1

Raffaele Cantone: “Corruzione, non la sconfiggeremo mai davvero del tutto, si può solo limitarla”

 

102602524-c65d9e58-0a13-4b2b-a631-92739fe5207e

l presidente dell’Anticorruzione: “Orlando fa bene a non sottovalutare il fenomeno. Positive le decisioni del governo su Expo, voto di scambio e autoriciclaggio”

di LIANA MILELLA 


ROMA – Un aggettivo per definire la corruzione in Italia?

“Stabile e duratura”.

L’anno in cui non ci sarà più?
“Mai. Non riusciremo mai a sconfiggerla del tutto perché nessuno degli Stati moderni ne è indenne”.

Non è la triste ammissione di una sconfitta?
“Assolutamente no, perché l’obiettivo è ridimensionarla nei limiti fisiologici “.

È questa l’analisi del presidente dell’Authority Anti-corruzione Raffaele Cantone.

Corruzione “intollerabile” dice Orlando. È il solito slogan della politica per coprirsi le spalle?
” Ho letto integralmente il suo intervento. Quella definizione è inserita in un’analisi di contesto che mi pare assolutamente corretta. E comunque la condivido”.

Parlare male della corruzione i questi tempi non è un modo per sgravarsi la coscienza?
“È vero il contrario. È coraggioso non sottovalutare il fenomeno. Chi è al governo di solito lo fa, invece quella di Orlando è un’analisi giusta”.

Davvero pensa che ci vogliano 10 anni per far calare gli indicatori della corruzione?
“Ho volutamente esagerato. La prevenzione non è un processo i cui risultati si apprezzano subito. La prevenzione non è un arresto. Ci vorranno meno di 10 anni. Ma la politica deve capire che non può usare la logica della trimestrale di cassa… I problemi complessi hanno bisogno di soluzione complesse e di tempi non brevi”.

Non le pare che il governo, a parte la sua nomina, sia terribilmente in ritardo nelle misure anti-corruzione? Se ne parla, ci si vanta, ma non si approva nulla…
“Non sono d’accordo. Sono state fatte cose importanti. È stato rafforzato il potere del mio ufficio in modo significativo, sono stati messi in sicurezza i lavori dell’Expo, tant’è che l’Ocse è venuto a Milano e ha apprezzato i nostri controlli e vuole esportarli. Sono stati approvati voto di scambio e autoriciclaggio. È un pezzo di un percorso, ma Renzi ha promesso altri poteri per noi e c’è il pacchetto di Orlando… “.

…Non è un pannicello caldo portare da 8 a 10 anni la pena massima della corruzione e lasciare il resto com’è?
“Nella lotta alla corruzione, più che aumentare pene, preferisco approvare il nuovo codice degli appalti. Bisogna smetterla di pensare che i problemi si possano risolvono mettendo mano al diritto penale”.

Guardi la prescrizione… siano ai primissimi passi. E già si litiga sulla norma transitoria.
“Questa riforma è ineludibile, quanto meno per i reati di corruzione, perché si tratta di correggere un errore della ex Cirielli che ha ridotto a metà i tempi della prescrizione”.

Deve valere o no per i processi in corso?
“La faccenda non mi entusiasma. Sarebbe utile se le nuove regole potessero valere per i processi in corso, ma sarebbe un segnale importante anche se valessero per il futuro”.

Falso in bilancio, le soglie, il guazzabuglio sulla delega fiscale. È un grande pasticcio.
“Parliamoci chiaro, una cosa sono i reati tributari, un’altra i falsi in bilancio. Sono due delitti completamente diversi. Nei primi il danneggiato è il fisco, per cui è irrilevante il livello di ricchezza di chi evade ai fini del danno, al massimo potrà essere un’attenuante avere un reddito più alto. Nel falso in bilancio invece il danneggiato è la fede pubblica, l’esatta esposizione della situazione economica di una società. Di conseguenza é chiaro che, entro certi limiti di tolleranza, lo spostamento dal vero può anche essere non punibile. Ma la percentuale non può essere molto elevata e soprattutto non convince che ci sia un pezzo di perseguibilità a querela”.

Se la corruzione è “intollerabile ” perché premiare chi non paga le tasse?
“Reputo giusto che nei reati tributari ci sia una soglia al di sotto della quale il giudice penale non deve intervenire, non stabilita in percentuale, ma fissa e uguale per tutti i cittadini. Al di sotto il fatto resta sanzionato in via amministrativa “.

Gli evasori non meriterebbero di restar fuori dalla vita pubblica? Ma qui si discute di agibilità politica per Berlusconi….
“Bisogna uscire dalla trappola di guardare ogni norma con la lente dell’utilizzabilità per l’ex premier. Ne esistono di non corrette a prescindere da lui. L’evasione fiscale è un reato grave e merita una stigmatizzazione sociale rilevante. È necessario un cambiamento culturale”.

Milano e Roma, Expo e Mafia capitale. Chi sta peggio?
“All’Expo si sono verificati fatti molto gravi, ma c’è stata una prevenzione antimafia e anticorruzione che sta funzionando. Mafia capitale ha colto tutti di sorpresa. Se un sistema corruttivo poteva essere immaginato, l’ampiezza accertata e il coinvolgimento della mafia sono un pugno nell’occhio”.

È normale che non si commettano reati solo se c’è il commissario?
“Non lo è affatto, ma è il segnale che pezzi delle istituzioni stanno provando a mettere in sicurezza gli appalti. C’è una parte del sistema sana, che vuole essere garantita”.




Dopo Mafia Capitale il Terzo Settore deve produrre innovazione sociale

Alcune cooperative sociali sono coinvolte in “Mafia Capitale” e l’opinione pubblica tende ora a identificare il mondo del non profit come luogo del malaffare e della criminalità organizzata. Sarà lunga e faticosa la strada da percorrere per restituire la reputazione al brand del Terzo Settore. Non si tratta solo di scartare qualche mela marcia ma di produrre un cambiamento che riguarda tutti. Mutare regole e comportamenti.  Come è potuto accadere che i servizi sociali destinati ai più deboli diventassero il terreno privilegiato del fenomeno mafioso? Come mai alcuni dirigenti di cooperative son potuti diventare protagonisti di un intreccio malavitoso così ripugnante con esponenti della pubblica amministrazione e con bande criminali? Cos’è che non funziona nel mondo del sociale? Per rispondere a questi interrogativi il 21 gennaio si svolgerà a Roma l’Assemblea del Forum del Terzo Settore del Lazio. Sarà l’occasione per aprire una riflessione a tutto campo nel mondo del non profit su quanto è venuto fuori con l’inchiesta giudiziaria. E, nel contempo, l’avvio della ricerca di soluzioni sui servizi sociali delle periferie di Roma.

Il comitato scientifico del Forum ha predisposto una traccia di discussione, i cui punti sono i seguenti:

1. Quanto è successo a Roma è frutto di un intreccio mafioso tra funzionari pubblici e dirigenti di cooperative (per lo più sociali) basato sulla realizzazione di servizi pubblici.

2. Perché si può parlare di mafia? Quali valori negativi emergono? Quali contromisure possono essere prese (sia di breve che di medio periodo)?

3. In prima analisi si può affermare che: nella nostra società non si è mai fatto nulla di davvero efficace per promuovere il merito, che potrebbe essere antidoto contro la corruzione. Non basta richiamarsi al merito, ma si deve stabilire come lo si vuole perseguire. La corruzione non si estirpa solo con la repressione. Forse anche a causa di un’ipertrofia normativa, si ricorre troppo spesso a procedure d’emergenza che eludono gli iter di garanzia (sia le normative nazionali che quelle comunitarie, recentemente rimodulate). Si è in assenza di una progettazione condivisa tra gli attori in gioco e la pubblica amministrazione in un quadro programmato e di ampio respiro. Servono iniziative capaci di prevenire il diffondersi della mafia, attraverso il ricorso alle istituzioni e ai corpi intermedi. Servono iniziative finalizzate a dare le adeguate garanzie e protezione a chi ricorre alla giustizia. La mafia si diffonde con più facilità dove c’è povertà, l’Italia per certi aspetti è un paese sottosviluppato. Per invertire la tendenza, il non profit e l’innovazione sociale possono avere un ruolo estremamente importante. Sarebbe utile avviare un percorso d’ascolto sia interno al Forum che rivolto alla società. Così come non si può demonizzare tutto il Terzo Settore per colpa di alcuni casi, non si può neanche affermare che tutto ciò che si trova nel Terzo Settore sia necessariamente sano. Si deve valutare caso per caso avvalendosi dei giusti strumenti interni ed esterni. Serve maggiore trasparenza nella gestione delle organizzazioni non profit. Questa potrebbe esser perseguita ad esempio anche con strumenti tipo bilancio sociale, certificazione di terzi, ecc. Il Forum Terzo Settore (FTS) Lazio si deve dotare di una “Carta dei valori” e ogni organizzazione aderente vi si deve conformare redigendone una propria; dopodiché il FTS-Lazio deve raccogliere tutte le “Carte dei valori” e gli Statuti degli aderenti.

4. Si invita a riflettere su: quale deve essere il ruolo del Forum Terzo Settore? Si deve intervenire sulle singole organizzazioni o su quelle di rappresentanza? Così come è attualmente configurata, la vigilanza funziona? Lo strumento della revisione è sufficiente e/o adeguato? Il FTS-Lazio potrebbe supportare dei progetti territoriali pilota da realizzare in alcune periferie romane per promuovere: la partecipazione, la coesione, lo sviluppo locale, la legalità e l’integrazione? Si possono individuare delle politiche regionali e nazionali che diano un orizzonte d’investimento al Terzo Settore e che rimettano al centro dell’economia dei servizi la valorizzazione della cittadinanza come spazio comune politicamente sano? Si può sviluppare una politica sociale basata sull’aiuto diretto a soggetti che con la propria libera preferenza scelgano i servizi (standardizzati e certificati) di cui fruire?  L’uso dei voucher può essere uno strumento per limitare la corruzione?

È da augurarci che su questi temi si sviluppi un dibattito intenso con l’apporto di tutti i protagonisti del Terzo Settore: dirigenti, operatori e utenti. Ma senza chiuderci nel nostro mondo. Bisognerebbe coinvolgere le periferie di Roma e l’insieme dei sistemi locali in modo intersettoriale e interdisciplinare. Solo in questo modo la diagnosi potrà essere veritiera e la cura potrà produrre risanamento e innovazione sociale.

Lavoro_cat_protette




Contro le mafie: legalità, legalitarismo e disobbedienza civile

L’azione di contrasto alle mafie ha bisogno congiuntamente di legalità, legalitarismo e disobbedienza civile. Ognuna di queste parole rappresenta concetti diversi e distinti ma, tenute insieme, possono contribuire a un vero e proprio programma di iniziative concrete per liberarci dalle mafie.

La legalità è uno dei principi che caratterizzano lo Stato di diritto ed esprime l’idea che ogni attività dei pubblici poteri debba trovare fondamento in una legge. Le norme possono disciplinare una certa discrezionalità entro cui la pubblica amministrazione si può muovere. Ma se si oltrepassano gli spazi di discrezionalità consentiti dalla legge si cade nell’arbitrio. E l’arbitrio, il favoritismo, il clientelismo  creano malgoverno e non governo, sottraggono risorse pubbliche ad un loro utilizzo efficiente, comprimono i diritti civili e sociali dei cittadini e favoriscono la corruzione e il malaffare,  in cui si annidano e prosperano le mafie. Battersi per la legalità è, dunque, esigere che i pubblici poteri agiscano nel rispetto della legge e non già in modo arbitrario. E, nello stesso tempo, promuovere ogni forma di collaborazione tra istituzioni e cittadini per denunciare qualsiasi atto illegale e favorire così il rispetto della legge.

Il legalitarismo è, invece, una concezione etico-politica generalmente professata da partiti e movimenti politici  che, prefiggendosi radicali e profonde riforme di carattere economico e sociale, cercano di realizzarle attraverso un confronto democratico nelle istituzioni e nella società anziché ricorrendo a metodi e mezzi violenti. Essere legalitari significa, dunque, raggiungere i propri fini politici di giustizia sociale con gli strumenti della democrazia e non imponendoli con la violenza.

Infine, il concetto di disobbedienza civile o di obiezione di coscienza risponde alla domanda: è giusto disobbedire alle leggi ingiuste? Un contributo originale volto ad approfondire questo tema è stato fornito da don Lorenzo Milani nella famosa Lettera ai giudici. Nel 1965 il priore di Barbiana scrive la Risposta ai cappellani militari che avevano sottoscritto un ordine del giorno in cui «considera(va)no un insulto alla Patria e ai suoi caduti la cosiddetta obiezione di coscienza che, estranea al comandamento cristiano dell’amore, è espressione di viltà».  Avendo difeso gli obiettori, don Milani viene denunciato da un gruppo di ex combattenti per apologia di reato. Durante il processo, egli scrive la Lettera ai giudici in cui affronta il tema dal punto di vista laico e civile che qui ci interessa.

Don Milani parte dal principio che le leggi vanno amate perché il loro rispetto da parte di tutti è alla base degli ordinamenti democratici e della convivenza civile. Ma aggiunge di non poter dire ai suoi allievi «che l’unico modo d’amare la legge è d’obbedirla». Perché? «Posso solo dir loro – continua – che essi dovranno tenere in tale onore le leggi da osservarle quando sono giuste (cioè quando sono la forza del debole). Quando invece vedranno che non sono giuste (cioè quando sanzionano il sopruso del forte) essi dovranno battersi perché siano cambiate».

Fin qui non c’è ancora il tema della disobbedienza civile. C’è l’incitamento a battersi per cambiare le leggi quando sono ingiuste, cioè quando permettono ai forti di vessare i deboli. E la lotta per cambiarle non fa venir meno la tensione morale per osservarle. Ma il testo continua così: «La leva ufficiale per cambiare le leggi è il voto. Ma la leva vera è influire con la parola e con l’esempio sugli altri votanti. E quando è l’ora non c’è scuola più grande che pagare di persona un’obiezione di coscienza. Cioè violare la legge di cui si ha coscienza  che è cattiva e accettare la pena che essa prevede».

La disobbedienza civile è, dunque, per don Milani un atto educativo («…non c’è scuola più grande…»), un atto di testimonianza, un modo per pagare di persona (davvero e non per finta!) la pena prevista per aver violato una legge ingiusta. «Chi paga di persona – precisa il sacerdote – testimonia che vuole la legge migliore, cioè che ama la legge più degli altri».

Come si può chiaramente notare, nella concezione di don Milani riguardo alla disobbedienza civile non c’è alcunché di anarchico ma «un amore costruttivo per la legge» (sono parole sue). Si potrebbe dire che nel suo pensiero il concetto di legalità è declinato fino alle estreme conseguenze: battersi per migliorare le leggi fino a renderle giuste mediante atti concreti che comportino anche il sacrificio di pagare di persona per la violazione di norme ingiuste. Per l’educatore di Barbiana è in questo modo che si formano cittadini consapevoli e responsabili e classi dirigenti capaci di mettere l’interesse generale innanzi ad ogni tornaconto personale o di gruppo.

Cosa può significare tutto questo nella lotta alle mafie?

Promuovere la legalità, cioè battersi perché i pubblici poteri osservino le leggi. Le mafie si diffondono quando la discrezionalità delle pubbliche amministrazioni esorbita dalle norme legali e diventa arbitrio. E nell’arbitrio pullulano la corruzione e il malaffare. Diventa, quindi, necessaria una mobilitazione per scovare ogni forma di illegalità, sopruso, prepotenza, favoritismo, clientelismo che si consuma nelle istituzioni a danno dei cittadini e combattere tali comportamenti a viso aperto e con tutti i mezzi legali e non violenti, dalla denuncia all’azione penale. La mobilitazione per la legalità è, al contempo, conflittuale e collaborativa. Ed è legalitaria perché si svolge nelle regole democratiche senza alcun uso della violenza.

Battersi per cambiare le leggi quando negano i diritti dei più deboli fino al punto di disobbedire alle norme che la propria coscienza reputa ingiuste, ma accettando di buon grado la pena prevista per chi le viola. Guai a venire a patti coi pubblici poteri per ottenere l’impunità mediante un atto d’arbitrio o un favore di chi è tenuto a far osservare le leggi che si violano. La lotta per la giustizia sociale scadrebbe in collusione con chi, nella pubblica amministrazione, invece di applicare le leggi agisce in modo arbitrario e clientelare. La testimonianza è efficace, cioè muove altri ad agire per il cambiamento, se la mobilitazione sociale non provoca soprusi o favoritismi da parte dei pubblici poteri e se non assume il significato di scardinare l’ordinamento ma di migliorarlo mediante un’azione legalitaria, ossia non violenta, e che porta a pagare di persona l’obiezione di coscienza.

Si toglie acqua di coltura al proliferare delle mafie se maturano la consapevolezza e la responsabilità degli individui e dei gruppi, se crescono i diritti sociali e civili delle persone, se aumentano le occasioni di lavoro mettendo a frutto risorse pubbliche e private, se migliorano la qualità e l’efficienza delle istituzioni pubbliche. È questo il senso della legalità che dovremmo sempre più accogliere nel nostro modo di essere e di pensare per contrastare le mafie.
19marcia-legalita-acerra-16-marzo-2010




Mafia e illegalità a Roma: intervista esclusiva a Raffaele Cantone, presidente dell’Autorità Anticorruzione

1383686_10205299780685019_7283169460897186060_n

Roma – Corviale, Raffaele Cantone (magistrato, presidente Autorità Anticorruzione) e Elisa Longo (giornalista) nella palestra di Calcio sociale, convegno Contromafie 2014

Le organizzazioni mafiose ricercano il consenso sostituendosi allo Stato e alla società civile nei territori. Raffaele Cantone risponde alle domande di CorvialeDomani sulle preoccupazioni dei cittadini, durante la giornata di apertura di Contromafie 2014, svoltasi nella sede di CalcioSociale a Corviale il 23 Ottobre.

Una delle cause principali del degrado in cui viviamo a Roma è l’intreccio tra economie criminali e fenomeni di corruzione. Si può affermare che nella Capitale si stia manifestando una nuova tipologia di mafia, frutto anche della contaminazione tra mafie di origine nazionale e mafie straniere?

«Non ho contezza di fatti specifici a riguardo, ma è sicuramente vero che le mafie, ormai, abbiano assunto un carattere transnazionale, a Roma come nel resto del paese. Si tratta di un rapporto bidirezionale, che vede gruppi italiani di criminalità organizzata in perfetta osmosi con “colleghi” di provenienza prevalente dai paesi dell’est Europa. Si tratta di organizzazioni che si scambiano uomini e mezzi, nonché supporto logistico, per la gestione dei loro affari illeciti».

Le attività criminali si stanno concentrando soprattutto nei quartieri multietnici di Roma dove stanno prendendo piede forme di strumentalizzazione e promozione di movimenti populistici e xenofobi.  Esiste un interesse diretto da parte delle organizzazioni criminali a favorire questa  modalità di controllo sociale per ottenere in tal modo un consenso diffuso intorno alle proprie attività illecite? 

«La ricerca del consenso è fondamentale per la sussistenza di queste organizzazioni criminali; un modo per ottenere tale consenso è, ovviamente, sostituirsi allo Stato nel rispondere ai bisogni fondamentali della gente. Ecco perché lì dove lo Stato non riesce ad essere presente, se non in modo repressivo, le organizzazioni mafiose prosperano. Io sono napoletano, ed il quartiere Corviale di Napoli si chiama Scampia: deficit di urbanizzazione e totale assenza di presidi minimi di legalità – se non quelli realizzati da associazioni e volontari – rappresentano il comune denominatore di due realtà che sono molto più vicine di quanto si possa immaginare».

Non sarebbe il caso di svolgere una ricerca-azione di tipo interdisciplinare – tipo quella che fece Franco Ferrarotti negli anni Sessanta proprio nelle periferie romane – per venire a capo di tutte le tipologie del fenomeno e delle connessioni nazionali e internazionali?

«Senza nulla togliere al valore educativo e pedagogico della sociologia, credo di poter dire, senza tema di smentita, che questo fenomeno, con tutte le sue declinazioni e connessioni dentro e fuori dai confini del Paese, sia già ampiamente noto a chi è chiamato a contrastarlo e sconfiggerlo».

In alcuni quartieri di Roma, come Corviale, Torpignattara, Pigneto, si stanno sperimentando percorsi partecipativi “dal basso”.  In tali percorsi, quali forme di contrasto alle mafie si potrebbero realizzare da parte della società civile, nonostante la persistente sottovalutazione della presenza del fenomeno mafioso nella Capitale e della sua specificità da parte delle istituzioni?

«La lotta alle mafie deve necessariamente seguire due binari: quello repressivo e punitivo – compito precipuo di magistrati e forze dell’ordine – e quello culturale, che attiene alle coscienze di ciascuno di noi. Il rispetto delle regole, anche le più elementari, che caratterizzano una comunità è il primo passo per l’affermazione dei principi del vivere civile».

Quale ruolo svolge il giornalismo d’inchiesta e quali forme di collaborazione si potrebbero realizzare tra giornalisti e cittadini?

«Se il giornalismo, tout court, è il cane da guardia della democrazia, i cittadini possono, e devono, diventarne le sentinelle»




Roma, stati generali dell’antimafia 2014 – 23/26 ottobre

Video > Intervista di Don Luigi Ciotti




Zero rifiuti

zero rifiutiDobbiamo assolutamente stare in questa partita. Ci sono le condizioni per portare a casa un risultato inaspettato perchè i rifiuti sono la miniera del futuro e possono dare lavoro reddito e opportunità per il riciclio e il riuso oltre per l’energia che è in grado di produrre.