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Mafia e illegalità a Roma: intervista esclusiva a Raffaele Cantone, presidente dell’Autorità Anticorruzione

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Roma – Corviale, Raffaele Cantone (magistrato, presidente Autorità Anticorruzione) e Elisa Longo (giornalista) nella palestra di Calcio sociale, convegno Contromafie 2014

Le organizzazioni mafiose ricercano il consenso sostituendosi allo Stato e alla società civile nei territori. Raffaele Cantone risponde alle domande di CorvialeDomani sulle preoccupazioni dei cittadini, durante la giornata di apertura di Contromafie 2014, svoltasi nella sede di CalcioSociale a Corviale il 23 Ottobre.

Una delle cause principali del degrado in cui viviamo a Roma è l’intreccio tra economie criminali e fenomeni di corruzione. Si può affermare che nella Capitale si stia manifestando una nuova tipologia di mafia, frutto anche della contaminazione tra mafie di origine nazionale e mafie straniere?

«Non ho contezza di fatti specifici a riguardo, ma è sicuramente vero che le mafie, ormai, abbiano assunto un carattere transnazionale, a Roma come nel resto del paese. Si tratta di un rapporto bidirezionale, che vede gruppi italiani di criminalità organizzata in perfetta osmosi con “colleghi” di provenienza prevalente dai paesi dell’est Europa. Si tratta di organizzazioni che si scambiano uomini e mezzi, nonché supporto logistico, per la gestione dei loro affari illeciti».

Le attività criminali si stanno concentrando soprattutto nei quartieri multietnici di Roma dove stanno prendendo piede forme di strumentalizzazione e promozione di movimenti populistici e xenofobi.  Esiste un interesse diretto da parte delle organizzazioni criminali a favorire questa  modalità di controllo sociale per ottenere in tal modo un consenso diffuso intorno alle proprie attività illecite? 

«La ricerca del consenso è fondamentale per la sussistenza di queste organizzazioni criminali; un modo per ottenere tale consenso è, ovviamente, sostituirsi allo Stato nel rispondere ai bisogni fondamentali della gente. Ecco perché lì dove lo Stato non riesce ad essere presente, se non in modo repressivo, le organizzazioni mafiose prosperano. Io sono napoletano, ed il quartiere Corviale di Napoli si chiama Scampia: deficit di urbanizzazione e totale assenza di presidi minimi di legalità – se non quelli realizzati da associazioni e volontari – rappresentano il comune denominatore di due realtà che sono molto più vicine di quanto si possa immaginare».

Non sarebbe il caso di svolgere una ricerca-azione di tipo interdisciplinare – tipo quella che fece Franco Ferrarotti negli anni Sessanta proprio nelle periferie romane – per venire a capo di tutte le tipologie del fenomeno e delle connessioni nazionali e internazionali?

«Senza nulla togliere al valore educativo e pedagogico della sociologia, credo di poter dire, senza tema di smentita, che questo fenomeno, con tutte le sue declinazioni e connessioni dentro e fuori dai confini del Paese, sia già ampiamente noto a chi è chiamato a contrastarlo e sconfiggerlo».

In alcuni quartieri di Roma, come Corviale, Torpignattara, Pigneto, si stanno sperimentando percorsi partecipativi “dal basso”.  In tali percorsi, quali forme di contrasto alle mafie si potrebbero realizzare da parte della società civile, nonostante la persistente sottovalutazione della presenza del fenomeno mafioso nella Capitale e della sua specificità da parte delle istituzioni?

«La lotta alle mafie deve necessariamente seguire due binari: quello repressivo e punitivo – compito precipuo di magistrati e forze dell’ordine – e quello culturale, che attiene alle coscienze di ciascuno di noi. Il rispetto delle regole, anche le più elementari, che caratterizzano una comunità è il primo passo per l’affermazione dei principi del vivere civile».

Quale ruolo svolge il giornalismo d’inchiesta e quali forme di collaborazione si potrebbero realizzare tra giornalisti e cittadini?

«Se il giornalismo, tout court, è il cane da guardia della democrazia, i cittadini possono, e devono, diventarne le sentinelle»




Roma, stati generali dell’antimafia 2014 – 23/26 ottobre

Video > Intervista di Don Luigi Ciotti




Attivisti di destra cavalcano il malcontento a Torpignattara

La riunione di ieri sera nel cortile della Parrocchia di San Barnaba a Torpignattara ha messo in luce la manovra politica della destra romana volta a strumentalizzare il malcontento della gente per le condizioni di estremo disagio in cui è costretta a vivere. Ma raccontiamo i fatti.

Un gruppo di cittadini – tra cui alcuni commercianti – strumentalizzati da esponenti della destra romana, hanno inteso distaccarsi dall’iniziativa del comitato di quartiere di Torpignattara per adottare metodi di lotta ritenuti più efficaci nel portare avanti la vertenza di territorio. In realtà, la riunione è stata condotta, in spregio a qualsiasi norma democratica e di civiltà, per ottenere il consenso su un documento dai chiari contenuti xenofobi.

La lettera aperta – già consegnata al Sindaco a nome degli ignari cittadini e letta ad essi solo a posteriori –  evita accuratamente di dire che il traffico di cocaina, la prostituzione, l’usura, il riciclaggio di denaro sporco, il proliferare delle sale scommesse, l’istallazione di slot machine in molti esercizi pubblici, il racket delle frutterie che aprono e chiudono continuamente, l’affitto “a materasso” degli appartamenti, il furto continuato di ogni spazio di socialità a Torpignattara non sono altro che l’esito di azioni di criminalità organizzata italiana di stampo mafioso. E l’occultamento di questa verità serve ad addossare la responsabilità del degrado alla presenza degli immigrati.

La responsabilità del degrado a Torpignattara è innanzitutto del Governo e poi del Comune e del Municipio, che non svolgono un’azione adeguata di contrasto alla grande criminalità organizzata di tipo mafioso, accrescendo la presenza delle forze dell’ordine e favorendo la cultura della legalità tra i cittadini per poter resistere, contestualmente all’iniziativa dello Stato, con un forte impegno civico nelle comunità locali.

E’ evidente che quando in una comunità si permette alle cosche mafiose di prosperare nel crimine e negli affari illeciti in perfetta tranquillità, tutti i gangli della società si infettano e dalla grande illegalità si passa alla piccola irregolarità, dai grandi episodi di violenza, alla piccola e diffusa violenza quotidiana. E in questo processo sono coinvolti sia italiani che immigrati. Ma l’origine sta nella presenza della mafia e nell’incapacità dello Stato di comprenderne i nuovi caratteri e di contrastarla.

Nel solco del malessere che questa grave situazione determina, si è ora inserita la manovra di alcuni capipopolo di destra ( personaggi che ricordano i capi dei “forconi” che guidavano le proteste dei camionisti e degli agricoltori e i blocchi delle autostrade coi tir) che si presentano come ingenui apolitici, ma poi alimentano pulsioni xenofobe e cavalcano il malcontento a fini di parte. Non a caso l’obiettivo della riunione di ieri sera era quello di farsi legittimare come rappresentanti dei cittadini di Torpignattara negli incontri che avevano già ottenuto illecitamente con le istituzioni. Ma, in realtà, nessuno li aveva mai eletti per svolgere questa funzione. Hanno dovuto penosamente confessare di essere stati indicati come tali dal presidente del V Municipio per riequilibrare “politicamente” la delegazione che sta incontrando la delegata del Sindaco alla sicurezza. Insomma, sarebbe una comica esilarante se non si trattasse di una vicenda estremamente seria: alcuni nominati dal potere pretendono di rappresentare la protesta nei confronti di quello stesso potere che origina il degrado e la criminalità.

Occorre demistificare questa impostura con una informazione capillare e dando ai cittadini gli strumenti conoscitivi della realtà che si è venuta a creare a Torpignattara e in altri quartieri di Roma per costituirsi in comunità consapevoli. La mancanza di iniziative per favorire l’integrazione degli immigrati è sicuramente un aspetto che aggrava ancor più la situazione di disagio nel quartiere. Tra queste iniziative è urgente programmare un’azione per diffondere la cultura della legalità tra tutti i residenti, autoctoni e immigrati. E’ per questo necessario coinvolgere nei dibattiti e nella mobilitazione anche le comunità degli immigrati per responsabilizzarle in questo processo di autoapprendimento collettivo della democrazia diretta, della capacità di rappresentare le proprie istanze nel confronto con le istituzioni, della cultura della legalità diffusa.torpignattara




Torpignattara, laboratorio della nuova cupola romana

Una delle cause principali del degrado in cui viviamo a Roma è l’intreccio tra economie criminali e fenomeni di corruzione che, negli ultimi tempi, ha trasformato la nostra città in un vero e proprio laboratorio di una nuova tipologia di mafia con forti risvolti xenofobi e populistici. Traffico di cocaina e di diamanti, riciclaggio di denaro sporco in attività finanziarie e immobiliari, usura, apertura di sale scommesse in ogni angolo di strada sono i puzzle di un’organizzazione reticolare e ramificata nei nostri quartieri. Ne ha parlato in modo persuasivo Lirio Abbate in un recente articolo apparso su “L’Espresso”.

Torpignattara è uno dei territori prescelti da questa nuova cupola per gestire le attività criminali. È, infatti, un quartiere multietnico dove si vive un disagio profondo, ulteriormente accresciuto dalle pesanti ripercussioni causate dalla crisi economica e dalla mancanza di politiche adeguate per integrare le comunità di immigrati nel tessuto sociale. Il modo burocratico e superficiale con cui, in questi giorni, l’Amministrazione comunale ha risposto alla mobilitazione dei cittadini è segno inequivocabile di sciatteria e sottovalutazione dei pubblici poteri.

Mobilitazione del quartiere

Mobilitazione del quartiere

I registi del nuovo intreccio di business e crimine hanno deciso di strumentalizzare il diffuso e snervante malessere dei cittadini mediante una presenza politica che serve ad alimentare ideologie xenofobe capaci di amalgamare i diversi interessi. Lo smarrimento di riferimenti etici e valoriali e la mancanza di anticorpi civili e culturali fanno sì che soprattutto i giovani si lascino conquistare dal fascino perverso del modello apparentemente vincente del crimine e dell’illegalità e cerchino di idealizzarlo, coltivando pulsioni razziste e una malintesa tutela delle proprie radici.  I segnali sono evidenti dando uno sguardo ai social network e ai giornali periodici di quartiere.

È questo il salto di qualità che si è compiuto, la nuova modalità non più oppressiva ma populistica che sostituisce la pratica odiosa del pizzo precedentemente imposta a imprenditori e commercianti. Una modalità che si presenta in nuove forme protettive volte a creare consenso diffuso intorno alle attività economiche criminali.

Per fronteggiare questa nuova situazione la risposta più adeguata è quella innanzitutto di chiamare il fenomeno con il suo vero nome: sistema criminale di stampo mafioso. Non dobbiamo avere paura a farlo perché gli indizi ci sono tutti. Avremmo bisogno di svolgere una ricerca-azione socio-psico-antropologica  – nelle stesse dimensioni di quella che fece Franco Ferrarotti negli anni Sessanta proprio nelle periferie romane – per venire a conoscenza di tutte le tipologie del fenomeno e delle connessioni nazionali e internazionali.

L’altra risposta indispensabile è quella di  promuovere la ricostituzione di legami comunitari con la consapevolezza, però, che la nuova cupola sta operando sullo stesso terreno. Ma è proprio lì che bisogna vincere la partita, affermando la cultura della democrazia e prendendo coscienza del ruolo fondamentale che giocano parole come “libertà”, “dignità”, ”legalità”, “fraternità”, “solidarietà”, “trasparenza”, “sviluppo”.

Non siamo più abituati ad agire su questo terreno perché ci vogliono doti che abbiamo smarrito: rispetto reciproco, capacità d’ascolto, disponibilità alla mediazione. I modelli del confronto e del dibattito pubblico sono quelli della comunicazione politica, dei social network e dei talk-show televisivi. Ma con quei modelli non si ricostituiscono comunità reali capaci di appropriarsi degli spazi vitali. Vi è dunque bisogno di rieducarci alla democrazia diretta mediante percorsi di autoapprendimento collettivo, sbagliando e riprovando continuamente. Perché non ci sarà mai un traguardo definitivo.

Nei prossimi giorni a Torpignattara sono convocate più assemblee in luoghi diversi per affrontare i problemi del quartiere. Bisogna partecipare ma anche pretendere che ci siano regole democraticamente condivise che permettano a tutti di esprimere la propria opinione e di pesare effettivamente nelle decisioni. È un esercizio a cui non dovremmo sottrarci per non lasciare il campo libero a chi vuole ridurre i nostri spazi non solo di democrazia ma di vita.