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Bando delle periferie: “Per Corviale chiesti soldi che già ci sono

Con il Bando delle periferie, Virginia Raggi ha annunciato anche dei fondi per il completamento della scuola di via Mazzacurati. Veloccia: “Quei soldi già sono stati introitati per il piano di recupero di Corviale. E vanno spesi subito, altrimenti si rischia di finirla chissà quando.
Ci sono 2,5 milioni per la riqualificazione di Corviale. E sono soldi stanziati con il bando delle periferie. La cifra, ha annunciato la Sindaca Virginia Raggi, “include il completamento della scuola in via Marino Mazzacurati”. Una notizia salutata con soddisfazione dal titolare del Municipio XI. “È un piacere leggere che buona parte di questi fondi arriverà sul nostro territorio e in particolare su Corviale” ha osservato il Minisindaco Mario Torelli. Ma dall’opposizione municipale, le reazioni sono state di tutt’altro segno.

LA RIQUALIFICAZIONE DELLA SCUOLA – “I soldi per il completamento della scuola, che assorbono almeno 1,3 milioni della cifra annunciata – ha chiarito l’ex Presidente Maurizio Veloccia – già sono in possesso di Roma Capitale, perché sono soldi introitati dagli interventi privati del piano di recupero di Corviale” ha ricordato il capogruppo democratico. “Se i soldi che già hanno li spendessero subito il prossimo anno la scuola sarebbe pronta. Invece così subordinando i lavori della scuola al finanziamento del bando periferie. Si corre un rischio enorme – avverte Veloccia – perché non si sa se e quando questi finanziamenti verranno erogati. Un errore dato dalla non conoscenza”.

I FONDI DISPONSIBILI – Una certa preoccupazione traspare anche dalle parole del Capogruppo di Fratelli d’Italia “La somma totale dei progetti presentati per il Bando delle Periferie, pari a 50 milioni, supera di gran lunga i 18 milioni stanziati dal Governo per Roma – ha sottolineato Garipoli – e questo comporta dei sacrifici nella scelte finali dei progetti”. Un taglio che potrebbe ricadere proprio su Corviale visto che, come ha spiegato Veloccia, i fondi sono già stati stanziati. Ma anche se così non fosse c’è comunque “il timore che tali risorse possano arrivare davvero con il contagocce” ha osservato Garipoli.

LE NECESSITA’ DEL TERRITORIO – Ci sono poi altre necessità, oltre quella della riqualificazione di Corviale, che attengono il territorio e che tuttavia non sono contemplate nel Bando delle periferie. Valerio Garipoli prova ad elencarne alcune. “Ci sono poi tante altre criticità nel territorio: al Trullo va riqualificata ‘ex scuola Baccelli, a Piana del Sole serve un centro di aggregazione giovanile ed un capolinea per il 701, a Ponte Galeria bisogna concludere i lavori per la scuola fratelli Cervi, a Borgata Petrelli occorre riqualificare l’unica piazza esistente ed alla Muratella bisogna fare i marciapiedi di via Magliana, lungo il tragitto del FL1”. Insomma, probabilmente gli interventi elencati sono troppi per il bando annunciato dalla Sindaca. E proprio per questo, scegliere bene quali sono gli interventi da realizzare, non solo è importante. Ma è addirittura essenziale.

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Infrastrutture, scuole e periferie: da Ance un piano da 30 miliardi di euro

All’Assemblea degli edili il Ministro Delrio annuncia un tavolo di confronto sulla fase transitoria del nuovo Codice Appalti.
Manutenzione delle infrastrutture, riqualificazione delle scuole, mitigazione del rischio idrogeologico, investimenti sui beni culturali e nel turismo e piano per il risanamento delle periferie. Sono i cinque capisaldi che secondo l’Associazione nazionale costruttori edili (ANCE) potrebbero mettere in campo 30 miliardi di euro in tre anni.

Le proposte sono state formalizzate durante l’assemblea nazionale dell’Ance che si è svolta giovedì scorso a Roma. Durante i lavori il presidente, Claudio De Albertis, ha chiesto una moratoria che fino al 31 dicembre 2016 consenta alle amministrazioni di bandire le gare già pronte basate su progetti definitivi anziché sui progetti esecutivi.

L’ipotesi di moratoria è stata scartata, ma il Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, Graziano Delrio, ha annunciato l’apertura di un tavolo di confronto sulla fase transitoria del nuovo Codice Appalti per monitorare l’andamento del mercato delle opere pubbliche con un occhio particolare all’edilizia che, riporta l’Ance, tra gennaio e giugno un aumento di 4 miliardi rispetto all’anno scorso.

Il piano da 30 miliardi dell’Ance
“Lo shock collettivo provocato dalla Brexit – ha esordito Claudio De Albertis – ha mostrato l’insostenibilità del regime di austerità promosso dall’Unione Europea, che impedisce investimenti per lo sviluppo e la crescita”. Una nota positiva è rappresentata dalla clausola di flessibilità per gli investimenti e dalla cancellazione del patto di stabilità interno. Grazie a queste novità, nel primo trimestre del 2016 sono aumentate le spese sostenute dai Comuni per la riqualificazione del territorio, la lotta al dissesto idrogeologico, la manutenzione e l’ammodernamento delle scuole.

“Quello che oggi serve – a detta di De Albertis – è un grande Piano di sviluppo industriale e infrastrutturale capace di rinnovare in profondità il Paese. Secondo le nostre valutazioni sarebbe possibile mettere in campo 30 miliardi di euro nei prossimi 3 anni, attraverso l’utilizzo delle risorse esistenti e una rinnovata flessibilità per gli investimenti a livello europeo”.

Sono cinque le linee che l’Ance individua come prioritarie per la ripresa:
– La manutenzione e il miglioramento delle infrastrutture esistenti per garantire il mantenimento di adeguati livelli di servizio e di sicurezza.
– L’accelerazione e l’ampliamento del piano di riqualificazione degli edifici scolastici.
– L’assegnazione delle risorse necessarie alla realizzazione del piano pluriennale di riduzione del rischio idrogeologico annunciato a novembre 2014.
– L’investimento sui beni culturali e sul turismo, come risorse da utilizzare al meglio per avviare, soprattutto nel Mezzogiorno, nuovi progetti di crescita economica.
– Il recupero e il risanamento infrastrutturale e sociale delle periferie con un piano da almeno 5 miliardi di euro gestito da una cabina di regia governativa che individui non solo le aree a maggior rischio, ma anche le modalità di intervento da mettere in atto.

Gli effetti moltiplicativi di queste politiche sarebbero considerevoli. Basti pensare – ha sottolineato il presidente dell’Ance – che “una domanda aggiuntiva di un miliardo di euro nel settore genera una ricaduta complessiva nell’intero sistema economico di oltre 3 miliardi e mezzo di euro e quasi 16mila nuovi posti di lavoro”. Dal canto loro, ha chiesto De Albertis, le imprese chiedono solo di poter operare in un contesto di regole certe.

Codice Appalti, le richieste dell’Ance
L’ANCE ha chiesto che venga previsto il subappalto nel limite del 30% riferito alla categoria prevalente, e non all’importo complessivo dell’appalto, e del 100% nel caso delle categorie scorporabili, al netto delle superspecialistiche, e che sia eliminata la norma che prevede l’obbligo di nominare in gara la terna dei subappaltatori.

Sul fronte delle opere di urbanizzazione a scomputo secondarie, di importo inferiore alla soglia comunitaria, è stato domandato che venga recuperata la possibilità di svolgere la procedura negoziata senza bando

Per la qualificazione Soa, Anche ha chiesto di utilizzare l’ultimo decennio di attività (non quinquennio).

“La scelta di privilegiare l’offerta più vantaggiosa è condivisa dall’Ance – ha spiegato il presidente De Albertis – perché costringe le stazioni appaltanti e le imprese a ragionare sulle offerte e sulla scelta più qualificata. Ma dal nostro mondo viene espressa la preoccupazione che l’applicazione di questa normativa a stazioni appaltanti ben lontane dall’essere qualificate (si stanno ancora definendo le linee guida sul tema) e la mancanza sotto la soglia comunitaria dell’obbligo di sorteggiare nell’albo dell’Anac i commissari per la valutazione delle offerte, possa portare ad una fase di opacità o peggio a fenomeni di corruzione. Chiediamo al Ministro se, per il tempo necessario alla qualificazione delle stazioni appaltanti e al consolidamento dei meccanismi di scelta di commissari di gara al di sopra di ogni sospetto, si possa permettere alle stazioni appaltanti la possibilità di utilizzare il sistema della esclusione automatica delle offerte anomale con il metodo antiturbativa fino all’importo di 2,5 milioni”.

BIM, eonomia circolare e rigenerazione urbana
Il presidente De Albertis si è soffermato anche su altri aspetti utili al rilancio. Innanzitutto “Industria 4.0” per l’informatizzazione di tutti i processi produttivi, che in edilizia non può prescindere dal BIM, poi l’economia circolare per il recupero del 70% dei rifiuti da costruzione e demolizione, obiettivo in Italia ancora lontano.

Fondamentale anche la leva fiscale per la riqualificazione degli edifici, che deve putnare sui prodotti di qualità, e la rigenerazione urbana attraverso la rottamazione degli edifici e dei quartieri obsoleti.

Alla fine del suo intervento il presidente De Albertis si è soffermato anche sul contratto di cantiere per favorire la sicurezza e la regolarità del lavoro e sull’importanza di accesso al credito per le imprese.

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Ecomuseo Casilino: “Espropiare aree private con i fondi del bando delle periferie”

La richiesta dell’associazione Ecomuseo Casilino per scongiurare tentativi di speculazione edilizia sui terreni vincolati: “L’assenza di una pianificazione urbanistica sta mettendo a repentaglio l’area”.
Ecomuseo Casilino: “Espropiare aree private con i fondi del bando delle periferie”

Espropriare i terreni privati che ricadono nel Comprensorio archeologico casilino Ad Duas Lauros tramite i fondi previsti per il Comune di Roma nel Bando delle periferie del Consiglio dei Ministri. E’ la richiesta avanzata dall’associazione che da anni si sta battendo per l’istituzione di un ecomuseo negli spazi del Comprensorio che ricadono sul territorio del V municipio. La gara prevede uno stanziamento totale di cinquecento milioni di euro destinati a progetti di recupero, trasformazione virtuosa e contrasto alla marginalizzazione dei territori periferici urbani, con la Capitale che potrà beneficiare di decine di milioni di euro.

“Alla luce di questa disponibilità potenziale abbiamo deciso avanzare una richiesta tanto semplice quanto necessaria: utilizzare parte di quei fondi per l’acquisizione a patrimonio pubblico delle aree private del Comprensorio” scrivono in un comunicato stampa i membri dell’associazione. Parliamo di decine e decine di ettari che costituiscono un polmone verde per l’area compresa fra viale della Primavera, via Casilina, via Acqua Bullicante e via Prenestina, un paesaggio ricchissimo di storia, archeologia, antropologia, arte, da valorizzare come punto di partenza “per una riconfigurazione non solo urbanistica ma anche economica e sociale dell’area”.

Perché chiedere l’esproprio dei terreni privati? “L’assenza di una chiara pianificazione urbanistica e le manovre speculative (l’ultima in ordine di tempo quella che ha portato alla costruzione del LIDL) stanno mettendo a repentaglio l’area che, ricordiamo, è vincolata paesaggisticamente e inserita nel contesto del PTPR”. Per questo motivo “chiediamo al Muncipio Roma 5 e al Comune di Roma di farsi carico di una progettazione esecutiva nel contesto del bando delle periferie che preveda prima di tutto l’acquisizione delle aree del Comprensorio Casilino”. In particolare l’area verde compresa fra via Casilina, via Labico, via dei Gordiani e confinante col perimetro dell’attuale Villa De Sanctis, l’area verde compresa fra viale Telese, via Teano, via Prenestina, l’area verde compresa fra via Labico, via Acqua Bullicante, via Teano e via San Vito Romano, l’area verde attualmente privata del Parco Somaini.

Secondariamente, continua poi la nota, “chiediamo che vengano avviati: la bonifica e la messa in sicurezza di tutto il comparto ambientale e naturalistico (con particolare attenzione alle aree con cavità e conclamato dissesto idrogeologico), un piano di ricerca e studio negli ambiti culturali e ambientali del territorio attraverso la creazione di nuovi presidi di ricerca, interpretazione del territorio e il sostegno dei centri di documentazione e studio esistenti, un piano di riqualificazione, ristrutturazione e valorizzazione dei beni culturali e naturali esistenti”. E ancora “la progettazione di un piano complessivo di promozione dell’area dal punto di vista culturale e naturalistico”, insieme alla discussione della legge regionale sugli ecomusei già approvata in Commissione cultura.

“Ci facciamo portavoce dell’esigenza di una progettazione seria ed ambiziosa – concludono i membri dell’associazione – che archivi definitivamente una politica del suolo predatoria e un modello economico che non restituisce valore, ma anzi lo concentra in mano a pochi impoverendo il tessuto economica, sociale e culturale dell’area”.

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Il piano periferie di Renzi: prestiti ai condomini

Un fondo pubblico per ristrutturarli. I soldi restituiti a rate in bolletta.
Tornare ai fasti di Petroselli – il sindaco comunista che diede una casa a molti romani a cavallo fra i Settanta e gli Ottanta – è impossibile. Altri tempi, altri numeri. Fu lui a volere Tor Bella Monaca, il quartiere che oggi simboleggia il degrado di Roma e che allora apparve come un sogno realizzato. I numeri bulgari conquistati lì dai Cinque Stelle e in altri quartieri popolari delle grandi città hanno però messo in allarme il governo. Oggi stesso al ministero del Tesoro ci sarà una riunione di Padoan con la sua squadra per analizzare i risultati e iniziare a ragionare seriamente della prossima legge di Stabilità. C’è da scommettere che le ragioni di chi punta a nuovi sgravi alle famiglie rispetto a quelli promessi alle imprese (Renzi è il primo a pensarla così) avranno più orecchie attente di qualche giorno fa. La tentazione di far prevalere scelte di impatto mediatico su quelle capaci di cambiare in profondità la struttura dell’economia italiana sarà sempre più forte. In ogni caso, a meno di andare allo scontro con la Commissione europea, per il governo non sarà facile far quadrare i conti. Come dimostra la discussione sul prestito pensionistico, oggi le ipotesi più gettonate sono le meno costose per il bilancio pubblico. Oppure deve trattarsi di misure capaci di stimolare la domanda interna: la più avanzata, già valutata tecnicamente da Tesoro e Palazzo Chigi prima delle elezioni, riguarda proprio la cura delle grandi periferie.

Il punto di partenza è uno sconto fiscale in vigore. Oggi chi vuole ristrutturare il condominio o installare pannelli solari può contare su un bonus piuttosto forte: del 55 per cento nel primo caso, addirittura del 65 nel secondo. Tutte le spese sostenute fino al limite dei 96 mila euro sono detraibili per ben dieci anni. Di qui il boom dei lavori negli appartamenti e nelle palazzine. Ma per quanto lo sconto sia alto, chi deve mandare avanti una famiglia con meno di mille euro al mese non è in grado di sostenere alcuna spesa straordinaria. L’idea è quella di applicare il meccanismo su larga scala per chi ha un reddito molto basso, soprattutto al di sotto degli ottomila euro all’anno, la soglia sotto la quale non si paga nemmeno l’Irpef.

Immaginate una grande palazzina in cattive condizioni, i cui condomini siano d’accordo per ritinteggiare le scale, la facciata, e magari anche risparmiare sulle bollette con l’installazione di pannelli fotovoltaici. L’amministratore si rivolge ad un fondo pubblico, il quale si incarica di sostenere le spese in vece dei singoli proprietari. Al fondo andrà il vantaggio fiscale che oggi è riconosciuto a ciascun privato. Il pagamento dei lavori veri e propri avverrebbe attraverso la bolletta energetica dei condomini, la quale beneficerebbe in ogni caso di una riduzione dei costi per via dei pannelli fotovoltaici. Il piano è già stato studiato con l’Enea, e prevede il coinvolgimento della Cassa depositi e prestiti, presso la quale verrebbe costituito il fondo. I dettagli sono ancora da mettere a punto: potrebbe essere costituito presso Cdp immobiliare, o ad hoc. «In ogni caso sarà uno strumento virtuoso dai costi contenuti per lo Stato», dice il viceministro Enrico Morando. «Il vantaggio può essere esponenziale: per il settore edilizio, per quello dell’energia, e di sostegno alla ripresa dei prezzi immobiliari. Vivere in un appartamento in una palazzina ristrutturata e resa più efficiente è un vantaggio anzitutto per chi li possiede». Per risolvere i problemi di Tor Bella Monaca o delle Vallette non basta certo la tinteggiatura dei palazzi. Le periferie non sono tutte uguali: più si scende a Sud, più è facile che sommino degrado urbano a degrado sociale. Altri strumenti nel frattempo stanno prendendo il via, come il fondo per la povertà educativa finanziato con il sostegno delle Fondazioni bancarie. Piccoli passi per ritrovare il consenso perduto.

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I cantieri da soli non bastano

Senza cittadini coinvolti si fallisce.
Gli urbanisti: “Pochi 500 milioni, ma segnale giusto”. Si moltiplicano le social street.
Dietro l’annuncio di Renzi di destinare 500 milioni di euro aggiuntivi per le periferie ci sono posizionamento politico (anche internazionale, altro che proclami bellicisti) e strategia comunicativa (vedi citazione del «rammendo» di Renzo Piano, ormai di moda). Nessun piano segreto e specifico. Del resto basta fare due conti. I soldi vanno alle città metropolitane (tredici già istituite, la Sardegna potrebbe aggiungere Cagliari), da spendere entro il 2016 per progetti da presentare entro la fine di quest’anno. Meno di 40 milioni per città e 13 mesi per spenderli: tempi e soldi sconsigliano interventi giganteschi. Bisogna recuperare progetti già pronti. «Non c’è cifra che basterebbe a risanare le periferie italiane – dice l’urbanista Francesco Indovina -. 500 milioni sono una goccia nel mare, ma anche pochi soldi servono se spesi bene».

Recentemente Indovina ha pubblicato sulla rivista Archivio di studi urbani e regionali (FrancoAngeli) un saggio intitolato «Il ritorno delle periferie» in cui offre un utile approccio al problema. Innanzitutto bisogna uscire dallo stereotipo «centro bello-periferie brutte». Misurare il degrado urbano ampliando il raggio del compasso sulla mappa può valere per le banlieue parigine, non per le principali città italiane «che invece si presentano sempre più a pelle di leopardo, con diversi centri e diverse periferie mischiate». Renzo Piano docet: il Giambellino, che il suo staff sta «rammendando», nasce come periferia negli Anni 30, ma ormai è semicentrale. E Stefano Boeri, architetto e docente al Politecnico cui fanno torto le eccessive celebrazioni per il «bosco verticale», ha detto di sentirsi più a disagio in piazza Cordusio che in tante periferie.

Nuova e ibrida geografia urbana, dunque, in un contesto di disuguaglianze crescenti, servizi pubblici ridotti, risorse finanziarie scarse. Il rischio che corre il governo è ridurre tutto a un’operazione di riqualificazione edilizia. Accresciuti valori immobiliari di palazzi abbelliti producono come prima conseguenza l’espulsione di una fetta della popolazione, che non può permettersi di «pagare» e si sposta altrove. «Per una periferia risanata se ne crea un’altra degradata», dice Indovina citando Harlem a New York, dove la quota di popolazione nera è calata.

La Regione Lazio ha stanziato 20 milioni per risanare il serpentone di cemento (1 chilometro, 5 mila abitanti, il 30% abusivi) del Corviale. L’Istituto nazionale di urbanistica propone di «creare una vera e propria industria della rigenerazione urbana», attingendo alle risorse private con incentivi fiscali tipo ecobonus, replicati su larga scala ed estesi alla dimensione culturale e sociale.

Ma serve quella che l’urbanista napoletano Aldo Loris Rossi chiama «visione olistica» applicata alle città. Approccio soft, processi partecipati, più servizi e socialità che cantieri. Meglio un piccolo locale riutilizzato da un’associazione di quartiere che un grande centro giovanile gestito da funzionari comunali. Non è sempre necessario guardare lontano, dai quartieri sostenibili di Friburgo ai «bandi del barrio» di Barcellona. Tralasciando le più illuminate iniziative bolognesi degli Anni 70, basta studiare la recente riappropriazione di piazzetta Capuana a Quarto Oggiaro (Milano), la ventennale esperienza di Borgo Campidoglio a Torino, le oltre 400 «social street» nate dal 2011. Gruppi nati su facebook che coniugano attività ludica e sociale, dalle feste di quartiere ai muri tinteggiati, dalla raccolta di cibo in scadenza all’assistenza agli anziani. La social street Baia del Re di Milano si segnala per l’integrazione degli immigrati. «Senza connessione tra le persone, ogni progetto di rigenerazione urbana fallisce», spiega Cristina Pasqualini, sociologa della Cattolica e autrice della prima ricerca sul tema.
E mentre si spendono soldi per periferie degradate, sarebbe il caso di non costruirne di nuove. Nel 1968, fu una grande conquista urbanistica l’obbligo di destinare ai servizi di quartiere almeno 18 metri quadri per abitante. Erano altri tempi e l’urbanistica non era morente come oggi. La Lombardia fu la prima, nel 1975, a portare lo standard a 26,5 metri quadri, seguita negli anni successivi dalle altre Regioni. Nel 2005 la Lombardia formigoniana torna indietro agli standard del 1968. Secondo i conti di Sergio Brenna, docente al Politecnico, a Porta Nuova sono diventati 16 metri quadri, monetizzando (a prezzo irrisorio) la differenza al Comune. E si rischia di peggiorare ancora nei nuovi quartieri pianificati in limine mortis dalla giunta Pisapia, in geometrica continuità con quella Moratti.
Lunga e accidentata la via italiana del rammendo, sia a destra che a sinistra.

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