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Questo referendum non darà risposte all’Italia dei “Robinù”

Senza soluzione – Nell’Italia profonda una società di ragazzini sopravvive a se stessa. Ma né Renzi né nessun Trump li salverà.
Trump ha vinto e tutti credono di sapere il perché. Grillo in particolare, che addirittura si esalta per la vittoria del miliardario americano, parla di una Apocalisse che si è abbattuta sulle élite, sui giornali, sulle televisioni, sui sondaggi e sugli intellettuali. Non avrebbero capito niente dell’America profonda, quella più lontana dalle stanze del potere politico, economico e culturale. Sempre Grillo profetizza che la stessa Apocalisse si abbatterà sull’Italia (non si capisce se con l’aiuto di Salvini e la Meloni, come a Roma) a opera degli eroi del Movimento 5 Stelle dei quali si conoscono, al momento, una diligente attività parlamentare e barricate solo virtuali, oltre che la tendenza alla parsimonia e gli inni all’onestà. Uno tsunami proveniente dalle periferie si preparerebbe a spazzar via la cocuzza Hillary Renzi, tutto il cocuzzaro delle lobby annesse e connesse, e praticamente ciò che resta di una democrazia in crisi, conquistando i palazzi della politica. Al momento non si capisce se il mondo che verrebbe alla luce sarebbe una versione rinnovata della democrazia occidentale o qualcos’altro.

Pur non pretendendo di salire sull’Arca di Noè dei sopravvissuti, vorrei ricordare che la mia squadra ha raccontato la rivolta dei forconi in Sicilia e la sommossa di Nichelino in Piemonte ben prima che il Movimento divenisse così forte. Inoltre il 6 e il 7 dicembre porteremo con una certa emozione nei cinema Robinù, ovvero la descrizione spietata di un vero e proprio stato sociale criminale che a Napoli impiega nello spaccio della droga decine e decine di migliaia di persone. Una realtà sulla quale, nonostante i nostri precedenti lavori e i ripetuti appelli di Roberto Saviano che dedica a essa il suo ultimo libro, si preferisce chiudere gli occhi.

La scuola pubblica continua a espellere vergognosamente, nell’indifferenza generale, ragazzini nell’età dell’obbligo scolastico, violando impunemente la legge e facendo in modo che le classi, ripulite dagli indisciplinati ribelli insofferenti alla didattica, guadagnino tranquillità ed efficienza. Le donne, che la mattina preparano come tutte le altre mamme con amore i loro bambini per andare all’asilo, vendono cocaina diciotto ore al giorno, operaie di una immensa fabbrica illegale, e finiscono in carcere, separandosi drammaticamente dai loro piccoli, per mille euro al mese o poco più; mentre la ricchezza prodotta finisce nel Pil, a beneficio di tutti noi “perbene” e contribuisce al buon andamento della società. Bambini di otto anni sfilano in una via centrale a Napoli, impugnando pistole vere, per fare un’altra “Stesa”, come chiamano le scorribande con gli scooteroni; e muoiono a decine ventenni, diciottenni, sedicenni, nella lotta senza fine per contendersi il territorio e le piazze di spaccio dopo che i vecchi boss sono andati in galera o si sono pentiti.

Tutte le forze politiche girano la faccia dall’altra parte; e solo qualche uomo di Chiesa fa sentire la sua voce per rompere il silenzio. Il dibattito s’accende e l’azione repressiva s’intensifica quando per errore cade una vittima innocente. Poi si torna a parlare de “l’altra Napoli”, delle meraviglie turistiche della città, che vengono usate come lapidi sui morti dimenticati e su una grande questione sociale lasciata nelle mani della criminalità organizzata.

Eppure nelle storie della guerra delle “paranze dei bambini” non c’è soltanto la corsa all’oro, che ci racconta Gomorra, o il non volersi rassegnare a un destino di sottoprecariato pagato spiccioli. Un popolo giovane, il più giovane d’Italia, conduce la sua esistenza tra il quartiere e il carcere come fosse un unicum abitativo, sognando soldi facili, sesso, potere, come tutti i ragazzi di oggi. Per realizzarli non ha altro che coraggio e disprezzo della morte.

Nelle serie televisive i caratteri dei personaggi tendono ad assomigliare a maschere a volte grottesche; i veri baby boss di Robinù, invece, sono altrettanto spietati e cinici ma, contemporaneamente, esprimono una forza sentimentale straordinaria, passione per la vita, amore infinito per la propria famiglia, voglia di far figli già a diciotto anni, gusto del rischio e dell’avventura. Tutte cose che la nostra società ha perduto da tempo. Nel centro storico di Napoli o a Caivano si diventa nonni all’età in cui nella società normale ancora si esita a concepire il primo figlio. E non certo perché si rompe il preservativo.

Dopo che questa infinita campagna referendaria sarà finita e avrà vinto il Sì di Renzi ci si occuperà finalmente di questi bambini che sono stati fino a oggi “dimenticati” dal Partito democratico? Non ne ignoravano certo l’esistenza ma erano incapaci di concepire un piano di vero risanamento sociale che richiederebbe un’idea di come redistribuire la ricchezza e di chi e come debba pagare il prezzo di questa redistribuzione.

Ma anche se vincesse il No non ci sarebbe ragione di essere ottimisti. La rivolta che corre nella Rete e travolge il vecchio ordine sociale, di cui Trump o Grillo o Salvini si fanno portavoce, è dominata dall’idea della tolleranza zero, da un’ansia di ordine e sicurezza che prova a tornare alla patria-nazione, qualche volta a una patria ancora più piccola, a chilometro zero, abitata da nostri simili a somiglianza dei social. Una comunità con pochi stranieri, “solo se servono e sono comunque indispensabili” (sicuramente per pulire le case e il culo dei vecchi costretti sulle sedie a rotelle), darebbe vita a una autarchia ecologica, come sognava in Austria il neonazista Haider, con meno scambi, spostamenti, viaggi e molto tempo passato sul proprio computer o nell’orto a produrre lattuga con fertilizzanti naturali.

Un mondo talmente noioso da avere sempre bisogno di ricchi da spiare, di potenti corrotti da cacciare, di nemici da inseguire e giustiziare. Per il momento a colpi di clic. Far lavorare i baby boss non avrebbe alcun senso in una società in cui il lavoro sarebbe considerato una ideologia del passato. Solo piccole opere essenziali, senza nuvole, senza archistar, senza inutili ponti e inutili treni che corrono a inutile alta velocità, senza avventure spaziali e altre Olimpiadi. Così come stiamo potremmo star meglio, soltanto risparmiando e riducendo le spese inutili e le macchine blu e gli stipendi dei parlamentari. E se qualcuno non si accontentasse del salario di cittadinanza e si ostinasse a delinquere? In galera! Naturalmente.

Ce lo vedete un simil Trump a occuparsi veramente degli abitanti di Quarto Oggiaro, di Secondigliano, di Tor Bella Monaca o dello Zen di Palermo, quelle periferie dove si urla “Prima gli italiani!”? Se si urlasse “Prima le periferie!” sarebbero disponibili quelli che, non essendo zingari, immigrati, clandestini, abitano negli altri quartieri e oggi applaudono entusiasti? Per Renzi e per i suoi avversari è più comodo parlare di tagli, risparmi, riduzione delle tasse e lotta alla corruzione che studiare il modo di indirizzare parte della ricchezza accumulata, senza necessariamente espropriarne i proprietari, verso quelle parti della società a cui è stata sottratta, usandola e investendola nell’interesse di tutti.

Oggi a occuparsi delle grandi ingiustizie restano in maniera aberrante quelli dell’Isis e i Robinù, che li imitano a modo loro, sia pure rivolgendo la violenza prevalentemente contro se stessi. Gli arrabbiati si affidano ai miliardari evasori fiscali per scatenare l’Apocalisse. Ma se si spegnessero i giornali e le tv, gli intellettuali smettessero di pensare, e i sondaggisti di sondare, dopo la vittoria di Trump, il mondo sarebbe migliore, la democrazia sarebbe più forte e le periferie conterebbero di più? Non mi entusiasma dover scegliere tra questo sì e questo no al Referendum, come non mi entusiasmava la candidatura di Hillary. Ma, non so voi, io a New York sarei in strada a manifestare. E scusate se è inutile.

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PATTO PER NAPOLI TRA RENZI E DE MAGISTRIS, ECCO COSA ACCADE

Una stretta di mano tra Renzi e de Magistris e la sigla del Patto per Napoli. Oggi in città, il premier e il sindaco hanno sottoscritto un accordo per un totale di 308 milioni destinati a trasporti, ambiente, periferie. Renzi arriva direttamente da Roma, anche se in ritardo, e, ad attenderlo, in Prefettura, ci sono il sindaco, il presidente della Regione Campania Vincenzo De Luca, e il sottosegretario Claudio de Vincenti.

Artefice, quest’ultimo, del preludio dell’incontro di oggi. Due settimane fa, infatti, fu lui a ricevere il sindaco di Napoli a Palazzo Chigi, dopo quasi due anni di ‘gelo istituzionale’ tra il primo cittadino partenopeo e il premier. “Con il sindaco abbiamo idee diverse dal punto di vista politico – ha affermato Renzi – ma Napoli è più grande dal punto di vista istituzionale”. E per de Magistris la firma del patto di oggi è “frutto del dialogo istituzionale, arrivato ad appena 15 giorni da quando siamo stati chiamati a Palazzo Chigi”.
Cosa porta il Patto per Napoli siglato tra Renzi e de Magistris

Il Patto per Napoli segna un momento di tregua tra Renzi e de Magistris per il commissariamento di Bagnoli. Un punto che, però,m ha assicurato de Magistris, non cambia. “Ribadiamo il no al commissariamento di Bagnol – ha assicurato il sindaco – Lo abbiamo fatto anche andando a Roma, alla manifestazione, con la fascia tricolore”. A conti fatti, secondo de Magistris, il Patto “una vittoria per la città”.

I soldi del Patto, i 308 milioni, sono destinati per lo più a trasporti, riqualificazione urbana delle periferie, ambiente per un totale di 15 interventi. Al settore dei trasporti, il Patto destina circa 180 milioni. In parte saranno utilizzati per completare la tratta della Linea 1 della metropolitana di Napoli, così da chiudere l’anello e raggiungere l’aeroporto di Capodichino. Sono previsti anche fondi per la seconda uscita della stazione della metro nel quartiere Sanità, nelle vicinanze della fermata Materdei e al completamento della Linea 6 Mergellina-Municipio che avrà un interscambio con la Linea 1. Gli inerenti riguardano anche il collegamento, tramite tram, che colleghera’ l’ area orientale con il Comune di Volla, dove ha sede il Centro Agroalimentare.

Alle periferie vengono destinati 30 milioni: serviranno per abbattere le Vele di Scampia, ne resterà una soltanto che sarà destinata a sede della Città metropolitana. Infine, per quanto riguarda l’ambiente, sono previsti interventi per la depurazione delle acque reflue, bonifica della falda e adeguamento dell’impianto di depurazione di Napoli est, ottimizzazione dei servizi di raccolta differenziata. Sono inoltre previsti interventi di restauro degli edifici privati, nel centro storico cittadino, patrimonio Unesco e la progettazione del parco archeologico di piazza Municipio.
Patto per Napoli, le proteste contro Renzi

E mentre nel palazzo di Governo Renzi e de Magistris sottoscrivono il patto, all’esterno un gruppo di manifestanti si è riunito esponendo striscioni contro l’accordo ribattezzato “Il Pacco per il Sud“. I “Disoccupati 7 novembre” hanno affisso uno striscione facciata di Palazzo Reale, poco distante dalla Prefettura, mentre nella vicina piazza Trieste e Trento altri manifestanti hanno esposto striscioni in difesa del lavoro, contro il commissariamento di Bagnoli e contro il referendum costituzionale di dicembre. Dopo un presidio in piazza, i manifestanti, in corteo, hanno percorso via Toledo intonando cori contro il Governo.

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Napoli spaccata in due: la percentuale dei laureati quartiere per quartiere

Scriviamo Napoli, si legge una città spaccata in due. Da una parte i quartieri residenziali, ordinati e puliti, abitati da famiglie facoltose, borghesi e dalle cosiddette famiglie normali. Dall’altro lato della barricata le periferie con i problemi di sempre: povertà, difficile accesso allo sport e addensamento dei clan camorristici che trovano terreno fertile approfittando della mancanza dello Stato. In questi quartieri la camorra si alimenta della povertà altrui sostituendosi alle istituzioni, sviluppa le sue cellule criminali e tenta di respingere le azioni del popolo volte al riscatto di quelle terre.

Tra queste case, su strade asfaltate male dove l’economia non vede il sole, anche l’accesso allo studio diventa un privilegio per pochi. Le condizioni ambientali fanno il resto. I numeri tratti dal censimento del 2011 della città di Napoli che ha contato quanti laureati ci sono in città, municipalità per municipalità, fotografa una situazione intollerabile. La politica negli ultimi anni si è allontanata dalle periferie, lasciandole marcire al proprio destino. Un fatto da deplorare senza se e senza ma.

Nella tabella che segue sono evidenziate, dal Dottore di Ricerca all’Università di Teramo Pietro Sabatino, in verde i quartieri dove c’è la percentuale più alta di laureati napoletani. Si va dal 34,4% di Posillipo al 30% del quartiere San Giuseppe della prima municipalità. Statistiche ben diverse nelle periferie dove si va dal 3,5% di Scampia al 4,9% di Secondigliano. I dati in percentuale si riferiscono al numero totale dei residenti in quel determinato rione.

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Un gap ampio che evidenzia condizioni di vita notevolente diverse. Eppure anche Ponticelli, San Giovanni a Teduccio, Barra e gli altri quartieri rappresentano Napoli. Sarebbe poi interessante possedere i numeri che riguardano il fenomeno dell’emigrazione interna. Famiglie che trovata una maggiore stabilità economica si spostano dalle periferie e vanno a vivere nei quartieri migliori. In diverse municipalità di Napoli sono presenti nuclei familiari che provengono da quei quartieri segnati nella tabella in rosa.

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Napoli, apre lo store del “tempo”.

Si comprano e si offrono ore per lavorare, studiare, scambiare esperienze
Una casa privata, ma aperta al pubblico. Un salotto, una cucina, un giardino per incontrarsi.
Nasce a Napoli Stazione di Posta 108, la prima Open house cittadina. Una casa privata, ma aperta al pubblico. Un salotto, una cucina, un giardino per incontrarsi, lavorare, studiare, dove si paga solo il tempo di permanenza: 3 euro all’ora. Un progetto di Ciro Sabatino, giornalista, editore, instancabile animatore culturale (sua l’idea della prima libreria popolare Iocisto al Vomero) che ancora una volta importa in città quello che in Europa è già un fenomeno diffuso. “Di open house ce ne sono a Parigi, Londra e Madrid e sono luoghi di condivisione frequentati soprattutto da studenti e ragazzi”, spiega. Spazi fluidi e trasversali che non sono bar né locali. Luoghi di passaggio, per lo più. Di persone, di idee, di progetti. “Come le stazioni di posta di un tempo, dove i viandanti si fermavano per una o più notti nei loro spostamenti condividendo racconti ed esperienze”.

L’apertura di Stazione di Posta 108 è fissata per domenica alle 18. L’indirizzo è via Manzoni 21, all’interno della storica Villa Patrizi all’angolo con via Caravaggio. Duecento metri quadrati circa con giardino, piccolo parcheggio per biciclette e motorini, connessione Wi-fi, biblioteca, computer, stampante e scanner, sala riunioni, ma anche ping pong, biliardino, scacchi e freccette. Perché le open house sono luoghi anche di gioco e di svago, cosa ben diversa dagli spazi di co-working.

“E poi c’è sempre pane e Nutella e caffè caldo fatto in casa”, aggiunge Sabatino. Nel prezzo di 3 euro all’ora (15 euro per l’intera giornata) è infatti incluso il consumo di ciò che si trova in frigo e in dispensa. Sempre pane fresco, acqua, caffè, bibite e il necessario per cucinarsi uno spaghetto al pomodoro. Lo spazio è a tempo, dalle sette del mattino al tardo pomeriggio; dopo le 18 Stazione di Posta ospiterà una serie di eventi a pagamento come i Lunedì del Teatro ed altre serate a tema.

“Stiamo lavorando ora alla Mystery Library, la prima biblioteca ed archivio dedicati al giallo e alla letteratura del mistero con particolare attenzione ai piccoli editori e agli autori emergenti”. Il bookcrossing è solo una delle forme di condivisione proposte, ma Sabatino guarda ancora più lontano: “La sfida è quella di fare rete, net-working, di pensare i luoghi in
modo diverso perché solo dall’incontro e dal confronto creativo nascono progetti spesso vincenti”. Una sorta dunque di factory del pensiero, di creatività urbana condivisa. La formula dell’open house è quella dell’associazione culturale, per accedere allo spazio a tempo è infatti necessario prima associarsi pagando la quota annuale di 10 euro. Stazione di posta sarà aperta dal lunedì al venerdì dalle 7 alle 18.

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Francesco Di Bella, in ‘Nuova Gianturco’ tutte le periferie di Napoli

“Dinto ‘o scuro addo’ llate si perdono, lla sicur’ me puo’ truva’.” Con Francesco Di Bella non si sbaglia mai, lo si trova sempre dove gli altri si perdono, ovvero dinto ‘o scuro. A distanza di vent’anni dal suo esordio con i 24 Grana, l’ex leader della band napoletana, ritorna da solista con un album di inediti, Nuova Gianturco (La canzonetta, 2016), con la produzione artistica di Daniele Sinigallia. Dieci tracce tra cui la cover di Brigante se more, capolavoro dei Musica Nova, che porta la firma di Eugenio Bennato e il compianto Carlo D’Angiò, qui rivisitata insieme a Dario Sansone dei Foja e Gnut. “Oltre all’omaggio a due grandi autori volevo sancire, nel disco, questo bel rapporto che si è creato sul palco con Dario e Gnut, basato sulla passione per il folk e il folk rock e questo pezzo mi sembrava adatto, un territorio comune”.

Anticipato dal singolo, Tre nummarielle, il disco mette al centro la periferia “Ca te spezz ‘o core, chin ‘e malincunia dove l’amore non basta”. “La periferia per me – continua Di Bella – è un non luogo dove tutto manca e a disposizione si ha solo immaginazione e forza di volontà e proprio per questo tutto ciò che avviene di bello è ancora più bello”.

Un album intimo e delicato, che racconta i sogni, le delusioni e le speranze di chi vive ai margini dell’impero. Un disco di presenze e di fantasmi, che dall’oscurità escono per raccontare la propria storia. E Di Bella non fa altro che prestare la propria voce a queste ombre diventando ora Aziz, per cantare il dramma degli immigrati insieme ai 99 Posse, ora Gina per raccontare la storia di una donna in fuga dal male dell’anima. E ancora la mancanza di lavoro, il sogno di ‘Na bella vita e la speranza di un Progetto insieme a Neffa, tra i brani più belli del disco e infine a chiudere la dolcissima Guardate fore. Di Bella si riconferma uno dei più originali cantautori italiani, sempre vero, mai banale perché sa che “le cose false non servono.”

A vent’anni dall’esordio con i 24 Grana, Nuova Gianturco è il primo disco di inediti da solista. Quanto ti manca il creare insieme alla band e cosa invece ti piace del lavorare da solo?
Creare è sempre bello, soprattutto avere la possibilità negli anni di migliorare le proprie tecniche compositive. Mi sento fortunato a fare dischi da vent’anni perché ho imparato tanto. Comporre con la band può costituire un limite ma anche un modo per superare i propri limiti, sono entrambe esperienze molto importanti.

Ancora una volta parli dell’emarginazione e cioè di chi vive nell’oscurità materiale, mentale e spesso mediatica. Perché ti affascina questo mondo?
Non saprei, credo che sia un modo per rendermi utile, per mettere la mia passione a disposizione anche di qualcun altro. Il mio obiettivo è sempre stato quello di descrivere le cose più nell’ombra, personaggi, sentimenti, situazioni e di andare contro l’ipocrita innocenza di tanta musica italiana.

Hai impiegato tantissimo per scrivere questo album, com’è nato?
È nato dall’idea che le periferie possono rinascere grazie agli artisti che ne raccontano la vitalità, l’umanità e la voglia di riscatto. Raccontare in positivo un luogo serve a restituire fiducia alla gente che vi abita. Volevo sottolineare l’importanza delle associazioni che operano dal basso e che cercano di ricucire un tessuto sociale lacerato criminalità, indigenza e conflitti interrazziali. Volevo raccontare col sorriso di quanto può essere bella e difficile la vita dove l’amore non basta.

Il disco inevitabilmente riflette i cambiamenti che ci sono stati nella tua vita tra cui due figli. Quanto hanno cambiato la tua vita e di conseguenza influenzato la tua creatività?
I figli cambiano tutto e ti fanno capire tante cose, non c’è da fare altro che assecondare questi cambiamenti e cercare di goderseli. A contatto con il loro mondo la creatività riceve sicuramente un’influenza positiva, bisogna incanalarla nei binari giusti.

Uno dei brani più belli del disco è Progetto dove come ospite compare Neffa, un artista non vicino al tuo mood. Com’è nata questa collaborazione?
Scrivendo il pezzo, sull’isola di Cefalonia ho pensato a lui e alla sua voce distaccata e nostalgica, mi sembrava perfetto. Amo molte sue canzoni, mi è sempre piaciuto e ho sempre apprezzato il suo stile, anche lui viene dai centri sociali e le situazioni di movimento e questa cosa, secondo me, nella sua voce ancora traspare. Inoltre credo che sia un bravissimo autore e produttore e lavorare insieme mi è piaciuto tanto.

Le periferie sono spesso, anche mentali, vere e proprie gabbie in cui si è relegati. Come ci si libera?
Credo che cercare di attivare e dare fiducia ad associazioni e reti di associazioni “dal basso” sia l’unico modo per uscire dall’oscurità. Come è successo a Gianturco con Officina oppure Scampia col Gridas e il Mammuth. Io auspico il sorgere di una nuova periferia più consapevole e indipendente.

In Blues napoletano canti: “Ossaje me piace assaje l’addore ‘e ‘sta città”. Napoli ancora ti ispira, anche se ormai vivi a Salerno con la tua famiglia. Oggi che rapporto hai con Napoli?
In realtà non mi sento emigrato, perché abito a pochi km e ci passo ogni settimana. Mi sento napoletano al cento per cento, coinvolto nel girone infernale della città, per questo ho scritto blues napoletano. L’unica cosa che non posso più fare è scegliere l’amministrazione (mi dice sorridendo).

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Abbattere le Vele

Napoli e il piano da 18 milioni per Scampia: giù le torri che hanno fatto da set per Gomorra. Il nodo di una casa per un centinaio di famiglie.
A giugno il decreto per le periferie: cinquecento milioni «per farle belle» e, secondo il pensiero di Renzo Piano, trasformarle in un argine «alla barbarie». Lunedì scorso la risposta del Comune di Napoli: un progetto per le Vele di Scampia, quelle immortalate per la prima volta da Salvatore Piscicelli in «Le occasioni di Rosa», e poi rese famose da «Gomorra» e famosissime da «Gomorra-LaSerie». Nel primo film, del 1981, la bella Rosa guarda le Vele da poco abitate e sogna di rifarsi una vita altrove (c’era ancora speranza). Nella serie tv, il boss Savastano le guarda da lontano e trama invece per riprendersele e ripristinare la sua mega-piazza di spaccio (siamo già in piena barbarie).

La «partita» politica

Col decreto del governo e col piano del Comune si aprono ora due partite decisive. Una tutta politica tra Renzi e de Magistris e un’altra tutta di civiltà, con Renzi e de Magistris, si spera, questa volta dalla stessa parte. La partita politica è presto detta: Renzi ha già commissariato l’ex area di Bagnoli e il progetto va a rilento, anche perché de Magistris, messo nell’angolo, non collabora; a Scampia, invece, i tecnici comunali e quelli di Palazzo Chigi hanno lavorato gomito a gomito, e il sindaco vuole dimostrare che è questo il metodo da seguire. Non solo. «Con noi, seduti allo stesso tavolo — spiega l’assessore-architetto Carmine Piscopo — ci sono stati anche i rappresentati dei comitati di base, e questo a riprova del fatto che nulla calerà dall’alto».

La «partita» civile

Più complicata, ma più interessante, la partita «civile». Il Comune vuole abbattere tre delle quattro Vele ancora esistenti, dove vivono 300 famiglie, e vuole salvarne una — la B, quella che nelle intenzioni doveva essere celeste — per riqualificarla e farne o un museo o un centro di aggregazione sociale: sarà un concorso internazionale a dire cosa e come. La gran parte dei residenti, duecento famiglie, hanno già una casa assegnata altrove. Gli altri dovranno invece aspettare l’evolversi del progetto. Per tutto questo, il Comune chiede il massimo che secondo il decreto può chiedere: 18 milioni per sé e 40 per l’area metropolitana. Di suo, poi, ci aggiunge altri 9 milioni. Ne mancano 53, ma intanto è chiaro che de Magistris ha deciso di giocarsi tutto su Scampia. Un’ulteriore sfida a Renzi.

Il simbolo del degrado

Ispirate alle architetture di Le Corbusier e di Kenzo Tange, le Vele sono poi diventate il simbolo del degrado italiano. Cioè l’esatto opposto di quella modernità progressista per cui furono pensate: come il quartiere Zen a Palermo di Vittorio Gregotti e il Corviale a Roma di Mario Fiorentino. Spinto dalla stessa «ideologia», Franz Di Salvo, tra il 1970 e il 1972 coordinò, per conto della Cassmezz, il gruppo di 6 architetti e 11 ingegneri che le disegnò. Ma ecco il punto. Quel gruppo progettò le Vele, ma non ne curò la realizzazione, perché nel frattempo arrivò il terremoto del 1980 e non ci fu più tempo per i corridoi leggeri e trasparenti o le gradinate più larghe che avrebbero dovuto dare luce alle case. «Dovevamo accompagnare quel progetto con un piano di sviluppo e non trasferire là solo i ceti più poveri e emarginati; e invece volemmo il maledetto e subito», disse poi l’assessore comunale del tempo, il comunista Andrea Geremicca. Risultato: in quelle sette Vele di 14 piani, alte fino a 45 metri, e ora quasi tutte con gli ascensori fuori uso da anni, ci finirono oltre mille famiglie. Divennero un inferno. E toccò a Bassolino, nel 1997, il compito di iniziare l’abbattimento. Quando in diretta Tv gli artificieri azionarono il comando a distanza, però, qualcosa non funzionò. Per l’imbarazzo, Bassolino impallidì, e si sentì uno scugnizzo urlargli: «Sindaco, avite fatto fetecchia». Avete fatto cilecca. Ci volle qualche settimana per completare l’opera, ma rimasero comunque in piedi le attuali quattro vele. Ora Renzi ha 90 giorni di tempo per accettare o respingere il piano. Se lo accoglierà, occorreranno altri 30 giorni per stipulare le convenzioni. In primavera potrebbero così iniziare i lavori. Sarebbe una svolta, per Napoli, la fuoriuscita da un dopo terremoto durato 35 anni. E la camorra? Si ritirerà in buon ordine? Si vedrà.

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Jorit Agoch. Il volto che cambia le periferie di Napoli e del mondo

“Da piccolo sono cresciuto in una realtà periferica, tra i binari di Quarto. A questo devo la nascita della mia arte”

Periferia, uno spazio racchiuso da una linea chiusa: insieme delle zone di una città al di fuori del suo centro storico. Il concetto di periferia circoscrive uno spazio urbano, ma anche una comunità, un’etnia. Le persone che vivono in questi ambienti sono quasi considerate come emarginati, vivono nella periferia del mondo, lontano dalle dinamiche del mondo contemporaneo. Oltre alle persone esiste un’arte spesso considerata ai margini di quella ufficiale: il graffitismo. È prima di tutto un movimento spontaneo, che nasce dalla strada, in cui giovani talenti realizzano le loro opere d’arte in spazi urbani improvvisati. La conseguenza è la nascita di un museo a cielo aperto.

Jorit Agoch rientra in questa categoria. Ragazzo della periferia di Napoli, che ha fatto del suo talento e della sua arte ‘periferica’ un linguaggio unico e distintivo. Fedele alle sue origini, opera a volto coperto, cosa quasi naturale per la sua attività. Prima di arrivare alla realizzazione dei suoi volti, ha iniziato, come tutti gli altri, con scritte e immagini di relative dimensioni negli angoli della sua città. Travolto dalla sua passione decide di iscriversi all’Accademia di Belle arti di Napoli, che gli ha dato modo di completarsi stilisticamente. Questo periodo di formazione gli ha consentito di dilatare lo sguardo verso la realtà, verso il mondo figurativo. Jorit ha concluso i suoi studi con il massimo dei risultati e ha approfondito il mondo della pittura ad olio su tela. Questa sarà solo una breve parentesi, perché la tecnica che l’artista predilige è la bomboletta.

La sua arte cresce e si evolve fino a trovare nel volto la maggiore resa espressiva. Il volto costituisce il mezzo ideale per la trasmissione del messaggio di Jorit: alla base c’è l’umanità che accomuna tutti gli individui. Il mondo contemporaneo divide le persone per etnie, classi sociali e provenienza geografica. Ma, se ci si sofferma ad osservare il volto, ecco che ogni forma di gerarchia viene azzerata e le persone sono unite dal loro essere umani.

Jorit cerca l’umanità in ogni parte del mondo. Trascorre molto tempo in Africa e porta con se un grande bagaglio culturale. Il concetto di fratellanza si sedimenta nei pensieri e nei sentimenti dell’artista, tanto da costituirne in maniera essenziale il linguaggio. Le strisce rosse che riporta sui suoi volti sono un altro elemento che egli porta con se dall’Africa e trasferisce nelle sue opere.

Le strisce costituiscono l’interpretazione in chiave figurativa delle cicatrici che i giovani africani recano sul volto. Queste sono nate dai riti d’iniziazione che si compivano nelle diverse tribù del continente e sono differenti nelle diverse comunità di provenienza. Il volto rappresenta l’umanità, ma il marchio del luogo d’origine è un qualcosa che ogni persona porta con se per tutta la vita.

Periferia può anche essere interpretata come uno spazio del mondo, che viene contestato non tanto per la sua collocazione, ma anche per l’essere etichettato come zona a rischio.

Forcella è un quartiere presente nel cuore della città, della storia di Napoli e della tradizione. È qui che Jorit ha realizzato il suo San Gennaro, che s’inserisce perfettamente, come se fosse stato sempre li, nella struttura urbanistica del quartiere e nel cuore dei suoi cittadini. San Gennaro è il patrono della città, la figura a cui si rivolge la maggior parte della devozione dei cittadini napoletani e non a caso esso non è lontano dalla Cappella del Tesoro di San Gennaro. Il volto sembra volgere verso i turisti il suo sguardo intenso, incoraggiando il passaggio nel quartiere, andando oltre i pregiudizi e i fatti di cronaca. In questo caso l’arte è canale di comunicazione, per promuovere alla conoscenza e allo stesso tempo è interprete dello spirito del luogo.

Attraverso il graffitismo di Jorit si pùo leggere l’evoluzione di questo tipo di arte. Combinato alla tecnica e al supporto tipico di questo linguaggio, c’è uno stile realistico, volto alla promozione del concetto di umanità. L’artista si pone così come un ponte tra i due mondi, quello della strada e quello dell’arte ufficiale.

L’umanità è al centro dei suoi interessi e determina l’unità tra le persone, consentendo di andare oltre la gerarchia dell’arte e del mondo. Andare oltre la periferia attraverso un unico volto, che rappresenti il cittadino del mondo.

INFORMAZIONI UTILI

Jorit Agoch: http://www.jorit.it/index.html

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Viaggio nelle periferie con il City Sightseeing

Il bus rosso, quello dei turisti, dei monumenti, della Napoli da mostrare e da vedere arriva nelle periferie, a Soccavo e nel Rione Traiano. Il bus prende persone in un rione periferico e le porta in centro, esattamente come una fermata del bus. Una possibilità in più per unire le periferie al centro. E ovviamente se un turista vuole fare il percorso inverso ha, per la prima volta, la possibilità di farlo, di conoscere la periferia, quella che troppo spesso finisce solo nelle pagine di cronaca nera. Ma cosa c’è da vedere ai confini della città? “Il far west?” scrive qualcuno, cinico, su Facebook. “No, grazie a questo nuovo servizio- spiegano da City Sightseeing – il bus prende le persone al rione Traiano, arriva in centro e fa il tour al centro storico. In alternativa chi abita in periferia dovrebbe andare loro al centro per prendere il bus, avendo un trattamento diverso rispetto a chi abita al centro che ha il bus sotto casa. Il City Sightseeing vuole unire le periferie al centro. Quando tutti calano il sipario sui fatti di cronaca lasciando le periferie nel degrado in attesa del prossimo fatto di cronaca, noi cerchiamo di non mollare di un solo millimetro”.

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Tutti i bambini delle periferie in un murales firmato da Jorit

Sospeso nel vuoto tra cielo e terra, per dare un volto bambino alle periferie di Napoli. Jorit Agoch, papà italiano e mamma olandese, è nato è cresciuto nella periferia di Napoli nord. Ha iniziato a dipingere a tredici anni con lo spray sui muri della sua città natale, Quarto e non ha più smesso, diventando uno dei più promettenti graffiti artist della scena italiana ed estera. È famoso per i suoi graffiti iperrealisti, ispirati a star del mondo hip-hop. Ma a Ponticelli ha deciso di dipingere il volto di un bambino: un bimbo per dipingere i tanti bambini che popolano le periferie e raccontare i loro sorrisi, i loro giochi, le loro storie. Un murales di dieci metri. L’intervento artistico, coordinato da Inward- Osservatorio sulla creatività urbana (che da anni promuove la street art), è inserito nel programma dell’Unar (Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali del dipartimento per le Pari opportunità della presidenza del Consiglio dei Ministri) ed è patrocinato dal Comune di Napoli. In via Aldo Merola, a Ponticelli, Jorit Agoch lavora con le sue bombolette, abbarbicato su un ponteggio mobile messo a disposizione dal Comune di Napoli. Il gruista, Michele, in genere lavora nei cantieri edili, ma per questa volta ha cambiato lavoro e segue, asseconda e dirige con la sua gru i movimenti di Jorit, grazie a una coppia di walkie talkie. I residenti di via Merola, come la signora Mariella, che abita nel palazzo e segue i lavori dal balcone, hanno adottato l’artista e l’operaio, rifocillandoli con succhi di frutta freschi e panini. Per ultimare il graffito ci vorranno dieci giorni. Finito il lavoro Agoch partirà per New York

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