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Urb-I svela le città prima e dopo la riqualificazione urbana

Un archivio di immagini sempre aggiornato, anche grazie all’aiuto di Google Street View, consente di tenere traccia dei cambiamenti urbani avvenuti negli anni in tutto il mondo.
Fornire più spazio pubblico per pedoni e biciclette è uno dei principali obiettivi dei progetti di rinnovamento urbano che si svolgono nelle città di tutto il mondo. Piantando più alberi, costruendo più marciapiedi, piste ciclabili e nuovi posti a sedere, è infatti possibile progettare luoghi più accoglienti e con meno traffico, promuovendo così metodi sostenibili di trasporto, come camminare o andare in bicicletta.

Con l’obiettivo di pubblicizzare progetti di rinnovo urbano che hanno reso le città più amichevoli per i pedoni, il gruppo brasiliano Urb-I ha lanciato un sito che raccoglie una serie di immagini provenienti da tutto il mondo che mostrano “il prima e il dopo” dei progetti di riqualificazione urbana. Il progetto è nato grazie alle potenzialità di Google Street View.

Il risultato è una gallery (vedi qui) tutta da scoprire e che porta i lettori a vedere come si è proceduto a riqualificare gli spazi comuni in tutte le città del mondo, nei quattro continenti.

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Apple e Google a caccia di programmatori tra i banchi delle medie

googledi Federico rampini da Repubblica:

Inventano “app” di successo e diventano milionari prima di aver superato la pubertà. Ecco perché i giganti del web corteggiano i giovanissimi.

Non è solo la generazione dei Baby boomer a sentirsi spaesata o inadeguata nella padronanza delle tecnologie, rispetto ai Millennial. Ora i ventenni sentono il fiato sul collo di una generazione più agguerrita di loro. I nuovi inventori corteggiati da Apple e Google stanno facendo ancora la scuola media. Le frontiere del reclutamento di cervelli nella Silicon Valley diventano sempre più precoci. Un esercito di dodicenni e tredicenni affollano le conferenze tecnologiche per presentare i propri brevetti, vincono competizioni internazionali, piazzano le loro app sugli smartphone.

Finiscono sul Wall Street Journal i campioni di questa nuova fascia di età, milionari prima di aver superato la pubertà. Il quotidiano economico intervista in prima pagina Grant Goodman, 14 anni, e già al suo terzo brevetto di successo. Quando Apple l’anno scorso decise che sui nuovi iPhone non ci sarebbe stato YouTube in dotazione, il ragazzino si tuffò sull’opportunità. Inventò Prodigus, una app che consente di guardare video sull’iPhone, senza la pubblicità imposta da YouTube. “Se cominci così presto – dice Goodman al Wall Street Journal – hai una lunghezza di vantaggio rispetto ai ventenni”. Lui ha già costituito una società, la Macster Software, per gestire la sua attività d’inventore. Sa mettere in competizione fra loro Apple e Google, cimentandosi con app per tutti i loro prodotti. Ne ha brevettata una che serve a vedere il livello di carica della batteria dell’occhiale Google Glass, un minuscolo indicatore luminoso. Ha anche inventato un videogame. Questa è stata l’estate del suo addio alla scuola media, da settembre entra al liceo.

Ci sono casi perfino più precoci. Quando a giugno Google ha organizzato a San Francisco la sua conferenza annua I/O, dedicata a tutti gli inventori che sviluppano nuovi software e app, ha dovuto prevedere un apposito “programma giovani” con 200 partecipanti. I più piccoli tra loro avevano 11 anni, e guai a guardarli dall’alto in basso: sottovalutarli può essere un errore micidiale. Per non essere meno competitiva dei rivali, nel reclutamento dei giovanissimi cervelli, Apple già nel 2012 cominciò ad abbassare l’età minima per essere ammessi alle sue conferenze di developer: dai 18 ai 13 anni. La metà delle borse di studio per partecipare gratis alle conferenze tecniche di Apple, riservate a veri professionisti, sono state vinte da minorenni.

La creatività di questi enfant prodige è ben remunerata. Google in un anno ha versato 5 miliardi di dollari agli inventori delle migliori app, mentre Apple addirittura il doppio: 10 miliardi. I ragazzini negano che il guadagno sia la molla che li spinge a rinunciare alle feste da ballo o al baseball per passare pomeriggi e sere a escogitare nuove invenzioni. La mamma di Grant, Becky Goodman, non accetta insinuazioni o processi alle intenzioni: “Non abbiamo investito emotivamente nella speranza che lui sia il prossimo Mark Zuckerberg. A noi interessa solo che sia felice”. E tuttavia…

A quell’età i compagni di classe possono essere crudeli verso i nerd, come vengono chiamati i secchioni troppo bravi in matematica e informatica. I B-movie di Hollywood con episodi di bullismo sono pieni di nerd umiliati da compagni più bravi nello sport o nel rimorchiare le ragazzine. Salvo ricredersi, quando arrivano a casa i primi assegni delle royalties? Nick D’Aloisio, che ha appena compiuto i 18 anni ma cominciò anche lui nella pre-adolescenza, l’anno scorso ha venduto a Yahoo per 30 milioni di dollari la sua app Summly, che offre una sintesi veloce delle principali notizie di attualità.

La giovane età comporta qualche limitazione legale, facilmente aggirabile. Per costituire una società bisogna essere maggiorenni, perciò alcuni di questi ragazzini intestano la propria azienda a genitori o nonni. Per definizione, i loro mestieri non conoscono frontiere: lo conferma la storia di Douglas Bumby (16 anni), la cui app JustGo! (cronometro per corridori) è già in vendita in tutti gli AppStore; Douglas che vive in Canada di recente si è trovato un partner agli antipodi, in Australia, il 17enne Jason Pan con cui hanno creato la società Apollo Research. E c’è il caso di Ahmed Fathi, un 15enne volato dall’Egitto alla Silicon Valley per partecipare alla conferenza degli inventori organizzata da Apple. Fathi ha imparato a programmare software e a creare app come autodidatta, seguendo un corso online su YouTube. Ha già inventato, brevettato e venduto ad Apple il suo Tweader, un’app che legge Twitter ad alta voce per chi sta guidando o pedalando in bicicletta.

Il filosofo francese Michel Serres, che insegna alla Stanford University in California, usa il personaggiodelle favole Petit Poucet, cioè Pollicino, per descrivere la generazione mutante dei “nativi digitali” i cui pollici prensili viaggiano alla velocità della luce sul display del telefonino. No country for old men, non è un mondo per vecchi, così hanno anche tradotto le teorie di Serres sul potenziale rivoluzionario di queste generazione. Ora anche i ventenni devono guardarsi alle spalle, incalzati da un’obsolescenza già in agguato.

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Se Google e Facebook fanno concorrenza agli istituti di credito

googleLo sviluppo delle tecnologie digitali pone molti settori economici di fronte a nuove sfide. Quelle aziende che non riescono ad adeguarsi e a stare al passo con i cambiamenti rischiano di essere spazzate via, come è stato il caso della Kodak, leader nel settore delle pellicole fotografiche entrata in crisi con l’avvento della fotografia digitale. Nel settore bancario, e in particolare quello relativo ai servizi offerti alle famiglie, quali conto corrente e servizi di pagamento, i cambiamenti in atto possono invece rivelarsi vere e proprie opportunità. Basta vedere quanto sta accadendo in Cina con il colosso dell’ecommerce Alibaba che ha attivato un proprio circuito di pagamento online e un proprio strumento finanziario, sostituendosi così alle banche. In Italia la diffusione dei servizi bancari online destinati alle famiglie segue, da anni, una tendenza crescente, sfiorando i 20 milioni di utenti secondo i dati della Banca d’Italia relativi al 2012. E arriverà presto il momento in cui il numero dei conti online supererà quello dei conti tradizionali. Un simile contesto mette le banche italiane di fronte all’urgenza di rivedere radicalmente il loro modo di operare. Le banche di minori dimensioni, non avendo una massa critica sufficiente, troveranno non poche difficoltà a stare al passo con l’innovazione tecnologica introdotta dagli istituti di credito più grandi. Se non avvieranno forme consortili più stringenti, o se non punteranno a vere e proprio fusioni, le loro

possibilità di continuare a operare nel segmento dei servizi per le famiglie saranno sempre più limitate. Anche i grandi operatori nazionali, tuttavia, non possono dormire sonni tranquilli. Su di loro incombe infatti un’altra “minaccia”: la possibile concorrenza di colossi mondiali del mondo digitale quali PayPal, Google e Facebook. Il primo è già una realtà mondiale sui sistemi di pagamento online: sono ben 110 milioni i conti PayPal aperti in tutti il globo. Il secondo è entrato più di recente nel comparto dei sistemi di pagamento, lanciando il servizio Google Wallet, tra l’altro indispensabile se si vuole acquistare nell’app store Google Play. Pare, insomma, che Google abbia tutte le carte in regola per lanciare in futuro una sorta di Google Bank. Sfruttando i big data, cioè la possibilità di incrociare i dati relativi alle ricerche Web con quelli dei social network, nonché in prospettiva con le scelte di consumo effettivamente attuate avendo accesso ai dati sui mezzi di pagamento, Google e le altre società operanti nel settore potrebbero disporre di un set informativo così ampio da poter tracciare il profilo della propria clientela con un grado di dettaglio mai raggiunto in precedenza. Se le banche tradizionali non vogliono farsi trovare impreparate devono necessariamente muoversi in anticipo e cercare di affrontare i colossi digitali sul loro stesso campo. Utilizzando i dati a disposizione sull’utilizzo dei mezzi di pagamento, le banche potrebbero riuscire a offrire servizi bancari perfettamente disegnati sulle reali esigenze della clientela. Inoltre, stringendo accordi commerciali con grandi catene distributive, sarebbero in grado di offrire servizi anche al di fuori del campo puramente finanziario. Un’ulteriore opportunità è rappresentata dalla geolocalizzazione, ovvero dalla possibilità di conoscere il luogo dove si trova, in un preciso momento, il cliente che sta utilizzando la propria carta di pagamento. Avendo a disposizione queste informazioni è possibile, per esempio, offrire in tempo reale occasioni di risparmio presso esercizi commerciali limitrofi. Alcune grandi banche oltreoceano si muovono già in questa direzione, e anche i grandi circuiti internazionali che gestiscono le carte di credito esplorano le potenzialità offerte dai big data. Ma l’innovazione tecnologica impone anche al legislatore, nazionale ed europeo, di non farsi trovare impreparato di fronte alle rapidissime evoluzioni dei mercati. Se da un lato, i big data evidenziano un serio problema di tutela della privacy dei consumatori, dall’altro lato, possono costituire un importante fattore di crescita economica per le imprese: trovare il giusto equilibrio tra queste due spinte contrastanti non è semplice, ma è la sfida da affrontare.

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Google e Luxottica insieme per i nuovi Google Glass

googleglassIl colosso di Mountain View e il gruppo italiano realizzeranno la nuova generazione di Google Glass, gli occhiali intelligenti

Google e Luxottica si alleano per realizzare la nuova generazione di “Google Glass“, gli occhiali ipertecnologici che consentiranno di visualizzare in tempo reale le informazioni dell’oggetto che si sta osservando

Il colosso californiano ha raggiunto un accordo con il gruppo fondato da Leonardo del Vecchio per coniugare la propria tecnologia ingegneristica con il design e l’ “italian style” di Luxottica. Nella collaborazione sono coinvolti anche due altri grandi marchi tra i più famosi della produzione di occhiali, come Ray-Ban e Oakley.

Si tratta di una collaborazione strategica di ampia portata – si legge nel comunicato dei due gruppi- per creare insieme dispositivi indossabili innovativi e iconici. Le due aziende formeranno una squadra di esperti dedicati a design, sviluppo, strumentazione e ingegneria dei prodotti Glass.

Grande entusiasmo è stato espresso non solo da parte italiana, con l’ad di Luxottica Andrea Guerra che ha dichiarato il proprio orgoglio per “essere ancora una volta i pionieri nell’industria dell’eyewear“, sia a Mountain View, da cui hanno ammesso che i problemi legati al lancio del nuovo prodotto sono dovuti a fattori estetici più che non ad ostacoli tecnologici: “C’è un problema di moda molto più che un problema legato alla tecnologia – spiega Astro Teller, responsabile di Google per il progetto dei Google Glass – Bisogna convincere le persone a indossare un computer sul loro viso.

La collaborazione tra i due gruppi prosegue ormai da più di un anno, ma è stata ufficializzata solo ora. Questa mattina, all’apertura delle Borse, Luxottica ha realizzato un ottimo risultato, aprendo a +3,00%.

 (da ilgiornale.it)




Le biblioteche al tempo di Google (e dei tagli alla cultura)

biblioteche“Le biblioteche italiane non possono limitarsi a difendere i servizi esistenti, sempre più minacciati da tagli ripetuti dei loro bilanci: occorre ripensare il ruolo della biblioteca, cercare forme di organizzazione e di finanziamento differenti. Questa sarà la sfida dei prossimi anni”.
Con questo accorato appello si conclude l’ultimo denso saggio di Antonella Agnoli, Caro Sindaco, parliamo di biblioteche (Editrice Bibliografica, pp. 140, € 12,00), concepito come una lunga lettera ai Sindaci delle città italiane.
In questo prezioso volumetto l’autrice, da anni impegnata nel settore con studi, pubblicazioni specialistiche (a partire dall’importante Le piazze del sapere. Biblioteche e libertà, uscito qualche anno fa per Laterza), articoli sui giornali, ma anche come operatrice sul campo (ha avuto tra le altre cose il merito di concepire la biblioteca San Giovanni di Pesaro, uno degli interventi più innovativi realizzati negli ultimi anni nel nostro Paese), ribadisce e rilancia l’importanza di queste fondamentali istituzioni, anche nell’epoca di Internet e di Google. Che ancora, ad esempio, sono in grado di svolgere la loro cruciale funzione di conservazione del sapere nel lungo periodo meglio di qualunque dispositivo digitale, la cui memoria è strutturalmente “volatile”. “La rete – scrive a questo proposito Agnoli – permette di accedere facilmente a una grande quantità di informazioni, ma non ne garantisce l’integrità e la permanenza: che succede quando certi contenuti scompaiono, perché registrati su formati in disuso, su macchine non più disponibili, o su siti web chiusi?”. E anche perché, dato che “all’aumento delle possibilità di accesso non corrisponde una parallela crescita delle capacità di comprensione e uso dei contenuti”, ci sarà sempre bisogno di “luoghi fisici di formazione e di consultazione che permettano di orientarsi nella società dell’informazione”, come sono appunto le biblioteche.
Oltre a questo difficile compito, queste strutture dovrebbero per l’autrice costituire anche una sorta di presidio civile, di laboratorio per il civismo, la tolleranza, l’integrazione e il multiculturalismo. Un elemento cardine di un “welfare avanzato”, in grado di dare risposte a bisogni nuovi e sempre più differenziati dei cittadini.
Il problema fondamentale però, al solito, è quello delle risorse e degli investimenti. Le biblioteche “di pubblica lettura” (diverse dalla biblioteche che conservano i libri di valore storico) ricadono, dal punto di vista economico e gestionale, tutte sulle spalle degli Enti locali e in particolare dei Comuni. Con i terribili tagli di questi anni, un sistema già fragile – e peraltro assolutamente sottodimensionato rispetto a quelli degli altri Paesi a noi confrontabili – rischia di collassare definitivamente. Per fronteggiare questa deriva, l’autrice, nella seconda parte del libro, suggerisce una serie di utilissimi accorgimenti per la buona progettazione delle biblioteche, ma anche per il loro migliore funzionamento, e infine per il reperimento di risorse. Resta il fatto però che, in questo come in altri casi, senza un forte rilancio degli investimenti pubblici, che non potrà che coinvolgere il livello statale, per i Comuni sarà difficile, anche con le migliori intenzioni, assicurare un futuro a queste gloriose e indispensabili strutture.
di Vincenzo Santoro
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Google: mea culpa di Eric Schmidt, “grave errore non credere nei social network”

googleFine anno amaro quello di Google, almeno stando alle parole del Ceo Eric Schmidt che, intervistato da Bloomberg, ha ammesso che il non credere all’ascesa dei social media ha rappresentato il più grande errore dell’azienda. A parziale difesa dell’atteggiamento di Big G c’era il fatto che “eravamo impegnati a lavorare su molte altre cose, ma avremmo dovuto essere in quell’ambito e mi prendo la responsabilità di quanto accaduto”. ”Ed è un errore – ha aggiunto – che non commetteremo più”

Schmidt ha guidato Google come amministratore delegato dal 2001 fino al 2011 quando divenne presidente esecutivo, proprio durante l’affermazione di Facebook che, nato nel 2004, è progressivamente diventato il più grande social network del mondo con più di 1 miliardo di utenti che utilizzano il servizio ogni giorno. Google+, il social network di Google, arriva solo nel 2011 ed ora le due grandi hanno ingaggiato un braccio di ferro da cui dipendono milioni di dollari di investimenti pubblicitari.

E per il futuro Schmidt non ha dubbi: il mobile vincerà su tutti i fronti. Inoltre “l’arrivo dei big data e della machine intelligence” segnano l’inizio per nuovi servizi, basati sulla capacità di individuare e classificare le persone. Fattori che cambieranno e impatteranno su “ogni business a livello mondiale.”
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