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Una politica del cibo per una città più resiliente

Le città, e le aree metropolitane in misura particolare, costituiscono un ambito d’intervento strategico per orientare l’agenda politica verso la resilienza: è attraverso modelli urbani più sostenibili che si può migliorare la capacità di reazione dei territori ai cambiamenti sociali, economici e ambientali in atto. Le trasformazioni connesse all’instabilità dei mercati e ai prezzi dei prodotti agricoli (decisi a miglia e miglia di distanza dai luoghi di produzione e legate in misura crescente a ragioni speculative), la sicurezza alimentare e l’accesso a cibi di qualità a prezzi equi e gli effetti dell’urbanizzazione pongono l’urgenza del riconoscimento degli agroecosistemi e della produzione agricola non come attività antitetiche alla città, bensì come processi determinanti per la costruzione di strategie di resilienza; anche con riferimento al ruolo dei servizi ecosistemici come risorsa strategica per le politiche di sostenibilità urbana e di gestione del rischio per l’adattamento ai cambiamenti climatici.

Questo ancor più in Italia, dove le città sono caratterizzate dalla presenza di considerevoli quote di superfici agricole, la percentuale del rapporto tra aree coltivate e superfici territoriali non è infatti mai inferiore al 30%.
Gli stessi processi di trasformazione che interessano l’attività primaria in ambito urbano e periurbano raccontano di un’agricoltura che, lì dove sopravvive alla pressione insediativa, costruisce – e produce – forme e funzioni molteplici. Un tessuto produttivo che risponde a una domanda urbana che non è esclusivamente alimentare, ma guarda in direzione di bisogni sociali e ambientali con risultati rilevanti in termini di occupazione, di valore aggiunto, di ruoli ecologici e culturali. In questa direzione, si collocano le esperienze di filiera corta, l’autogestione dei rapporti economici e le relazioni solidali tra produttori e cittadini che si instaurano all’interno di dinamiche spontanee, contribuendo alla riscrittura dei comportamenti urbani: il cibo non solo come bisogno ma occasione di incontro, scambio e conoscenza, connessi alla dimensione civica dell’abitare. In questa direzione, si configura la necessità di coordinare azioni sinergiche di tutela e valorizzazione alle diverse scale di governo del territorio, coinvolgendo i soggetti privati e la società civile, agendo sulla partecipazione e sui processi culturali per la resilienza urbana e territoriale, l’equità dei modelli economici e sociali, la conservazione del capitale naturale e il riconoscimento dei servizi ecosistemici.

Il progetto Roma Resiliente, lanciato da Roma Capitale nel quadro della sua partecipazione al programma 100 Resilient Cities, finanziato dalla Fondazione Rockfeller, rappresenta un’opportunità per il potenziamento della capacità istituzionale e la costruzione di una cultura della resilienza fra i cittadini, le associazioni e le imprese.

Durante l’incontro “L’AGRICOLTURA E IL CIBO PER LE CITTÀ RESILIENTI” le istituzioni, la società civile, il tessuto produttivo e la ricerca saranno chiamati a confrontarsi con alcune questioni aperte:

  • ⋅  Quale potenziale per una Politica del Cibo metropolitana che, chiudendo e localizzando i cicli delle risorse, renda l’area romana più resiliente? Quale ruolo per l’azione pubblica?
  • ⋅  Quale il rapporto fra politiche alimentari, politiche della resilienza e pianificazione urbanistica?
  • ⋅  Quale potenziale per una politica di procurement di Roma Capitale – e delle altre istituzioni pubbliche – che investa sull’agricoltura urbana e periurbana? Come rendere più efficienti i flussi e le infrastrutture connesse al

    cibo a Roma?

  • ⋅  Quale il contributo delle esperienze di agricoltura civica alla resilienza sociale dell’area romana? In che modo

    l’azione pubblica può favorire e potenziare questo contributo? Come la Politica del Cibo può fare leva sull’agricoltura civica per migliorare la salute e il benessere dei gruppi sociali a rischio? Come riqualificare le periferie urbane e metropolitane attraverso l’agricoltura urbana e periurbana?

  • ⋅  È possibile immaginare un ruolo strategico delle aree protette rispetto alla costruzione di Roma resiliente?

locandina-agricoltura-e-cibo

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Agra-Press: Scaramuzzi (Georgofili) chiede di non fermare la ricerca scientifica sugli OGM

Ritengo doveroso e opportuno dare notizia delle chiare dichiarazioni relative agli OGM del Prof. Scramuzzi, diffuse il 21 gennaio u.s. dall’Agenzia Agra-Press.Luigi Rossi, Presidente FidafSCARAMUZZI (GEORGOFILI) CHIEDE DI NON FERMARE LA RICERCA SCIENTIFICA SUGLI OGM549 – 21:01:14/12:45 – firenze, (Agra-Press) – il presidente dell’accademia dei Georgofili Franco Scaramuzzi, a conclusione della cerimonia per la celebrazione dei cento anni dell’istituto superiore agrario e forestale di firenze, ha svolto “una relazione in cui ha auspicato che la piaga dolente dei veti imposti alla ricerca scientifica italiana per lo studio degli OGM e per il loro uso venga al piu’ presto cauterizzata, per arrestare i gravi danni materiali e morali che sta continuando a provocare”, rende noto un comunicato dei Georgofili. “Sara’ poi doveroso individuare i responsabili di tanto panico ingiustificato e degli interventi normativi conseguenti, accertare i danni provocati ed ottenere i debiti risarcimenti”, ha detto Scaramuzzi osservando che “l’inesorabile giudizio della storia coinvolgerebbe anche chi oggi si rendesse responsabile di un prolungamento della situazione attuale e dei conseguenti ulteriori danni che continuerebbero a prodursi”. Il presidente dei georgofili – segnala il comunicato – torna sull’argomento in un articolo  intitolato OGM, una ferita incomprensibile”, pubblicato su QN (Quotidiano Nazionale) di oggi. “la correttezza metodologica, il valore delle nuove conoscenze e l’eventuale pericolosità delle innovazioni – scrive Scaramuzzi – possono essere giudicate da scienziati competenti, che a questo scopo seguono principi e regole rigorose”. “qualsiasi diverso interesse non deve indurre a manipolare questi giudizi in sedi prive delle indispensabili conoscenze, per farli poi arrivare distorti all’opinione pubblica e nelle piazze”, sostiene il presidente dell’accademia che aggiunge: “siamo quindi chiamati a difendere la libertà, l’autonomia e l’universalità della ricerca scientifica e chiediamo che la deleteria vicenda italiana degli OGM si chiuda”. (cl.co)fonte: www.fidaf.it



La società scientifica contesta il movimento anti OGM

rubr_pascale (1)Vari siti web stanno rilanciando la notizia che da una indagine dell’Unione Europea 8 cittadini su 10 dicono che il bio deve essere OGM-free: guardate i titoli disponibili in rete.

http://www.newsfood.com/q/162cd32d/ue-80-vuole-alimenti-ogm-free/

http://www.ansa.it/terraegusto/notizie/rubriche/europa/2013/09/19/Ue-piu-8-cittadini-10-Bio-deve-essere-Ogm-free-_9325393.html

Da questi titoli sembra che hanno intervistato tutti gli Europei e che 8 su 10 difendono il Bio e dicono no agli OGM.

Questo è il modo in cui i media costruiscono le false verità. Qui sotto trovate il link all’indagine Europea

http://ec.europa.eu/agriculture/consultations/organic/2013_en.htm

e si scopre cosi’ che rispondevano solo quelli interessati (ossia non un campione rappresentativo, ad esempio quelli che vendono biologico si sono iscritti subito per dare la loro opinione?) ed inoltre solo quelli interessati al biologico.

Ma mi domando se l’80% degli interessati al biologico dice che dovrebbe essere OGM-free, allora vuol dire che addirittura il 20% di quelli del biologico accettano che ci siano OGM nel biologico, ossia non è il 100% come da disciplinare.

Inoltre visto che sono circa il 5% dei consumatori europei che mangiano biologico, secondo la loro logica per cui il 20% di “oppositori” vanno soppressi, anche loro stessi andrebbero soppressi (secondo la loro logica autoritaria) dal momento che il 95% degli Europei non mangia biologico.

Tra poco sentirete come i soliti italioti useranno questi titoli per rilanciare l’idea che l’80% degli Europei vuole essere OGM-free ed i giornalisti che leggono i titoli e non le fonti originali si convinceranno di un trucco facile da smascherare.

fonte:  www.salmone.org/indagine-europea-bio-e-ogm/

 




In 30 mila a Berlino manifestano contro allevamenti intensivi, OGM e agricoltura industriale: c’era anche Carlin Petrini

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Da Potsdamer Platz fino alla Cancelleria una lunga fila di manifestanti, circa 30 mila, ha chiesto al governo tedesco che l’agricoltura torni a essere più naturale tenendo fuori i prodotti industriali proprio mentre si tiene la Fiera agricola Grüne Woche. Per l’Italia c’era Carlo Petrini il fondatore di SlowFood
In 30 mila a Berlino hanno manifestato oggi contro gli allevamenti intensivi, gli OGM e l’agricoltura industriale chiedendo al governo tedesco un maggiore impegno per avere cibo e prodotti agricoli sani. La manifestazione è stata organizzata come risposta alla Internationale Grüne Woche Berlin 2014, la Settimana Verde internazionale, ovvero la Fiera dedicata all’agricoltura più importante a livello mondiale e che si chiude il prossimo 26 gennaio. Ha partecipato alla manifestazione anche Carlo Petrini che al termine del corteo ha preso la parola sul palco dicendo:

Il nostro messaggio oggi è chiaro: se l’Europa perde i piccoli agricoltori e le sue famiglie di agricoltori perde la sua storia, la sua cultura e la sua identità e nulla esisterà più.
Alla manifestazione vi hanno preso parte assieme alle associazioni ambientaliste anche gli agricoltori che hanno portato 70 trattori spiegando che sono i primi a essere stanti dell’agrobusiness. Tra le richieste anche l’accordo di libero scambio tra UE e USA conosciuto anche comeTTIP ovvero Transatlantic Trade and Investment Partnership. Praticamente gli Usa piuttosto che combattere le esportazioni provenienti dall’Europa hanno pensato di inglobarle rendendo più conveniente delocalizzare le produzioni negli Stati Uniti. La porta del libero accesso porterebbe dai noi anche una serie di prodotti fino a oggi rimasti fuori come il pollo al cloro o gli OGM.

Ovviamente anche l’Italia è molto coinvolta in questa trattativache però si sta svolgendo sotto silenzio sebbene molto sostenuta dal nostro Paese e gestita dal ministero per lo Sviluppo economico.

In Germania l’associazione BUND ha pubblicato il dossier FleishAtlas 2014 in cui analizza la produzione e il consumo di carne. I numeri sono impressionanti: nella sola Germania si macellano ogni anni 58 milioni di suini, 630 milioni di polli e 3,2 milioni di bovini numeri che li portano a conquistare il triste primato di “campioni europei”. Globalmente, però, i tedeschi non sono i primi: negli Stati Stati Uniti la società “Tyson Foods” macella più di 42 milioni di animali in una sola settimana, in Cina sono macellati più di 660 milioni di suini all’anno. Il prezzo per la crescente domanda di carne include tutti gli effetti collaterali indesiderati, quali scandali alimentari, abuso di antibiotici o residui di ormoni nella carne
Marina Perotta
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