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Le start up di successo? Nascono in periferia e sono fondate da donne

A Milano la maggior parte nasce per iniziativa di donne, under 35. Dalla ciclofficina con bar all’hamburgeria con carne di struzzo, la fantasia delle nuove imprenditrici non ha limiti. Dal 2012 al 2015 complessivamente in città sono nate 382 imprese e l’83% è ancora in attività. Danno lavoro a 706 soci e 1.222 dipendenti

Anche in periferia possono nascere start up di successo. I fratelli gemelli Veca, uno apicoltore e l’altro disegnatore, a Baggio hanno avviato un progetto di animazione nelle scuole sulla difesa della biodiversità, con tanto di “Ape canterina” che accompagna gli incontri con i bambini. Luca e Riccardo, ingegneri ma con una grande passione per la corsa, al Parco Nord hanno creato, insieme ad altri amici, la prima (e per ora unica) Runstation della città: “La42” un negozio in cui non solo si possono acquistare scarpette, tute o integratori, ma dove è anche possibile fare la doccia o lasciare in deposito oggetti di valore (dal cellulare al pc) prima di fare la solita corsetta durante la pausa pranzo o prima di cena. Sono due tra le 570 imprese e start up sorte dal 2012 a oggi a Milano. Alcune grazie a specifici bandi dedicati alle periferie. L’ultimo, chiamato “Startupper” e chiuso l’estate scorsa, ha messo a disposizione 1,5 milioni di euro: ne sono nate così 21 imprese di periferia. La maggior parte fondate da donne (16), under 35 e in possesso di laurea o diploma. Le nuove realtà che aprono sono sei in Corvetto, quattro a Villapizzone, tre in Lorenteggio e Giambellino, due in Barona e in Bicocca-Greco una a Morsenchio, a Bruzzano, in Bovisa e in Certosa. La fantasia dei novelli imprenditori va dalla produzione di pasta fresca a una moderna ciclofficina con annesso bar, passando da elementi d’arredo esterno realizzati in marmo a un’hamburgeria dove gustare sapori esotici come carne di canguro e struzzo, sino a uno studio specializzato nella realizzazione di spazi abitativi sostenibili, come giardini e orti urbani.

Secondo i dati del Comune, presentati oggi dall’assessora al Lavoro e Commercio Cristina Tajani, su 382 start up monitorate e sostenute attraverso gli otto incubatori d’impresa o con i diversi bandi dedicati come “Risorse in periferia”, “Tira su la clèr”, “Tra il dire e il fare” e “Agevola Credito”, l’83% è ancora attiva a 5 anni dalla nascita, quando il tasso di sopravvivenza nazionale è del 44%. Sono imprese che danno lavoro a 706 soci e 1.222 dipendenti. Dal 2012 al 2015 hanno fatturato circa 314 milioni di euro, mentre i finanziamenti ricevuti ammontavano a 7,1 milioni di euro. Questo vuol dire che ogni euro dato tramite bando ha generato circa 43 euro di fatturato. “I risultati raggiunti costituiscono la miglior cartina di tornasole per giudicare l’efficacia delle politiche attuate dall’Amministrazione”, ha sottolineato con un certo orgoglio l’assessora.

Tra le imprese sostenute in questi anni dal Comune ci sono anche quelle nate o che operano all’interno delle carceri milanesi. Ne è nato anche un consorzio, Vialedeimille, che raccoglie cinque cooperative con 100 persone -detenute o in misura alternativa- assunte e un fatturato di produzione di circa 1,5 milioni di euro in diversi campi d’intervento, dalla ristorazione alla meccanica, dall’artigianato alla botanica.

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Le donne protagoniste di una rivoluzione culturale che non si deve fermare

Abbiamo partecipato ad alcuni incontri promossi da reti di donne tunisine, dall’organizzazione del Rinnovo della presa di coscienza femminile. Sia che si parlasse di repressione politica che di diritti le problematiche sono sempre affrontate con un’interpretazione dei diritti ancora molto legata ad una legge non scritta che è quella della famiglia. Abbiamo visto un documentario riferito alle testimonianze di donne imprigionate e torturate durante il regime di Ben Ali, regime che era riconosciuto da tutti gli stati occidentali senza che nessuno operasse mai una forma di critica politica sui metodi utilizzati per reprimere il dissenso. Riconoscere oggi quelle violenze, quelle morti, quei traumi ha una forte rilevanza sociale per le donne come quelle della Rete delle donne tunisine e marocchine che, per voce di alcune loro rappresentanti, denunciano come si sia ancora molto lontano da ogni forma di rispetto dei diritti di uguaglianza sanciti dalla costituzione. Bello l’intervento di Saida Naa Rouf, che sottolinea sempre la profonda differenza sulla capacità di incidere che hanno gli uomini rispetto alle donne nelle scelte politiche del paese. Con la grande capacità che hanno le donne qui, si dicono cose molto dure rispetto alle dure regole della società islamica che non riconosce ruolo alle donne se non figlie, sorelle, mogli, madri, soprattutto nelle aree rurali del paese dove l’autonomia economica delle donne è ancora un sogno impossibile.

Sorridendo, con dolcezza le donne del Reseau Femmes Atlas Tafialalt parlano, denunciano, si stringono l’un l’altra per cercare insieme una via che, dicono, deve passare dalle riforme del diritto di famiglia, per arrivare ad un cambiamento strutturale della società, soprattutto attraverso il potenziamento dei progetti di sensibilizzazione delle donne. Ci tengono a sottolineare il loro non voler essere considerate femministe, ma voler invece essere donne che lottano per diritti che legalmente gli sono riconosciuti ma che difficilmente vengono praticati soprattutto per crescere una nuova generazione di donne che sappia reagire alle discriminazioni, riconoscendole come tali. In uno dei dibattiti c’è stato un leggero disagio per gli interventi continui di alcuni uomini che hanno assunto in questo contesto un ruolo di protezione maschile non molto condivisibile, ma comprensibile, soprattutto quando, come padri, auspicavano un futuro di uguaglianza per le loro figlie. Le attiviste hanno apprezzato molto la nostra presenza e l’interesse che le donne occidentali hanno dimostrato partecipando agli incontri, presupponendo la nostra quasi assenza di problematiche di genere. Abbiamo cercato di spiegare che non è che nel nostro paese siano tutte rose e fiori, ma che vi sono enormi discriminazioni sia in campo lavorativo che sociale, con la considerazione finale che comunque anche per noi essere donne rappresenta ancora una differenza in negativo. Abbiamo notato questo grande fermento fra le donne arabe, questa grande consapevolezza di essere il vero motore del cambiamento, il sapere di essere la punta di diamante di una rivoluzione culturale che non si può, non si deve fermare.

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Festa delle donne: quando le contadine conquistarono la parità in famiglia

Vorrei fare gli auguri di una bella giornata alle donne ricordando una grande conquista ottenuta quarant’anni fa dopo quasi venti anni di lotte contadine nelle campagne italiane: la parità in famiglia.


Nella riforma del diritto di famiglia approvata nel 1975 fu introdotta per la prima volta una norma sull’impresa familiare per tutelare i componenti della famiglia che collaborano nell’impresa nei confronti dell’imprenditore. Con questa norma il familiare partecipante all’impresa ha diritto al mantenimento secondo la condizione patrimoniale della famiglia e partecipa agli utili dell’impresa familiare e ai beni acquistati con essi nonché agli incrementi dell’azienda in proporzione alla quantità e alla qualità del lavoro prestato. Le decisioni concernenti l’impiego degli utili e degli incrementi nonché quelle inerenti alla gestione straordinaria, agli indirizzi produttivi e alla cessazione dell’impresa sono adottate, a maggioranza, dai familiari che partecipano alla impresa stessa.

Prima del 1975 il lavoro prestato della moglie e dai figli era privo di qualsiasi riconoscimento. Non solo. Per avere diritto all’assegnazione di terreni degli enti di riforma la situazione era davvero paradossale. Tutta la famiglia era impegnata a lavorare per pagare le rate e riscattare le terre; ma poi, al momento del riscatto, la proprietà andava al solo capofamiglia. La stessa cosa avveniva con l’acquisto dei terreni con le agevolazioni per la proprietà coltivatrice. Per avere i mutui quarantennali ai fini dell’acquisto dei terreni, l’agricoltore doveva dimostrare di possedere un’azienda vitale, cioè che la sua famiglia era composta da un numero di persone che lavoravano e pagavano le rate. Ma poi, la terra rimaneva intestata solo al capofamiglia e la moglie ne veniva esclusa completamente. Anche l’acquisto degli animali, delle macchine e delle attrezzature era garantito dal lavoro di tutta la famiglia. Ma poi se ne avvantaggiava solo uno.

La stessa cosa avveniva da sempre anche nelle aziende artigiane e commerciali. Esclusivamente per l’agricoltura e solo in alcune aree dell’Italia centrale esisteva, però, l’antico consuetudinario istituto della comunione tacita familiare: le antiche famiglie si aggregavano per condurre un’impresa comune. In base a questi antichi usi, tutto quello che veniva acquisito, comprese le migliorie, era diviso fra tutti i componenti della comunione con il sistema, vigente allora, che il lavoro della donna valeva il 60 per cento di quello dell’uomo.

Nel 1975 per la prima volta una legge estende l’antica consuetudine a tutto il Paese e considera il lavoro della donna e quello dell’uomo equivalenti. Si supera così una grave discriminazione perché le donne contadine portavano il trattore, partecipavano alle colture specializzate, svolgevano ogni tipo di attività nelle aziende. Anzi s’accollavano ogni onere di direzione e di lavoro quando il marito andava a lavorare in fabbrica o all’emigrazione, più o meno temporanea. Ma ad avere tutti i diritti restava l’uomo per cui avvenivano cose curiose come, per esempio, questa: se c’era il premio d’integrazione per l’olio e il marito era in Germania, la donna non poteva fare la domanda, o non poteva incassare, a tutto danno della famiglia.

Fu dunque una grande conquista sociale e civile il nuovo diritto di famiglia. E fu soprattutto l’Alleanza dei Contadini, l’organizzazione che si batté con testardaggine per ottenere questa riforma. Già nel 1957 il suo Presidente, Emilio Sereni, aveva presentato una proposta di legge intitolata Per la difesa e lo sviluppo dell’impresa e la proprietà contadina che prevedeva le norme che saranno poi accolte nel 1975 dopo quasi venti anni di lotte nelle campagne.

Per saperne di più: http://www.ibs.it/code/9788889986271/pascale-alfonso/radici-gemme-societa.html