1

Comunicare la periferia

“Il presidente Fico va in bus: la normalità si fa social.”

(Corriere della sera del 27/3/18)

“La Banca d’Italia monitora i social media e in particolare Twitter per calcolare le aspettative d’inflazione o per valutare la fiducia dei depositanti” perché come dice Fabio Panetta, vicedirettore generale della Banca, circa l’8o% dei cittadini europei (e italiani) hanno uno smartphone con il quale raccolgono informazioni da Internet e fanno attività che stanno modificando e influenzando i comportamenti. Il 40% delle persone nel nostro Paese hanno accesso al conto bancario, e molti ormai acquistano, attraverso lo smartphone. Utilizzando i dati che noi depositiamo sulle varie piattaforme e tramite l’intelligenza artificiale, le big tech sono in grado di analizzare e indicare comportamenti e aspettative dei   consumatori che potrebbero essere utilissimi per giudicare, ad esempio, il «merito di credito» di persone e aziende.”

(Sole 24 ore del 27/3/18)

Queste due news descrivono il contesto di cui occorre tener conto per affrontare il tema di come

“comunicare la periferia non solo quando è luogo di violenza e degrado ma scavando, andando oltre il problema, approfondendolo e facendo emergere anche le buone prassi di una comunità e di un territorio. Il contrario di quello che accade oggi come rileva una ricerca della Facoltà di Scienze della Comunicazione dell’Università Pontificia Salesiana di Roma da cui è emerso quanto l’uso degli stereotipi sia ampio nella periferia raccontata. Nei 30 servizi categorizzati come “servizi sulle periferie” andati in onda da novembre 2017 al 1 marzo 2018 nei tg sono state rilevate 1063 parole significative, in cima alla classifica c’è “quartiere” (43 volte), seguito da “bambino” (34), “paura” (30), “periferia” (25), “Napoli” (20), “droga” (20), “spacciare” (20), “ragazzini” (19) e “immigrati” (18), “sicurezza” (16), “piazza” (15), “spacciatore” (15), “rapina” (15), “degrado” (14), “scuola” (13) e “baby gang” (13).”

(G. Marota “Periferie e informazione” in Reti solidali del 26/3/18)

Ma oltre che mettere in rilievo le buone pratiche occorre creare un sentimento d’identità nelle comunità.

Questo è soprattutto il motivo della campagna “Il presidente Fico va in bus”: riaffermare lo spirito identitario anticasta degli elettori 5 stelle che hanno dovuto ingoiare il rospo dell’elezione al senato della forzaitaliota Casellati.

Gli amici di Scampia hanno ben chiaro quest’obiettivo di rafforzare l’identità della comunità, per esempio, con l’esaltazione della passione per la squadra del Napoli.

Anche gli amici del quartiere Libertà di Bari hanno presente questo scopo attraverso una puntuale campagna contro il degrado e il malaffare nel loro territorio per risvegliare un senso di orgoglio e di riscatto.(…)

La strategia comunicativa è insomma quella del sentimento di appartenenza.

Occorre studiare le pulsioni che muovono la propria comunità.

Serve ricercare le linee emotive che innervano le espressioni social degli abitanti.

Analizzare in maniera trasparente e pubblica tali linee espressive esalta l’azione etica di chi vuole rilanciare le periferie.

L’esatto contrario di chi ne fa trampolino di carriere politiche.




Radio impegno

La radio di chi di notte custodisce.
Sta nascendo a Roma, al Corviale grazie ad associazioni e cittadini che non sono disposti a tenere la bocca chiusa.
“Vince solo chi custodisce”. È il motto di Calciosociale, una società sportiva dilettantistica presente a Roma dal 2005, con l’obiettivo di trasformare il gioco del calcio da sport competitivo a palestra di vita, arricchendolo con attività sociali per ragazzi e famiglie. E da anni lo fa in uno dei quartieri più a rischio della capitale, il Corviale, regno di clan criminali e degrado urbano. Un monopolio che nel 2014 Massimo Vallati (presidente di Calcio Sociale) insieme ad altri giovani hanno voluto strappare alla malavita consegnando al quartiere il “Campo dei Miracoli”, una struttura eco-sostenibile diventata luogo di incontro, gioco e socializzazione per gli abitanti della zona. Nella notte tra il 12 e il 13 Novembre 2015 il centro subisce un atto intimidatorio e una parte di esso va in fiamme. Consapevoli della solidarietà di cittadini e istituzioni, Massimo e gli altri volontari del centro decidono di investire le loro forze su un nuovo progetto. Mettere in piedi una web-radio notturna che trasmetterà programmi di informazione e intrattenimento, in diretta dal Campo dei Miracoli, coinvolgendo associazioni, cooperative, onlus e diverse realtà della capitale. Radio Impegno nascerà per dire al Corviale e a Roma che anche di notte c’è chi costruisce e custodisce.
Corviale
L’incendio doloso al Campo dei miracoli di Corviale

Cos’è cambiato dopo l’attentato?
«Una settimana dopo l’incendio abbiamo voluto organizzare una fiaccolata di solidarietà, invitando tutti coloro a cui stavano a cuore i valori della legalità e del rispetto dei luoghi comuni. In quell’occasione abbiamo preso consapevolezza che sono in tanti a sostenerci. Padri, mamme, bambini di Corviale e degli altri municipi di Roma, associazioni, autorità e semplici cittadini hanno rotto quel muro di omertà che da troppi anni regnava all’interno del quartiere».

E l’idea di Radio Impegno, com’è nata?
«La fiaccolata è stata un segnale talmente forte, che invece di darla vinta ai mafiosi facendo un passo indietro faremo tre passi in avanti. Metteremo in piedi una web-radio notturna per dire a chi vuole distruggere che noi invece, di notte, vogliamo costruire. E lo faremo con i valori della legalità, del senso civico e della solidarietà».
Radio Impegno nasce al Corviale per “custodire” le notti, ma anche i giorni
Radio Impegno nasce al Corviale per “custodire” le notti, ma anche i giorni

Chi farà parte di Radio Impegno?
«L’idea è quella di costruire un grande movimento cittadino di contro-informazione che denunci tutto ciò che non va in questa città, ma allo stesso tempo faccia emergere il coraggio di uomini e donne che vogliono cambiare le sorti di Roma. Il prossimo 21 Gennaio al “Campo dei Miracoli” avremo un incontro organizzativo a cui potranno prendere parte tutti, con maggior attenzione alle associazioni che operano sul territorio romano: da quelle culturali a quelle sportive, dalle cooperative sociali a quelle rivolte all’infanzia. Ogni associazione prenderà in carico una notte di trasmissione (dalle 00.00 alle 07.00) decidendo i contenuti e i programmi del palinsesto, sia di informazione sia di intrattenimento. Creeremo anche delle rubriche comuni all’interno delle quali affronteremo dei temi da sollecitare all’opinione pubblica. Ci auguriamo di coinvolgere almeno 60-70 associazioni così da poter affidare ad ogni realtà un massimo di 5-6 notti l’anno».

Calcio Sociale è presente al Corviale dal 2005. Che contributo avete dato al quartiere?
«Grazie al supporto della regione Lazio abbiamo accettato la sfida di riprenderci un quartiere per troppo tempo gestito dalle associazioni criminali. Il “Campo dei Miracoli” che nel 2014 abbiamo consegnato alle famiglie di Corviale è diventato il simbolo del riscatto di questa zona, un posto dove far crescere i propri figli in modo sano. Un polmone verde eco-sostenibile in mezzo al cemento delle abitazioni abusive, per far attività sportiva ma anche sociale. Ci sono accanto le istituzioni e le forze dell’ordine: tra tutte, in modo particolare, il Prefetto di Roma, che si è impegnato a condurre una delle notti radiofoniche».
Campo dei Miracoli è una struttura ecosostenibile
Campo dei Miracoli è una struttura ecosostenibile

A chi ha tentato di ostacolarvi nel vostro progetto, cosa rispondete?
«Se volevano tenerci la bocca chiusa distruggendo un progetto messo in piedi con tanta fatica, hanno ottenuto l’effetto contrario. Non solo ci riprenderemo il quartiere di notte, ma saremo in tanti a denunciare, a parlare e a guardare quello che succede attorno al Corviale e in tutta Roma».

Se vuoi prendere parte a Radio Impegno – come associazione o come privato – puoi inviare una mail a segreteria@calciosociale.it o telefonare ai numeri 3402627939 – 0665198597. Il Campo dei Miracoli – centro sportivo Valentina Venanzi – si trova a Roma in Via Poggio Verde 455.

link all’articolo




Cronache di Frontiera su Sky

La docu-serie che racconta le periferie italiane in presa diretta.
Ci sono frontiere che non si trovano ai confini tra gli stati. Sono nelle nostre città, in quelle periferie dove convivono culture e povertà diverse, dove si mescolano storie di immigrati, di nuovi e vecchi italiani. Sky TG24HD ha scelto di raccontare questa realtà che vive sottotraccia, in cui tradizioni, credenze e religioni differenti coesistono con difficoltà, con “Cronache di frontiera”, un documento con un linguaggio nuovo, in onda in quattro puntate dal 30 settembre tutti i mercoledì alle 21.10 su Sky TG24HD (canali 100 e 500 di Sky) e in chiaro, visibile a tutti, sul Canale 27 del digitale terrestre. “Cronache di Frontiera” sarà disponibile anche su Sky On Demand.

Basato sul format originale inglese Benefits Street e prodotto in Italia da FremantleMedia, “Cronache di frontiera” è una narrazione in presa diretta, senza alcuna intermediazione giornalistica o documentaristica, della vita in una periferia romana, particolare per le sue peculiarità, ma in realtà uguale per tensioni sociali e paure a quella di molte altre città italiane. Una fotografia, che mostra le mille sfaccettature e i sentimenti contrastanti di chi si trova a vivere e affrontare realtà estreme, spesso al limite della legalità, dove non esistono buoni o cattivi.

Persone dal futuro incerto, del quale non conoscono ancora i contorni. E da qui nascono le paure e la rabbia, ma anche la speranza e la
voglia di reinventarsi un’esistenza in un paese sconosciuto, un desiderio di riscatto che entra in contrasto con chi si vede sottratte le proprie poche sicurezze.

“In “Cronache di Frontiera” – spiega Andrea Scrosati, Executive Vice President di Sky Italia, responsabile di intrattenimento, Cinema, News e Canali Partner – il racconto della realtà, che è l’essenza e la missione più pura del giornalismo, si fonde con un linguaggio visivo innovativo, quasi cinematografico, costruendo il solco di una nuova narrazione, capace di coinvolgere anche quella generazione che cerca
un’informazione distante anni luce dai salotti e dai dibattiti, che parli la lingua delle immagini e della realtà che ci circonda”.

La docu-serie è stata girata all’interno del VI Municipio, che comprende un insieme di quartieri (Tor Bella Monaca, Torre Angela, Torre Maura, Giardinetti, Torrespaccata), i cui nomi riempiono le cronache dei giornali per l’elevato numero di reati commessi. Una zona in cui tutti i giorni si combatte per la sopravvivenza, tra case popolari occupate abusivamente e la vicinanza di alcuni insediamenti Rom.

Un’area vasta e popolosa, abitata per un terzo da extracomunitari: 74 etnie diverse costrette a una convivenza non semplice. Un luogo in cui ogni giorno si vive uno scontro di culture e religioni, ma anche dove è possibile trovare la solidarietà tra la gente bisognosa. C’è chi, come Regina, cerca di sfamare la sua famiglia numerosa con ogni mezzo lecito, e chi, come Jonas, vive da anni occupando un locale pubblico e lotta per non essere cacciato. O ancora chi, come Agostino, combatte contro una concorrenza spietata per non chiudere la propria attività. E ci sono le nuove generazioni, con le storie di Tangir, Memhet e Mattia, alla ricerca dell’integrazione e di un futuro migliore.

link all’articolo




Vivere a Termini

L’umanità della grande stazione raccontata in una web-tv.
Termini.Tv è il primo canale online che dà voce ogni giorno a chi transita o “abita” nel principale scalo ferroviario di Roma e d’Italia. Fondata da un gruppo di giornalisti, vuole combattere la chiusura verso l’altro narrando storie di migranti, senzatetto ma anche turisti e pendolari.
Francesco Conte passa le sue giornate alla stazione Termini di Roma: dalla mattina alla sera e a volte anche di notte, osserva le persone che corrono lungo i binari, sostano nei bar, siedono stanche sulle panchine. Parla con migranti, turisti, pendolari, senzatetto e con la sua telecamera raccoglie le loro storie. È nata in questo modo Termini.Tv, il primo canale online che racconta la realtà dentro e intorno alla principale stazione ferroviaria italiana, dove si stima che transitino 500 mila persone al giorno.
“Termini è come un grande quartiere dove abita una umanità che arriva da tutto il mondo. Cerchiamo di combattere la paura dell’altro, la chiusura verso chi non si conosce narrando le vite di chi attraversa questo posto”, racconta Conte, fondatore della web-tv nata ad aprile. Insieme a lui, ci sono altri giornalisti, film-maker e fotografi. “Le storie arrivano senza che le cerchiamo, noi diamo loro una voce e un volto”. La sede si trova sotto al binario 24, in una piccola stanza che fino a qualche anno fa era il luogo in cui i ferrovieri si incontravano dopo il lavoro. Dividono lo spazio con un gruppo di ballerini e musicisti, la compagnia di Termini Underground. Sopra di loro sfrecciano i treni che portano a Fiumicino. I video durano tutti pochi minuti e sono sottotitolati in inglese. “Creiamo dei piccoli racconti che però hanno un carattere internazionale. Questo progetto è unico al mondo”.
Francesco e il suo gruppo hanno lanciato anche l’iniziativa del “caffè sospeso”: un caffè offerto a chi vuole condividere una parte della sua vita davanti alla telecamera. E le storie particolari raccolte in questo modo non mancano. Ci sono quelle dei senzatetto che ogni notte dormono lungo la adiacente via Marsala e che spesso sono svegliati dai ragazzini delle scuole in gita a Roma che dai balconi degli hotel puntano i laser sui loro occhi; ci sono quelle di chi lavora al Luiss Enlabs, un acceleratore di start up che sorge proprio sopra la stazione; quelle degli innamorati che vivono a distanza e si ritrovano a Termini; quella di una anziana signora che coltiva un orto lungo i binari, ma anche quelle di chi arriva per la prima volta a Roma. “Ho lasciato la telecamera ad una ragazza canadese che ha raccontato a suo modo il primo impatto con Termini”, racconta Francesco.
Ogni filmato raggiunge le duemila visualizzazioni. “Siamo partiti da poco ma speriamo di continuare a crescere. In pochi mesi abbiamo accumulato 500 ore di girato. Il nostro è un giornalismo di strada e a ottobre apriremo dei corsi per i giovani che si avvicinano a questa professione”. Un giornalismo che parte dalle persone e si sporca le mani. “Ognuno ha qualcosa da raccontare, basta avere il tempo di ascoltare”.

link all’articolo

link a termini tv




Sutka City Tv, la prima televisione rom

Punta al modello Cnn.
Trasmette da un bilocale a Parigi ed è stata creata da Andrijano Dzeladin, giovane rom di origini macedoni. Punta a infrangere i pregiudizi e diffondere la “cultura ricca” di una popolazione che supera i 15 milioni di persone, ma non ha una nazione.
«Nel 2010 stavo ascoltando alla radio un programma che raccontava dello sgombero di un campo rom. Parlavano di noi utilizzando i soliti luoghi comuni, allora ho preso il telefono e ho chiamato l’emittente radiofonica per spiegare che noi rom non siamo tutti mendicanti e ladri. Ero arrabbiato e quando mi hanno collegato con lo studio sono riuscito a dire solo: “Vi mostrerò il vero volto dei rom”. È stato allora che mi è venuta in mente l’idea un po’ folle di creare una tivù dedicata alla mia gente».
Adrijano Dzeladin

Due anni dopo quel suo goffo intervento radiofonico, Andrijano Dzeladin, trentatreenne rom di origini macedoni, realizza il suo sogno e fonda Sutka City Tv, la prima televisione rom al mondo, l’unica interamente in lingua romanì. Per spiegare a tutti chi sono veramente i rom. «L’ho chiamata Sutka, come il quartiere di Skopje in cui sono nato, l’unico al mondo in cui i rom sono la maggioranza», spiega Andrijano.
La sede di Sutka City Tv si trova nel diciannovesimo arrondissement di Parigi in un bilocale di una cinquantina di metri quadrati con la moquette blu e i cavi elettrici che corrono dappertutto. Una stanza con tre monitor e un mixer fa da regia e l’altra con le telecamere, i microfoni, una scrivania e due sedie messe davanti a una parete verde serve per le riprese televisive. La magia della televisione trasforma la parete verde nello sfondo di uno studio televisivo degno delle migliori emittenti francesi e su questo sfondo ogni giorno, dalle 19 alle 20.30, Andrijano conduce il suo programma culturale in romanì. I telespettatori chiamano da casa e si discutono insieme a lui degli argomenti più vari, discutono di questioni che riguardano la comunità, fanno dediche e chiedono di ascoltare canzoni zigane. Per il resto della giornata il canale trasmette programmi di cucina e tantissimi video musicali. «Nella cultura rom la musica è importantissima e negli ultimi anni la nostra musica viene sempre più apprezzata anche al di fuori delle comunità rom», dice Adrijano.
L’obiettivo di Andrijano è infrangere i tanti pregiudizi sulla cultura rom. «Al mondo ci sono più di 15 milioni di rom – spiega il fondatore di Sutka City Tv -, la maggior parte di questi vive in maniera sedentaria. La gente ci crede tutti fannulloni e furfanti, ma non è così. Ci sono rom attori, medici, ingegneri, pittori, insegnanti, giornalisti. La nostra è una cultura ricca: abbiamo la nostra lingua, la nostra bandiera, il nostro inno ma non abbiamo una nostra nazione».
Per il momento a Sutka City Tv ci lavorano solo in due, ma il sogno di Andrijano sarebbe quello di portare la sua piccola emittente televisiva in ogni nazione. «Vorrei creare una Cnn dei rom» dice, un po’ scherzando e un po’ credendoci davvero. Ma neanche le frequenze televisive sono immuni dai pregiudizi e la piccola tivù deve lottare ogni giorno per restare accesa.
«Facciamo fatica a trovare sponsor», racconta Andrijano. «Quando vedo che canali con un audience inferiore alla nostra riescono a prendere sponsor importanti, mi dico che Sutka non è trattata come le altre televisioni». Ma l’anchorman non si dà per vinto: «Noi rom abbiamo qualcosa che nessun altro possiede: sappiamo cavarcela anche nelle situazioni più difficili».

link all’articolo




La geniale pubblicità di un paesino svizzero che fa impazzire il web

Un video ad alto tasso di viralità che mostra un approccio al marketing turistico originale, personalizzato e gentile. È quello realizzato per pubblicizzare Vrin (nell’immagine di copertina) , un piccolo paese svizzero con appena 275 abitanti nel cantone dei Grigioni (Graubünden) a 1.500 metri d’altezza sul livello del mare. Protagonista della pubblicità, una promozione sponsorizzata dall’ente turistico cantonale, è un allegro montanaro locale, che si piazza con il suo laptop su un prato e si collega con un pannello nella stazione di Zurigo, attraverso il quale interagisce con i viaggiatori. Viaggiatori ai quali propone di andarlo a trovare e ai quali stampa e offre il biglietto del treno se accettano. Una trovata semplice e low cost, ma di grande impatto, perché alla pubblicità ritagliata su misura per il piccolo paesino si è aggiunto il successo virale del video che la documenta e completa. Trovata inevitabilmente destinata a svalutarsi quando sarà abbracciata anche da altri e numerosi committenti, che potrebbe addirittura rivelarsi una trovata molesta se dovessimo ritrovarci le strade e i luoghi pubblici pieni di postazioni del genere e animate da venditori e postulanti molesti.

link all’articolo




Writing social book 2.0

Ogni realtà organizzativa si trova oggi a comunicare e visibilizzare il proprio lavoro non solo con le modalità tradizionali, ma anche attraverso gli strumenti offerti dalle nuove tecnologie. L’ipotesi è che un uso professionale e competente del web 2.0 possa portare ad un’evoluzione delle modalità di lavoro, permettendo di raccontarsi diversamente (meglio?) a più soggetti, ottimizzando contemporaneamente costi ed energie.

writing social book




Social media strategy in 3 pass

Alla base delle Social Media Relations stanno sensibilità, curiosità, flessibilità, capacità di interpretare i cambiamenti ancor prima che essi avvengano. I Social Media racchiudono in sé, con tutte le loro sfaccettature, pregi e difetti della società contemporanea. E allora la grande sfida è riuscire a interpretarli, gestirli giocando un ruolo di primo piano (noi, Social Media Manager, aziende, utenti) per essere capaci di sfruttarne le infinite potenzialità senza rimanere incastrati nei tranelli in cui è facile incappare se non se ne conoscono bene i meccanismi.

I Social Media come espressione della Modernità Liquida

Estremizziamo. Se i Social Media rappresentano la “liquidità” della società contemporanea (Cfr. Zygmunt Bahuman), non ci sono più confini spazio-temporali: e allora anche l’attività del Social Media Manager non deve porsi limiti, perennemente sospesa in una tensione innovatrice, dialogante e “esperienziale”.

Eppure esiste un modello che riassume bene le principali azioni e linee guida che ogni azienda, società, organizzazione che si vuole promuovere deve seguire sui Social Media. Michele Rinaldi nel suo “Social Media Relations” parla di “Modello ASP” (Ascoltare, Stimolare, Presidiare), che trovo riassuma perfettamente le linee guida chiave di ogni Social Media Strategy che si rispetti.

1. Ascoltare, prima di parlare

Ci dicevano così i nostri genitori, ricordate? Grande lezione, quella, una specie di mantra che ogni Social Media Specialist è bene tenga in mente ogni volta che si mette al computer, smartphone, tablet. Prima di dire la nostra, dobbiamo sapere cosa gli altri dicono di noi. Qualsiasi attività di social media marketing non può prescindere da una costante attività di ascolto web. Conoscere per governare la Brand reputation, sapere cosa pensano di noi i nostri acquirenti (attuali, ma soprattutto potenziali), i nostri competitors, gli influencer.

Dove ascoltare?
Sui social (da Facebook a Twitter, passando per Pinterest e Instagram, finendo con YouTube: anche le immagini e i video dicono moltissimo di come siamo percepiti), nei Forum e Blog, sulle testate online specializzate.

E poi?

Si creano nuovi spunti di comunicazione
Si modula il piano editoriale anche sulla base di ciò che interessa alla rete
Si decide se rispondere, se “entrare nella mischia” e provare a tirare fuori il meglio dalle occasioni offerte dall’attività di altri profili social.
Guardate per esempio cosa è successo quando l’account Twitter di Citroen Italia ha twittato una grafica che rappresenta “la formula del parcheggio perfetto”. Un’azione social corale, geniale proprio perché spontanea, per la quale si meritano un applauso i team social di Citroen, Smart, Martini, San Carlo e Sanbuca Molinari.

2. Stimolare: lo storytelling, l’esperienza, la condivisione.

Dimenticate il marketing tradizionale. La distinzione tra consumatore e produttore. Nel web 3.0 l’utente diventa un po’ produttore, un po’ consumatore di contenuti. O meglio, è l’una e l’altra cosa contemporaneamente. La sua esperienza del Brand e la narrazione che ne consegue sono il fulcro attorno a cui ruota ogni attività di comunicazione.
Così, oltre a monitorare quanto gli utenti prosumer (producer + consumer) dicono delle aziende, queste ultime devono a loro volta creare nuove occasioni di comunicazione grassroots, dal basso. Per non subire ciò che gli utenti dicono di loro, devono portare il pubblico 3.0 a parlare per loro. A costruire storie insieme: lo storytelling diventa allora il linguaggio che crea esperienza tra Brand e cliente, e condivisione e esperienza diventano le parole chiave.

L’azienda diventata Brand si fa narratrice – insieme al prosumer – di tante storie ed esperienze che vengono condivise sui social media, attraverso una strategia precisa. La comunicazione diventa orizzontale e democratica.

Come applicare lo storytelling?
Ecco alcuni spunti:

Raccontare il prodotto: i suoi protagonisti, la sua storia, il backstage (inteso in senso lato, come tutto ciò che di solito “non si vede” e che costituisce valore aggiunto), i suoi segreti.
Raccontare storie che siano credibili, ingegnose, veloci, di forte impatto, facilmente riconoscibili e memorizzabili. Soprattutto, devono essere in linea con ciò che il nostro target crede, senza dare l’impressione di rivolgersi a tutti indistintamente: chi ci legge o “guarda” deve percepire che, attraverso quel racconto, il Brand sta parlando esclusivamente a lui e alla sua “community”, alle loro passioni, al loro modo di interpretare la quotidianità.
Mettere il prosumer nelle condizioni di raccontare la sua esperienza con il Brand nella quotidianità.
Case history: Nutella con la campagna #noilamattina.

Aiutare, grazie al know how proprio dell’azienda, il prosumer “in difficoltà”.
Case history: Barilla e #SOSPasta (ma attenzione agli #epicfail)
“Ingaggiare” (perdonatemi per l’odiata parola, ma proprio l’italiano e le sue sfumature non riescono a rendere ciò che l’inglese fa egregiamente con “engagement”) l’utente e creare contest social ad hoc in cui il Brand chiede al prosumer di condividere conoscenze, esperienze, passioni.
Case history: #KLMIOCERO
3. Presidiare: una strategia social a tutto tondo

Abbiamo parlato di ascolto web e storytelling. Ma nessuna di queste due attività avrebbe senso senza che il brand abbia prima costruito una strategia social a tutto tondo, che comprende il target di riferimento, un piano editoriale diversificato e redatto secondo scadenze temporali predefinite, il tone of voice e il piano di crisis management.

I Social Network, in una parola, vanno costantemente presidiati. Parliamo a un pubblico definito secondo le strategie di marketing e comunicazione dell’azienda, applichiamo la tecnica dello storytelling postando contenuti che mettano al centro l’utente e la sua esperienza con il Brand, ci inseriamo in Community già consolidate (forum, blog, newsgroup, gruppi sui social network, etc) e ne creiamo una nostra.

Dunque?
La nostra Community ora dobbiamo mantenerla, nutrirla, allargarla. E con essa la nostra online reputation.
Due azioni meritano di essere approfondite in tal senso: la risposta ai commenti (negativi) e il coinvolgimento degli influencer.

Social Media Epic Fails: come evitarli?

Se non seguite già questa pagina Facebook, fatelo. Vengono postati ogni giorno i cosiddetti “social media epic fails”, anche conosciuti come “il più grande incubo dei Social Media Manager”. A volte basta pochissimo, una disattenzione di troppo, poca sensibilità sull’argomento, per finire tra i “fallimenti” addirittura “epici” sui social media.

Come evitarli?

Rispondendo ai commenti con sensibilità e intelligenza. Famoso è il caso di Patrizia Pepe, brand di abbigliamento italiano, che ha suscitato 950 commenti negativi in 7 giorni.

Senza mai cancellare i commenti negativi, saranno gli altri utenti a difendere il brand (se il brand è stato capace di costruire dei fan reali)
Evitando di rispondere con i metodi della comunicazione tradizionale, rimandando a uffici informazioni, numeri verdi, siti internet: se siamo stati raggiunti attraverso un tweet, un commento Facebook, i nostri interlocutori si aspettano una risposta diversa, immediata, smart: social.
Tenendo sempre bene in mente che contenuto, strategia, trasparenza, dialogo sono le armi vincenti.
Coinvolgere gli influencer

Mantenere viva la vostra community e tenere alta la brand reputation può essere più facile con l’aiuto, che ci saremo guadagnati con azioni mirate, dei cosiddetti influencer e opinion leader (sì, il mondo delle Social Media Relations è pieno zeppo di neologismi e anglicismi che farebbero rabbrividire qualsiasi purista della lingua italiana. Forse dovremmo un po’ tutti “sciacquare i panni in Arno, ma questo è un altro discorso).
Sono persone (ebbene sì!) che, il più delle volte aprendo un blog (o un canale Youtube, o un account su Instagram) si sono costruite credibilità e influenza riguardo al tema specifico di cui scrivono, commentano, fotografano, recensiscono. “Là fuori” (o dovremmo dire “là dentro?”) è pieno di food blogger, fashion blogger, wine blogger, travel blogger, solo per citare alcune delle aree più popolate in tal senso.

E a noi, azienda che si è fatta Brand, e social, non rimane che coinvolgerli. La loro Community, infatti, è spesso molto ampia, assidua divoratrice di contenuti e instancabilmente alla ricerca dei prodotti-che-poi-sono-esperienze di cui parlano i loro blogger di riferimento.
Il nostro obiettivo diventa coinvolgerli e, ça va sans dire, fare in modo che parlino (bene) del nostro Brand.

Come?
Pur senza voler troppo generalizzare, ricordiamoci che il blogger è persona credibile (specialmente agli occhi della sua Community), egocentrico, appassionato e curioso di conoscere tutte le novità riguardanti il suo ambito d’azione. Ancora meglio se in anteprima.

Una buona azione di digital PR non può prescindere da tre elementi chiave:

I blogger non sono giornalisti: per raggiungerli non vanno adottati metodi di tipo tradizionale. Mai inviare comunicati stampa in maniera indiscriminata. Molto meglio contattarli uno per uno, farli sentire importanti, coltivare la loro passione in relazione al nostro prodotto.
Come i nostri fan, anche per i blogger è importante vivere il Brand come esperienza. Chiediamoci, prima ancora di capire cosa possono fare loro per la nostra campagna, che tipo di esperienza possiamo offrire affinché poi ne possano parlare (bene) sui suoi canali social e sul suo blog.
Anche per i blogger, Content is the king: forniamo loro contenuti interessanti, e facciamolo in anteprima.
Benché agiscano prevalentemente online, i blogger sono persone, non dimentichiamolo. Invitiamoli a eventi dal vivo, conosciamoli, interagiamo con loro anche nella vita offline.
Così abbiamo creato le basi per una strategia social. Ora, però, sarà fondamentale che i vostri contenuti siano visibili e che raggiungano il vostro target: entriamo nel campo del Social Media Marketing.

link all’articolo




Il feticcio merce buca lo schermo

merceIl feticcio merce buca lo schermo e irrompe sulla scena della realtà fuoriuscendo dalla vetrina e intercettando gli sguardi e l’interesse dei passanti.

Questo dev’essere anche l’obiettivo di una notizia : bucare la palude, arrivare alla “gente”, colpire alla pancia per parlare alla testa e soprattutto per restare nella memoria perchè la memoria è una funzione estremamente selettiva.

Ricordiamoci sempre della Lilly Gruber al tg che si metteva di “squincio” per bucare così come aveva cominciato a fare una famosa anchorwoman americana.




Farsi capire nella smart city

smart cityIl marketing dei servizi per la cittadinanza. Grazie al web, ai social network e alle tecnologie innovative, Urbano Creativo si propone come consulente di comunicazione, aiutando le imprese e la PA a gestire meglio i loro progetti

L’abbattimento di barriere e distanze legato alla diffusione della comunicazione ubiqua e istantanea del web ha davvero svuotato di senso l’antica professione del geografo? Emanuela Donetti non la pensa affatto così. Geografa, studiosa dell’impatto dell’urbanistica sui paesaggi delle città, la fondatrice di Urbano Creativo (www.urbanocreativo.it), non solo è convinta che ci sia sempre più bisogno di una lettura approfondita del mondo che ci circonda e dei luoghi in cui ci muoviamo, naturali o artificiali che siano. Ma anche sul piano della comunicazione ritiene che ci sono ancora tantissime cose da dire, soprattutto quando si tratta di prendere coscienza, come cittadini, delle decisioni, degli interventi, dei nuovi servizi realizzati soprattutto dalle pubbliche amministrazioni e dalle imprese rivolte alla collettività.

«La nostra esperienza nasce dopo una prima opportunità che si era venuta a creare nel 2006 attraverso il concorso Start Cup, bandito dalla Regione Lombardia» – racconta Emanuela Donetti. «Io ho studiato da geografa e avevo iniziato a lavorare come giornalista economica. La mia socia, Micaela Terzi, proveniva dal ramo comunicazione dello IED di Milano ed era diventata cronista. Insieme, ci siamo immaginate la città come possibile piattaforma per le nostre professioni, partendo dalla scoperta che nelle città esisteva un gap tra cittadinanza e amministrazioni pubbliche e che queste ultime spesso faticavano a fare in modo che un progetto, anche il più bello sulla carta, fosse capito e amato dagli abitanti». Come un bambino, un progetto cresce meglio se viene amato e compreso e questa è in un certo senso la missione di Urbano Creativo: gettare un ponte di comprensione tra realizzatori e fruitori, non solo nell’ambito dei progetti di natura urbanistica, dei pubblici servizi in primo luogo e in parte nelle relazioni tra consumatori e mercato. I servizi sono a vocazione pubblica e vengono erogati a clienti, organizzazioni pubbliche o private, che a loro volta si interfacciano con un certo numero di persone. Promotori immobiliari che si pongono il problema della sostenibilità energetica o ambientale delle aree edificate. Comuni alle prese con i piani di mobilità. Aziende di trasporto locali che devono riformulare la loro cartellonistica o la cartografia. Ospedali che promuovono sul territorio nuovi servizi e dotazioni. A tutti questi soggetti Urbano Creativo si affianca per dare inizialmente consulenza strategica, o consigliando i punti da inserire nei business plan; e intervenendo poi con soluzioni ad hoc, non limitandosi necessariamente agli aspetti comunicativi, ma implementando attività e servizi concreti. «Nel quadro di una collaborazione con un’azienda sanitaria locale – per esempio – possiamo organizzare un sistema di punti di raccolta e disseminazione delle informazioni, consentendo ai pazienti di rivolgersi direttamente alle sedi dei comuni, senza essere costretti a recarsi ogni volta in un ospedale, riducendo tempistiche e flussi».

Lo sguardo rivolto al futuro – Il lavoro di Emanuela e Micaela ha per definizione un occhio rivolto al futuro, al cambiamento, alla trasformazione. Cose che paradossalmente vengono a mancare, o sono percepite con sospetto, per colpa di una cattiva comunicazione. «Puoi progettare il parco più bello del mondo, ma se lo costruisci dove non serve, resterà deserto. Il punto è che sempre più spesso il cittadino si oppone a tutto quello che viene dalla politica, il sentimento “nimby”, “not in my back yard” è sempre più forte. Il fatto è che dicendo sempre di no, rischiamo di perdere le possibilità di vivere un cambiamento positivo, ci neghiamo anche le opportunità di avere un futuro migliore». Proprio per questa naturale apertura verso il nuovo, Urbano Creativo è una realtà immersa nelle nuove tecnologie. «L’esigenza del cliente PA è stabilire nuovi punti di contatto e stimolare un dialogo in grado di favorire il varo di un progetto, abbattendo in pratica le barriere tra amministratori e amministrati. E ci siamo presto rese conto che era indispensabile operare con tutti gli strumenti tecnologici possibili» – spiega Emanuela Donetti. «La tecnologia distrae, “gamifica”, gli spazi virtuali della rete diventano una seconda piazza, dove tutti possono alleggerirsi delle loro preoccupazioni». Insomma, una camera di compensazione ideale per discutere, imparare, esprimere e fugare i propri sospetti. La capacità di trovare una soluzione davvero “multimediale” alla gestione dell’antico rapporto tra cittadini e PA ha portato alla scoperta di un mondo di strumenti inaspettati, che secondo la co-fondatrice di Urbano Creativo hanno consentito alla giovane, ma ormai esperta società comasca di concepire diversi nuovi progetti.

Idea vincente – Anche se la partecipazione a quella prima Start Cup non si tradusse in una vittoria, il Politecnico di Milano rimase colpito dall’approccio interdisciplinare delle due comunicatrici e offrì loro di proseguire la loro esperienza all’interno dell’incubatore di impresa della stessa università tecnologica. «È stato un periodo bellissimo perché potevamo lavorare insieme ad altre start-up, integrandole nei nostri progetti ed estendendo le nostre competenze». Come naturale conseguenza del principio per cui la città è smart se lo sono i suoi abitanti, nel momento della sua fondazione Urbano Creativo, una decina di collaboratori in tutto, ha optato per una sede più periferica, inserita in un paesaggio molto più rilassante, in un contesto più raccolto. La sede del resto mette solo a disposizione un preciso spazio di riferimento, il lavoro si svolge in piena mobilità, in interconnessione con una clientela molto più estesa. Con il tempo e l’accumularsi delle esperienze, la piccola società ha avviato anche una propria strategia di comunicazione e formazione. Nasce così il portale informativo www.urbanocreativonews.it, un sito continuamente aggiornato, concepito come un vero e proprio osservatorio sulle smart city e i loro servizi, con una ricca sezione video piena di interviste e animazioni sui temi della sostenibilità, dell’ecocompatibilità e dell’economia della condivisione, la cosiddetta “sharing society”. Quest’anno dovrebbe partire un consorzio tra Urbano Creativo e tre altre imprese per l’offerta di servizi di assessment qualitativo dei servizi al cittadino, con l’idea di offrire agli amministratori locali strumenti di valutazione che aiutino a prendere decisioni più mirate. Tre anni fa, Urbano Creativo ha anche contribuito a dar vita a una società spin-off (Mobirev), che si occupa di soluzioni per la pianificazione e la bigliettistica dei viaggi multimodali. Il lavoro non manca per un’imprenditrice della comunicazione che crede molto nelle tecnologie abilitanti della società della partecipazione. Una società che ha ancora bisogno di molti ponti.

 Andrea Lawendel