoismo per costruire legami solidali e comunità aperte.
Le periferie, tema chiave del magistero di papa Francesco, sono tornate di stringente attualità nel corso dell’ultimo anno e mezzo, da quando cioè una serie di attentati terroristici sanguinosi e drammatici, ha devastato due grandi capitali europee – Parigi e Bruxelles – e le indagini condotte dalle forze dall’ordine hanno portato a ricercare gli autori delle stragi nelle periferie delle stesse città colpite. In particolare di Bruxelles abbiamo imparato a conoscere il quartiere di Molenbeek, della capitale francese è tornato più volte il nome dell’area di Saint Denis, piena banlieue, già centro negli anni passati di proteste e scontri. Entrambe le zone, come molte altre in vari Paesi europei, sono segnate da una forte concentrazione di immigrati di nuova o vecchia generazione, dove un crescente disagio sociale fatto di disoccupazione, degrado ambientale e sociale, assenza di politiche per l’integrazione, si è sommato a fattori endogeni quali resistenze culturali, fondamentalismi, rifiuto del concetto di cittadinanza, un collasso crescente della legalità.
Secondo il parere convergente di molti osservatori e studiosi, è in contesti come questi che è cresciuto un islam settario, più ideologia politica totalizzante che fede religiosa, più simile a una forma di sfogo anti-sistema criminale e violento che a una lettura tradizionalista del Corano. Francesco, da parte sua, ha parlato fin dal principio del suo pontificato, delle periferie sociali, urbanistiche, degli scartati, e poi delle periferie esistenziali, avvertendo per tempo il nostro mondo – che forse non l’ha saputo ascoltare – di come le periferie del mondo non fossero solo quelle di Paesi africani o asiatici, ma di quanto anzi erano vicino a noi, bastava sollevare lo sguardo verso i confini delle nostre città.
E’ allora da rileggere per la sua clamorosa attualità e preveggenza uno dei passaggi forse più difficili da assorbire per un lettore europeo del documento «Evangelii gaudium», nel quale il papa a pochi mesi dalla sua elezione, tracciava un programma per il pontificato. Francesco affrontava il tema della violenza in rapporto a temi come l’urbanizzazione e l’integrazione: «Quando la società – locale, nazionale o mondiale – abbandona nella periferia una parte di sé, non vi saranno programmi politici, né forze dell’ordine o di intelligence – spiegava – che possano assicurare illimitatamente la tranquillità. Ciò non accade soltanto perché l’inequità provoca la reazione violenta di quanti sono esclusi dal sistema, bensì perché il sistema sociale ed economico è ingiusto alla radice».
«Come il bene tende a comunicarsi – aggiungeva – così il male a cui si acconsente, cioè l’ingiustizia, tende ad espandere la sua forza nociva e a scardinare silenziosamente le basi di qualsiasi sistema politico e sociale, per quanto solido possa apparire. Se ogni azione ha delle conseguenze, un male annidato nelle strutture di una società contiene sempre un potenziale di dissoluzione e di morte». Difficile non vedere la precisione dell’analisi che forse poteva apparire troppo forte e dura, ma oggi ci accorgiamo corrisponde in modo fin troppo preciso alla realtà. Non per caso, allora, Francesco, da Scampia a Napoli, a Manila, a Ciudad Juarez, a Castelnuovo di Porto frequenta le periferie, incontra le persone e distingue fra terroristi e vittime, scegliendo di umanizzare e non di criminalizzare i territori e coloro che ci vivono.
Importante poi come il tema periferia veniva affrontato anche nell’enciclica «Laudato sì», sotto il profilo del rapporto fra condizione umana e ambiente circostante, fra qualità della vita, modelli di comportamento e valori condivisi. «…E’ provato inoltre – affermava il pontefice – che l’estrema penuria che si vive in alcuni ambienti privi di armonia, ampiezza e possibilità d’integrazione, facilita il sorgere di comportamenti disumani e la manipolazione delle persone da parte di organizzazioni criminali. Per gli abitanti di quartieri periferici molto precari, l’esperienza quotidiana di passare dall’affollamento all’anonimato sociale che si vive nelle grandi città, può provocare una sensazione di sradicamento che favorisce comportamenti antisociali e violenza». «Tuttavia – aggiungeva – mi preme ribadire che l’amore è più forte. Tante persone, in queste condizioni, sono capaci di tessere legami di appartenenza e di convivenza che trasformano l’affollamento in un’esperienza comunitaria in cui si infrangono le pareti dell’io e si superano le barriere dell’egoismo. Questa esperienza di salvezza comunitaria è ciò che spesso suscita reazioni creative per migliorare un edificio o un quartiere».
Insomma la risposta era in una comunità virtuosa e non chiusa, nella costruzione di legami solidali. Anche per questo il papa indicava alla Chiesa la strada delle periferie, cioè dell’uscita verso gli altri e il mondo, anche se, aggiungeva, occorre farlo in modo non casuale. Allo stesso tempo, spiegava Francesco, la periferia è alla base stessa dell’esperienza cristiana: «Tutto il cammino della nostra redenzione – afferma Bergoglio in un altro brano di Evangelii Gaudium – è segnato dai poveri. Questa salvezza è giunta a noi attraverso il ’sì’ di una umile ragazza di un piccolo paese sperduto nella periferia di un grande impero».

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Progettare città per le persone

La Conferenza Episcopale Italiana (CEI) ha lanciato il Manifesto “Progettare città per le persone” con cui invita tutti i cittadini, gli amministratori e i decisori politici, i professionisti e le imprese, a far proprie le istanze contenute nell’enciclica Laudato si’ di Papa Francesco.

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Papa Francesco: il welfare non è un costo

Incontrando gli iscritti alle Acli il Papa ha detto: “È una importante battaglia culturale quella di considerare il welfare una infrastruttura dello sviluppo e non un costo”

Papa Francesco incontra le Acli in occasione del 70° anniversario della fondazione delle Associazioni Cristiane dei Lavoratori Italiani e alza forte la sua voce contro le storture del mercato del lavoro e le ingiustizie che esso si porta dietro e lo ricorda alla politica: “E’ una importante battaglia culturale quella di considerare il welfare una infrastruttura dello sviluppo e non un costo. La proposta di un sostegno non solo economico alle persone al di sotto della soglia di povertà assoluta, che anche in Italia sono aumentate negli ultimi anni, può portare benefici a tutta la società”.

“Non possiamo – il suo appello – tarpare le ali a quanti, in particolare giovani, hanno tanto da dare con la loro intelligenza e capacità; essi vanno liberati dai pesi che li opprimono e impediscono loro di entrare a pieno diritto e quanto prima nel mondo del lavoro”. Bergoglio insiste quindi sulla necessità di un lavoro che sia davvero ‘solidale’: “Ogni giorno voi incontrate persone che hanno perso il lavoro, questo fa piangere, o in cerca di occupazione; persone che vogliono portare a casa il pane per la loro famiglia. A queste persone bisogna dare una risposta. In primo luogo, è doveroso offrire la propria vicinanza, la propria solidarietà”.

Si rivolge poi così ai delegati: “I tanti ‘circoli’ delle Acli, che oggi sono da voi qui rappresentati, possono essere luoghi di accoglienza e di incontro. Ma poi bisogna anche dare strumenti ed opportunità adeguate. È necessario l’impegno della vostra Associazione e dei vostri servizi per contribuire ad offrire queste opportunità di lavoro e nuovi percorsi di impiego e di professionalità”. “Libertà, creatività, partecipazione e solidarietà. Queste caratteristiche – ricorda il Papa – fanno parte della storia delle Acli. Oggi più che mai siete chiamati a metterle in campo, senza risparmiarvi, a servizio di una vita dignitosa per tutti”.

“Troppo spesso il lavoro è succube di oppressioni a diversi livelli – ha continuato Papa Francesco -: dell’uomo sull’altro uomo; di nuove organizzazioni schiavistiche che opprimono i piu’ poveri; in particolare, molti bambini e molte donne subiscono un’economia che obbliga a un lavoro indegno che contraddice la creazione nella sua bellezza e nella sua armonia. Dobbiamo far si’ che il lavoro non sia strumento di alienazione, ma di speranza e di vita nuova”. E poi ancora sui ragazzi che “sono in pericolo di cadere nella malavita o di andare a cercare orizzonti di guerra come mercenari” senza l’opportunità di un lavoro.

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