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Ci salverà la musica?

Nella musica italiana è difficile individuare tratti peculiari o specificità. È italiana solo perché nasce nel territorio del nostro paese. In realtà, è frutto del confronto con le molte popolazioni straniere con cui gli italiani sono venuti a contatto. Evidente è l’influenza della cultura bizantina, spagnola, araba, greca e teutonica nel tessuto più intimo dell’espressione popolare che un pregiudizio romantico vorrebbe incontaminata e pura – appunto – da influssi esterni. E questo vale per tutti i generi musicali, dal folklore alla musica d’arte e alla canzone. Persino il ballo liscio non nasce – come molti credono – tra l’Emilia Romagna e la Lombardia. Ma le sue radici si allungano in Austria e in Francia.

Gramsci e il carattere cosmopolitico della musica

Se c’è un’italianità della musica la si può scorgere solo in questa molteplicità di esperienze, generi e stili, derivanti da fattori storici, economici, politici e linguistici, e non già in un suo radicamento deducibile da fattori biologici e ambientali. Ne parla Antonio Gramsci nei suoi Quaderni del carcere:  «In Italia la musica ha in una certa misura sostituito, nella cultura popolare, quella espressione artistica che in altri paesi è data dal romanzo popolare (…) e i geni musicali hanno avuto quella popolarità che invece è mancata ai letterati». E s’interroga: «Perché la “democrazia” artistica ha avuto un’espressione musicale e non “letteraria”? Che il linguaggio non sia stato nazionale, ma cosmopolita, come è la musica, può connettersi alla deficienza di carattere popolare-nazionale degli intellettuali italiani?» Ecco la risposta del pensatore sardo: «Nello stesso momento in cui in ogni paese avviene una stretta nazionalizzazione degli intellettuali indigeni (…), gli intellettuali italiani continuano la loro funzione europea attraverso la musica. Si potrà forse osservare che la trama dei libretti non è mai “nazionale” ma europea, in due sensi: o perché l’intrigo” del dramma si svolge in tutti i paesi d’Europa e più raramente in Italia, muovendo da leggende popolari  o da romanzi popolari; o perché i sentimenti  e le passioni del dramma riflettono la particolare sensibilità europea settecentesca e romantica, cioè una sensibilità europea, che non pertanto coincide  con elementi cospicui della sensibilità popolare di tutti i paesi, da cui del resto aveva attinto la corrente romantica». Attraverso la musica, si conferma in sostanza la vocazione universalistica di un popolo che non aveva un “particulare” da coltivare ed esportare, ma si sente a pieno titolo in un contesto globale.

Il deficit di cultura musicale

Chi ascolta attentamente la musica, può facilmente notare che dietro ogni pezzo c’è una storia, un processo, una sedimentazione di culture. Ma in genere chi consuma musica non ne comprende questa profondità. E non sceglie i brani in base a questi aspetti. Non a caso, per garantirsi l’eccellenza, molti si affidano ai divi e così suppliscono ad una cultura musicale deficitaria.

L’arte di massa nasce a metà Ottocento con l’idea di fruire di essa come distensione, distrazione, anziché sforzo intellettuale e mezzo di educazione. Nasce così l’arte “facile”, non problematica. La musica è invece un prodotto umano in sé compiuto di cui vanno compresi i meccanismi. La scuola, l’educazione di base e l’azione culturale penetrante e diffusa della società civile possono modificare la mentalità prevalente e suscitare un interesse a investire sul futuro della musica.

La musica italiana è aperta all’innovazione

A differenza della letteratura, la musica italiana porta con sé due elementi che interagiscono in modo virtuoso: il carattere cosmopolitico e aperto al mondo globale, in opposizione ad ogni rigurgito nazionalistico e autarchico, e l’apertura all’innovazione. I musicisti sono portati a fare i conti con l’innovazione. L’evoluzione della musica è sempre stata accompagnata e anche influenzata da un progresso di tecnologia che nei secoli precedenti era pressoché applicato all’organologia. Si pensi, ad esempio, cosa ha implicato il passaggio dal clavicembalo al pianoforte, inventato dall’italiano Bartolomeo Cristofori. La tecnologia di cui oggi disponiamo è figlia di un lungo processo di ricerca che ha le sue radici tra la fine dell’ottocento e gli inizi del novecento, quando si incominciarono a cercare nuove forme di scrittura ed espressione musicale. Con l’aiuto di maestranze tecniche e scientifiche, alcuni compositori cercarono anche strumenti musicali innovativi per esprimere i nuovi linguaggi, sfruttando l’elettricità, il magnetismo, i motori elettrici ed elettromeccanici. Un passo importante verso il connubio tra innovazione tecnologica e musica si ha con la cosiddetta Computer Music, da cui si sviluppa il sintetizzatore che viene utilizzato con successo nella cosiddetta musica elettronica ma anche nella musica pop e rock a partire dagli anni sessanta. Dagli anni ottanta in poi, la diffusione del protocollo MIDI e del computer Atari consente una grande diffusione della tecnologia musicale. Oggi il processo di innovazione è indirizzato principalmente alla ricerca del sistema di interazione tra l’utente e la macchina in grado di essere di semplice utilizzo soprattutto nell’interazione in tempo reale. Sicuramente i tablet e principalmente l’ipad della Apple cambieranno nei prossimi anni il modo che avranno gli utenti di interagire con le applicazioni software.

Il futuro è la musica

Oggi i giovani di buona cultura, generalmente umanistica, sono portati a contestare tutti o quasi tutti i processi d’innovazione tecnologica. In essi prevale lo spirito romantico, la nostalgia del bel tempo che fu. Guardano con sospetto alla modernità e tendono a rinchiudersi in difesa dinanzi alla globalizzazione con atteggiamenti autarchici. Un diffuso atteggiamento antiscientifico sottende un’inefficace politica di sostegno al made in Italy.

L’agricoltura italiana, che pure ha conosciuto nella sua storia un rapporto intenso con la tecnologia e la scienza, sta pesantemente subendo questa involuzione indotta da una cultura umanistica che si contrappone alle discipline scientifiche. Una cultura umanistica che identifica il “buono”, il “bello” e il “giusto” con l’atteggiamento antiscientifico e non sostiene, con la disponibilità ad un approccio pluridisciplinare, l’esigenza di tenere in equilibrio etica, innovazione tecnologica e sostenibilità.

Forse l’Italia potrà farcela a guardare in avanti con ragionevoli speranze, se promuoverà tra le nuove generazioni un’attività educativa e culturale capace di valorizzare i due tratti distintivi della musica italiana: il suo carattere cosmopolitico e l’apertura all’innovazione. Comprendendo fino in fondo la musica, il suo mondo e i suoi meccanismi, forse saremo in grado di cogliere pienamente le opportunità della globalizzazione  e della rivoluzione tecnologica che stiamo vivendo.

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Alessandro Cives, cantautore romano