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Profughi a Capalbio? Stanno meglio nelle “periferie xenofobe”

L’antico adagio “mal comune mezzo gaudio” sarebbe un titolo perfetto per questa estate, dove i poveri e i ricchi si sono ritrovati finalmente uniti da un problema comune: i migranti.

È difficile, purtroppo, non fare ironia su questa simpatia che sboccia tra la cause anti-migranti, portate avanti degli abitanti del quartiere residenziale di Monteverde a Roma o del borgo esclusivo di Capalbio, e quelle dei loro cugini lontani del quartiere popolare di Tor Sapienza.

Non a caso, nulla come la vignetta di Mauro Bani, racconta di un mondo – direi ormai un gruppo sparuto – impreparato alla realtà, prima ancora che ai migranti. Nel “mi hai svegliato cazzo, stavo sognando per te un mondo migliore”, l’intellettuale di Capalbio rivolgendosi al “vucumprà, prende corpo quella lontananza della “classe pensante” dai problemi reali delle persone che, spesso, devono pensare a sopravvivere nel presente. La lotta per la sopravvivenza di chi è costretto al doppio lavoro per dare da magiare ai figli, rende la gente di Tor Sapienza più simile a chi ha attraversato il deserto e il mare.

Solo un anno fa le periferie romane bruciavano di rabbia e disperazione. I media proponevano le scene della guerriglia nelle strade, i minori portati via da Via Morandi e i migranti “evacuati” di notte scortati dalla polizia, stipati su un autobus dell’Atac mentre l’allora Assessora F. Danese cercava una sistemazione “segreta”.

Ricorderete i cori unanimi che bollavano le periferie xenofobe, tutti pronti a tacciare di razzismo la gente esasperata dalla prospettiva di dover ridividere lo zero per zero. Zero asili, zero illuminazione pubblica, zero polizia, zero trasporti, zero servizi sanitari e zero lavoro. Gli “intellettuali” lanciavano accuse di razzismo, nel frattempo i razzisti – quelli veri – cavalcavano la situazione, sbattendo in faccia a padri disoccupati i famosi 35 euro al giorno dati per ogni migrante.

A nessuno fece comodo però parlare di giustizia sociale, di risorse, di equità e di distribuzione e, portati via un centinaio di migranti, nulla è cambiato. Così, sono dapprima terminate le poche risorse e dopo sono finiti anche gli spazi e, in un inarrestabile trend in un cui sono le periferie ad aumentare e non i quartieri “buoni”, ecco arrivare i migranti a Monteverde e a Capalbio.

E, appena si pensava che finalmente gli abitanti di Monteverde, Capalbio e Tor Sapienza avessero le stesse responsabilità morali e sostanziali nell’accoglienza, le denunce alla Asl, i ricorsi al Tar e i pareri qualificati di sociologi, ambientalisti, economisti, storici dell’arte e altri, hanno sollevato il sospetto che il bello è molto meglio che resti per pochi e che è necessario conciliare l’obbligo morale dell’accoglienza con il fatto che questa avvenga solo dove non c’è niente da distribuire. A un tavolino del bar suonerebbe tipo così: “non dovete tornare a casa vostra ma neppure venire vicino alle nostre”.

È evidente il problema della distribuzione delle risorse nel nostro paese che però, si chiama “razzismo” solo quando incendiano i cassonetti in borgata, e non quando protestiamo perché la villa vicino alla nostra viene abitata da un gruppo di migranti.

Forse è anche vero che la politica migratoria e dell’accoglienza ha molte falle, che sarebbe urgente sanare, e concordo con Chicco Testa quando dice che giovani di 20 anni che arrivano in Italia, devono poter lavorare e non restare in un limbo basato su una normativa spesso assistenzialista che, in nessun paese, ha mai aiutato né autoctoni né migranti. Concordo meno quando questo vale solo per “gli stranieri” che vengono a Capalbio perché la lingua, l’istruzione, l’accesso ai servizi e il lavoro sono strumenti di emancipazione per chiunque, e andrebbero distribuiti in modo equo.

Sono certo che questa “scossa” estiva ci farà finalmente chiedere se non sia il caso che l’Italia “che sta meglio” condivida spazi luoghi e risorse con un’accoglienza equamente distribuita tra i Parioli e Tor Bella Monaca.

Intanto lasciamo che l’Italia che accoglie continui a essere quella degli operai, dei disoccupati e dei precari delle “periferie xenofobe” perché i migranti, la disperazione e la morte sono roba per gente di tutti i giorni, gente che sa vivere con zero ed è capace ancora a far mangiare tre figli con un solo stipendio.

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