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Big data per la diagnostica degli edifici malfunzionanti

Dagli Usa uno strumento in cloud di analisi di dati che potrebbe semplificare il lavoro degli operatori tecnici, con diagnosi precise e opzioni di intervento.
Il perfetto funzionamento di un sistema-edificio ha delle ricadute positive sia in termini di comfort degli occupanti sia di risparmio energetico e quindi di riduzione di costi e impatto ambientale. Far funzionare un edificio significa trovare il giusto equilibrio tra riscaldamento, raffreddamento e ventilazione, ma anche effettuare una corretta manutenzione di tutte le apparecchiature e i sistemi coinvolti. Un onere che spetta agli operatori tecnici, che spessò però, data la complessità delle strutture, non hanno i giusti strumenti per intervenire.
Al fine di colmare queste lacune- dettate dal numero elevato di dati che i tecnici devono analizzare ed interpretare senza poter seguire un protocollo ben preciso- i ricercatori della Drexel Univesity (Usa) stanno sviluppando uno strumento di analisi di dati su una piattaforma in cloud che potrebbe semplificare questi processi diagnostici.

Offrire agli operatori un quadro diagnostico accurato

Il team, guidato da Jim Wen, professore associato presso la Facoltà di Ingegneria e co-direttore di Building Science & Engineering Group, sta lavorando su un sistema che analizza i big data generati da i diversi componenti di controllo di un sistema-edificio: termostati, sensori di flusso idrico, contatori di energia e via dicendo. Con l’obiettivo di fornire agli operatori tecnici un quadro più completo della situazione, suggerendo delle opzioni precise per l’intervento in caso di mal funzionamento.

Gli operatori sono costretti a confrontarsi con un numero infinito di dati ‘grezzi’ provenienti dai sensori e dai sistemi di controllo, e con avvisi di rilevazione di guasti, ma le informazioni sono così complesse e indefinite che è difficile capire da dove iniziare e individuare una soluzione adeguata per la risoluzione dei problemi emersi- spiega Wen- E’ come se un medico ci desse i risultati delle analisi senza aiutarci ad interpretarli e senza suggerirci le giuste cure, pensando che possiamo essere in grado di farlo da soli. Lo strumento a cui stiamo lavorando deve assumere il ruolo del medico, ovvero dare agli operatori una diagnosi e una lista di opzioni da seguire.

Utilizzare gli algoritmi per individuare i problemi prima che si manifestino

L’individuazione di alcune problematiche è ardua. Perché i malfunzionamenti possono derivare non soltanto da un guasto nei sistemi hvac ma anche da difetti costruttivi o difetti nei dispositivi di controllo. E talvolta ci si accorge di tutto ciò quando il danno è già esteso, ovvero quando gli occupanti iniziano a risentirne o quando le bollette testimoniano consumi eccessivi. Per far si che questo non avvenga, lo strumento allo studio dei ricercatori utilizza degli algoritmi per controllare ed analizzare i volumi di dati dell’edificio automaticamente, rendendoli noti agli operatori ancor prima che il problema si manifesti concretamente.

Il malfunzionamento può essere causato da piccoli problemi che sommati nel tempo diventano un grande problema- spiega Wen- La mancanza di raffreddamento, ad esempio, può essere causa di una perdita di refrigerante, da un condotto che perde, da una valvola guasta o da un fan coil difettoso, ma il più delle volte è il risultato di una combinazione di queste problematiche. Il nostro strumento di rilevamento dei guasti e diagnosi automatica aiuterà gli operatori ad individuare una diagnosi accurata e quindi delle soluzioni da approntare.

La fase di test

Lo strumento sviluppato dai ricercatori di Drexel- finanziato dal Dipartimento dell’Energia degli Stati Uniti- verrà implementato nell’edificio di Stratton Hall, all’interno del campus universitario. Se la fase di test darà esito positivo, come gli studiosi si aspettano, il sistema verrà commercializzato dalla KGS Buildings, una società specializzata in software per l’edilizia, con cui l’Università ha già preso contatti.

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Openbilanci: quanto spendono i Comuni per il sociale?

I dati sulle spese dei Comuni ora sono direttamente accessibili dai cittadini.
La spesa sociale locale
Gli enti locali sono i principali finanziatori della spesa sociale locale, basti pensare che nel 2011 il 62,5% di tale è spesa è stato finanziato con risorse proprie dei Comuni – a fronte del 17,1% di Fondi Regionali e 12,4% del Fondo nazionale per le Politiche Sociali (Dati Istat) (vedi anche I Comuni: le risposte dei territori alla crisi). E’ evidente quindi che le scelte degli amministratori possono avere un grande impatto sulla quantità e sulla qualità dei servizi che i cittadini ricevono, determinando forti differenze a livello territoriale. Vale a dire, il luogo in cui viviamo contribuisce a determinare il nostro “paniere di welfare”. Per questo motivo è importante che tutti i cittadini possano conoscere le scelte effettuate dai propri amministratori così da valutarne l’operato anche su questa base. Un obiettivo oggi più facile da raggiungere grazie ai nuovi strumenti tecnologici, tra cui il portale openbilanci.it.
Openbilanci
Openbilanci è un progetto realizzato e gestito da Depp srl Democrazia Elettronica e Partecipazione Pubblica – organizzazione che mira a sperimentare concretamente internet per l’informazione e la partecipazione politica – , pensato per rendere la gestione delle risorse pubbliche trasparente, comprensibile e verificabile. Si tratta di un portale dove sono disponibili i bilanci degli ultimi 10 anni dei Comuni italiani, analizzabili per indicatori, uscite, entrate per funzioni/interventi, e che comprende quindi anche la spesa per i servizi sociali (asili nido, servizi di prevenzione e riabilitazione, strutture residenziali e di ricovero per gli anziani residenti, altri). Una grande quantità di dati ufficiali in formati leggibili da computer e liberamente riutilizzabili, pronti per essere scaricati da cittadini, media e ricercatori.
I dati
In Openbilanci vengono utilizzate due tipologie di dati: quelli dei bilanci e quelli relativi ai sindaci. Riguardo ai bilanci, la fonte dei dati è la Direzione Centrale della Finanza Locale del Ministero dell’Interno cui la legge (T.U.E.L. del 2000) affida il compito di raccogliere e pubblicare i bilanci dei Comuni italiani secondo una classificazione omogenea (certificati di bilancio preventivo e consuntivo). I dati del singolo bilancio di un Comune vengono prodotti e trasmessi al Ministero dal Comune stesso che è quindi il soggetto responsabile della veridicità, esattezza e completezza dei dati presenti nella banca dati del Ministero e, di conseguenza, dei dati pubblicati in Open bilanci. La fonte dei dati relativi ai sindaci dei Comuni italiani è invece Open politici, piattaforma di Openpolis, che a sua volta fa riferimento alla base dati dell’Anagrafe Amministratori Locali e Regionali, curata dalla Direzione Centrale dei Servizi Elettorali del Ministero dell’Interno. Tuttavia i dati di Open politici non corrispondono esattamente a quelli del Ministero in quanto vengono aggiornati con maggiore frequenza.
Come funziona?
Attraverso il portale è possibile effettuare confronti tra due Comuni, fare classifiche (ad esempio, chi spende di più e per cosa?) e creare mappe. I dati possono essere filtrati e analizzati in base a svariati criteri: regione di appartenenza, numero di abitanti, andamento nel tempo, ecc. Per esempio, volendo classificare i principali Comuni italiani (cioè con popolazione superiore a 200.000 abitanti) sulla base della spesa sociale pro capite nel 2012, troviamo al primo posto il Comune di Trieste con 457,86 euro, a metà classifica Torino con 247, 82 euro e all’ultimo posto Napoli, con 47,9 euro. Più nel dettaglio, potremmo sullo stesso campione confrontare la spesa pro capite per gli asili nido, e troveremmo la stessa variabilità: dai 137,61 euro di Trieste, ai 75,80 euro di Genova, a metà classifica, fino ai 3,64 euro di Messina.
Sempre sullo stesso campione, potremmo analizzare la spesa per la gestione e costruzione delle case popolari. Anche in questo caso si riscontra un’alta variabilità territoriale, che parte dai 63,78 euro del Comune di Milano, scende quasi dimezzandosi per la “seconda classificata”, Venezia (34,02 euro) e si ferma a 2,03 euro nel Comune di Genova.
Queste sono alcune delle interrogazioni, ma moltissime indagini di ricerca sono possibili.
Basta collegarsi al sito e seguire alcuni semplici passaggi.

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Open Data Day, in Italia dieci appuntamenti per la trasparenza

Sabato 21 febbraio è la giornata internazionale dei dati aperti. Le occasioni per discutere le opportunità dell’uso intelligente dei dati per migliorare la qualità della vita.

Gli Open Data non servono a niente se non migliorano la vita delle persone. Forti di questa convinzione, sono molti quelli che sabato 21 febbraio parteciperanno al terzo evento italiano dedicato ai Dati Aperti. L’Open Data Day celebrato a livello internazionale, è un’occasione di incontro, distribuita in Italia tra dieci città, per costruire, secondo gli organizzatori, un modo nuovo e diverso di pensare la relazione reciproca tra informazione, diritti e conoscenze, al fine di migliorare il rapporto tra Pubblica Amministrazione, imprese e cittadini.

Un obiettivo da raggiungersi proprio attraverso un uso diverso della enorme mole di dati che tutti noi produciamo a lavoro o nel tempo libero, interagendo con strumenti digitali, banche dati, uffici, spazi pubblici e privati. Ma quando si parla di dati aperti si parla anche dei dati ambientali generati dal monitoraggio del livello d’acqua nei fiumi, di quelli sulla qualità dell’aria, dei dati sulla frequenza delle corse del trasporto pubblico, dello stato del patrimonio artistico o dei crimini commessi in un certo lasso di tempo all’interno di un certo territorio.

Dati che sono in genere prodotti, gestiti e pagati da enti pubblici, e che sono pubblici per legge, e che dovrebbero essere utilizzabili da chiunque, per decidere, ad esempio, se e dove impiantare una certa attività commerciale, piuttosto che per realizzare interventi socioabitativi o reindirizzare le politiche di sicurezza nel caso di enti territoriali e di governo. Per gli esperti questi dati devono diventare occasione per innovare prodotti e servizi privati ed aumentare l’efficienza e l’efficacia dei servizi pubblici, ma anche, come sostiene l’Associazione degli Stati generali dell’Innovazione (SGI), per “migliorare la trasparenza ed il controllo democratico, e favorire la partecipazione alla vita pubblica.” E qui un bell’esempio è il lavoro che sui dati comunali e ministeriali effettua l’associazione Open Polis che li offre ai cittadini per promuovere la partecipazione civica attraverso la conoscenza degli atti, dei comportamenti, e delle decisioni dei nostri rappresentanti. Secondo SGI però i dati aperti “Necessitano di maggiore traduzione e diffusione, cosa spesso non garantita, che va a scapito dei cittadini e delle opportunità che gli vengono così precluse”.

Gli fa eco Ernesto Belisario, avvocato, esperto di dati aperti nella Pubblica Amministrazione: “L’Open Data Day sarà importante solo se riuscirà ad essere l’occasione per uscire dalla ristretta cerchia degli addetti ai lavori, se rappresenterà il momento in cui fare capire ad amministratori, cittadini e imprenditori il valore dei dati aperti per la trasparenza e la crescita economica.” Diversamente? “Se dovesse diventare un evento autoreferenziale “per iniziati” sarebbe l’ennesima occasione perduta.”

Per questo, poiché la politica ci ha abituati al mantra dell’innovazione tecnologica che non si realizza, c’è da chiedersi come possano effettivamente migliorarci la vita i dati aperti. Secondo Morena Ragone, giurista, esempi virtuosi ce ne sono eccome: “Il notissimo Open Coesione, che rende accessibile ai cittadini i dati relativi all’impiego del fondi strutturali europei; oppure Confiscati Bene ­ che mappa, monitora e rende disponibili ed intellegibili i dati dei beni confiscati alle mafie ­, e ancora Open Pompei, che interessa un settore, quello dei beni artistici, tanto prezioso e delicato.” Quindi i dati aperti non sono più solo una parola ad effetto. Certo necessitano di standard unici, di protocolli di qualità e una chiara esposizione di scopi e utilità e della lorro effettiva messa in comune da parte di chi li produce. L’International Open Data Day 2015 può essere l’occasione per farlo di più e meglio.

L'”evento hub” italiano si svolge a Roma, ma uno dei momenti più partecipati sarà a Bari, presso il Politecnico, dove nel promeriggio si svolgeranno gli hackaton: momenti di lavoro collettivo in cui sviluppatori di software, programmatori, appassionati, lavoreranno sui temi del monitoraggio ambientale, dell’infomobilità e dei beni culturali.

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Periferie in movimento

Nell’ambito del bando promosso dal Comune di Alessandria per stimolare la partecipazione della cittadinanza alla vita cittadina una risposta (e una proposta) è arrivata anche dall’associazione “Mondi Vitali”, realtà che si occupa di cultura e politica ispirata all’opera di Achille Ardigò. Ecco il loro progetto.

Ente proponente
Mondi Vitali-Associazione

Nome dell’iniziativa proposta
Periferie in movimento. Attivare dati e conoscenze per una’partecipazione consapevole

Obiettivi
progetto si propone di avviare un percorso partecipativo nel quartiere Cristo di Alessandria suddiviso in 3 step. Il primo step prevede una “passeggiata di quartiere” (PdQ) con il coinvolgimento di volontari, ricercatori, testimoni privilegiati provenienti dalle principali istituzioni e organizzazioni profit e non profit operanti nel quartiere. In questa fase sarà fondamentale l’apporto del gruppo “Alessandria Open Data”, che in questi anni ha creato un nuovo circolo di competenze sul territorio, importando idee da vari centri di competenza italiani e stimolando l’innovazione sociale nella città tramite la diffusione della c.d. “cultura del dato”.
La PdQ, quale strumento di ricerca partecipativa, sarà utile
1) a interpretare e integrare i dati disponibili e già organizzati grazie all’opera di Open Data;
2) a “interrogare” le banche dati rispetto ad esigenze informative non ancora sviluppate
3) a far emergere informazioni non disponibili. In questo contesto, verrà sviluppata la “mappatura” di iniziative, luoghi e strutture di aggregazione presenti nel territorio tramite l’inserimento di un nuovo livello informativo sulle cartografie di OpenStreetMaps. Quest’ultimo è un progetto collaborativo finalizzato a creare mappe a contenuto libero: esso punta a una raccolta di dati geografici, la cui caratteristica fondamentale è la disponibilità per l’accesso e l’uso da parte degli utenti.
Il secondo step prevede un’assemblea deliberativa, all’interno della quale una porzione di cittadini il più possibile rappresentativa ed eterogenea per età, genere, professione, estrazione socio-culturale discuteranno in maniera informata su temi rilevanti emersi nella ricerca preliminare, con il supporto di facilitatori appositamente formati e di esperti delle diverse tematiche.
Al termine di questo percorso (terzo step) sarà organizzato un seminario per condividere i risultati emersi e sarà messa a disposizione dei cittadini una infrastruttura informatica con dati e mappe del quartiere ricche di informazioni e segnalazioni. In occasione del seminario saranno presentati i due principali prodotti finali del progetto: 1) un rapporto sintetico che illustrerà i metodi e i processi del percorso partecipativo, ivi compresa la filiera di raccolta, esposizione e analisi del dato; 2) un sito web che aggreghi e visualizzi di informazioni geografiche e statistiche integrate e contestualizzate grazie alle conoscenze relative al territorio del quartiere in forza dell’attivazione di soggetti locali che hanno partecipato al processo.

Finalità
Il progetto si propone come fase preliminare nell’ambito di un piano di ricerca-intervento più ampio in un quartiere considerato “di periferia” per eccellenza. La definizione di periferia spesso si accompagna a una accezione negativa in forza di alcuni fattori:
– vasti insediamenti di residenzialità pubblica e “popolare”, con aree storicamente identificate come ad alta intensità di disagio sociale (ad es. via Gandolfi e le Casermette);
– presenza consistente di cittadini migranti;
– debole presenza di presidi pubblici e istituzionali;
– elementi di separazione fisica oltreché simbolica con il resto del tessuto urbano (nel nostro caso, la ferrovia, con i due attraversamenti del sottopasso e del cavalcavia).

A partire dall’istituzione delle “circoscrizioni” e poi, tendenzialmente negli ultimi 15 anni, le istituzioni hanno manifestato un’attenzione rinnovata verso questo quartiere. In particolare:
– è stata aperta la sede della circoscrizione, con un presidio della Polizia Municipale e dei servizi anagrafici;
– l’area è stata chiaramente identificata come “direttrice di espansione urbana”, con un consistente rilascio di autorizzazioni e progetti di edilizia, specialmente convenzionata, con ricadute per l’aspetto demografico;
– il quartiere è stato laboratorio di progettualità urbanistica (il villaggio fotovoltaico e il Contratto di Quartiere ne sono esempi)
– si sono insediati servizi di grande distribuzione commerciale, precedentemente pressoché assenti;
– è sorta una zona industriale interna (D4), oltre a quella storica della città (la D3), e una immediatamente limitrofa (Cantalupo/Castellazzo Bormida)-

La ricerca partecipata oggetto di questa proposta rappresenta la necessaria “fase pilota” di un maturo processo di promozione della partecipazione democratica dei cittadini. Il progetto ha dunque la finalità di
1) stimolare una discussione informata, ampia, aperta e inclusiva;
2) condividere e far circolare la conoscenza diffusa presso i cittadini rispetto alle problematiche del quartiere, nelle diverse sfaccettature attraverso le quali esse sono percepite dai cittadini, residenti e non;
3) avviare un percorso più ampio che preveda anche azioni condivise di intervento partecipato. Esso ha quindi una valenza propedeutica nell’ambito di un percorso più ampio che. veda poi una successiva fase di intervento con il coinvolgimentcy dei cittadini, attraverso forme già organizzate della società civile e gruppi -spontanei che vogliano organizzarsi.per agire con scopi comuni a favore. del miglioramento della vita dei quartiere.

L’idea è quella di sperimentare un modello che può essere anche in futuro-replicato in altri quartieri, nell’Ottica di promuovere in maniera più diffusa forrne nuove di partecipazione alla vita cittadina.

Ricaduta Territoriale
l processi partecipativi e deliberativi rappresentano una opportunità dal punto di vista dell’inclusione, della prevenzione del disagio e della coesione sociale, nonché un investimento di medio-lungo periodo per la qualità della vita dei cittadini.

Nel caso del quartiere Cristo un simile percorso partecipato può:
1) restituire una rappresentazione accessibile e co-costruita del quartiere e della sua complessità, fondata su dati quantitativi e qualitativi, introducendo nella costruzione di processi partecipativi cittadini elementi di consapevolezza rispetto al valore del dato e della sua disponibilità.
2) contribuire a distinguere gli oggettivi fattori negativi che si ripercuotono sulla popolazione (deprivazione economica e culturale, difficoltà di collegamento con il resto del tessuto urbano etc.) dalla percezione diffusa degli stessi;
3) far emergere i sistemi di risorse presenti – attive o latenti – nel quartiere (associazioni, reti di solidarietà, attività economiche e imprenditoriali), anche attraverso iniziative specifiche e replicabili come la PdQ;
4) stimolare, a fronte di analisi quali-quantitative rigorose, processi di informazione e partecipazione consapevole dei cittadini (anche di soggetti normalmente collocati ai margini della discussione pubblica) per delineare un possibile fùturo del quartiere in termini di obiettivi, interventi e relative priorità.

Eventuali partners
Il progetto è proposto dall’associazione Mondi Vitali – Gruppo di Alessandria, in collaborazione con il Centro di Cultura – Gruppo di operatori dell’Università Cattolica e il Gruppo Open Data Alessandria (www.associazionemondivitali; www.gocalessandria.it; alessandriaopendata.wordpress.com).

Indicazioni di eventuali esperienze simili già realizzate
Il team che promuove il presente progetto è da circa due anni impegnato, a vario titolo, in un importante percorso di partecipazione attivo nella città di Novara e denominato “SpeDD-Sperimentazione di percorsi di Democrazia Deliberativa”. Promosso da una onlus novarese in collaborazione con partner istituzionali (Comune, Università, Diocesi, ecc.) e del terzo settore (tra i quali il Centro di Cultura alessandrino) e finanziato dalla Fondazione Cariplo, SpeDD si propone di sperimentare a Novara (e, in particolare, in alcuni quartieri della città) un programma coordinato di interventi, volti a promuovere la partecipazione dei cittadini alle scelte e alle azioni collettive attraverso il metodo della deffiocrazia deliberativa. Questa esperienza (sulla quale maggiori dettagli all’indirizzo: www.spedd.it) si pone come precedente prezioso per il presente progetto. Infatti, gli strumenti che questo intende impiegare secondo quanto suesposto sono già stati sperimentati sia sul piano operativo (in termini di competenze disponibili e di attendibilità delle previsioni di costo, con essenziali effetti positivi sulla sostenibilità della presente proposta) sia su quello teorico.

Costi presunti
La durata del presente progetto è prevista in 12 mesi.
Le attività, secondo i principi e le pratiche (documentate e sperimentate nella loro efficacia) delle associazioni partner, saranno in gran parte svolte da persone che opereranno a titolo volontario. Si prevede un impegno medio per ciascun partecipante pari a circa 10 ore mensili.
I partner mettono altresì a disposizione le proprie sedi (in particolare quella del Centro di Cultura, in via inviziati 1 e la propria strumentazione. Le spese vive, relative all’organizzazione di incontri e all’acquisto della strumentazione non disponibile saranno sostenute mediante strumenti di autofinanziamento. Anche in tal caso il preventivo è pienamente sostenibile in ragione ‘dell’esperienza che sia il capofila sia i partner hanno sviluppato nell’ambito del fundraising (dalle cene solidali al crowdfunding).

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Sustanalytics – Big data per la sostenibilità

open_dataIl segretario delle Nazioni Unite Ban Ki Moon ha spinto perchè si avviasse una riflessione a livello globale sull’utilità dei big data. Un esempio?  Attraverso la app “Baidu Recyle”, per ora attiva solo a Pechino e Tianjin, si può conoscere i tempo reale la quotazione sul mercato del riciclo del proprio scarto elettronico e mettersi in contatto con il più vicino riciclatore, grazie all’assistenza di TCL.

L’orologio del millennio scandisce le ore che separano dai nuovi Obiettivi di sviluppo che il mondo si ripromette di perseguire. Le agende delle diplomazie mondiali sono  impegnate a elaborare quella che dovrà essere la continuazione dell’agenda di sviluppo rappresentata dai Millenium Developemnt Goals, ed elaborata nel 2000 al Millenium Summit. Ne usciranno il prossimo settembre, quelli che sono stati ribattezzati come i Sustainable Development Goals (SDGs), che rappresenteranno la cornice entro la quale incanalare l’agenda dello sviluppo dopo il 2015.

Ma dietro quello che sembra all’apparenza un semplice cambio di nome si nasconde una riflessione più profonda che tocca anche i technoscapes, come li ha definiti l’antropologo Appadurai, i nuovi panorami conoscitivi aperti dalle nuove tecnologie, e una delle componenti  fondamentali della contemporaneità.

Un esempio: i big data, l’immensità di dati (strutturati e non strutturati) che vengono immessi ogni giorno in rete dalle interazioni degli utenti di social networks, gps, cellulari, dispositivi medici e ogni altro tipo di device.  Le 4 V distinguono questi dati da quelli ordinari, rendendoli “Big”: velocità nella trasmissione, volume di notizie che contengono, varietà della loro provenienza e valore che sta proprio nell’essere prodotti dagli user riflettendone di fatto le esigenze. E in questo sta la sfida posta dai big data che si sostanzia nel riuscire a raccoglierli, memorizzarli, visualizzarli e analizzarli.

Per fare questo servono algoritmi efficienti  e in tempi ragionevoli perchè questo tsunami informativo venga incanalato, producendo informazioni utili per una serie di fini. Tra questi è sempre più evidente la possibilità, attraverso i big data, di agevolare e supportare pratiche economiche più sostenibili o di cooperazione e sviluppo, specie in ambiti emergenti.

A cementare i big data alla nuova agenda dello sviluppo post 2015, ci ha pensato il segretario delle Nazioni Unite Ban Ki Moon, che ha spinto perchè si avviasse una riflessione a livello globale sull’utilità dei big data affidandone le redini a un Advisory Group presieduto da Robin Li (fondatore del motore di ricerca Baidu) e da Enrico Giovannini, ex Ministro, poi direttore delle statistiche OCSE prima di passare alla presidenza dell’Istat. Il loro compito, coadiuvato anche dalla creazione di UN Global Pulse, un laboratorio con sedi a New York, Jakarta e Kampala, è quello di creare la struttura che servirà a monitorare, attraverso i big data, i progressi compiuti a livello globale per i nuovi target che usciranno a breve.

In questo risiko di innovazione e visioni a lunga gittata non poteva mancare la Cina che presenta sia le competenze sia le condizioni giuste per sfruttare la rete di big data prodotta dai sui 600 milioni di cibernauti.  I fini sono già ben chiari, oltre alle finalità di business per orientare il mercato seguendo i gusti dei nuovi consumatori cinesi, Pechino potrebbe sfruttare, e in parte lo sta già facendo i big data anche a buon fine, per gestire l’imponente processo di urbanizzazione che il paese sta conoscendo e che entro il 20135 promette di portare almeno il 70% della popolazione cinese a vivere in zone urbane, nel mettere in pratica strategie di adattamento ai cambiamenti climatici, e nel gestire processi di evoluzione verso la green economy, e persino nel gestore emergenze quali terremoti e inondazioni.

Un primo passo è già stato fatto, l’agenzia delle Nazioni Unite per lo sviluppo (UNDP) ha avviato una collaborazione proprio con Baidu che ha portato alla creazione del Big data Joint Laboratory focalizzato per il momento su questoni di salute pubblica ed ambiente ma che promette di allargare il proprio spettro in futuro.  Primo prodotto di questa joint venture, un’applicazione per agevolare il riciclo di materiale elettronico, di cui la Cina è processore a livello mondiale con forti conseguenze ambientali. Attraverso l’app “Baidu Recyle”, per ora attiva solo a Pechino e Tianjin, si può conoscere i tempo reale la quotazione sul mercato del riciclo del proprio scarto elettronico e mettersi in contatto con il più vicino riciclatore, grazie all’assistenza di TCL.

Certo lo scenario dei big data cinesi presenta aspetti problematici (rischi di monopolio sulle informazione, gestione della privacy) e che in Cina hanno specificità uniche rispetto al resto del mondo. Prima di tutto è tendenzialmente chiuso laddove la Great FireWall, la muraglia cibernetica voluta da Pechino, riesce, almeno in parte, ancora a contenere le barriere che isolano la rete e il flusso di dati dalla Cina.  In più l’utilizzo dei big data ha negli organi di gestione delle Statistiche, un partner naturale e strategico. Da questo punto di vista la Cina presenta una gestione, in mano al National Bureau of Statistics, “con caratteristiche cinesi”, spesso lacunosa e lascia poco spazio alla comparazione.

Mentre le stime per la crescita del mercato dei big data parlano di un salto dagli attuali 2.3 miliardi di dollari a 8.7 miliardi previsti per il 2016, serve manodopera capace e a questo ci ha pensato IBM che lo scorso luglio ha firmato un memorandum of understanding con il Ministero dell’istruzione cinese, che prevede un fondo del valore di 100 milioni di dollari per fornire software ed expertise a 100 università cinesi per creare la prossima generazione di esperti di Big data.

Le grandi aziende di Media e Internet cinesi non stanno certo a guardare e quella volpe di Jack Ma, CEO di Alibaba, cha creato una divisione destinata a mettere in piedi una struttura per analizzare i dati elaborati ogni giorno dagli utenti delle piattaforme di business-to-business e di e-commerce come Taobao.com. Le finalità in questo caso non paiono comprendere lo sviluppo sostenibile, se non quello degli affari delle corporation cinesi.

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Ecco perché si è costituito l’Istituto Italiano Open Data

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C’è un grande potenziale da sfruttare, anche per le aziende. Come dimostrano numerosi casi europei e americani. L’Italia ora può unirsi a questa schiera. Vediamo come

Naturale conseguenza di un percorso iniziato nel febbraio 2013 con la prima edizione italiana dell’International Open Data Day, la costituzione dell’Istituto Italiano Open Data, avvenuta a maggio, da parte di associazioni, imprese private e aziende pubbliche, è un passo importante per lo sviluppo di quest’area dalle grandi potenzialità in diversi settori, dalla trasparenza delle pubbliche amministrazioni all’efficienza dei processi pubblici al mercato del digitale.

Alcune brevi riflessioni su questi fronti possono aiutare a comprendere quando sia urgente ridare spinta ad una strategia che era stata avviata nel 2012 con il decreto Crescita 2.0, ma che non ha proceduto con la necessaria forza e rapidità.

Trasparenza ed efficienza

Open Data è spesso utilizzato come sinonimo di dati accessibili in una logica di piena trasparenza, in qualche modo limitandone la portata. Anche  nei punti enunciati dal governo per la riforma della PA, che pur mette in evidenza l’importanza dell’apertura dei dati, una sezione è dedicata a “Gli Open Data come strumento di trasparenza. Semplificazione e digitalizzazione dei servizi” e non “Gli Open Data come strumento di trasparenza, semplificazione e digitalizzazione dei servizi”.  Eppure è proprio così, come diverse risposte dei dipendenti pubblici hanno rilevato: realizzare la produzione di dati in formato aperto è sostenibile economicamente nel tempo soltanto se si passa attraverso una profonda revisione dei processi e quindi anche delle soluzioni per la loro digitalizzazione. In questo senso, l’intervento sugli open data non può che correlarsi con azioni atte a migliorare interoperabilità ed efficienza della digitalizzazione dei processi organizzativi, sfruttando al contempo i feedback dagli utilizzatori dei dati per migliorarne la qualità (e, di conseguenza, rivedendo e migliorando la qualità dei processi). Per la pubblica amministrazione, l’efficienza va coniugata a monte con gli interventi sulla trasparenza, non ricercata a valle. E trasparenza, oggi, vuol dire soprattutto Open Data.

Come deriva dalle riflessioni di Gianluigi Cogo, infatti, la pubblicazione di documenti in formato PDF (o, peggio, immagine) determina una situazione in cui diventa praticamente impossibile per i cittadini andare “oltre” il documento, passando ad un’analisi dei dati contenuti, incrociati con altri dati o provenienti da altre amministrazioni. Ed è lo stesso principio di “trasparenza” che rischia di venir meno. Allo stesso modo diventa impedimento la disponibilità parziale dei dati (come ad esempio l’informazione sui beneficiari delle spese pubbliche, quasi mai presente).

Purtroppo, nonostante il principio dell’Open Data by default sia stato introdotto per legge (sempre nel decreto Crescita 2.0 del 2012), il livello di attuazione è ancora estremamente basso e molto lasciato alla buona volontà della singola amministrazione. Nei termini esposti dall’AgID, il rapporto sullo stato di valorizzazione del patrimonio pubblico rispetto alla pubblicazione dei dati in formato aperto “evidenzia come in termini di qualità e di riutilizzo/valore economico la situazione italiana sia molto frammentata con poche realtà virtuose e tante ancora molto lontane dal raggiungimento di tali obiettivi”.

L’opportunità per le imprese

Siamo certamente nell’epoca dei dati, in cui è fondamentale la capacità di gestirli e di analizzarli per prendere decisioni (da quelle quotidiane e operative a quelle strategiche). Gli open data possono rappresentare, in questo contesto, una formidabile materia prima per lo sviluppo.

Non è un caso che McKinsey abbia stimato in 3 trilioni di dollari l’anno il business che può essere sviluppato sugli open data, di cui ben 900 miliardi di dollari nella sola Europa, dove si può stimare un tasso di crescita annuo del 7%.  In particolare i dati geospaziali possono svolgere un ruolo fondamentale (la stima per il Regno Unito è di 13 milioni di sterline l’anno per il 2016), ma anche i dati meteo aperti possono supportare lo sviluppo di un business applicativo significativo, di almeno 1,5 miliardi di dollari negli USA. Se si considera anche l’indotto derivato dalla disponibilità di dati meteo più accurati, la stima basata sull’analisi di siti comeWeather.com è di circa 15 miliardi di dollari tra prodotti e servizi.

L’effervescenza del mercato già inizia a essere consistente, dove si è operata una spinta strategica significativa. Ma nonostante lo sviluppo sia rilevante (dal 2009 al 2013 le iniziative sugli open data a livello internazionale sono passate da 2 a oltre 300) c’è ancora molta strada da fare. Alcuni esempi:

  • sono poco più di 40 i Paesi che si sono dotati di portali Open Data;
  • dei 77 paesi analizzati dall’Open Data Barometer, solo il 55% ha qualche  iniziativa di Open Government Data;
  • solo il 7% dei dataset presenti nel sito statunitense data.gov è sia “leggibile da macchina” sia sotto licenza aperta.

In Europa i Paesi più attivi sono Regno Unito, Svezia e Norvegia, mentre oltre oceano sono gli Stati Uniti ad avere intrapreso con decisione la strada dello sviluppo del business con gli open data. E per far questo, la strategia scelta passa attraverso alcune iniziative chiave, come l’analisi di impatto realizzata nell’ambito didata.gov, con l’approfondimento del modello di business e delle soluzioni innovative applicate ai diversi campi dell’istruzione, dei trasporti, dell’energia, della finanza, dei prodotti di consumo, dei servizi in generale (con esempi come Porch.com nel campo delle costruzioni o iTriage nel settore della salute); o dell’iniziativaGovLab da parte dell’università di New York, che ha censito 500 aziende che utilizzano i dati aperti governativi in modo innovativo, per analizzarle e poter dare suggerimenti sui modelli più efficaci su questo tipo di business. In questo contesto è anche la recente costituzione dell’Istituto Open Data statunitense, ispirato sempre al riferimento internazionale principale, l’Open Data Institute (ODI) fondato da Tim Berners-Lee.

Ed è chiaro così che i benefici degli open data vanno oltre una maggiore trasparenza e una partecipazione civica rivitalizzata. “L’impatto degli open data è enorme” ha di recente affermato Erie Meyer, esponente dell’Office of Science and Technology Policy del governo statunitense, “e, quanto più continuiamo a rendere i dati più facili da usare e condividere, quanto più le imprese possono battere sui dati in modi innovativi e farne beneficiare gli americani.”

E quindi, l’Istituto Italiano Open Data

Su questo solco è anche l’iniziativa dell’Istituto Italiano Open Data, ispirata anch’essa all’ODI, ma nata interamente in un ambito di associazioni e imprese e quindi con una maggiore propensione all’obiettivo dello sviluppo del business. L’Istituto, infatti, si configura come rete di associazioni, organizzazioni, enti, gruppi e persone singole, e vuole avere la duplice funzione di catalizzatore di energie e capacità e di raccordo tra i diversi protagonisti  sugli open data, per favorire l’incontro tra domanda e offerta, lo scambio e lacondivisione di pratiche, strumenti, tecnologie, la valorizzazione degli open data come opportunità di crescita economica.

Verso le organizzazioni governative, in primo luogo AgID e FormezPA, l’Istituto si propone come risorsa di supporto e confronto nella formazione delle politiche sugli open data e nella loro attuazione, oltre che per favorire l’incontro con le associazioni, le imprese, i cittadini.

Tante le attività che l’Istituto sta pianificando, dalla definizione delle modalità di collaborazione con organizzazioni pubbliche e centri di ricerca e universitari, ad iniziative di formazione e sensibilizzazionesul territorio, all’istituzione di un Osservatorio finalizzato a monitorare  lo stato e la qualità di attuazione degli Open Data nella realtà italiana  e fornire anche feedback e proposte agli organi istituzionali di riferimento (Comuni, Regioni, Governo ), sulla base delle esperienze già presenti di valutazione.

Seguendo la logica che deve informare tutte le iniziative di sviluppo e di crescita, soprattutto nelle politiche dell’innovazione: fare rete, mettendo a sistema le eccellenze che già ci sono, valorizzando le competenze già presenti, sfruttando l’enorme potenziale del riuso e della condivisione, è l’unica strategia possibile.

link all’articolo

Nello Iacono (agendadigitale.eu)

 




L’Istituto Italiano Open Data e’ finalmente realta’

open_data

C’è voluto un po’ ma alla fine, dopo una lunga fase di preparazione, si è costituito l’Istituto Italiano Open Data, fortemente voluto anche da Stati Generali dell’Innovazione (l’associazione che più di un nostro blogger rappresenta :)).

L’Istituto si configura come rete di associazioni, organizzazioni, enti, gruppi e persone singole, tutti a sostegno del valore degli Open Data come opportunità di crescita economica. Obiettivo dell’Istituto è quello di catalizzare tutte queste energie e raccordare i diversi protagonisti per far incontrare domanda e offerta e  condividere pratiche, strumenti, tecnologie relative agli Open Data.

Forte di queste energie, appunto, l’Istituto intende anche supportare le organizzazioni governative nella formazione delle politiche sugli Open Data e nella loro attuazione, oltre che per favorire l’incontro con le associazioni, le imprese, i cittadini.

Nei prossimi mesi saranno definite le modalità di collaborazione con queste organizzazioni, da quelle governative come Agenzia per l’Italia Digitale e FormezPA, a enti, associazioni, centri di ricerca e universitari come AMFM,  Archivio Centrale dello Stato, Associazione Informatica Giuridica, CIRSFID – Università di Bologna, Centro Nexa, W3C, Fondazione Bruno Kessler- Centro ICT.

Promosso dagli organizzatori dell’evento italiano dell’International Open Data Day – Stati Generali dell’Innovazione e Regesta.exe – l’Istituto ha tra i fondatori associazioni come Centro Studi Democrazie Digitali, GISIG, Istituto Europeo Pegaso, Italia per il Mondo, IWA Italy, Manager non-profit, OpenGeoData Italia, società in-house come Venis e aziende private come 3D Informatica, Cerved Group, EtcWare, EvoDevo, Forum PA, Lynx, Nexus, Planetek Italia, Sistemi Territoriali, SpazioDati.

Le attività dell’ Istituto Italiano Open Data

Tante le attività che l’Istituto sta pianificando nei prossimi mesi:

  • la realizzazione di piattaforme e processi di condivisione tra tutte le organizzazioni e i soggetti individuali partecipanti;
  • l’organizzazione di incontri e attività di disseminazione per favorire lo sviluppo della comunità degli Open Data in Italia in stretta connessione con il movimento Open Data internazionale.

Inoltre l’istituto intende promuovere e supportare lo sviluppo di tecnologie basate su Open Data all’interno delle organizzazioni  pubbliche e private; definire partnership con Università e Centri di ricerca su problematiche, metodi e tecnologie legate agli Open Data; attivare l’avvio di programmi di supporto alla nascita e allo sviluppo di iniziative imprenditoriali basate sugli Open Data.

Non meno rilevante sarà l’avvio di un Osservatorio per monitorare  lo stato e la qualità di attuazione degli Open Data nella realtà italiana  e fornire anche feedback e proposte agli organi istituzionali di riferimento (Comuni, Regioni, Governo), sulla base delle esperienze già presenti di valutazione.

Infine non potrà prescindere dall’avvio di un confronto sistematico con le organizzazioni governative preposte per supportarle nello sviluppo delle politiche pubbliche in tema di Open Data e la definizione di un piano di attività di disseminazione, comunicazione e sensibilizzazione nei confronti di cittadini, istituti di formazione e imprese sulle finalità e utilizzo dei dati aperti, tra cui è inclusa naturalmente anche l’organizzazione dell’evento italiano dell’International Open Data Day 2015.

  (da pionero.it)




Opendata SmartGov, tutti i dati su smart governance e smart growth

app_Opendata-SmartGovOpendata SmartGov  è un progetto che raccoglie i dati europei e italiani relativi al tema della smart growth ovvero della crescita intelligente, inclusiva e sostenibile del sistema economico, secondo la Strategia europea 2020.

Vengono analizzati, attraverso cruscotti di sintesi, i dati degli indicatori territoriali per le politiche di sviluppo secondo le dieci priorità del quadro strategico nazionale, sulle performance d’innovazione, sullo sviluppo delle smart city, sulla qualità della vita, su energia e ambiente, su mobilità e trasporto, sulla formazione e istruzione, sul commercio estero e sull’industria.

In particolare il portale Opendata SmartGov rende disponibili 9 pagine, che analizzano in serie storica gli indicatori per tematica, fornendo i dati di ogni regione, paese e settore pubblicati in formato aperto e consultabili anche con applicazioni interattive: Smart Economy, Smart Sectors e SmartRegions Scoreboard, cruscotti di sintesi elaborati con i dati Eurostat ed Istat relativi alle tematiche regionali citate.

Data Smart economy
La sezione presenta per i 27 paesi europei gli indicatori della strategia UE 2020 rappresentativi delle tre priorità per un’economia intelligente, sostenibile e inclusiva, caratterizzata da alti livelli di occupazione, produttività e coesione sociale. La Commissione propone i seguenti obiettivi principali per l’UE: il 75% delle persone di età compresa tra 20 e 64 anni deve avere un lavoro; il 3% del PIL dell’UE deve essere investito in R&S; i traguardi “20/20/20″ in materia di clima/energia devono essere raggiunti (compreso un incremento del 30% della riduzione delle emissioni se le condizioni lo permettono); l tasso di abbandono scolastico deve essere inferiore al 10% e almeno il 40% dei giovani deve essere laureato; 20 milioni di persone in meno devono essere a rischio di povertà.

Data Smartcity
La sezione fornisce per i 10 comuni metropolitani i dati dei seguenti indicatori

  • verde pubblico nelle città
  • trasporto pubblico
  • dotazione di parcheggi
  • passeggeri trasportati dal TPL
  • posti-km offerti
  • stazioni di monitoraggio della qualità dell’aria
  • indice di microcriminalità e di attrattività dei servizi ospedalieri

Una città intelligente è basata soprattutto su una gestione ottimizzata delle risorse energetiche e su un trasporto pubblico urbano efficiente, riducendo le emissioni di carbonio, i rifiuti, l’inquinamento e la congestione e puntare sulle nuove tecnologie per migliorare la gestione dei processi urbani e la qualità della vita dei cittadini. Tecnologiche e interconnesse, sostenibili, confortevoli, attrattive, sicure per garantire uno sviluppo urbano equilibrato e al passo con la domanda di benessere che proviene dalle sempre più popolose classi medie internazionali. Nel rapporto “European Smart Cities” (www.smart-cities.eu) dell’Università di Vienna sono stati identificati alcuni paramentri smart.

Data Smart innovation

Per analizzare lo sviluppo d’innovazione e ricerca sono stati presi in considerazione per regione i seguenti indicatori:

  • grado di diffusione dei pc nelle imprese
  • addetti alla R&S
  • spesa pubblica e delle imprese in R&S
  • intensità brevettuale
  • grado di diffusione di Internet nelle famiglie
  • indice di diffusione dei siti web delle imprese
  • indice di diffusione della banda larga nelle imprese

La capacità innovativa e l’innalzamento del livello tecnologico contribuisce in modo sostanziale ad accrescere le potenzialità di sviluppo economico, ponendosi come un’importante strumento per la valorizzazione del territorio e delle risorse in esso contenute, con l’obiettivo di migliorare il posizionamento competitivo regionale e rafforzare lo sviluppo di relazioni produttive.

Data Smart living

La sezione fornisce i dati per regione relativi agli indicatori che meglio identificano il tema Smart living:

  • l’incidenza della certificazione ambientale
  • l’indice di criminalità violenta
  • la capacità di attrazione del turismo
  • il grado di partecipazione del pubblico agli spettacoli teatrali e musicali
  • l’intensità creditizia
  • la raccolta differenziata dei rifiuti urbani
  • l’indice di povertà regionale
  • la capacità di sviluppo dei servizi sociali
  • la diffusione dei servizi per l’infanzia.

Una città smart fonda la propria crescita sul rispetto della sua storia e della sua identità; promuove la propria immagine turistica con una presenza intelligente sul web; virtualizza il proprio patrimonio culturale e le proprie tradizioni e le restituisce in rete come “bene comune” per i propri cittadini e i propri visitatori; usa tecniche avanzate per creare percorsi e “mappature” tematiche della città e per renderle facilmente fruibili.

Data Smart environment

La sezione presenta i dati per regione relativi agli indicatori che meglio rappresentano il tema Smart environment:

  • i rifiuti urbani raccolti
  • la percentuale di rifiuti urbani smaltiti in discarica
  • le coste non balneabili per inquinamento
  • elementi fertilizzanti usati in agricoltura
  • i principi attivi contenuti nei prodotti fitosanitari
  • l’energia prodotta da fonti rinnovabili
  • la potenza efficiente lorda prodotta da fonti rinnovabili
  • l’intensità energetica dell’industria
  • l’inquinamento causato dai mezzi di trasporto

Una città smart promuove uno sviluppo sostenibile puntando alla riduzione dell’ammontare di rifiuti e alla raccolta differenziata, alla riduzione delle emissioni di gas serra attraverso la limitazione del traffico e all’ottimizzazione delle emissioni industriali.
A questi obiettivi si possono aggiungere la razionalizzazione dell’edilizia ed il conseguente abbattimento dell’impatto del riscaldamento e della climatizzazione, la razionalizzazione dell’illuminazione pubblica, la promozione, la protezione e la gestione del verde urbano, la bonifica delle aree dismesse.

Data Smart mobility

La sezione presenta i dati per regione relativi agli indicatori identificativi del tema Smart mobility:

  • le merci in entrata e in uscita per ferrovia
  • l’indice del traffico merci su ferrovia
  • le merci in entrata e in uscita su strada
  • l’indice del traffico merci su strada
  • le merci in entrata e in uscita in navigazione di cabotaggio
  • l’indice del traffico merci in navigazione di cabotaggio
  • l’indice del traffico aereo
  • la lunghezza della rete ferroviaria e stradale

Smart mobility significa spostamenti agevoli, buona disponibilità di trasporto pubblico innovativo e sostenibile con mezzi a basso impatto ecologico, regolamentazione dell’accesso ai centri storici a favore di una maggiore vivibilità, adozione di soluzioni avanzate di mobility management e di infomobilità per gestire gli spostamenti quotidiani dei cittadini e gli scambi con le aree limitrofe.

Data Smart people

La sezione presenta i dati per regione relativi agli indicatori identificativi del tema Smart people: gli occupati che partecipano ad attività formative, i non occupati che partecipano ad attività formative, il livello di istruzione della popolazione di 15-19 anni, il tasso di abbandono alla fine del secondo anno delle scuole secondarie superiori, il tasso di abbandono alla fine del primo anno delle scuole secondarie superiori, gli adulti che partecipano all’apprendimento permanente, il tasso di scolarizzazione superiore, il livello di istruzione della popolazione adulta e i laureati in discipline scientifiche. Una ritrovata consapevolezza e partecipazione nella vita pubblica, gli alti livelli di qualifica dei cittadini, una pacifica convivenza di diversi portatori di interesse e comunità sono alcune delle caratteristiche smart che si possono trovare in una “città intelligente”.

Data Smart trade

La sezione individua per regione i dati relativi agli indicatori rappresentativi del tema Smart trade:

  • il tasso di crescita dell’export
  • la capacità di esportare
  • il grado di apertura dei mercati
  • il grado di dipendenza economica
  • la capacità di esportare in settori a domanda mondiale dinamica
  • il peso dell’export del settore agroalimentare
  • la capacità di attrazione di investimenti esteri
  • gli investimenti diretti della regione all’estero
  • gli investimenti diretti netti dall’estero in Italia sul Pil

Una visione strategica del proprio sviluppo viene definita in base ad opportune scelte d’internazionalizzazione, di commercio con l’estero e di delocalizzazione produttiva, in grado di promuovere linee d’azione mirate ad ampliare la presenza sui mercati esteri e finalizzate ad aumentare il livello di investimenti esteri.

Data Smart sectors

La sezione fornisce i dati di performance economica per settore relativi agli indicatori utilizzati per identificare il tema Smart sectors:

  • il valore aggiunto
  • gli occupati
  • le retribuzioni
  • la produzione
  • le esportazioni
  • importazioni

L’obiettivo di un sistema smart sectors è quello di sensibilizzare azioni finalizzate a promuovere i settori chiave e strategici per lo sviluppo economico e industriale, riorganizzare i comparti tradizionali in termini di sostenibilità e competitività, e ricorrere ad un maggiore utilizzo delle tecnologie per la digitalizzazione dell’informazione e della comunicazione.

http://www.pionero.it/2014/02/14/opendata-smartgov-tutti-dati-su-smart-governance-e-smart-growth/




Open Data ed energia: come monitorare i consumi energetici del territorio

opendata_energiaLa più grande sfida di una Smart City è creare un ambiente sostenibile, per esempio ottenendo la riduzione dei consumi di energia; proprio per questo l’Unione Europea ha promosso il Patto dei Sindaci per il risparmio energetico – PAES, attraverso cui dovrà essere fatta una pianificazione dei consumi energetici sul territorio, incentivando la produzione di energia attraverso fonti rinnovabili.

Presupposto della pianificazione di qualsiasi azione è conoscere la situazione di partenza, cioè i dati dei consumi del territorio (utenze domestiche e produttive); così come per monitorare l’efficacia delle azioni previste nel piano e’ necessario verificare le variazioni dei medesimi dati, in modo da misurarne gli scostamenti e vedere se le azioni previste hanno avuto risultati positivi o meno.

Proprio per questo è essenziale partire dai dati del consumo energetico del territorio, tanto che è stato coniato lo slogan “Raw data energy now”: ma come può fare un Comune ad entrare in possesso di questi dati? Si possono ottenere dai gestori che si occupano di energia? E soprattutto, come contattare i gestori, ora che il mercato non è più in condizione di monopolio e siamo in regime di libera concorrenza?

In realtà, i dati dei consumi delle utenze di energia elettrica e gas sono già da tempo in possesso degli Enti Locali: infatti, a partire dalla Legge Finanziaria del 2005 (art. 1 commi 332, 333 e 334 della legge n. 311 del 31 dicembre 2004), l’Agenzia delle Entrate mette a disposizione dei Comuni questi dati attraverso il SIATEL, al fine di effettuare verifiche tributarie.

I dati dei consumi sono annuali e sono riferiti ai soggetti residenti in un dato immobile, identificato con i dati catastali; purtroppo questi dati hanno un formato poco leggibile, e quindi siamo partiti con l’idea di inserirli nel Sistema Informativo Territoriale, con l’obiettivo di visualizzarli sulla mappa del territorio, utilizzando i dati degli immobili e dei residenti come chiavi di ricerca.

Proprio a questo punto ci siamo resi conto che se questi dati vengono opportunamente elaborati con un algoritmo che compara i consumi totali di un edificio con la superficie dell’immobile, si può arrivare alla classificazione energetica delle abitazioni del territorio…. Ed ecco, il gioco è fatto! Dal mash up di 3 diverse banche dati (catasto immobili, anagrafe, consumi energetici) si crea un possibile sistema di monitoraggio dei consumi energetici del territorio.

Ultimo passo, ma non il meno importante, è rendere a disposizione i dati in formato Open: per cui abbiamo scelto il .kml, perché immediatamente visibile e rappresentabile con Google Earth, e il file è a disposizione di tutti sul portale Open Data della Regione Emilia-Romagna.
I dati così pubblicati non hanno alcun riferimento personale, perchè sono comunque riferiti all’immobile nel suo complesso, che vengono visualizzati con il colore corrispondente al livello di classificazione energetica attribuito.

I dati ovviamente andrebbero resi più precisi, mappando anche gli immobili che contengono impianti che producono energia da fonti rinnovabili: in questo caso chi possiede le informazioni è GSE, società pubblica che autorizza gli impianti di produzione di energia.

E inoltre occorre tenere presente che un immobile può avere un basso consumo energetico perché disabitato, e in questo caso è sufficiente verificare se ci siano soggetti residenti; ma tutto ciò rappresenta un ottimo punto di partenza per la rappresentazione della situazione del territorio, soprattutto per iniziare a condividere a vari livelli cosa vuol dire classificazione energetica, e come si rapporta rispetto ai consumi annui, su come si può risparmiare e che incidenza può avere questo risparmio sull’ambiente; in una parola, è utile per creare cultura e condivisione di un modello virtuoso.

Nel documento pubblicato a questo link sono riportati in modo più esaustivo i riferimenti normativi, alcuni accenni alla privacy, le modalità di accesso ai dati, i requisiti di sistema, l’unione delle banche dati, pubblicazione del file in formato aperto, possibili utilizzi dei dati.

A questo punto, l’esperimento può essere replicato su tante realtà, piccole e grandi: perchè non creare una mappa nazionale dei consumi energetici?

L’ambiente sostenibile e il risparmio sono un vantaggio per tutti, vediamo se riusciamo ad ottenere dei miglioramenti usando i dati che abbiamo! Una grande sfida per tutti.
Patrizia Saggini
link all’articolo




Open Data ed energia: come monitorare i consumi energetici del territorio

open_dataLa più grande sfida di una Smart City è creare un ambiente sostenibile, per esempio ottenendo la riduzione dei consumi di energia; proprio per questo l’Unione Europea ha promosso il Patto dei Sindaci per il risparmio energetico – PAES, attraverso cui dovrà essere fatta una pianificazione dei consumi energetici sul territorio, incentivando la produzione di energia attraverso fonti rinnovabili.

Presupposto della pianificazione di qualsiasi azione è conoscere la situazione di partenza, cioè i dati dei consumi del territorio (utenze domestiche e produttive); così come per monitorare l’efficacia delle azioni previste nel piano e’ necessario verificare le variazioni dei medesimi dati, in modo da misurarne gli scostamenti e vedere se le azioni previste hanno avuto risultati positivi o meno.

Proprio per questo è essenziale partire dai dati del consumo energetico del territorio, tanto che è stato coniato lo slogan “Raw data energy now”: ma come può fare un Comune ad entrare in possesso di questi dati? Si possono ottenere dai gestori che si occupano di energia? E soprattutto, come contattare i gestori, ora che il mercato non è più in condizione di monopolio e siamo in regime di libera concorrenza?

In realtà, i dati dei consumi delle utenze di energia elettrica e gas sono già da tempo in possesso degli Enti Locali: infatti, a partire dalla Legge Finanziaria del 2005 (art. 1 commi 332, 333 e 334 della legge n. 311 del 31 dicembre 2004), l’Agenzia delle Entrate mette a disposizione dei Comuni questi dati attraverso il SIATEL, al fine di effettuare verifiche tributarie.

I dati dei consumi sono annuali e sono riferiti ai soggetti residenti in un dato immobile, identificato con i dati catastali; purtroppo questi dati hanno un formato poco leggibile, e quindi siamo partiti con l’idea di inserirli nel Sistema Informativo Territoriale, con l’obiettivo di visualizzarli sulla mappa del territorio, utilizzando i dati degli immobili e dei residenti come chiavi di ricerca.

Proprio a questo punto ci siamo resi conto che se questi dati vengono opportunamente elaborati con un algoritmo che compara i consumi totali di un edificio con la superficie dell’immobile, si può arrivare alla classificazione energetica delle abitazioni del territorio…. Ed ecco, il gioco è fatto! Dal mash up di 3 diverse banche dati (catasto immobili, anagrafe, consumi energetici) si crea un possibile sistema di monitoraggio dei consumi energetici del territorio.

Ultimo passo, ma non il meno importante, è rendere a disposizione i dati in formato Open: per cui abbiamo scelto il .kml, perché immediatamente visibile e rappresentabile con Google Earth, e il file è a disposizione di tutti sul portale Open Data della Regione Emilia-Romagna.
I dati così pubblicati non hanno alcun riferimento personale, perchè sono comunque riferiti all’immobile nel suo complesso, che vengono visualizzati con il colore corrispondente al livello di classificazione energetica attribuito.

I dati ovviamente andrebbero resi più precisi, mappando anche gli immobili che contengono impianti che producono energia da fonti rinnovabili: in questo caso chi possiede le informazioni è GSE, società pubblica che autorizza gli impianti di produzione di energia.

E inoltre occorre tenere presente che un immobile può avere un basso consumo energetico perché disabitato, e in questo caso è sufficiente verificare se ci siano soggetti residenti; ma tutto ciò rappresenta un ottimo punto di partenza per la rappresentazione della situazione del territorio, soprattutto per iniziare a condividere a vari livelli cosa vuol dire classificazione energetica, e come si rapporta rispetto ai consumi annui, su come si può risparmiare e che incidenza può avere questo risparmio sull’ambiente; in una parola, è utile per creare cultura e condivisione di un modello virtuoso.

Nel documento pubblicato a questo link sono riportati in modo più esaustivo i riferimenti normativi, alcuni accenni alla privacy, le modalità di accesso ai dati, i requisiti di sistema, l’unione delle banche dati, pubblicazione del file in formato aperto, possibili utilizzi dei dati.

A questo punto, l’esperimento può essere replicato su tante realtà, piccole e grandi: perchè non creare una mappa nazionale dei consumi energetici?

L’ambiente sostenibile e il risparmio sono un vantaggio per tutti, vediamo se riusciamo ad ottenere dei miglioramenti usando i dati che abbiamo! Una grande sfida per tutti.
Il Patto dei Sindaci
portale open data regione Emilia Romagna
riferimenti normativi