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Rifiuti – Trasporto illecito

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE TERZA PENALE
 Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. FIALE Aldo – Presidente –
Dott. DI NICOLA Vito – Consigliere –
Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –
Dott. ANDREAZZA Gastone – Consigliere –
Dott. ACETO Aldo – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
 sentenza
 sul ricorso proposto da:
 1. B.B., nato a (OMISSIS);
 2. Ba.Se., nato a (OMISSIS);
 avverso la sentenza del 21/05/2013 del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Milano;
 visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi;
 udita la relazione svolta dal consigliere Aldo Aceto;
udito il Pubblico Ministero, in persona Sostituto Procuratore dott. POLICASTRO Aldo che ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio, limitatamente alla confisca.
Rigetto nel resto;
uditi per gli imputati l’avv. Donzelli Riccardo, che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso.
  S v olgimento del process o
1. Con sentenza del 21/05/2013, emessa dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Milano all’esito di giudizio abbreviato, B.B. e Ba.Se. sono stati condannati alla pena, rispettivamente, di Euro 6.600,00 di ammenda il primo, e di Euro 6.000,00 il secondo, perchè ritenuti responsabili del reato di cui al D . Lgs . 3 aprile 2006, n. 152, art . 256 , comma 1, lett. a) (T.U. amb.) per aver, quale conducente dell’autocarro il B., legale rappresentante della “Alba Edil”r.l. il Ba., effettuato il trasporto di kg. 2460,00 di rifiuti edili, derivanti da demolizioni, senza la prescritta iscrizione all’Albo Nazionale dei Gestori Ambientali di cui all’art. 212, T.U. amb.. Con la medesima sentenza è stata, altresì, disposta la confisca dell’autocarro tg.
 (OMISSIS), di proprietà della “Alba Edil” S.r.l., utilizzato per il trasporto dei rifiuti.
 2. Il 5 giugno 2013 gli imputati, per il tramite del difensore di fiducia, hanno proposto appello avverso la sentenza di cui in epigrafe, lamentando l’eccessiva severità del trattamento sanzionatorio, la mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche, la mancata concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena in favore del B., l’erronea confisca dell’autocar
Il Ba., nello specifico, ha evidenziato, quale elemento suscettibile di essere positivamente valutato al fine della concessione delle circostanze attenuanti generiche, perchè sintomatico di resipiscenza, che subito dopo la contestazione del fatto ad opera del la Polizia Locale ((OMISSIS)), aveva provveduto a richiedere l’iscrizione all’Albo ((OMISSIS)), ottenendola il (OMISSIS).
Troppo risalenti nel tempo, invece, le precedenti condanne del B. ((OMISSIS)), una delle quali per delitto non colposo, per giustificare la mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche, a fronte del fatto che l’imputato è sposato ed ha sempre prestato regolare attività lavorativa. Non ostava, inoltre, alla concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena il fatto c he lo stesso ne avesse già fruito, una sola volta, nel (OMISSIS).
 Il giudice, hanno inoltre affermato gli imputati, non avrebbe potuto disporre la confisca dell’autocarro posto che, non potendosi confondere l’obbligatorietà della confisca di cui all’art. 259, comma 2, T.U. amb. con quella di cui a ll’art. 240 c.p. , comma 2, essa colpirebbe ingiustamente un soggetto (la “Alba Edil” S.r.l. che ne è proprietaria) estraneo al reato. La confisca, hanno aggi unto, colpirebbe la “Astra Edil” S.r.l. per non aver predisposto un adeguato modello organizzativo idoneo a prevenire reati ambientali, come previsto dal D.Lgs. 8 giugno 2001, n. 131, art. 25-undecies senza esser mai stata chiamata a rispondere di una sua eventuale responsabilità.
3. Trattandosi di sentenza non appellabile ai sensi d e ll’art. 593 p.p. , u.c., l’impugnazione è stata trasmessa a questa Corte di Cassazione a norma de ll’art. 568 c.p.p. , comma 5.
  Motivi della decisi one
 4. Il ricorso è fondato quanto alle ragioni del diniego di concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena in favore del B. e alla disposta confisca dell’autocarro. E’ infondato nel resto.
 5. I fatti non sono oggetto di contestazione.
 E’ dunque certo che il (OMISSIS) il B. era stato colto, presso l’impianto di smaltimento dei rifiuti TICITER Srl, sito in (OMISSIS), alla guida dell’autocarro tg. (OMISSIS) (di proprietà della “Alba Edil” S.r.l.) sul quale erano stipati 2.640 chilogrammi di rifiuti misti da demolizione, classificati come rifiuti speciali non pericolosi, per il cui trasporto – ha affermato la sentenza impugnata – è necessaria l’iscrizione presso l’Albo Nazionale dei Gestori Ambientali di cui all’art. 212, T.U. amb.. La massa di carico del mezzo (4.960 chilogrammi) – non ha mancato di evidenziare il Giudice di prime cure (ai fini di cui oltre si dirà) – era superiore a quella consentita (3.500 chilogrammi). All’atto del controllo, il B. aveva falsamente dichiarato agli operanti di essere in regola con l’iscrizione all’Albo e che la relativa documentazione era detenuta dal proprio ragioniere/commercialista. In realtà, alcuna iscrizione era stata effettuata. La “Alba Edil” S.r.l. era legalmente rappresentata dal Ba., amministratore unico sin dall’ottobre 2009. Subito dopo l’accertamento del reato, la società in questione aveva chiesto ed ottenuto l’iscrizione all’Albo Nazionale dei Gestori Ambientali. Il mezzo non è mai stato sottoposto a cautela reale.
Questo, dunque, il quadro.
Il Giudice del merito ha ritenuto il fatto di oggettiva gravità per l’importante quantitativo dei rifiuti trasportati, superiore persino alla portata di carico del mezzo, rapportata alle ridotte dimensioni della società, dotata di un solo dipendente nel 2011 e con conseguente non spiccata mole di lavoro. Non rileva, in senso contrario, ha affermato, la registrazione all’Albo effettuata subito dopo il controllo, trattandosi, semmai, di indice del carattere non sporadico dell’attività di trasporto dei rifiuti.
In sede di graduazione del trattamento sanzionatorio, il Giudice ha optato per la pena pecuniaria siccome ritenuta più idonea, pur a fronte della gravità del fatto, a favorire la risocializzazione di entrambi gli imputati.
Quanto al B., nello specifico, ne ha stigmatizzato il comportamento tenuto nell’immediatezza dell’accertamento del fatto (“pronto a fornire una versione in veritiera agli operanti” si legge nella sentenza) e, avuto riguardo ai due precedenti penali, ha ritenuto di non concedere le circostanze attenuanti generiche, nè il beneficio della sospensione condizionale della pena, non avendo “manifestato l’intendimento di adempiere ad alcuno degli obblighi previsti dall’art. 165, commi 1 e 2”. Partendo, così, dalla pena base di Euro 9.900,00 di ammenda, ha operato la riduzione per il rito, giungendo alla pena finale di Euro 6.600,00.
Al Ba., invece, il Giudice ha ritenuto di dover concedere il beneficio della sospensione condizionale della pena perchè immune da precedenti e per aver ricondotto la società, da lui rappresentata, nell’alveo della legalità mediante l’iscrizione del mezzo di trasporto all’Albo dei Gestori. Partendo, dunque, dalla pena base di Euro 9.000,00 di ammenda, operata la riduzione per il rito, l’ha condannato alla pena finale di Euro 6.000,00 di ammenda. Il Giudice ha ritenuto di non dover concedere le circostanze attenuanti generic he non essendo valutabile, a tal fine, alcun indice diverso dalla tardiva, ma pur sempre doverosa, iscrizione all’Albo.
6.Quanto alla doglianza circa la severità del trattamento sanzionatorio, eccessivamente distante – secondo l’assunto difensivo – dal minimo edittale, la Corte osserva quanto segue.
Il reato per il quale si procede è punito, in via alternativa, con l’arresto da un minimo di tre mesi ad un massimo di un anno o con l’ammenda da un minimo di Euro 2.600,00 ad un massimo di Euro 26.000,00.
Secondo il costante insegnamento di questa Corte, in generale, “in tema di determinazione della pena, quanto più il giudice intenda discostarsi dal minimo edittale, tanto più ha il dovere di dare ragione del corretto esercizio del proprio potere discrezionale, indicando specificamente quali, tra i criteri, oggettivi o soggettivi, enunciati da ll’art. 133 c.p. , siano stati ritenuti rilevanti ai fini di tale giudizio, dovendosi perciò escludere che sia sufficiente il ricorso a mere clausole di stile, quali il generico richiamo alla entità del fatto e alla personalità dell’imputato” (così, in motivazione, Sez. 6, n. 35346 del 12/06/2008, Bonarrigo; cfr. anche Sez. 1, n. 2413 del 13/03/2013, Pachiarotti; Sez. 6, n. 2925 del 18/11/1999, Baragiani). Si può far ricorso esclusivo a tali clausole, così come a espressioni del tipo: “pena congrua”, “pena equa”, “congruo aumento”, solo quando il Giudice non si discosti molto dai minimi edittali (Sez. 1, n. 1059 del 14/02/1997, Gagliano; Sez. 3, n. 33773 del 29/05/2007, Ruggieri) oppure quando, in caso di pene alternative, applichi la sanzione pecuniaria, ancorchè nel suo massimo edittale (Sez. 1, n. 40176 del 01/10/2009, Russo; Sez. 1, n. 3632 del 17/01/1995, Capelluto).
Nel caso di specie, come visto, il giudice ha ritenuto di applicare la pena pecuniaria, in una misura peraltro ben lontana dal massimo edittale.
La motivazione addotta appare, pertanto, adeguata e coerente con l’insegnamento giurisprudenziale sopra indicato, avendo il Giudice spiegato, sia pur succintamente, le ragioni delle quantificazione della pena pecuniaria nei termini sopra indicati.
 Il ricorso è, dunque, infondato in parte qua.
 6.1. Parimenti infondato è il motivo di doglianza relativo alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche.
 Secondo l’insegnamento di questa Corte, la concessione o il diniego delle attenuanti generiche rientrano nel potere discrezionale del giudice di merito, il cui esercizio, positivo o negativo che sia, deve essere bensì motivato ma nei soli limiti atti a far emergere in misura sufficiente il pensiero dello stesso giudice circa l’adeguamento della pena concreta alla gravità effettiva del reato ed alla personalità del reo. Il giudice non è tenuto ad una analitica valutazione di tutti gli elementi, favorevoli o sfavorevoli, dedotti dalle parti ma, in una visione globale di ogni particolarità del caso, è sufficiente che dia l’indicazione di quelli ritenuti rilevanti e decisivi ai fini della concessione o del diniego, rimanendo implicitamente disattesi e superati tutti gli altri, pur in carenza di stretta contestazione (così, in motivazione, Sez. 3, n. 19639 del 27/01/2012, Gallo; si veda anche Sez. 5, n. 7562 del 17/01/2013, La Selva).
 In ogni caso, la concessione delle attenuanti generiche richiede la dimostrazione di elementi di segno positivo (Sez. 3, Gallo, cit.) che il Giudice, con motivazione congrua e immune da vizi logico- giuridici, ha ritenuto, per quanto riguarda il Ba., di non poter rinvenire nella mera condizione di incensuratezza dell’imputato (ostandovi il chiaro disposto di cui a l l’art. 62-bis c.p. , u.c.) e nella tardiva, ma necessitata, iscrizione all’Albo, trattandosi – ha condivisibilmente affermato – di decisione presa solo in conseguenza dell’accertamento del reato; per quanto riguarda il B., ha ritenuto ostativi la gravità del fatto ed i suoi precedenti penali.
 6.2. E’ fondata, invece, la doglianza relativa alla mancata concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena in favore del B..
 L’imputato ha un precedente per il reato di lesione personale colposa, commesso il (OMISSIS), e un altro precedente per omicidio colposo e guida in stato di ebbrezza, commesso il (OMISSIS), con condanna a pena sospesa.
Il Giudice ha motivato il diniego del beneficio perchè il B., avendo già riportato condanna a pena condizionalmente sospesa, non ha “adempiuto, nè ha manifestato l’intendimento di adempiere ad alcuno degli obblighi preveduti da ll’art. 165 c.p. , commi 1 e 2 (tra i quali è sempre possibile la prestazione di attività non retribuita a favore della collettività)”.
 Osserva la Corte che a norma de l l’art. 165 c.p. , comma 2, “la sospensione condizionale della pena, quando è concessa a persona che ne ha già usufruito, deve essere subordinata all’adempimento di uno degli obblighi previsti nel comma precedente” e cioè, alternativamente: 1) all’adempimento dell’obbligo delle restituzioni, al pagamento della somma liquidata a titolo di risarcimento del danno o provvisoriamente assegnata sull’ammontare di esso e alla pubblicazione della sentenza a titolo di riparazione del danno; 2) all’eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose del reato; 3) alla prestazione di attività non retribuita a favore della collettività per un tempo determinato, comunque non superiore alla durata della pena sospesa, secondo le modalità indicate dal giudice nella sentenza di condanna.
Tale disposizione, tuttavia, non si applica qualora la sospensione condizionale della pena sia stata concessa ai sensi del quarto comma de ll’art. 163 cod. pen. che così recita: “Qualora la pena inflitta non sia superiore ad un anno e sia stato riparato interamente il danno, prima che sia stata pronunciata la sentenza di primo grado, mediante il risarcimento di esso e, quando sia possibile, mediante le restituzioni, nonchè qualora il colpevole, entro lo stesso termine e fuori del caso previsto nell’art. 56, comma 4 si sia adoperato spontaneamente ed efficacemente per elidere o attenuare le conseguenze dannose o pericolose del reato da lui eliminabili, il giudice può ordinare che l’esecuzione della pena, determinata nel caso di pena pecuniaria ragguagliandola a norma dell’art. 135, rimanga sospesa per il termine di un anno”.
In ogni caso, la sospensione condizionale della pena, anche quando concessa per la seconda volta, “è ammessa soltanto se, avu to riguardo alle circostanze indicate nell’art. 133, il giudice presume che il colpevole si asterrà dal commettere ulteriori reati” ( art . 164 c.p. , comma 1).
Prima ancora, dunque, di stabilire se, e a quali obblighi la concessione del beneficio possa o debba essere subordinata, è necessario che il giudice preliminarmente effettui un giudizio prognostico, all’esito del quale soltanto potrà affermare che, nonostante le precedenti condanne, il colpevole si asterrà dal commettere ulteriori reati; solo all’esito di tale giudizio potrà ulteriormente procedere ai sensi dell’art. 165, comma 2, salvo che non ricorra l’ipotesi di cui a ll’art. 163 c.p. , comma 4.
 Tale giudizio prognostico, poichè deve essere effettuato avendo riguardo alle circostanze di cui a ll’art. 133 cod. pen. , può certamente considerare anche il comportamento tenuto dal colpevole successivamente alla commissione del reato, ma non può fondarsi sul f atto che questi non ha adempiuto ad obblighi che ancora gli sono stati imposti e che, anzi, presuppongono una prognosi positiva.
Il giudice, infatti, può certamente valorizzare, a fini prognostici, il fatto che il colpevole non abbia mai inteso risarcire o riparare il danno, o comunque eliminare le conseguenze dannose o pericolose del reato, ma ove tali circostanze non siano state valutate o comunque non siano state ritenute ostative alla concessione del beneficio o non risulti che ne abbia tenuto conto, non può negare la s ospensione condizionale della pena affermando, come nel caso in esame, che “non ha adempiuto o manifestato l’intendimento di adempiere ad alcuno degli obblighi preveduti da ll ‘art. 165 c.p. , commi 1 e 2” prima ancora che tali obblighi siano stati imposti.
Tanto più che, vertendosi in ipotesi astrattamente riconducibile alla previsione di cui a ll’art. 163 c.p. , comma 4, tali obblighi potrebbero non essere nemmeno imposti.
Quando, infatti, come nel caso di specie, il colpevole sia stato condannato ad una pena pecuniaria che, ragguagliata alla pena detentiva a norma de ll’art. 135 cod. pen. , sia inferiore ad un anno, il giudice, deve comunque accertare se, prima della sentenza di condanna il danno sia stato interamente riparato o comunque il colpevole si sia adoperato spontaneamente ed efficacemente per elidere le conseguenze dannose o pericolose del reato.
Nel caso in esame l’iscrizione all’Albo è stata effettuata subito dopo l’accertamento del reato. Il Giudice ha tenuto conto d i tale condotta a fini di prova della colpevolezza non solo del legale rappresentante della “Alba Edil” S.r.l., ma anche del B. (semplice dipendente della società), del quale ha stigmatizzato il comportamento menzognero tenuto in sede di controllo (allorquando aveva affermato che i documenti erano presso il proprio commercialista) e il fatto che avesse fatto riferimento al “proprio” commercialista, non a quello della società.
In questo contesto il Giudice avrebbe dovuto, con miglior coerenza, considerare l’iscrizione all’Albo dei Gestori quale possibile condotta riparatoria successiva al reato, eventualmente riconducibile (anche) all’iniziativa del B., non ostando a ciò il dato formale che egli non fosse, formalmente, il legale rappresentante della società (tanto più se di ridottissime dimensioni), visto che tale circostanza non ha comunque impedito la dichiarazione della sua responsabilità.
Sicchè, ove dovesse risultare che l’iscrizione all’Albo è avvenuta anche per iniziativa, o comunque su sollecitazione dello stesso B., di ciò il Giudice non potrebbe non tener conto ai fini dell’applicazione della sospensione condizionale della pena (eventualmente anche ai sensi de ll’art. 164 c.p. , comma 4, e con esclusione degli obblighi di cui a l l’art. 165 c.p. , comma 2).
La sentenza deve, dunque, essere annullata in parte qua, con rinvio, per nuovo esame, al Tribunale di Milano.
6.3. Fondato è anche il motivo di ricorso relativo alla confisca dell’autocarro, disposta dal Giudice ai sensi dell’art. 259, comma 2, T.U. amb., norma che nulla dispone circa la posizione del terzo, incolpevole, proprietario del veicolo.
Il rigore dell’originario arresto, secondo il quale “in tema di gestione di rifiuti, legittimamente il giudice dispone la confisca dei mezzi utilizzati per il trasporto illecito di rifiuti anche se appartenenti alla società di cui all’epoca dei fatti l’imputato era legale rappresentante, non rilevando in tale ipotesi la pretesa appartenenza a persona estranea al reato del bene, atteso che ove una attività illecita venga posta in essere da un soggetto collettivo attraverso i suoi organi rappresentativi mentre a costoro farà capo la responsabilità penale per i singoli atti delittuosi ogni altra conseguenza patrimoniale non può non ricadere sull’ente esponenziale in nome e per conto del quale la persona fisica abbia agito, con esclusione della sola ipotesi di rottura del rapporto organico per avere il soggetto agito di propria esclusiva iniziativa” (Sez 3, n. 17349 del 29/03/2011, Mingione), ha subito, in conseguenza dell’entrata in vigore del D . Lgs . 8 giugn o 2001 , n. 231 e sotto l’influsso della giurisprudenza della Corte Edu, consistenti erosioni.
Secondo il più recente orientamento di questa Corte “una interpretazione della norma costituzionalmente orientata nonchè aderente ai principi di cui alla Corte Edu (laddove in particolare si è affermato che l’art. 7 CEDU esige, per punire e cioè per l’irrogazione di una pena e quindi anche della misura della confisca, la ricorrenza di un legame di natura intellettuale (coscienza e volontà) che permetta di rilevare un elemento di responsabilità nella condotta del soggetto cui viene applicata una sanzione sostanzialmente penale (v. Corte Edu, 09/02/1995, Welch e Regno Unito; Corte Edu, 30/08/2007, Sud Fondi srl e. Italia; Corte Edu, 20/01/2009, sud Fondi c. Italia; Corte Edu, 17/12/2009, M. c. Germania) deve necessariamente condurre a ritenere che la speciale confisca in esame deroghi ai princi pi generali in tema di obbligatorietà, essendo disciplinata, per gli aspetti non regolamentati dalla norma speciale, dalla previsione de ll’art . 24 0 c.p. ed, in particolare, dal comma 3, laddove si prevede, per effetto del richiamo ai commi 1 e 2, n. 1, che la confisca delle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato e delle cose che ne sono il prodotto o il profitto il prezzo non opera ove queste appartengano a persona estranea al reato. Pertanto, anche nella particolare fattispecie in esame, il terzo proprietario del mezzo estraneo al reato (da intendersi come persona che non ha partecipato alla commissione dello stesso o ai profitti che ne sono derivati) può evitare la confisca se provi la sua buona fede, ossia, che l’uso illecito della res gli sia stato ignoto e non collegabil e ad un suo comportamento negligente (cfr., Sez. 3, n. 46012 del 04/11/2008, Castellano, Rv. 241771; Sez. 3, n. 26529 del 30/05/2008, Torre, Rv.240551)” (Sez. 3, n. 1475 del 22/11/2012, Dioli; cfr. anche, nello stesso senso, Sez. 1, n. 44516 del 16/05/2012, Agrileasing Spa, nonchè Sez. U, n. 14484 del 19/01/2012, Sforza).
Sotto altro profilo, l’espressa previsione, per l’ente, di poter provare la sua estraneità ai reati commessi nel suo interesse da persone che rivestono funzioni apicali ( D.Lg s . 231 del 2001, a r t t . 5 e 6 cit.), anche quando l’ente sia di piccole dimensioni (art. 6, comma 4), introduce elementi di possibile estraneità dell’ente al reato commesso dal suo legale rappresentante, dei quali il giudice non può non tenere conto in sede di confisca di beni diversi dal profitto del reato (essendo il profitto comunque confiscabile a norma del cit. D . L g s . n . 231 , ar t . 6 , u.c.).
 Nel caso in esame, dunque, il Giudice non avrebbe potuto disporre in modo automatico la confisca del bene di proprietà della società “Edil Alba” S.r.l., senza prima valutare la incolpevole estraneità della società al reato commesso dal suo legale rappresentante. La sentenza deve dunque essere annullata sul punto con rinvio al Tribunale di Milano per nuovo esame.
  P. Q . M.

Annulla la sentenza impugnata – limitatamente alla richiesta del beneficio della sospensione condizionale per il B. ed alla disposta confisca – e rinvia su tali punti al tribunale di Milano.

Rigetta il ricorso nel resto.

Così deciso in Roma, il 20 febbraio 2014.

Depositato in Cancelleria il 16 aprile 2014

Articolo Originale




Emergenza rifiuti in Campania

TRIBUNALE DI NAPOLI Sez.V 1 febbraio 2014 Sentenza n.16316
 RIFIUTI – APPALTI – Emergenza rifiuti in Campania – Servizi di trasporto – Violazione del divieto di subappalto – Assenza di prova certa – Fattispecie – Art. 18 D.L. 17.3.1995 n.157 in rel. all’art. 18 L. 19.3.1990 n.55.
Nei casi in cui il dibattimento non offra prova certa dell’esistenza di un contratto di subappalto relativo alla gestione di servizi deve pervenirsi ad una pronuncia assolutoria, in quanto la semplice condotta realizzata non integra gli estremi del reato contestato per insussistenza dello stesso, non essendo ravvisabile alcuna violazione del divieto di subappalto della gestione del servizio, con riferimento all’attività di trasporto dei materiali prodotti a valle degli impianti.(Fattispecie: attività di trasporto di materiali prodotti dagli impianti CDR ai siti di stoccaggio CDR e Fos, effettuata da ditte terze, inquadrabile in dubbio a possibili contratti di subappalto in eventuale violazione dell’art. 18 D.L. 17.3.1995 n.157 in rel. all’art. 18 L. 19.3.1990 n. 55).
Pres. Est. Scaramella Est. Sassone, Napolitano Tafuri, Impo. Romiti ed altri
RIFIUTI – Certificazione – Omissione di un dato – Reato di falsa “certificazione” – Configurabilità – Dolo generico – Necessità – Artt 110, 479 cp..
 Ai fini dell’integrazione del reato di cui agli artt 110, 479 cp concernente la falsa “certificazione”, nella specie relativa alla FOS prodotta nell’impianto di produzione di cdr, è sufficiente, sul piano soggettivo, il dolo generico. Tuttavia è pur sempre indispensabile accertare che vi sia volontarietà e consapevolezza della falsa attestazione, e che ciò non sia dovuto a semplice leggerezza dell’agente o ad una sua incompleta conoscenza e/o errata interpretazione. (Nel caso di specie, vi sarebbe stata l’omissione del dato relativo all’umidità, richiesto con ordinanza commissariale, tuttavia, in detta omissione non è dato ravvisare il falso ipotizzato in quanto non sono stati riscontrati, in dibattimento, elementi certi per affermare che effettivamente l’imputato non conoscesse tale ordinanza, circostanza o errore idonea ad escludere la sussistenza del dolo).
Pres. Est. Scaramella Est. Sassone, Napolitano Tafuri, Imp. Romiti ed altri 
RIFIUTI – Traffico illecito di rifiuti – Attività organizzata di gestione dei rifiuti – Elementi – Codici CER utilizzati per lo smaltimento – Reale trattamento del rifiuto – Art. 260 Dlgs n.152/06 .
Il carattere abusivo dell’attività organizzata di gestione dei rifiuti, si ha non solo quando le autorizzazioni manchino del tutto, ma anche quando esse siano scadute o palesemente illegittime e comunque non commisurate al tipo di rifiuti ricevuti (Cass. Pen. Sez. V, 7/12/2006, n. 40330). Pertanto occorre verificare se i codici CER utilizzati per lo smaltimento dei rifiuti abbiano in qualche modo inciso sulla destinazione finale degli stessi. Nella specie, l’utilizzo di un codice diverso da quello previsto per Compost fuori specifica ed in particolare del codice CER 19.05.01 previsto per la frazione non composta di rifiuti urbani e simili, non ha comportato una destinazione del rifiuto diversa dalla discarica, siano esse discariche di servizio gestite o discariche pubbliche o gestite da terzi. In altri termini, il trattamento del rifiuto è avvenuto esattamente nello stesso modo.
Pres. Est. Scaramella Est. Sassone, Napolitano Tafuri, Imp. Romiti ed altri 
  RIFIUTI – Attività di recupero soggette a procedura semplificata – Art. 214 d.lgs. n.152/06.
 Il decreto ministeriale del 1998 è riferibile esclusivamente alle attività di recupero soggette a procedura semplificata, come è indicato nel titolo e come si rileva dall’esame del preambolo, dall’articolato e dal richiamo ad esso effettuato dall’articolo 214 d.lgs. n. 152/06 (Cass. Pen. Sez. III n. 19955 del 09/05/2013).
  Pres. Est. Scaramella Est. Sassone, Napolitano Tafuri, Imp. Romiti ed altri
RIFIUTI – Gestione dei Rifiuti – Trasferimento di CDR e di altri residui – Concorso nel reato con condotte successive – Imprese iscritte all’albo nazionale speciale – Necessità.
 Il trasferimento di CDR e di altri residui della lavorazione in siti di stoccaggio, secondo legge deve avvenire a mezzo di imprese che siano iscritte all’albo nazionale speciale delle Imprese Esercenti Servizi di Gestione dei Rifiuti (art. 10 D.L. 31, VIII, 1987 n. 361 convertito in art. 1, comma 1 1.29, X 1987 n. 441 ). Pertanto, anche nella gestione dei rifiuti, può configurasi il concorso nel reato con condotte successive e senza la necessità di un previo accordo (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 18745 del 15/01/2013), tuttavia, occorre pur sempre che ciascun agente abbia conoscenza, anche unilaterale, del contributo recato alla condotta altrui.
Pres. Est. Scaramella Est. Sassone, Napolitano Tafuri, Imp. Romiti ed altri
RIFIUTI – Rifiuto combustibile – CDR conforme al DM 5\2\1998, o non conforme – Regime autorizzativo – D.Lgs. n.152/06.
 Solo dopo l’entrata in vigore del D.Lgs. 152/06 il rifiuto combustibile ricavato dai rifiuti che presentava caratteristiche qualitative difformi dal DM 5.2.98, ha cominciato a dover essere qualificato come “frazione secca”, e non più CDR e a dover essere individuato nel CER (Catalogo europeo dei rifiuti) con il codice 191212, laddove quello conforme manteneva la denominazione di CDR e il codice 191210. Pertanto, anteriormente al Dlgs n.152\06, tutti i tipi di combustibili derivati dai rifiuti, conformi o meno che fossero al DM 5\2\98, dovevano essere qualificati come CDR. L’unica differenza tra i due rifiuti -conforme al DM 5\2\1998, o non conforme- si riferiva, infatti, al regime autorizzativo al quale erano sottoposti: (anche)- procedure semplificate per il CDR conforme, solo quelle ordinarie per il CDR non conforme, secondo la distinzione esplicitata.
  Pres. Est. Scaramella Est. Sassone, Napolitano Tafuri, Imp. Romiti ed altri
RIFIUTI – Incenerimento rifiuti – Potere calorifico all’incenerimento – Direttiva europea 2000/76/CEE e d.L.vo n.133/05 –  Termovalorizzatore di Acerra e Santa Maria la Fossa.
 La direttiva europea sull’incenerimento (2000/76/CEE) e il d.L.vo n.133/05 che la recepisce non prevedono limitazioni sul potere calorifico all’incenerimento. Così, se all’epoca dei fatti il CDR: non raggiungeva le specifiche stabilite dal DM 5.2.98, il recupero poteva essere effettuato solo nell’ambito del regime autorizzatorio ordinario mentre se rispettava le specifiche stabilite dal DM 5.2.98, il suo recupero poteva usufruire delle procedure semplificate.
 Pres. Est. Scaramella Est. Sassone, Napolitano Tafuri, Imp. Romiti ed altri
RIFIUTI – Realizzazione dei termovalorizzatori – Recupero energetico del CDR prodotto nelle more della costruzione – Smaltimento di rifiuti – C.d. eco balle – Definizione del temine “ambientalizzazione” – Responsabilità dell’appaltatore – Limiti – Uso di cementifici. 
 In tema di smaltimento di rifiuti, con il temine “ambientalizzazione” si intende l’attuazione delle modifiche agli impianti per consentire di rispettare il raggiungimento dei valori di alcuni parametri impiantistici (tempi di permanenza e tenori di ossigeno e temperature di combustione) ed ambientali previsti nelle norme per la conduzione degli inceneritori specificamente dedicati alla combustione di rifiuti o CDR. Nella specie l’uso di cementifici nei quali smaltire immediatamente il CDR prodotto nelle more della costruzione dei termovalorizzatori, non poteva considerarsi idoneo a tale scopo in quanto avrebbero provocato danni concreti che ne avrebbero reso sconsigliabile l’utilizzo, oltre ai reali problemi di fattibilità. Tuttavia, non sussiste alcuna esponsabilità quando, l’atteggiamento dell’appaltatore è teso al miglioramento tecnico e funzionale degli impianti, anziche’ alla riduzione dei costi.
Pres. Est. Scaramella Est. Sassone, Napolitano Tafuri, Imp. Romiti ed altri
APPALTI – Contratti di appalto di servizi – Violazione degli obblighi assunti – Inadempimento di un contratto con la Pubblica Amministrazione – Frode nelle pubbliche forniture – Elementi per la configurabilità – Natura – Giurisprudenza. 
 Ai fini della configurabilità del delitto di frode nelle pubbliche forniture non è sufficiente il semplice inadempimento del contratto, richiedendo la norma incriminatrice un ” quid pluris ” che va individuato nella malafede contrattuale, ossia nella presenza di un espediente malizioso o di un inganno, tali da far apparire l’esecuzione del contratto conforme agli obblighi assunti (Cass. Sez. 6, Sentenza n. 36567 del 09/05/2001; Sez. 6, Sentenza n. 11144 del 25/02/2010; Sez. 6, Sentenza n. 5317 del 10/01/2011). Quanto all’elemento soggettivo, esso è costituito dalla consapevolezza di effettuare una prestazione diversa per quantità e qualità da quella dovuta, a meno che vengano scoperti ed allegati ulteriori elementi che attribuiscano all’oggettivo inadempimento una valenza colposa (Cass. Sez. 6, Sentenza n.34952 del 23/05/2003). La giurisprudenza non è, invece, univoca nella affermare se si tratti di reato di evento, ritenendo tale anche il mero pericolo, (Cass. Sentenza n. 16428 del 05/12/2007) ovvero di pura condotta: in tale secondo caso, non è ipotizzabile in relazione ad esso una responsabilità da causalità omissiva (Cass. Sez. 6, Sentenza n. 771 del 31/10/2006).
  Pres. Est. Scaramella Est. Sassone, Napolitano Tafuri, Imp. Romiti ed altri
APPALTI – Inadempimento di un contratto e frode nelle pubbliche forniture – Natura civile e penale dell’inadempimento – Elementi per la configurabilità.
 Nella accezione civilistica del termine per inadempimento contrattuale si intende la mancata esecuzione della prestazione da cui dipende la realizzazione del diritto del creditore. La prestazione potrà dirsi esattamente eseguita in quanto realizzata in conformità del contenuto dell’obbligazione descritta nel contratto ed il diritto del creditore sia integralmente e tempestivamente soddisfatto. In generale, l’inadempimento può essere anche parziale, allorquando la prestazione venga resa in modo difforme da come dovuto e con realizzazione di una frazione più o meno limitata dell’interesse del creditore. In tal caso occorrerà valutare l’importanza dell’inadempimento in relazione all’incidenza che abbia avuto sul piano della realizzazione dello jus credendi ed andrà quindi esclusa la rilevanza penale di quelle condotte che, quantunque integrative di una inesatta prestazione contrattuale, abbiano però consentito al committente una pur imperfetta, ma sostanziale soddisfazione del bisogno cui è finalizzato l’obbligo di fare del contratto di fornitura. Di sicuro, poi, l’inadempimento rilevante è solo quello privo di giustificazioni. Lo stesso deve, invece, escludersi quando la prestazione del privato sia divenuta impossibile per caso fortuito o forza maggiore, ovvero per altra causa non imputabile al debitore, secondo la formula dell’ad 1256 cc. (Cass. Sentenza n. 1174 del 17/11/1998). D’altra parte, la fattispecie penalistica, attraverso il richiamo che l’art.356 cp. fa al precedente articolo 355, descrive l’inadempimento penalmente rilevante nella condotta in conseguenza della quel vengano a mancare cose o opere che siano necessarie ad uno stabilimento pubblico o ad un pubblico servizio. Il requisito della necessità delle cose od opere deve essere inteso in senso assoluto: le cose od opere sono quelle che in via immediata soddisfano le necessità del pubblico servizio (Cass Sentenza n. 9525 del 19/06/1998). Ciò fa sì che rientri nell’alveo della fattispecie incriminatrice non qualsiasi difficoltà operativa ma ciò che rende inattingibile lo scopo cui Il servizio era demandato. Non ogni inesatto adempimento o ritardo vale a concretare un fatto lesivo, dovendosi invece determinare un rapporto di congruità offensiva tra inadempimento ed il venir meno delle opere necessarie per la PA. Da un punto di vista squisitamente penalistico, v’è da aggiungere che la giurisprudenza sul 356 cp. indica un criterio rigoroso di valutazione dell’inadempimento: si richiede una speciale intensità lesiva dell’interesse del creditore. Occorre, quindi, una valutazione sulla intensità lesiva dell’inadempimento. Dev’esservi una intollerabilità verificando che l’inadempimento deve tener conto anche della natura del contratto in questione.
 Pres. Est. Scaramella Est. Sassone, Napolitano Tafuri, Imp. Romiti ed altri
APPALTI – PUBBLICA AMMINISTRAZIONE – Clausole generali di buona fede – Prestazione divenuta inesigibile – Artt. 1175, 1256, 1218 e 1375 c.c..
 Non può dirsi sussistente un’ipotesi di inadempimento, neppure colposo, a ragione dell’impossibilità sopravvenuta della prestazione (artt. 1256 e 1218 c.c.) o – quanto meno – della sua inesigibilità da parte del presunto creditore committente alla stregua delle clausole generali di buona fede e di doverosa collaborazione del creditore artt. 1175 e 1375 c.c.). Infatti, gli artt, 1175 e 1375 cc. spiegano con chiarezza, che è contraria alla correttezza la pretesa del creditore di voler ottenere l’inadempimento anche quando la prestazione è divenuta inesigibile (Cass. 2007 n 26958; n 21994/20121; Cost. 19/94).
 Pres. Est. Scaramella Est. Sassone, Napolitano Tafuri, Imp. Romiti ed altri
APPALTI – Contratto di appalto e quello di trasporto – Differenze.
 Il discrimen tra il contratto di appalto e quello di trasporto prevede che il primo ha per oggetto il risultato di un facere, il quale può concretarsi nel compimento di un’opera o di un servizio che l’appaltatore assume verso il committente dietro corrispettivo; esso, inoltre, è contrassegnato dall’esistenza di un’organizzazione d’impresa presso l’appaltatore e dal carico esclusivo del rischio economico nella persona del medesimo; invece, si ha contratto di trasporto, quando un soggetto si obbliga nei confronti di un altro soggetto a trasferire persone e cose da un luogo ad un altro mediante una propria organizzazione di mezzi e di attività personali e con l’assunzione a suo carico del rischio esclusivo del trasporto e della direzione tecnica dello stesso (Cassazione 17.10.1992 n.11430; Cass: 16.10.1979 n.539).
  Pres. Est. Scaramella Est. Sassone, Napolitano Tafuri, Imp. Romiti ed altri
 
PUBBLICA AMMINISTRAZIONE – Responsabilità Amministrativa da reato – Illeciti amministrativi – Responsabilità degli enti collettivi – D. L.vo n.231/2001.
 Il sistema sanzionatorio e le disposizioni processuali introdotte dal d. lgs. 8.6.2001 n. 231 limitano la responsabilità degli enti ad un numero ristretto di reati. In particolare gli artt. 23 e 24 individuano le sanzioni irrogabili agli enti come conseguenza di una pluralità di delitti contro la Pubblica Amministrazione, distinti, ai fini della sanzione, per fasce di grandezza. Ovviamente in tale costruzione l’illecito amministrativo è legato al fatto di reato delle persone fisiche poste ai vertici della società o che si trovano in una posizione subordinata rispetto a questi ultimi che esercitano poteri di vigilanza e/o controllo. Ne consegue che l’accertamento delle sussistenza dell’illecito amministrativo in capo agli enti è strettamente dipendente dall’accertamento della sussistenza del reato presupposto, non a caso il Pubblico Ministro nella contestazione all’ente dell’illecito amministrativo deve esattamente indicare il reato da cui l’illecito dipende (art. 59). A fronte di tale costruzione della responsabilità amministrativa degli enti è evidente che il mancato accertamento della sussistenza del reato presupposto non può che comportare una pronunzia di esclusione della responsabilità dell’ente (art. 66). (Nella specie viene annullata l’imputazione sulla responsabilità, ex D. L.vo n.231/2001, essendosi pervenuti ad una pronunzia assolutoria in ordine al contestato reato di truffa.
  Pres. Est. Scaramella Est. Sassone, Napolitano Tafuri, Imp. Romiti ed altri
PUBBLICA AMMINISTRAZIONE – DANNO AMBIENTALE – Profitto del reato – Sequestro preventivo funzionale alla confisca – Artt. 19 e 53 del Dlgs n.231/01 .
 Il profitto del reato nel sequestro preventivo funzionale alla confisca, disposto ai sensi degli artt. 19 e 53 del Dlgs n.231\01 nei confronti dell’ente collettivo, è costituito dal vantaggio economico di diretta ed immediata derivazione causale dal reato ed è concretamente determinato al netto dell’effettiva utilità eventualmente conseguita dal danneggiato nell’ambito del rapporto sinallagmatico con l’ente.
  Pres. Est. Scaramella Est. Sassone, Napolitano Tafuri, Imp. Romiti ed altri
PUBBLICA AMMINISTRAZIONE – Reato di abuso d’ufficio – Elementi per l’integrazione – C.d. “doppia ingiustizia”.
 Ai sensi dell’art 323 cp, il reato di abuso d’ufficio non può configurarsi se non “in presenza di una violazione di norma di legge o di regolamento”, (ovvero di una omissione del dovere di astenersi ricorrendo un interesse proprio dell’agente o di un prossimo congiunto o negli altri casi prescritti) (requisito sub  A). Ne consegue che é stata espunta dall’area della rilevanza penale ogni ipotesi di abuso dei poteri o di funzioni non concretantesi nella formale violazione di norme legislative o regolamentari o del dovere di astensione. Inoltre, l’ingiustizia del vantaggio -che prima rientrava tra le finalità che l’agente doveva proporsi nel momento della condotta, in tal modo delineando una figura di reato a dolo specifico- rappresenta, in virtu’ della richiamata modifica normativa, l’evento del reato, contribuendo a configurare l’elemento oggettivo della fattispecie astratta (Cass. 6561/98) (requisito sub B). Sicché, ai fini dell’integrazione del reato di abuso d’ufficio, é necessario che sussista la c.d. “doppia ingiustizia”, nel senso che ingiusta deve essere la condotta, in quanto connotata da violazione di legge, ed ingiusto deve essere l’evento di vantaggio patrimoniale, in quanto non spettante in base al diritto oggettivo regolante la materia (Cass. II 2754 del 21\1\2010).
  Pres. Est. Scaramella Est. Sassone, Napolitano Tafuri, Imp. Romiti ed altri
PUBBLICA AMMINISTRAZIONE – Abuso d’ufficio – Svolgimento della funzione amministrativa del pubblico ufficiale – Artt. 323 e 110 cp..
 In tema di abuso d’ufficio, nella formulazione dell’art. 323 cp, l’uso dell’avverbio “intenzionalmente”, per qualificare il dolo ha voluto limitare il sindacato del giudice penale a quelle condotte del pubblico ufficiale dirette, come conseguenza immediatamente perseguita, a procurare un ingiusto vantaggio patrimoniale o ad arrecare un ingiusto danno. Ne deriva che, qualora nello svolgimento della funzione amministrativa il pubblico ufficiale si prefigga di realizzare un interesse pubblico legittimamente affidato all’agente dall’ordinamento (non un fine privato per quanto lecito, non un fine collettivo, ne’ un fine privato di un ente pubblico e nemmeno un fine politico), pur giungendo alla violazione di legge e realizzando un vantaggio al privato, deve escludersi la sussistenza del reato (Cass. n. 18149 del 16\5\2005, n 33068 del 5\8\2003, n 42839 del 18\12\2002, n 38498 del 18\11\2002). Inoltre, quando, come nel caso di specie, é ipotizzato il concorso del privato, é necessaria la dimostrazione certa della collusione tra il pubblico ufficiale e il richiedente l’atto illegittimo, la quale deve risultare dal contesto fattuale che dimostri che la richiesta – coincidente col provvedimento adottato- é stata preceduta, accompagnata o seguita da un’intesa con il pubblico funzionario o, comunque, da sollecitazioni poste in essere dal privato per l’ottenimento del provvedimento favorevole (Cass. VI 11\10\2007 n 37531, Cass 21/10/2004 n 43205, Cutino; 14/10/2003 n 43020). Inoltre, puo’ concorrere nel reato proprio di abuso d’ufficio, ex art.110 cp, anche la persona che non abbia la qualità soggettiva pubblica, quando conosca la qualità dell'”intraneo” e pone in essere una condotta che contribuisca alla realizzazione dell’evento (Cass sez. VI, 11/2/99). Ma perché possa configurarsi un contributo efficiente, idoneo a fondare la responsabilità concorsuale, occorre che il privato abbia posto in essere una condotta tale da avere svolto un ruolo causalmente rilevante’ nella realizzazione della fattispecie criminosa (Cass. VI pen. 29/5/2000). Pertanto, quando, come nel caso di specie, é ipotizzato il concorso del privato, é necessaria la dimostrazione della collusione tra il pubblico ufficiale e il richiedente l’atto illegittimo. La prova che un atto amministrativo sia il risultato di collusione tra privato e pubblico funzionario, non può essere dedotta di per se’ sola dalla mera coincidenza tra la richiesta del primo ed il provvedimento posto in essere dal secondo, essendo invece necessario che il contesto fattuale sia desunto, al di là dei rapporti personali tra le parti, da un quid pluris il quale dimostri che la presentazione della domanda è stata preceduta, accompagnata o seguita da un’intesa col pubblico funzionario o, comunque, da sollecitazioni poste in essere dal privato per l’ottenimento del provvedimento favorevole (Cass. 21/10/2004 n 43205, Cutino; 14/10/2003 n 43020)
Pres. Est. Scaramella Est. Sassone, Napolitano Tafuri, Imp. Romiti ed altri
DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Restituzione del bene sequestrato a favore dell’avente diritto – Soggetto diverso al quale il bene è stato sequestrato.
 La restituzione del bene sequestrato che consegue come effetto della perdita di efficacia di esso, a seguito di sentenza di proscioglimento o di non luogo a procedere, va disposta a favore dell’avente diritto che, in ipotesi, puo’ essere anche un soggetto diverso da quello al quale il bene è stato sequestrato (Cass. VI 2/5/-22 /8/2013 n.35320).
  Pres. Est. Scaramella Est. Sassone, Napolitano Tafuri, Imp. Romiti ed altri
  Testo integrale della sentenza
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Articolo Originale




Danno ambientale – Risarcimento

Repubblica Italiana

In nome del popolo italiano

Il Tribunale amministrativo regionale per la Liguria
(Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

Sentenza

sul ricorso numero di registro generale 136 del 2010, proposto dalla (A) Srl con sede a La Spezia in persona del legale rappresentante in carica, rappresentata e difesa dagli avvocati professor (omissis) e (omissis);

contro
Comune di La Spezia in persona del sindaco in carica, rappresentato e difeso dagli avvocati (omissis), (omissis) e (omissis), con domicilio presso la segreteria del Tar adito;

per l’annullamento
del provvedimento 14 febbraio 2009, n. 122071 del Comune di La Spezia
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di La Spezia
Visti gli atti e le memorie depositate;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 18 luglio 2013 il dott. (omissis) e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

Fatto e diritto

(A) Srl si ritiene lesa dal provvedimento 14 febbraio 2009, n. 122071 del Comune di La Spezia, per il cui annullamento ha notificato l’atto 10 febbraio 2010, depositato il 18 febbraio 2010, con cui lamenta:
violazione degli articoli 17 del Dlgs 5 febbraio 1997, n. 22, dell’articolo 253 del Dlgs 3 aprile 2006, n. 152, dell’articolo 33 della legge 6 dicembre 1971, n. 1034, degli articoli 3 e seguenti della legge 7 agosto 1990, n. 241, difetto dell’istruttoria e della motivazione, carenza dei presupposti, travisamento dei fatti, illogicità, contraddittorietà e sviamento.

Invalidità derivata.
Violazione e falsa applicazione dell’articolo 17 del Dlgs 5 febbraio 1997, n. 22, dell’articolo 8 del Dm 25 ottobre 1999, n. 471, eccesso di potere per difetto di istruttoria, travisamento dei fatti, illogicità, ingiustizia grave e manifesta.
Violazione e falsa applicazione dell’articolo 17 del Dlgs 5 febbraio 1997, n. 22, dell’articolo 8 del Dm 471 del 1999 sotto distinto profilo, eccesso di potere per travisamento dei fatti, difetto dell’istruttoria, ingiustizia grave e manifesta.
Violazione e falsa applicazione dell’articolo 1 della legge 9 dicembre 1998, n. 426, dell’articolo 15 del Dm 471 del 1999, incompetenza.
Violazione e falsa applicazione degli articoli 7, 8 e 10 della legge 7 agosto 1990, n. 241, eccesso di potere per travisamento dei fatti, illogicità, ingiustizia grave e manifesta.
Violazione degli articoli 3, 4 e 7 della legge 7 agosto 1990, n. 241, violazione del giusto procedimento, eccesso di potere per carenza dei presupposti, difetto dell’istruttoria e della motivazione.
Violazione e falsa applicazione degli articoli 2 e seguenti del Rd 14 aprile 1910, n. 639, dell’articolo 3 della legge 7 agosto 1990, n. 241, eccesso di potere per errore sui presupposti, difetto dell’istruttoria e della motivazione.
Violazione dell’articolo 17 del Dlgs 5 febbraio 1997, n. 22, dell’articolo 253 del Dlgs 3 aprile 2006, n. 152, dell’articolo 33 della legge 6 dicembre 1971, n. 1034, eccesso di potere per difetto dell’istruttoria e della motivazione, perplessità, indeterminatezza dell’oggetto, illogicità.
Violazione e falsa applicazione degli articoli 14 e 17 del Dlgs 5 febbraio 1997, n. 22, dell’articolo 253 del Dlgs 3 aprile 2006, n. 152, eccesso di potere per difetto dell’istruttoria e della motivazione, carenza dei presupposti, travisamento dei fatti e degli articoli 14 e 17 del Dlgs 5 febbraio 1997, n. 22.
Il Comune di La Spezia si è costituito in causa con memoria con cui ha chiesto respingersi la domanda.
Le parti hanno depositato memorie e documenti.
L’atto impugnato contiene la richiesta che il Comune di La Spezia ha rivolto all’interessata perché effettui il pagamento della somma di euro 158.824,50 a titolo di “… ulteriore somma … dovuta per le spese sostenute successivamente per gli interventi di contenimento e gestione percolato nonché per interventi di messa in sicurezza e di emergenza … inerenti la discarica per rifiuti speciali tipo 2b in località (omissis) …”
In fatto va premesso che la società interessata è proprietaria di un fondo ubicato a La Spezia nella località (omissis) su cui è da tempo ubicata una discarica di categoria 2 tipo B per lo smaltimento di rifiuti speciali; l’impianto è da anni inattivo, cosa che ha consigliato all’Amministrazione comunale di disporre degli accertamenti che hanno poi comportato l’adozione del provvedimento impugnato.
La controversia ha pertanto per oggetto l’accertamento e la riscossione delle entrate patrimoniali di cui il Comune assume essere creditore in forza dell’attività svolta nella discarica in danno del soggetto concretamente obbligato; in tal senso il Legislatore ha introdotto l’azione risarcitoria in forma specifica e per equivalente patrimoniale (articoli 311 seguenti del Dlgs 3 aprile 2006, n. 152) con lo scopo di regolamentare un settore dell’ordinamento in cui gli esborsi pubblici a tali titoli diventano sempre più onerosi.
Va ancora segnalato che tra il Comune di La Spezia, la ricorrente ed altri soggetti è da tempo in corso un variegato contenzioso, che ha per oggetto l’adempimento da parte dei gestori e proprietari della discarica degli obblighi loro incombenti per il risanamento del sito, nonché per il pagamento dei costi sostenuti dall’Amministrazione civica che ha eseguito in loro danno le attività considerate necessarie.
Parte del contendere è stato radicato avanti a questo Tribunale amministrativo, mentre risulta dagli atti allegati che altre liti pendono avanti al Tribunale ordinario. In proposito non può affermarsi che sono state introdotte avanti al Giudice amministrativo tutte le cause in cui si contestano le modalità imposte dalla P.a. per contenere l’inquinamento che deriva all’ambiente dai percolamenti originanti dalla discarica, posto che questo collegio si è pronunciato con la sentenza 21 novembre 2005, n. 1487 anche in ordine alla richiesta del Comune volta ad ottenere il ristoro dei costi sostenuti per porre rimedio all’inottemperanza palesata dalla ricorrente agli obblighi assunti in quanto proprietaria del sito. In altre occasioni la ricorrente ha invece impugnato le ingiunzioni di pagamento avanti al Giudice ordinario, e risulta allegato che il Tribunale di La Spezia ha sospeso i giudizi ai sensi dell’articolo 295 C.p.c. in attesa delle pronunce del Giudice amministrativo.
In tale situazione parte ricorrente ha adombrato essa stessa la possibile sussistenza di una problematica attinente la giurisdizione (pagina 8 del ricorso introduttivo), sì che la questione appare ricompresa nell’oggetto del contendere, e non si deve conseguentemente dar corso alle attività previste dall’articolo 73 comma 3 del Dlgs 2 luglio 2010, n. 104.
Tanto premesso, il Collegio osserva che la giurisprudenza che si condivide considera generale l’attribuzione al Giudice ordinario della cognizione quando si controverte sul recupero delle entrate patrimoniali dello Stato e degli enti pubblici (ad esempio Sezioni unite 9 novembre 2009, n. 23667 e Sezioni unite Cassazione, 1° ottobre 2009, n. 21049, e sotto altra prospettiva, Consiglio di Stato, 5 giugno 2013, n. 3111); in tale contesto vengono fatte salve le distinte previsioni normative che riconoscono invece tali attribuzioni al Giudice tributario, al Giudice amministrativo od alla Corte dei Conti.
Va pertanto verificato se la significativa innovazione ricordata ha apportato un mutamento alle regole generali che dovrebbe seguire un comune che ritiene di essere creditore di una somma di denaro per il titolo dedotto in causa.
Il Legislatore ha delineato con gli articoli 311 e seguenti del Dlgs 3 aprile 2006, n. 152 la legittimazione del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio per il recupero delle somme che lo Stato ha sborsato per porre riparo ai danni ambientali causati da taluno: le norme si soffermano sulla natura e sull’ampiezza dell’azione, sull’attività istruttoria da compiere per giungere alla quantificazione della richiesta che si avanza nei confronti dell’allegato trasgressore (articolo 312 del Dlgs citato), sull’atto con cui la ripetizione della somma diventa efficace (articoli 313 e 314 che menzionano l’ordinanza e ne delineano il contenuto) nonché sulle le modalità con cui è possibile ricorrere avverso tale atto (articolo 316).
Il problema che ci si deve porre consiste nell’individuazione dell’eventuale natura generale delle disposizioni ora citate, ovvero nella loro qualificazione come di stretta interpretazione.
La giurisprudenza che ha trattato sino ad ora tali questioni non ha avuto dubbi nel ritenere di competenza del G.o. la domanda di un Comune volta (Sezioni unite 10 dicembre 2012, n. 22382) a conseguire la rivalsa per gli oneri anticipati in materia ambientale.
Oltre a ciò la formulazione delle norme in esame appare assai precisa nell’individuare le attività che l’organo statale deve compiere, allorché intende rivalersi sui soggetti presunti responsabili di fatti di inquinamento che concretano la nozione di danno ambientale; in tal senso non sembra possibile estendere analogicamente anche al Comune la potestà prevista specificamente dalle norme in rassegna, dal che deriva l’inapplicabilità della norma (articolo 316 del Dlgs 3 aprile 2006, n. 152) che prevede che l’ordinanza del Ministero sia ricorribile al Giudice amministrativo competente per il territorio in cui si è verificato il danno.
Ne deriva che va declinata l’adita giurisdizione, e che la differente soluzione che viene data al caso in questione rispetto alla determinazione assunta con la sentenza 21 novembre 2005, n. 1487 deriva essenzialmente dal mutamento del quadro normativo intervento dopo la pubblicazione di tale pronuncia.
Tale circostanza impone altresì la compensazione delle spese occorse.

PQM

Il Tribunale amministrativo regionale per la Liguria (Sezione Seconda)
Dichiara inammissibile il ricorso per essere competente il Giudice ordinario alla sua cognizione, e compensa le spese.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
Così deciso in Genova nella camera di consiglio del giorno 18 luglio 2013 con l’intervento dei Magistrati:
(omissis)

Depositata in segreteria il 29 luglio 2013.


Articolo Originale




Sentenze – danno ambientale

Danno ambientale
 

CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez.3^ 16/04/2014 Sentenza n.

* RIFIUTI – Trasporto illecito di rifiuti – Confisca del mezzo – Terzo proprietario estraneo al reato – Artt. 212, 240, 256 e 259, c.1, lett. a), d.lgs. n. 152/2006 (T.U.A.) – Art. 25- undecies d.lgs. n.131/2001 – Art. 7 CEDU – Rifiuti misti da demolizione – Iscrizione presso l’Albo Nazionale dei Gestori Ambientali – Necessità – Art. 212, T.U.Amb. – DANNO AMBIENTALE – Responsabilità dell’Ente – Soggetti in posizione apicale e modelli di organizzazione dell’ente – Confisca a persona estranea al reato – Esonero della responsabilità – Buona fede – Disciplina applicabile – Artt. 5 e 6 d.lgs. 231/2001 – Art. 240 c.p. – DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Determinazione della pena – Poteri e limiti del giudice – Art. 133 c.p. – Concessione o il diniego delle attenuanti generiche – Poteri del giudice – Sospensione condizionale della pena – Art. 165, cod. pen..

Categoria:

Rifiuti
Danno ambientale
Diritto processuale penale

Autorità:

Corte di Cassazione

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TRIBUNALE DI NAPOLI Sez.5^ 01.02.2014 Sentenza n.16316

RIFIUTI – APPALTI – Emergenza rifiuti in Campania – Servizi di trasporto – Violazione del divieto di subappalto – Assenza di prova certa – Fattispecie – Art. 18 D.L. 17.3.1995 n.157 in rel. all’art. 18 L. 19.3.1990 n.55 – Certificazione – Omissione di un dato – Reato di falsa “certificazione” – Configurabilità – Dolo generico – Necessità – Artt 110, 479 cp. – Traffico illecito di rifiuti – Attività organizzata di gestione dei rifiuti – Elementi – Codici CER utilizzati per lo smaltimento – Reale trattamento del rifiuto – Art. 260 Dlgs n.152/06 – Attività di recupero soggette a procedura semplificata – Art. 214 d.lgs. n.152/06 – Gestione dei Rifiuti – Trasferimento di CDR e di altri residui – Concorso nel reato con condotte successive – Imprese iscritte all’albo nazionale speciale – Necessità – Rifiuto combustibile – CDR conforme al DM 521998, o non conforme – Regime autorizzativo – Incenerimento rifiuti – Potere calorifico all’incenerimento – Direttiva europea 2000/76/CEE e d.L.vo n.133/05 –  Termovalorizzatore di Acerra e Santa Maria la Fossa – Realizzazione dei termovalorizzatori – Recupero energetico del CDR prodotto nelle more della costruzione – Smaltimento di rifiuti – C.d. eco balle – Definizione del temine “ambientalizzazione” – Responsabilità dell’appaltatore – Limiti – Uso di cementifici – APPALTI – Contratti di appalto di servizi – Violazione degli obblighi assunti – Inadempimento di un contratto con la Pubblica Amministrazione – Frode nelle pubbliche forniture – Elementi per la configurabilità – Natura – Giurisprudenza – Inadempimento di un contratto e frode nelle pubbliche forniture – Natura civile e penale dell’inadempimento – Elementi per la configurabilità – PUBBLICA AMMINISTRAZIONE – Clausole generali di buona fede – Prestazione divenuta inesigibile – Artt. 1175, 1256, 1218 e 1375 c.c.- Contratto di appalto e quello di trasporto – Differenze – Responsabilità Amministrativa da reato – Illeciti amministrativi – Responsabilità degli enti collettivi – D. L.vo n.231/2001 – Reato di abuso d’ufficio – Elementi per l’integrazione – C.d. “doppia ingiustizia” – Abuso d’ufficio – Svolgimento della funzione amministrativa del pubblico ufficiale – Artt. 323 e 110 cp. – DANNO AMBIENTALE – Profitto del reato – Sequestro preventivo funzionale alla confisca – Artt. 19 e 53 del Dlgs n.231/01  – DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Restituzione del bene sequestrato a favore dell’avente diritto – Soggetto diverso al quale il bene è stato sequestrato.

Categoria:

Rifiuti
Pubblica amministrazione
Appalti
Danno ambientale
Diritto processuale penale

Autorità:

Tribunali di Merito

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TAR LIGURIA 29 luglio 2013

* DANNO AMBIENTALE – Artt. 311 e ss. d.lgs. n. 152/2006 – Azione risarcitoria in forma specifica e per equivalente patrimoniale – Ordinanza di un Comune volta a conseguire la rivalsa per gli oneri anticipati in materia ambientale – Ricorso – Giurisdizione – G.O.

Categoria:

Danno ambientale

Autorità:

T. A. R.

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TAR LOMBARDIA, Milano 25 luglio 2013

* DANNO AMBIENTALE – Nozione – Ordine di bonifica – Misura ripristinatoria  – Differenza.

Categoria:

Danno ambientale

Autorità:

T. A. R.

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CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez.3^ 8 Aprile 2013

*  DANNO AMBIENTALE – PUBBLICA AMMINISTRAZIONE – ASSOCIAZIONI E COMITATI – Violazioni ambientali produttive di danno risarcibile – Delitti di falso ed abuso d’ufficio commessi allo scopo di rendere possibile un abuso edilizio – Risarcimento – Legittimazione alla costituzione di parte civile –  Artt. 30, 44, 64, 65, 71 e 72 d.P.R. 380/01 , 110 e 483 cod. pen. – LEGITTIMAZIONE PROCESSUALE – Processi per reati ambientali – Associazioni ambientaliste – Legittimazione alla costituzione di parte civile – Risarcimento –   Artt. 313 c.7 e 318 d.lgs. n.152/06 – Artt. 2043 e 2059 cod. civ. – Art. 185, c.2 cod. pen. – DIRITTO URBANISTICO – Domanda di condono – False dichiarazioni – Reato di cui all’art. 483 cod. pen. – Configurabilità – Presupposti – DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Diniego delle attenuanti generiche – Onere motivazionale – Poteri del giudice – Manifesta infondatezza dei motivi – Inammissibilità del ricorso – Cause di non punibilità – Inapplicabilità – Art. 129 cod. proc. Pen..

Categoria:

Danno ambientale
Legittimazione processuale
Diritto urbanistico – edilizia
Pubblica amministrazione
Associazioni e comitati
Diritto processuale penale

Autorità:

Corte di Cassazione

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CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez.3^ 15 Marzo 2013

* RIFIUTI – Programmata abrogazione  di una norma – Vigenza “provvisoria” – Effetti – Disciplina di successione delle leggi penali ex art. 2, c.5, c.p. – Retroattività della norma più favorevole – Limiti di applicazione – Fattispecie: rifiuti speciali non pericolosi classificati come terre e rocce da scavo – Codice CER 170504 – D. n. 161/2012 – Artt. 184 bis, 186, 256, c.1, lett.a) e 311 d. Lgs. n. 152/2006 – DANNO AMBIENTALE – LEGITTIMAZIONE PROCESSUALE – Risarcimento del danno ambientale – Natura pubblica – Lo Stato soggetto legittimato – Risarcimento di qualsiasi danno patrimoniale – Soggetti legittimati: singoli o associati, enti pubblici territoriali e  regioni – Art. 2043 c.c. – DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Conclusioni delle parti – Omessa indicazione nell’intestazione della sentenza – Nullità della pronuncia – Esclusione.

Categoria:

Rifiuti
Danno ambientale
Legittimazione processuale
Diritto processuale penale

Autorità:

Corte di Cassazione

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Tribunale Ordinario di Cremona 19 giugno 2012

INQUINAMENTO IDRICO – DANNO AMBIENTALE – LEGITTIMAZIONE PROCESSUALE – P.A. – Inquinamento di falda acquifera – Delitti colposi di danno art. 449 c.p. – Reato  plurioffensivo – Costituzione di parte civile – Risarcimento del danno – Costituzione di parte civile di un  singolo cittadino in sostituzione dell’Ente rinunciatario – Art. 9 d.lgs. n.267/2000 in materia di Enti locali. (con nota di Fulvio Conti Guglia )

Categoria:

Acqua – Inquinamento idrico
Legittimazione processuale
Danno ambientale
Pubblica amministrazione

Autorità:

Tribunali di Merito

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TRIBUNALE DI AGRIGENTO – Ordinanza 11 giugno 2012

ASSOCIAZIONI E COMITATI – DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Esercizio dell’azione civile risarcitoria in sede penale – DANNO AMBIENTALE – Stato ed Enti locali – Titolarità esclusiva dell’azione risarcitoria – Profili di rilevanza sociale ed individuale del degrado ambientale – Tutela giurisdizionale – Interesse all’ambiente – Interesse diffuso – Soggettivazione dell’interesse – Associazione – Centro esponenziale di un interesse della collettività – Presupposti – Atti a contenuto urbanistico o edilizio – Associazioni ambientaliste – Legittimazione ad agire in sede penale – Riconoscimento – Danno risarcibile – Danno patrimoniale e non patrimoniale – Reati commessi in occasione o con la finalità di violare normative dirette alla tutela dell’ambiente – Costituzione di parte civile delle associazioni ambientaliste – Legittimazione – Fattispecie. (Si ringraziano gli avv.ti Nicola Giudice e Daniela Ciancimino per la segnalazione)

Categoria:

Associazioni e comitati
Danno ambientale
Diritto processuale penale
Legittimazione processuale

Autorità:

Tribunali di Merito

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CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez.3^ 23/05/2012 Sentenza n.19437

DANNO AMBIENTALE – Danno risarcibile – Associazioni ambientaliste nazionali e sedi locali – Costituzione parte civile – Legittimazione – Pregiudizio diretto ed immediato – Necessità – Artt. 300 e 318 D.Lgs. n. 152/2006 – Art. 18 L. n. 349/1986 – Art. 2043 c. c., – Art. 185, c. 2°, c. p. – Ruolo degli enti locali – Artt. 309, 310, 311 e 313 c.7, D.Lgs. n. 152/2006 – Dir. 2004/35/CE – RIFIUTI – Quantitativo di rifiuti – Termine “ingente” – Definizione – Traffico illecito di rifiuti – Concorso in attività organizzate – Nozione di “profitto ingiusto”.

Categoria:

Danno ambientale
Rifiuti

Autorità:

Corte di Cassazione

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CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez.3^, 23 maggio 2012

*  RIFIUTI – Terre e rocce da scavo – Definizione di sottoprodotto – Condizioni – D.Lgs. n. 205/2010 – Artt. 184-bis e 186 D.Lgs. n. 152/2006 – Progetto soggetto a VIA – Utilizzazione come sottoprodotti – Condizioni – Fattispecie – DANNO AMBIENTALE – ASSOCIAZIONI E COMITATI – Pregiudizi all’ambiente – Associazione ambientaliste o persona singola – Risarcibilità del danno patrimoniale o non patrimoniale – Normativa speciale e diritto dei soggetti danneggiati – Legittimazione a costituirsi parte civile – Artt. 311, 318 del D.Lgs. n. 152/2006 – Dir. 2004/35/CE – Artt. 2043 e 2059 cod. civ. – Art. 185, 2c., cod. pen..

Categoria:

Rifiuti
VIA VAS AIA
Danno ambientale
Associazioni e comitati

Autorità:

Corte di Cassazione

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CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez.3^ 16 maggio 2012

* VIA  – Autorizzazione integrata ambientale (AIA) – Continuità normativa –  RIFIUTI –  Fattispecie: condotta colposa nello spandimento di liquami zootecnici – DANNO AMBIENTALE – Specifico compito di vigilanza e controllo – Società – Responsabilità dei singoli – Individuazione – Necessità – Responsabilità indifferenziata in quanto tutti soci con pari poteri – Esclusione  – Art. 29 quattuordecies D. L.vo n.152/06 – Art. 16 c.2° D. L.vo 52/09 –  DIRITTO PROCESSUALE PENAL E – Decreto penale per reati contravvenzionali – Oblazione – Limiti.

Categoria:

VIA VAS AIA
Rifiuti
Danno ambientale
Diritto processuale penale

Autorità:

Corte di Cassazione

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CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez.3^ 23/04/2012 Sentenza n.15495

RIFIUTI – DANNO AMBIENTALE – Violazioni della disciplina sui rifiuti – Risarcimento danni subiti dal privato – Ordinari criteri e principi generali in materia di danni – Applicazione – Art. 2043 c.c. e 185 c.p. – Art. 256 D. Lgs n. 152/2006 – Smaltimento di rifiuti – Affidamento dei rifiuti a terzi – Obbligo di accertamento – Sussiste – Fattispecie: rifiuti provenienti da demolizione.

Categoria:

Rifiuti
Danno ambientale

Autorità:

Corte di Cassazione

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TAR CAMPANIA, Napoli – 8 febbraio 2012

* DANNO AMBIENTALE – Denuncia di danno ambientale – Art. 309 d.lgs. n. 152/2006 – Ministero dell’Ambiente –  Obbligo di valutare le richieste di intervento – Discrezionalità sulle misure da intraprendere – Mancato riscontro – Silenzio inadempimento – Ricorso ex art. 310.

Categoria:

Danno ambientale

Autorità:

T. A. R.

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CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. III 12 gennaio 2012

* DANNO AMBIENTALE – Lesione dell’interesse collettivo all’ambiente – Risarcimento – Soggetti legittimati – Natura pubblica – Ministero dell’Ambiente – Artt. 183, 311 e 318 D. L.vo n. 152/2006 – ASSOCIAZIONI E COMITATI – Risarcimento di qualsiasi danno patrimoniale- Art. 2043 cod. civ. – PUBBLICA AMMINISTRAZIONE – Regioni, Enti pubblici territoriali minori e associazioni ecologiste – Risarcimento di qualsiasi danno patrimoniale – Tutela dell’ambiente – Regioni, enti locali, persone fisiche o giuridiche – Poteri e limiti – Art. 309, c.1 D.L.vo n. 152/2006 .

Categoria:

Danno ambientale
Pubblica amministrazione
Associazioni e comitati

Autorità:

Corte di Cassazione

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CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. 3^ 22/12/2011

*  RIFIUTI – Attività organizzate per il traffico illecito – Serie di attività illecite – C.d. “giro bolla” – Mancata indicazione della provenienza iniziale dei rifiuti – Modifica di codice CER – Irregolare tenuta dei registri obbligatori di carico e scarico – Miscelazioni – Attività organizzate – Nozione – Art. 260 D.L.vo n.152/2006 – DANNO AMBIENTALE – Parti civili – Liquidazione del danno – Giudice civile – Artt.303-311 del d.lgs. n.152/2006 – DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Ricorso per cassazione – Inammissibilità per genericità dei motivi – Inammissibilità originaria dei ricorsi per violazioni di disposizioni penali.

Categoria:

Rifiuti
Danno ambientale
Diritto processuale penale

Autorità:

Corte di Cassazione

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CORTE DI CASSAZIONE PENALE 13/12/2011

*  RIFIUTI – Traffico illecito di rifiuti – Attività organizzate – Presupposti del reato – Pluralità di operazioni condotte in continuità temporale ed unica violazione di legge – Ex art. 53 bis, D.Lgs n. 22/1997, oggi art. 260, D.Lgs. n. 152/2006 – Attività organizzata per il traffico illecito – C.d. reato abituale – Contestazione all’imputato –  Slittamento del termine di cessazione della permanenza – Formale contestazione integrativa da parte dell’accusa  – Necessità – Problematiche del ne bis in idem – Traffico illecito di rifiuti – Sanzione penale – Presupposti – Pluralità di operazioni con allestimento di mezzi ed attività continuative organizzate – Attività di intermediazione e commercio – Art. 260, D.Lgs. n. 152/2006 – Associazione delinquenziale diretta all’illecito smaltimento di rifiuti  – Nozione di ingente quantitativo di rifiuti – Elemento materiale e psicologico –  Ingiusto profitto – Semplice riduzione dei costi aziendali – Configurabilità – Responsabilità del dipendente di una ditta o di specifici imputati – Limiti – DISASTRO AMBIENTALE e DANNO AMBIENTALE – Nozione – Elemento psicologico del reato – Art. 434 c.p. – Fattispecie : contaminazione di siti, tombamento di rifiuti e violazione di sigilli – Illecito smaltimento per interramento – C.d. affectio societatis – Esistenza di fatto di una struttura organizzativa – Responsabilità dei proprietari di terreni – DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Sentenza di condanna – Dovere motivazionale imposto in caso di c.d. overruling – Mutamento giuridico intervenute nel corso del giudizio – Fattispecie: utilizzazione dei c.d. dati “parlati” (ossia dedotti dall’ampio compendio delle conversazioni intercettate) – Avviso di deposito di sentenza – Mancata notifica all’imputato – Effetti – Art. 183 c.p.p.- Rinnovazione delle prove – Utilizzo per relationem del contenuto materiale delle precedenti dichiarazioni – Conferma del teste esaminato – Legittimità – Consortium sceleris – Struttura dell’elemento associativo – Giurisprudenza – Sentenze di 1° e 2 grado – Struttura motivazionale ed elementi di prova concordanti – Integrazione tra le due motivazioni in un unico complessivo corpo argomentativo.

Categoria:

Rifiuti
Danno ambientale
Diritto processuale penale

Autorità:

Corte di Cassazione

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CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez.3^ 12/10/2011 Sentenza n.36818

DANNO AMBIENTALE – Configurabilità oggettiva del danno ambientale – Incremento dell’inquinamento – Criterio principale di risarcimento del danno ambientale – Riparazione del danno – Giudizi in corso – Applicazione – Risarcimento per equivalente patrimoniale – Criterio residuale – Artt. 300 303 e 311, d.lgs. n. 152/2006 – Art. 2058 c.c. – Azione risarcitoria – LEGITTIMAZIONE PROCESSUALE –  Esercizio dell’azione civile nel processo penale – Soggetto legittimato ad causam – Artt. 76, 100, 102 e 122 c.p.p. – D.lgs. n. 152/2006 – RIFIUTI – Stoccaggio dei rifiuti – Conferimento disordinato in discarica – Obbligatorietà di partizioni interne alla discarica – Responsabilità penale – Configurabilità – Fattispecie – Insufficienza del solo esame visivo per verificare la natura dei rifiuti conferiti – Art. 1, c.3, D.M. n. 141/1998

Categoria:

Danno ambientale
Rifiuti
Legittimazione processuale

Autorità:

Corte di Cassazione

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CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. III, 26/09/2011

* DANNO AMBIENTALE – Associazione ambientalista – Danno risarcibile patrimoniale o non patrimoniale – Disciplina civilistica e penalistica – Artt. 2043 e 2059 cod. civ. – Art. 185, 2° c., cod. pen. – Artt. 311 e  313 7° c., D.Lgs. n. 152/2006 – LEGITTIMAZIONE PROCESSUALE – Azioni risarcitorie per lesione dell’ambiente – Persona singola od associata – Normativa speciale ex artt. 311 e  313 7° c., D.Lgs. n. 152/2006 e disciplina civilistica e penalistica ex artt. 2043 e 2059 cod. civ. – Art. 185, 2° c., cod. pen. – Applicazione – Presupposti.

Categoria:

Danno ambientale
Legittimazione processuale

Autorità:

Corte di Cassazione

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CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Maggio 21016

 BENI CULTURALI ED AMBIENTALI – Tutela paesaggistica di fiumi e torrenti – Iscrizione negli elenchi delle acque pubbliche – Necessità – Esclusione – Art. 1, lett. c), L. n. 431/1985 (attualmente art. 142, c.1 ° – lett. c, D.Lgs. n. 42/2004) – Principi fissati dalla legge statale e disposizioni regionali – Tutela “minimale” e prescrizioni ampliative del vincolo paesaggistico – L. n. 1497/1939 – Art. 117 Cost. – Fattispecie: L.R.Puglia 11.5.1990, n. 30 – DANNO AMBIENTALE – LEGITTIMAZIONE PROCESSUALE – Danno non patrimoniale – Risarcimento – C.d. “danno-conseguenza” e “danno-evento” – Legittimazione processuale delle associazioni ambientaliste – Azioni risarcitorie per danno ambientale – Costituzione di parte civile ” iure proprio ” nel processo – (art. 9, c. 3, D.Lgs. n. 267/2000, abrogato dall’art. 318 D.Lgs. n. 152/2006) – Art. 2043 cod. civ. – DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Ignoranza della legge penale – C.d. “dovere di informazione” – Contestazione di un reato permanente – Elemento del perdurare della condotta antigiuridica compresa nell’imputazione – Principio di correlazione fra imputazione contestata e sentenza – Mutamento del fatto – Trasformazione radicale e condizione concreta di difendersi in ordine all’oggetto dell’imputazione – Divieto del ” ne bis in idem ” – Art. 649 c.p.p. – Falsità ideologica commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici – Accertamenti implicanti valutazioni – Rilevanza – Art. 479 cod. pen.

 
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Articolo Originale




Danno ambientale – Risarcimento – Sanzione

Repubblica italiana
In nome del popolo italiano
Il Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
Sentenza
sul ricorso numero di registro generale 4533 del 2000, proposto da:
(omissis) Spa (Già (omissis) Spa), rappresentata e difesa dagli avv.ti (omissis) e (omissis), con domicilio eletto presso l’avv.to (omissis);
contro
Comune di Senago, rappresentato e difeso dall’avv. (omissis), per l’annullamento:
— dell’ordinanza n. 18 del 23 giugno 2000, con la quale il Sindaco del Comune di Senago individuava le società ricorrenti tra i “responsabili della contaminazione”;
— (con primo atto per motivi aggiunti) del verbale della Conferenza di servizi del 15dicembre 2000;
— (con secondo atto per motivi aggiunti) della diffida del Responsabile del settore Edilizia ed Urbanistica del Comune di Senago del 3marzo 2003 e del verbale della Conferenza di servizi del 15 dicembre 2000;
— (con terzo atto per motivi aggiunti) della nota del Comune di Senago del 7 febbraio 2005;
— nonché di ogni altro atto ad essa eventualmente connesso, presupposto o conseguente.
Visti il ricorso, i ricorsi per motivi aggiunti e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Senago;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 29 maggio 2013 il dott. (omissis) e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
Fatto e diritto
1. La società ricorrente, al principio degli anni ‘80, per lo smaltimento dei reflui industriali prodotti dal proprio stabilimento, si era avvalsa della (omissis) Spa Tuttavia, nel febbraio del 1983, le autorità competenti avevano scoperto in Senago (alla via Mascagnì n. 38) un serbatoio fisso, di proprietà della società (omissis), utilizzato dalla (omissis) Spa per lo stoccaggio di rifiuti speciali industriali (tra cui quelli della ricorrente). Trattandosi di serbatoio privo delle prescritte autorizzazioni di legge, non a tenuta stagna e dove erano stati stoccati rifiuti speciali industriali altamente tossici e nocivi, il Comune di Senago aveva d’ufficio eseguito i lavori di sgombero e bonifica, affidando gli stessi alla (omissis) Sas, sopportando un costo di £ 124.823.586 (ciò in quanto, la (omissis) Spa, nel frattempo fallita, aveva addotto l’impossibilità finanziaria di ottemperare all’ordinanza di ripristino nel frattempo impartita).
1.1. A questo punto, con atto di citazione del 3 dicembre 1984, il Comune di Senago aveva convenuto innanzi al Tribunale di Milano la Coede Sas, la Cep Spa e le imprese che a quest’ultima avevano demandato lo smaltimento dei propri rifiuti (nel dettaglio: la (omissis), oggi (omissis) Spa; la (omissis) Spa, prima denominata (omissis) Spa; la (omissis) Spa; la (omissis) Spa). Il Tribunale di Milano (con sentenza n. 11160/88), dichiarata l’improponibilità della domanda proposta contro la (omissis) Spa (perché fallita prima della notifica della citazione), aveva dichiarato la responsabilità (ex articolo 2055 C.c.) delle altre imprese convenute (compresa l’odierna ricorrente) per l’illecita attività di smaltimento, condannando le stesse al pagamento della somma (già rivalutata) di £ 155.000.000, a titolo di refusione del danno economico derivante dallo smaltimento dei reflui tossici; per contro, aveva rigettato la pretesa avente ad oggetto il risarcimento del danno ambientale, per carenza di prova. La Corte di Appello di Milano, con sentenza n. 2004/92, aveva confermato la pronuncia del giudice di prime cure. Sennonché, la Suprema Corte, con sentenza n. 9211/95, aveva riformato la sentenza della Corte territoriale con esclusivo riguardo al rigetto della domanda risarcitoria del danno ambientale, stante l’erroneità di aver ritenuto non ottemperato il relativo onere della prova (in particolare, motivando nel senso che, essendo la compromissione “in sé” del bene ambientale valutabile solo attraverso accertamenti, eseguiti da qualificati organismi pubblici, in presenza di questi ultimi non avrebbe potuto fondatamente rigettarsi la richiesta del danneggiato di consulenza tecnica di ufficio). In ottemperanza a quanto stabilito dalla Corte Suprema, riassunta la causa, la Corte di Appello di Milano (con sentenza n. 3406/2003, passata in cosa giudicata), accertato tramite Ctu l’inquinamento dell’area vicina al serbatoio a causa della presenza di diclorometano superiore al limiti di legge (nel dettaglio, eccedente di tre volte il limite di accettabilità per terreni ad uso commerciale e industriale stabilito dal Dm 471/99), aveva condannato in solido le convenute al risarcimento del danno ambientale quantificato in ulteriori € 36.000,00. Sulla scorta degli accertamenti compiuti dal Ctu nel corso del citato giudizio di rinvio, traggono scaturigine le successive iniziative assunte dal Comune di Senago, che hanno determinato il presente contenzioso davanti al giudice amministrativo.
1.2. Venendo ora dettagliatamente all’oggetto dei ricorsi va premesso che: — con il ricorso principale è stata impugnata l’ordinanza n. 18 del 23 giugno 2000, con la quale l’amministrazione comunale resistente aveva individuato la società ricorrente tra i responsabili della contaminazione dell’area sita in Senago (catastalmente identificata al foglio 10, mappali 50, 52 e 29), per il superamento del diclorometano riscontrato in forza della perizia giudiziale svolta dal Ctu nell’ambito del giudizio davanti alla Corte d’Appello di Milano (conclusosi con la sentenza n. 3406/2003 passata in giudicato), ed ha ordinato alla stessa società, in solido alle altre società indicate nel provvedimento ed alla società (omissis), proprietaria dell’area, di provvedere a presentare progetto di bonifica; — con i primi motivi aggiunti notificati in data 28 febbraio 2001, è stata impugnata la conferenza di servizi del 15 dicembre 2000 nella parte in cui aveva prescritto alla ricorrente, in uno con le altre società intimate, di procedere alla presentazione di un progetto di bonifica, statuendo che le responsabilità e gli oneri sarebbero stati solidalmente a carico di tutte le parti; — con i secondi motivi aggiunti, notificati in data 11 giugno 2003, è stato impugnato anche il provvedimento 3 marzo 2003 del Responsabile del Settore Edilizia Privata del Comune di Senago, con il quale era stata diffidata la società ad eseguire le indagini richieste; — con i terzi motivi aggiunti, notificati in data 15 aprile 2005, sono state impugnate anche la nota del Comune di Senago del 7 febbraio 2005, nonché la Conferenza di servizi del 29 marzo 2001. Avverso tali provvedimenti sono state sollevate plurime censure di violazione di legge e sviamento di potere.
1.3. Si è costituita in giudizio l’amministrazione intimata, chiedendo il rigetto del ricorso. Sul contraddittorio così istauratosi, la causa è stata discussa e decisa con sentenza definitiva all’odierna udienza.
2. Il ricorso non può essere accolto in quanto infondato. Possono, pertanto, sin d’ora ritenersi assorbite le eccezioni pregiudiziali sollevate da controparte (la prima, secondo cui, avviato il procedimento di bonifica, non sarebbe consentito al soggetto di sottrarsi all’attuazione degli interventi stabiliti nel piano di caratterizzazione; la seconda che argomenta l’inammissibilità del ricorso e dei motivi aggiunti per mancata notifica al Ministero dell’Interno; la terza con cui si eccepisce l’irricevibilità della memoria avversaria).
3. Con un primo ordine di motivi, la società lamenta: — che l’ordinanza sarebbe stata assunta sulla base dell’errato presupposto che le società ricorrenti sarebbero state responsabili dell’inquinamento e del superamento della concentrazione del limite di diclorometano, mentre la maggiore concentrazione della sostanza sarebbe stata invece frutto di successive utilizzazioni del serbatoio; — che l’area in questione sarebbe stata oggetto di ben due bonifiche effettuate d’ufficio dal Comune (una nel 1984 e l’altra nel 1989), i cui oneri sarebbero stati interamente corrisposti all’amministrazione, ivi compreso l’onere per il ripristino ambientale del predetto superamento del diclorometano, calcolato in 70 milioni di vecchie lire dal Ctu e liquidato in € 36.000,00 nella sentenza della Corte d’Appello di Milano n. 3406/03; — che la pretesa del Comune di una nuova bonifica richiesta con l’impugnata ordinanza sarebbe del tutto illegittima ed illogica, in quanto preordinata a far gravare ingiustamente sulla società ricorrente gli oneri per la bonifica dell’intera area di proprietà della locale società (omissis) ai fini della sua utilizzazione ad un uso diverso dall’industriale; — che, all’epoca dei fatti (1982) e delle bonifiche (1984 e 1989) la concentrazione del diclorometano riscontrato nella perizia del maggio 2000 (peraltro in “hot spot” di superficie, “limitata e localizzata” e di “basso tenore di concentrazione” come definita dal Ctu) sarebbe rientrata nel limite tabellare per le aree industriali come stabilito al tempo dalla delibera della Dgr Lombardia 2.8.1996, n. 6/17252, cosicché la pretesa ad anni di distanza di applicare i più restrittivi criteri del Dlgs 471/99 sarebbe illegittima (tanto più che il quadro normativo, nel trentennio intercorso, si sarebbe ulteriormente modificato con l’emanazione del Dlgs 132/06, statuendo nuovi criteri, Csc e Csr, analisi rischio sito specifica); — che il diclorometano, di cui si sarebbe accertato il superamento ai limiti tabellari introdotti con il Dm 471/99 (nel 2000 a 18 anni di distanza dall’inquinamento attribuito alla Società ricorrente) sarebbe una sostanza volatile alifatica che si disperde nell’aria e non potrebbe essere trattenuta in loco per 18 anni; ne conseguirebbe che il diclorometano accertato nelle analisi del maggio 2000, all’evidenza, non sarebbe riconducibile ai reflui conferiti dal (omissis) nel 1982; — che i provvedimenti impugnati sarebbero affetti da difetto assoluto di motivazione, perché non verrebbe fornito alcun elemento sulle ragioni di individuazione della società ricorrente tra destinatari dell’ordinanza.
Tali rilievi non possono essere accolti.
3.1. In termini generali, la responsabilità dell’utilizzatore di un sito contaminato, una volta accertato il nesso di causalità tra la sua attività produttiva e l’avvenuta contaminazione dei luoghi, è disciplinata, per le fattispecie antecedenti l’entrata in vigore del Dlgs 3 aprile 2006, n. 152, dall’articolo 17 del Dlgs 22 aprile 1997, n. 22, il cui comma 2 dispone che: “Chiunque cagiona, anche in maniera accidentale, il superamento dei limiti di cui al comma 1, lettera a), ovvero determini un pericolo concreto ed attuale di superamento dei limiti medesimi, è tenuto a procedere a proprie spese agli interventi di messa in sicurezza, di bonifica e di ripristino ambientale delle aree inquinate e degli impianti dai quali deriva il pericolo di inquinamento” (per il periodo precedente alla entrata in vigore di tale decreto legislativo, è comunque l’articolo 2050 C.c ad imporre al responsabile di attivarsi al fine di porre in essere atti e comportamenti unitariamente finalizzati al recupero ambientale del sito). Secondo la giurisprudenza, gli obblighi di bonifica, messa in sicurezza e ripristino ambientale conseguenti alla contaminazione delle aree costituiscono una forma di responsabilità oggettiva dell’autore dell’inquinamento, in quanto l’obbligo di effettuare gli interventi di legge sorge a prescindere dall’esistenza di qualsiasi elemento soggettivo doloso o colposo in capo all’autore dell’inquinamento, sempre che sussista il rapporto di causalità tra l’azione (o l’omissione) dell’autore dell’inquinamento ed il superamento (o pericolo concreto ed attuale di superamento) dei limiti di contaminazione, in coerenza col principio comunitario “chi inquina paga”.
3.2. Orbene, la responsabilità della società ricorrente (in solido con altre imprese produttrici) per la contaminazione del suolo di Senago (comprovata dalla presenza di diclorometano eccedente il limite di accettabilità di oltre il 300%, oltre che dal contenuto elevato di metalli, soprattutto zinco, rinvenute nella zona antistante il serbatoio, in concentrazione rientrante nei limiti di legge, ma così elevata da costituire sicuro sintomo di grave danno ambientale) è stata accertata con sentenza civile passata in cosa giudicata. La Suprema Corte di Cassazione (n. 9211/1995) ha, sul punto, precisato che “il soggetto produttore di rifiuti tossici (nella specie, rifiuti industriali speciali) è, comunque, sottoposto alla responsabilità prevista dagli articoli 2043 e 2050 C.c. e non può esimersi da essa sostenendo di aver affidato completamente a terzi lo stoccaggio e lo smaltimento dei rifiuti stessi, in quanto tutti i soggetti coinvolti nel ciclo di produzione e smaltimento dei rifiuti tossici — e, in particolare, il produttore — sono ugualmente responsabili e solidalmente tenuti ad adottare le idonee misure di sicurezza, anche nella fase di smaltimento, affinché lo sversamento definitivo e lo stoccaggio dei rifiuti avvenga senza danno a terzi”. Ancora, la menzionata pronuncia ha affermato che “è vero che all’epoca dello sversamento … non era ancora entrata in vigore la normativa che impone al produttore di rifiuti il controllo sulla discarica, introdotto con il Dpr 10 settembre 1982 n. 915, è altresì vero che, anche prima della normativa di settore, il produttore di rifiuti tossici o nocivi era obbligato, in base ai principi generali, e cioè in base al richiamato articolo 2050 C.c., a non cagionare danno nell’esercizio di un’attività indubbiamente pericolosa quale quella che da luogo alla produzione di rifiuti tossici e nocivi a livello industriale, anzi, di adottare tutte le misure idonee ad evitare ogni possibile danno, anche quello ambientale”.
3.3. Il giudicato civile, è bene osservare, ha radicalmente respinto l’argomento difensivo volto a dimostrare l’interruzione del nesso causale in ragione di un’asserita successiva manomissione del serbatoio piombato ed inserimento di rifiuti dopo la sigillatura (cfr. la sentenza n. 3406/2003 della Corte di Appello di Milano, passata in giudicato, nella parte in cui ha escluso sia la manomissione del serbatoio, in quanto sempre rimasto piombato, sia l’utilizzo del serbatoio e dell’area da parte di soggetti ulteriori per lo stoccaggio di rifiuti industriali).
3.4. Quanto, poi, all’eccezione, sollevata anche nel presente giudizio, secondo cui la presenza del diclorometano eccedente i limiti stabiliti per un’area ad uso industriale previsti alla Tab. l, colonna b), ali. a) Dm 471/99, non potrebbe imputarsi alla ricorrente dal momento che la normativa appena richiamata è successiva ai fenomeni di contaminazione rilevati, deve replicarsi che non si tratta certo di applicazione retroattiva, bensì concomitante alla rilevazione di una situazione di inquinamento destinata a perdurare fintantoché non venga riportata nei limiti tollerati; alterazione che rendeva attuale l’obbligo di adozione delle misure di risanamento nel momento stesso del suo accertamento.
3.5. Non è, altresì, accoglibile la tesi che assume l’illegittimità dell’ordine di bonifica in commento, paventandosi che quest’ultimo possa risultare, per così dire, “duplicativo” della già disposta condanna al risarcimento del danno ambientale. Difatti, vengono in rilievo dispositivi riconducibili a funzioni del tutto distinte, operanti in via complementare. Sul punto, sono necessarie le seguenti precisazioni.
Secondo condivise acquisizioni giurisprudenziali, il concetto di danno ambientale (sviluppatosi a partire dall’articolo 18 della legge 8 luglio 1986, n. 349, applicato ratione temporis nel citato processo civile) denota un tipo di compromissione, consistente nell’alterazione, deterioramento, distruzione, in tutto o in parte, dell’ambiente; il danno ambientale supera e trascende il danno ai singoli beni che ne fanno parte e con esso l’ordinamento ha voluto tener conto non solo del profilo risarcitorio, ma anche di quello sanzionatorio, che pone in primo piano non solo e non tanto le conseguenze patrimoniali del danno arrecato, ma anche e soprattutto la stessa produzione dell’evento, e cioè l’alterazione, il deterioramento, la distruzione, in tutto o in parte dell’ambiente, e cioè la lesione in sé del bene ambientale. Gli spunti di maggiore interesse della disciplina, non a caso, sono quelli in cui si prevede, ove non sia possibile una precisa quantificazione del danno, una determinazione in via equitativa, rapportata non al solito criterio “differenziale”, ma parametrato a criteri del tutto inusitati per il vecchio modello del danno risarcibile nella responsabilità civile, in quanto il bene ambiente è fuori commercio, e come tale insuscettibile di una valutazione venale secondo i prezzi di mercato, dovendo essere considerato nel suo valore d’uso. Il giudice, infatti, deve tener comunque conto: a) della gravità della colpa individuale, b) del costo necessario per il ripristino dell’ambiente; c) del profitto conseguito dal trasgressore, in conseguenza del suo comportamento lesivo dei beni ambientali.
Tale connotato “repressivo” (nella specie, della condotta di chi ha concorso nell’utilizzo di un serbatoio non autorizzato, dal quale fuoriuscivano, come accertato dalla Usl, i rifiutati tossici e nocivi che vi erano stati sversati), che conferisce al torto ecologico la peculiarità di identificarsi nel puro fatto lesivo del bene ambientale, rende evidente l’eterogeneità funzionale del rimedio rispetto all’ordine di bonifica costituente, per contro, una misura prettamente ripristinatoria.
Nel caso di specie, pur avendo il Giudice di appello “ancorato” la liquidazione del danno ambientale alla spesa occorrente per la bonifica del luogo (non avendo questi ritenuto possibile stabilire un nesso tra l’entità del danno e le singole attività produttive, né possibile ricostruire il profitto delle singole ditte, contrariamente alla rilevazioni del Ctu), è evidente che tale valore economico è stato utilizzato solo in via parametrica, ovvero al fine di “dimensionare” (attraverso il richiamo ad un dato oggettivo) il danno all’ambiente inteso pur sempre nella sua descritta accezione sanzionatoria, e non certo per trasfigurare la domanda di risarcimento del danno all’ambiente nella mera compensazione del pregiudizio patrimoniale (tale circostanza, del resto si sarebbe posta in contrasto con la pronuncia della Cassazione). In definitiva, sembra indubitabile che il giudicato civile, al di là della formula liquidatoria utilizzata, abbia inteso risarcire non il pregiudizio prettamente patrimoniale arrecato ai beni pubblici, ma quello non patrimoniale (avente anche funzione sanzionatoria) rappresentato dal vulnus all’ambiente in sé e per sé considerato, costituente bene di natura pubblicistica, unitario ed immateriale.
3.6. Alcuna sovrapposizione, altresì, sussiste tra l’ordine di ripristino ambientale qui impugnato ed i precedenti interventi di bonifica, con i quali il Comune ha provveduto d’ufficio esclusivamente allo svuotamento ed alla bonifica del serbatoio e dell’area di sedime (quella che, come si è visto, ha dato luogo alla richiesta di rimborso delle spese sostenute per il ripristino ambientale mediante l’azione giudiziaria avanti al giudice civile). Nel presente giudizio, per contro, viene in rilievo la bonifica dell’intera area circostante via Mascagni, risultata alterata dalle perdite e dagli sversamenti del serbatoio: dunque, un pregiudizio ambientale ulteriore, sia pure scaturente dalla medesima azione illecita di stoccaggio dei rifiuti nel serbatoio.
4. Con ulteriore doglianza, la ricorrente censura l’ordinanza sindacale n. 18/2000 nella parte in cui cita sia l’articolo 14 che l’articolo 17 del Dlgs 22/97, in quanto a suo dire non sarebbe consentito l’indifferenziato richiamo a fattispecie e ad obblighi diversi.
In senso contrario, deve osservarsi che il provvedimento non è affatto ambiguo quanto al fondamento del potere: al di là dei richiami del preambolo, con tutta evidenza essa ordina, ai sensi degli articolo 17 del Dlgs 22/97 e dell’articolo 8, commi l, 2 e 3 del Dm 471/99, la presentazione di un progetto di bonifica del terreno, nonché la verifica puntuale delle condizioni del terreno e dell’eventuale stato di contaminazione della falda acquifera.
5. Anche il vizio d’incompetenza dell’ordinanza n. 18/2000, in quanto adottata dal sindaco anziché dal dirigente, è destituito di ogni fondamento.
L’ordine di bonifica è senza dubbio sussumibile nel perimetro del potere sindacale di ordinanza contingibile ed urgente quando, come nella specie, si tratti di azione specificatamente indirizzata (quantomeno) alla elisione dei pericoli per la salute pubblica.
6. I primi motivi aggiunti hanno ad oggetto l’impugnazione del verbale della conferenza di servizi del 15 dicembre 2000, nella parte in cui prescrive alla ricorrente, in uno con le altre società intimate, di procedere alla presentazione di un progetto di bonifica, statuendo che le responsabilità e gli oneri saranno solidalmente a carico di tutte le parti.
Orbene, ai fini del rigetto, deve replicarsi che: — del tutto legittimamente la ricorrente è stata invitata non alla prima fase della conferenza dei servizi, riservata agli enti istituzionalmente competenti a assumere le decisioni sulla bonifica (Regione, Provincia, Comune, Arpa), bensì alla seconda, finalizzata ad istituire un contraddittorio con i soggetti individuati come responsabili relativamente alle scelte di progetto; — l’obbligo di predispone un unico progetto di bonifica era già prescritto nell’ordinanza n. 18/2000, tra l’altro non impugnata sotto questo aspetto (in ogni caso non si comprende il tipo di interesse pregiudicato); — quanto, poi, all’ammonimento che, in mancanza di accordo per la presentazione di un unico progetto di bonifica, si avrebbe avuto riguardo al progetto presentato dalla proprietaria, si tratta di una disposizione prettamente esecutiva del vincolo solidale alla presentazione del progetto, anch’esso già apposto nell’ordinanza n. 18/2000.
7. Con i secondi motivi aggiunti è stato impugnato anche il provvedimento 3 marzo 2003 del responsabile del settore edilizia privata del Comune di Senago, con il quale si diffida la società ad eseguire le indagini richieste con il verbale della conferenza di servizi del 29 marzo 2001. La ricorrente, in sostanza, contesta la necessità di prelievi in una area diversa da quella dove era collocato il serbatoio e la legittimità stessa dell’indagine chiesta alle ricorrenti.
In disparte il carattere prettamente endoprocedimentale della diffida, anche tale ricorso deve essere respinto, tenuto conto che: — all’esito della seconda Conferenza di servizi (convocata con comunicazione del 6 marzo 2001), esaminati tutti i progetti presentati, è stato disposto che “alla luce dei progetti presentati per la redazione del progetto definitivo si ritiene necessario estendere le indagini a tutta l’area dell’ex serbatoio con l’esecuzione di 4 o 5 trincee esplorative della profondità di mt 2, 5.3 con prelievo in parte a mt 0,5-1,5 e fondo scavo”; — tale richiesta di indagini concerne pur sempre il terreno identificato catastalmente al fg. 10, mappali 50, 52 e 29, corrispondente all’area di Via Mascagni n. 38, di cui all’ordinanza sindacale n. 18/2000; — essa trova ragionevolmente fondamento nella necessità di estendere le indagini a tutta l’area dove era collocato il serbatoio, considerato che quest’ultimo era risultato forato e quindi erano temibili sversamenti delle sostanze inquinanti nel terreno; — le indagini suppletive, strettamente implicate dalla necessità di realizzare la bonifica integrale del terreno, non potevano considerarsi un adempimento irrealizzabile da parte della ricorrente (per l’impossibilità di accedere ad una area di cui non si era proprietari), in quanto essendo anche la proprietaria del terreno destinataria in solido della ingiunzione, le società produttrici dei reflui avrebbero senz’altro potuto giovarsi della collaborazione di quest’ultima per lo svolgimento delle indagini (tra l’altro, la ricorrente non ha documentato alcun comportamento ostruzionistico serbato dalla proprietà); — quanto al fatto che la diffida del 27 marzo 2003 accordasse alle destinatarie un nuovo termine per l’effettuazione dei campionamenti, non può certo parlarsi di una “auto” rimessione in termini del Comune (che avrebbe, a questa stregua, dovuto invece procedere d’ufficio), in quanto il potere discendente dall’articolo 17 del Dlgs 22/97 non era certo sottoposto a termine decadenziale (cosicché l’ordinanza avrebbe esaurito i propri effetti solo a seguito della realizzazione della bonifica); — tra l’altro, come osservato da controparte, l’esecuzione di ufficio da parte del Comune avrebbe comunque esposta la ricorrente alla ripetizione delle somma; — la mancata indicazione del termine e dell’autorità avanti alla quale ricorrere, come è noto, incide solo sulla decorrenza del termine per impugnare.
8. Con i terzi motivi aggiunti, notificati in data 15 aprile 2005, è stata impugnata anche la nota del Comune di Senago del 7 febbraio 2005, nonché la Conferenza di servizi del 29 marzo 2001.
Anche l’ultimo ricorso è infondato.
La nota del 7 febbraio 2005 non ha affatto un contenuto generico foriero di perplessità, in quanto: — è un atto endoprocedimentale, dunque privo di autonoma lesività, con il quale il Comune ha diffidato le società al completamento del progetto definitivo di bonifica, avvisandole che, in mancanza di esecuzione spontanea, si sarebbe proceduto alla bonifica di ufficio (iscrivendo onere reale sul bene); — il richiamo ai contenuti degli atti precedenti (noti alle parti) rendeva agevolmente ricostruibile il suo contenuto precettivo; — non poteva la nota (anche qui) mirare alla rimessione in termini del Comune, trattandosi di un potere (come visto sopra) non sottoposto ad un termine finale dì efficacia; — è stata resa dal responsabile del settore territorio ed ambiente, che aveva redatto anche la diffida del marzo 2003; — la mancata indicazione (anche qui) del termine e dell’autorità avanti alla quale ricorrere, incide solo sulla decorrenza del termine per impugnare; — il ritardo della bonifica è da addebitare, in massima parte, all’ostruzionismo delle società riconosciute responsabili con giudicato civile.
9. Dal rigetto integrale dei motivi di ricorso, consegue anche il rigetto della domanda risarcitoria (fondata sull’asserito “accanimento del Comune che pretenderebbe di attribuire il diclorometano rinvenuto nel maggio 2000 in un solo campione di terreno ai rifiuti stoccati ad insaputa delle ricorrenti nel serbatoio della società (omissis)”).
10. Le spese di lite seguono la soccombenza.
11. Non può essere, parimenti, accolta la domanda risarcitoria, proposta dalla amministrazione resistente, ex articolo 96 C.p.c., non essendo stato allegato e provato il concreto danno subito (richiesta, secondo i principi generali, anche per l’accertamento della responsabilità processuale).
PQM
il Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia (sez. I), definitivamente pronunciando:
— rigetta i ricorsi;
— condanna la società ricorrente al pagamento delle spese di lite in favore dell’amministrazione resistente che si liquida in € 7.000,00.
Così deciso in Milano nella camera di consiglio del giorno 29 maggio 2013 con l’intervento dei magistrati:
(omissis)
Depositata in Segreteria il 25 luglio 2013

Articolo Originale




Lottizzazione abusiva: sequestro di un intero impianto fotovoltaico superiore a 10Mw

Repubblica Italiana

In Nome del Popolo Italiano

La Corte Suprema Di Cassazione

Terza Sezione Penale

composta da:

Alfredo Teresi – Presidente –

Alfredo Maria Lombardi – Relatore –

Silvio Amoresano

Lorenzo Orilla

Gastone Andreazza

ha pronunciato la seguente

Sentenza
sul ricorso proposto da R. G., nato a Latiano il 13/04/1947 R. A. G., nato in Germania il 03/11/1991 avverso l’ordinanza del Tribunale di Brindisi emessa in data 05/03/2012 visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere Alfredo Maria Lombardi; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Gioacchino Izzo, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso; udito per l’imputato l’avv. …, che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso.
Fatto
Con la impugnata ordinanza il Tribunale di Brindisi ha confermato il decreto di sequestro preventivo di un impianto fotovoltaico emesso dal G.I.P. del medesimo Tribunale in data 10/02/2012 in relazione ai reati di lottizzazione abusiva, costruzione dell’impianto in assenza della prescritta autorizzazione unica regionale e del permesso di costruire, nonché di falsa attestazione ad un pubblico ufficiare ascritto al solo R.G.A.. Occorre precisare che il provvedimento di sequestro ha avuto ad oggetto dieci impianti fotovoltaici ubicati su terreni limitrofi con destinazione agricola, originariamente appartenenti ad un unico proprietario e ceduti, previo frazionamento, a società diverse. In sintesi, risulta accertato in punto di fatto che ciascun impianto non superava la potenza di 1 megawatt. Il Tribunale, previa ricostruzione del quadro normativa di riferimento, costituito dalla legislazione statale e regionale in materia, ha affermato che, nel caso in esame, trova applicazione l’art. 12 del D.lgs. n. 387 del 29 dicembre 2003, attuativo della direttiva 2001/77/CE, ai sensi del cui disposto la realizzazione di impianti fotovoltaici è soggetta ad autorizzazione unica regionale, salvo che per gli impianti di potenza inferiore a 20 Kw, nel qual caso si applica la disciplina della denuncia di inizio attività di cui agli art. 22 e 23 del DPR n. 380/2001. Tutti gli impianti oggetto di sequestro sono stati realizzati a seguito di presentazione di DIA nella medesima data del 22/07/2008. Il Tribunale ha ritenuto, sulla base di un complesso di elementi indiziari, ampiamente esposti nell’ordinanza, che tutti gli impianti dovevano essere considerati un unico complesso unitario per la produzione di energia elettrica, della potenza di circa 10 megawatt, riconducibile al medesimo centro economico giuridico di interessi, cui facevano capo tutte le società che avevano presentato la DIA.
Il Tribunale ha, poi, ravvisato la sussistenza del fumus dei reati di violazione edilizia ex art. 44 del DPR n. 380/2001, di lottizzazione abusiva, sia negoziale che materiale, per l’eseguito frazionamento dei terreni e la trasformazione di un’area agricola in industriale, nonché l’esistenza delle esigenze cautelari, sia in relazione al pericolo di aggravamento delle conseguenze del reato, che della suscettibilità di confisca delle aree.
2. Avverso l’ordinanza ha proposto ricorso il difensore di R. G. e R. A. G., in proprio e quali legali rappresentanti della Solar Tecnology S.r.l., che la denuncia con sei motivi di gravame:
2.1. Violazione ed errata applicazione degli art. 44 lett. b) del D.P.R. n. 380/2001, 12, commi 3 e 5, del D.lgs. n. 387/2003 e 27 della legge della Regione Puglia n. 1 del 2008. L’art. 27 della legge 19 febbraio 2008 n. 1, della Regione Puglia, che risulta applicabi-le nel caso in esame ratione temporis, in relazione alla data di presentazione e di consolidamento della DIA, prevede espressamente che per gli impianti con potenza elet-trica nominale fino ad 1 megawatt si applica la disciplina della denuncia di inizio atti-vità di cui agli art. 22 e 23 del D.P.R. n. 380/2001, sicché nessuna violazione normativa è stata posta in essere dai ricorrenti. Si precisa, poi, che il predetto art. 27 della legge regionale è stato dichiarato illegittimo con sentenza della Corte Costituzionale n. 366/2010 con riferimento ai soli impianti eolici e che la realizzazione di impianti fotovoltaici non può ritenersi soggetta a prescrizioni urbanistiche-edilizie dettate con riferimento ad altre tipologie di opere quali le costruzioni.
2.2. Violazione della legge penale e di altre norme giuridiche di cui si deve tener conto nell’applicazione della legge penale. Nella sostanza si ribadisce che la DIA si è consolidata, con il decorso del termine di 30 giorni, nella vigenza della citata legge n. 1 del 2008 e che la stessa si configura come un provvedimento abilitativo del tutto equiparabile al permesso di costruire.
2.3. Violazione degli art. 27 della Costituzione, 2359 codice civile, 12, commi 3 e 5, del D.lgs. n. 387/2003 e 27 della legge n. 1/2008 della Regione Puglia. L’ordinanza ha affermato l’unicità dell’impianto fotovoltaico, affermando l’esistenza di un unico centro di interessi giuridico economico; concetto che non trova riscontro nella normativa civilistica delle società, che stabilisce la autonomia patrimoniale e di personalità giuridica di ogni singolo organismo societario; autonomia patrimoniale e soggettiva che, indipendentemente dalla esistenza di collegamenti di natura economica tra le società, è stata riconosciuta dalla giurisprudenza di legittimità anche con riferimento a materie sensibili, quali la disciplina del lavoro o a quella fallimentare.
2.4. Violazione ed errata applicazione delle norme citate, nonché dell’art. 3 della legge della Regione Puglia n. 31/2008. La disposizione da ultimo citata, poi dichiarata costituzionalmente illegittima, stabiliva una presunzione di unicità dell’impianto fotovoltaico nel caso di installazione di più impianti su terreni che avevano formato oggetto di frazionamento nel biennio precedente. L’ordinanza, dopo aver escluso l’applicabilità della legge n. 31/2008, per l’intervenuto consolidamento della DIA, prima della sua entrata in vigore, ha sostanzialmente ritenuto egualmente applicabile la presunzione prevista dalla norma. Si ribadisce, poi, che nel caso in esame, risulta applicabile il solo art. 27 della legge n. 1/2008, che non stabiliva alcuna presunzione di unicità degli impianti in materia.
2.5. Inosservanza o errata applicazione degli art. 49 c.p., 12, commi 3 e 5, del D.lgs. 387/2003, 30 del D.P.R. n. 380/2001, delle leggi regionali citate, nonché vizi di motivazione dell’ordinanza.
In sintesi, si contesta la configurabilità del reato di lottizzazione abusiva, sia essa materiale che negoziale, per effetto della realizzazione di impianti fotovoltaici. Questi ultimi non determinano alcuna trasformazione edilizia o urbanistica del territorio e ne è espressamente prevista la compatibilità con la destinazione agricola dell’area dall’art. 12, comma 3, del D.lgs. n. 387/2003. Gli impianti fotovoltaici non comportano la necessità della realizzazione di opere di urbanizzazione primaria e secondaria, anche se assentiti a seguito di autorizzazione unica regionale. L’area anche dopo la realizzazione dell’impianto rimane agricola, sicché non si verifica affatto uno stravolgimento dello strumento urbanistico locale. Anche il frazionamento dei terreni finalizzato alla loro realizzazione, pertanto, non configura un’ipotesi di lottizzazione negoziale.
2.6. Violazione ed errata applicazione dell’art. 321 c.p.p. con riferimento al periculum in mora. La sussistenza delle esigenze cautelari, in presenza della ultimazione dell’impianto, é stata affermata mediante il riferimento ad elementi insussistenti nel caso in esame, quali l’aumento del carico urbanistico, l’aggravamento del carico infrastrutturale, che non possono essere provocati in alcun modo dall’esercizio dell’impianto.
Diritto
1. Il ricorso non è fondato.
2. Come indicato in narrativa il procedimento per la realizzazione di impianti fotovoltaici è disciplinato dal D.lgs. n. 387/2003. L’articolo 12 dei citato D.lgs. detta le regole per la “Razionalizzazione e semplificazione delle procedure autorizzative”.
1. Le opere per la realizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili, nonché le opere connesse e le infrastrutture indispensabili alla costruzione e all’esercizio degli stessi impianti, autorizzate ai sensi del comma 3, sono di pubblica utilità ed indifferibili ed urgenti.
2. Restano ferme le procedure di competenza del Mistero dell’Interno vigenti per le attività soggette ai controlli di prevenzione incendi.
3. La costruzione e l’esercizio degli impianti di produzione di energia elettrica alimentati da fonti rinnovabili, gli interventi di modifica, potenziamento, rifacimento totale o parziale e riattivazione, come definiti dalla normativa vigente, nonché le opere con-nesse e le infrastrutture indispensabili alla costruzione e all’esercizio degli impianti stessi, sono soggetti ad una autorizzazione unica, rilasciata dalla regione o altro soggetto istituzionale delegato dalla regione, nel rispetto delle normative vigenti in materia di tutela dell’ambiente, di tutela del paesaggio e del patrimonio storico-artistico. A tal fine la Conferenza dei servizi è convocata dalla regione entro trenta giorni dal ricevimento della domanda di autorizzazione. Resta fermo il pagamento del diritto annuale di cui all’articolo 63, commi 3 e 4, del testo unico delle disposizioni legislative concernenti le imposte sulla produzione e sui consumi e relative sanzioni penali e amministrative, di cui al decreto legislativo 26 ottobre 1995, n. 504, e successive modificazioni.
4. L’autorizzazione di cui al comma 3 è rilasciata a seguito di un procedimento unico, al quale partecipano tutte le Amministrazioni interessate, svolto nel rispetto del principi di semplificazione e con le modalità stabilite dalla legge 7 agosto 1990, n. 241, e successive modificazioni e integrazioni. Il rilascio dell’autorizzazione costituisce titolo a costruire ed esercire l’impianto in conformità al progetto approvato e deve conte-nere, (in ogni caso), l’obbligo alla rimessa in pristino dello stato dei luoghi a carico del soggetto esercente a seguito della dismissione dell’impianto. Il termine massimo per la conclusione del procedimento di cui al presente comma non può comunque essere superiore a centottanta giorni.
5. All’installazione degli impianti di fonte rinnovabile di cui all’articolo 2, comma 2, lettere b) e c) per i quali non è previsto il rilascio di alcuna autorizzazione, non si ap-plicano le procedure di cui ai commi 3 e 4. 7. Gli impianti di produzione di energia elettrica, di cui all’articolo 2, comma 1, lettere b) e c), possono essere ubicati anche in zone classificate agricole dai vigenti piani urbanistici. Nell’ubicazione si dovrà tenere conto delle disposizioni in materia di sostegno nel settore agricolo, con particolare riferimento alla valorizzazione delle tradizioni agroalimentari locali, alla tutela della biodiversità, così come del patrimonio culturale e del paesaggio rurale di cui alla legge 5 marzo 2001, n. 57, articoli 7 e 8, nonché del decreto legislativo 18 maggio 2001, n. 228, articolo 14. Omissis. Alla normativa riportata in tema di autorizzazione degli impianti non ha apportato sostanziali modifiche il D.lgs. 3 marzo 2011 n. 28 (Attuazione della Direttiva CE 2009/28/CE), salva la facoltà attribuita alle regioni di estendere la procedura semplificata agli impianti fotovoltaici con potenza fino ad 1 megawatt (art. 6, comma 9) e l’introduzione di sanzioni amministrative (art. 44) proporzionali alla potenza dell’impianto per la realizzazione e gestione in assenza della prescritta autorizzazione, facendo però salva l’applicazione delle altre sanzioni previste dalla normativa vigente (comma 4). Secondo quanto stabilito per gli impianti fotovoltaici nella tabella A allegata al decre-to legislativo dall’art. 2, comma 161, della L. n. 244/2007, il procedimento autorizzatorio di cui ai commi 3 e 4 si applica a tutti gli impianti di potenza superiore a 20 Kw, mentre per gli impianti di potenza inferiore è sufficiente la DIA ai sensi degli art. 22 e 23 del D.P.R. n. 380/2001. Orbene, è evidente che, ai sensi dell’art. 3, primo comma lett. e), del D.P.R. n. 380/2001, gli impianti per la produzione di energie alternative, tra cui i fotovoltaici, rientrano tra gli interventi di nuova costruzione e che, in applicazione della normativa specifica del settore, quelli di potenza inferiore ai 20 Kw possono essere realizzati a seguito di presentazione della DIA, mentre quelli di potenza superiore devono essere assentiti mediante il rilascio del permesso di costruire, che è compreso nell’autorizzazione unica regionale di cui al comma 3 dell’art. 12 D.lgs. 387/2003. La realizzazione di impianti fotovoltaici di potenza superiore a 20 Kw in assenza dell’autorizzazione unica regionale integra, pertanto, il reato di cui all’art. 44 lett. b) del DPR n. 380/2001. È ancora opportuno osservare che ai sensi dell’art. 12, comma 7, del D.lgs. n. 387/2003 gli impianti fotovoltaici possono essere ubicati anche in zone classificate agricole dai vigenti piani urbanistici, purché risulti sostanzialmente salvaguardata l’utilizzazione agricola del territorio. Si ha lottizzazione (materiale) abusiva, al sensi dell’art. 30, comma primo, del D.P.R. n. 380/2001 “quando vengono iniziate opere che comportino trasformazione urbanistica o edilizia dei terreni stessi in violazione delle prescrizioni degli strumenti urbanistici, vigenti o adottati, o comunque stabilite dalle leggi statali o regionali o senza la prescritta autorizzazione”. Pertanto, qualsiasi intervento edilizio, in esso compresa la realizzazione di impianti industriali, eseguito in assenza delle prescritte autorizzazioni, che, per la sua consistenza, si palesi idoneo a conferire al territorio un assetto diverso da quello previsto dagli strumenti urbanistici, integra la fattispecie della lottizzazione abusiva materiale, ovvero negoziale se si effettui il frazionamento dei terreni al medesimo scopo. Collegando le citate previsioni normative si deve, quindi, affermare che anche con riferimento agli impianti fotovoltaici, realizzati in assenza della prescritta autorizzazione, è ipotizzabile il reato di lottizzazione abusiva allorché per le dimensioni dell’impianto, in relazione alla superficie residua del territorio, non risulti salvaguardata la sua utilizzazione agricola e si determini, quindi, lo stravolgimento dell’assetto ad esso attribuito dagli strumenti urbanistici. L’accertamento sul punto è, però, necessariamente demandato alla fase di merito del giudizio, non emergendo dall’ordinanza impugnata sufficienti elementi per affermare che nel caso in esame si sia verificato un siffatto stravolgimento dell’assetto del terri-torio.
3. Tornando all’esame del merito del ricorso appare evidente che tutte le questioni in ordine alla regolarità della DIA in relazione al quadro normativa emanato dalla Re-gione Puglia, alla successione e declaratorie di incostituzionalità delle leggi regionali n. 1 del 19/02/2008 e n. 31 del 21/10/2008 in materia sono inconferenti, alla luce dell’accertamento in punto di fatto, contenuto nell’impugnata ordinanza, con il quale si afferma la unicità dell’impianto, della potenza di circa 20 Kw, oggetto della misura cautelare. In particolare, l’ordinanza ha individuato una serie di elementi circostanziali, costituiti dalla ricostruzione delle vicende afferenti ai trasferimenti delle aree, originariamente appartenenti ad un unico soggetto, sulle quali sono stati realizzati gli impianti, ai collegamenti tra i soggetti, persone fisiche e strutture societarie, implicati nella vicenda, alla presentazione delle DIA nella medesima data ed altri ancora in base ai quali i giu-dici del riesame hanno ritenuto fondata la prospettazione accusatoria circa l’unicità dell’impianto fotovoltaico e la conseguente sussistenza del fumus del reato di cui all’art. 44 del D.P.R. n. 380/2001, che deve confermarsi, per quanto in precedenza osservato, quanto meno sotto il profilo della violazione di cui alla lett. b) del predetto articolo. L’accertamento di fatto sul punto non può essere ovviamente contestato in sede di legittimità, neppure sotto il profilo dell’eventuale vizio motivazionale, ai sensi dell’art. 325 c.p.p., e non è certamente scalfito dai rilievi in punto di diritto dei ricorrenti. Peraltro, sia nel caso di fittizia creazione di una pluralità di soggetti societari, ipotizzata nell’ordinanza, finalizzata ad aggirare la normativa in materia di necessità dell’autorizzazione unica, sia nel caso di sostanziale realizzazione da parte di più società di un unico impianto di energia elettrica di origine fotovoltaica, fittiziamente frazionato, deve ravvisarsi la violazione contestata.
4. L’ordinanza deve essere altresì confermata in punto di sussistenza delle esigenze cautelari. La sottrazione dell’impianto, il cui esercizio è anche esso soggetto ad autorizzazione (art. 12, comma 3, del D.lgs. n. 387/2003), al controllo delle amministrazioni compe-tenti ad accertare la sua compatibilità con l’assetto del territorio ed il rispetto delle altre condizioni previste dal comma 7 determina la protrazione della lesione dell’inte-resse protetto dalla norma e giustifica di per sé l’applicazione della misura cautelare. Il ricorso, pertanto, deve essere rigettato con le conseguenze di legge.
P. Q. M.
Rigetta il ricorso e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 06/03/2013.
Il Consigliere estensore
Alfredo Maria Lombardi
Il Presidente
Alfredo Teresi
DEPOSITATA IN CANCELLERIA L’8/04/2013.
IL CANCELLIERE
Luana Mariani

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