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Per chi suona la campana?

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“Ad Europa ed a noi europei può essere rivolto l’ammonimento: Non chiedere per chi suona la campana, essa suona per te”.
Con queste parole il precedente “Diario”, a ridosso dei drammatici eventi di Parigi, ospitava una attenta analisi dei tragici fatti di Parigi.
Dunque: la campana sta suonando, e suona per Europa. Cosa dice all’Unione europea, ai suoi Stati membri e ai popoli dell’Unione?
Mentre l’elaborazione del lutto è in atto e gli eventi – di diverso tipo e tutti di altissima caratura politico-strategica – si succedono e accavallano, Diario europeo intende focalizzarsi sulle conseguenze direttamente riguardanti i compiti, i ruoli e il destino dell’Europa e le decisioni urgenti che l’Unione deve prendere.
E’ stato detto: “L’Europa ha vissuto il suo 11 settembre. E sta ora vivendo il suo dopo 11 settembre”.
E’ vero. Senza entrare in questa pagina sulle problematiche del terrorismo internazionale ( le sue cause vicine e lontane e le risposte da dare, ecc., in quanto pur essendo una tragica e urgente problematica, non è tema specifico di “Diario”) possiamo e dobbiamo almeno delineare quali sono le sfide specifiche dell’Unione, ora.
La situazione nella quale questi eventi accadono è – per quanto attiene alla configurazione istituzionale e di Governo della Unione Europea – quella di una Integrazione fatta a metà, sempre in itinere; e, spesso, senza tappe e scadenze precisate: soprattutto su alcune tematiche sulle quali storicamente c’è stato un dibattito e anche un confronto tra gli Stati membri, ma mai una messa all’ordine del giorno dell’agenda politica. E’ il caso della “Difesa comune”. Ma è anche il caso del principio e della realtà della Libera circolazione dei cittadini della UE, dentro i suoi confini e attraverso le sue frontiere. Le due cose sono collegate, come dimostrano gli eventi dell’attacco terroristico allo Stato membro, Francia, e le reazioni/decisioni della UE in merito allo Spazio Schengen.
La Francia è uno Stato membro dell’Unione e il suo territorio è nello Spazio Schengen. Il presidente della Repubblica francese, quindi, ha chiesto all’Unione l’applicazione dell’art. 42, comma 7 del TUE (Trattato sull’Unione Europea); mentre il Consiglio Giustizia e Affari Interni ha affrontato i problemi delle frontiere dell’Unione Europea.
L’articolo 42 del Trattato di Lisbona afferma: comma 1, “La politica di sicurezza e di difesa comune costituisce parte integrante della politica estera e di sicurezza comune. Essa assicura che l’Unione disponga di una capacità operativa ricorrendo a mezzi civili e militari. (….)L’esecuzione di tali compiti si basa sulle capacità fornite dagli Stati membri.”
Comma 7: “ Qualora uno Stato membro subisca un’aggressione armata nel suo territorio, gli Stati membri sono tenuti a prestargli aiuto e assistenza con tutti i mezzi in loro possesso, in conformità dell’articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite. Ciò non pregiudica il carattere specifico della politica di sicurezza di taluni Stati membri. Gli impegni e la cooperazione in questo settore rimangono conformi agli impegni assunti nell’ambito dell’Organizzazione del trattato del Nord-Atlantico che resta, per gli Stati che ne sono membri, il fondamento della loro difesa collettiva e l’istanza di attuazione della stessa”.
Nel successivo articolo 43, il Trattato spiega nel dettaglio il comma 1 dell’art.42 (che sopra abbiamo soltanto riassunto) ed enumera le missioni previste, precisando che: “ tutte queste missioni possono contribuire alla lotta contro il terrorismo”.
La Francia, come abbiamo detto, ha fatto riferimento esplicitamente al comma 7, che i nostri lettori hanno potuto leggere per intero.
Cosa c’è da capire, in quel fraseggio un poco oscuro?
L’attenzione va posta sul fatto che i 28 Paesi-Stati membri della Unione non sono nella stessa condizione per quanto riguarda la loro Difesa; e precisamente: alcuni di loro sono membri della NATO (come si ricorda nell’articolo del TUE, citato) e altri no. La Francia, d’altra parte, non ha chiesto alla NATO di attivarsi, pur essendone membro; cosa che avrebbe potuto fare e, in forza dell’articolo 5 del Trattato NATO, sarebbe immediatamente scattato l’obbligo della NATO ad intervenire (art. 5 del Trattato Nord-Atlantico: “Le parti convengono che un attacco armato contro una o più di esse in Europa o nell’America settentrionale sarà considerato come un attacco diretto contro tutte le parti, e di conseguenza convengono che se un tale attacco si producesse, ciascuna di esse, nell’esercizio del diritto di legittima difesa, individuale o collettiva, riconosciuto dall’art. 51 dello Statuto delle Nazioni Unite, assisterà la parte o le parti così attaccate intraprendendo immediatamente, individualmente e di concerto con le altre parti, l’azione che giudicherà necessaria, ivi compreso l’uso della forza armata, per ristabilire e mantenere la sicurezza nella regione dell’Atlantico settentrionale”).
La situazione complessiva della Difesa dei e nei Paesi della Unione Europea è, pertanto, variegata: per i membri NATO – se essi ne fanno richiesta e ne sussistano le condizioni di fatto – c’è in essere sempre l’articolo 5, sopra riportato. Per tutti vige la situazione operativa e di diritto di cui all’art. 42 sopra riportato.
Si può dire (come potrebbero far intendere alcune espressioni dell’artico TUE citato) che la Unione Europea ha una Politica di Difesa Comune? No, non si può dire. Quando sentiamo o leggiamo che Stati europei hanno soldati presenti ed attivi in missioni militari o di mantenimento della pace, ecc. in Afghanistan, on in Libano, o in Irak, ecc. dobbiamo ricordare che queste missioni operano nel quadro giuridico dell’ONU.
L’aiuto specifico richiesto dalla Francia– al momento della richiesta, ancora a titolo molto generale e di principio – dovrebbe tradursi in due possibili modalità: “ decisioni (…) adottate dal Consiglio che delibera all’unanimità su proposta dell’Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza o su iniziativa di uno Stato membro” (così recita sempre l’articolo 42, al comma 4). Quel che sta avvenendo, in questi giorni ed ore (vedi: Gran Bretagna, Germania) rientra nella seconda modalità (“su iniziativa di uno stato membro”); a conferma che su queste tematiche, l’Unione è molto lontana da un approccio europeistico.
L’Europa della difesa comune e della sicurezza non è una realtà, né sul piano politico né sul piano militare. Non esiste un Esercito europeo, non esiste una Struttura comune (mezzi, comandi, ecc.) di difesa. Qualora la Francia volesse o dovesse presentare formale proposta in seno al Consiglio ( i ministri della Difesa degli Stati membri) – procedura che al momento in cui questo Diario viene redatto non è stata attivata dalla Francia – la missione sarebbe comunque affidata “ ad un gruppo di Stati membri che lo desiderano e che dispongono delle capacità necessarie per tale missione” (art. 44, comma 1 del Trattato sulla Unione europea, vigente).
Una Comunità europea della difesa (CED) fu ipotizzata e anche delineata per sommi capi a partire dal maggio 1950, ecco le tappe in estrema sintesi:
• Le prime idee per la costruzione di un esercito europeo, risalgono ad una nota del governo italiano (ministro degli esteri Carlo Sforza) del maggio del 1950;
• Il Consiglio d’Europa, da Strasburgo (che non va confuso con la Comunità Economica Europea!) votò una mozione a favore della costituzione di un esercito europeo;
• Per raggiungere questo fine venne ideato da Jean Monnet (e poi presentato da René Pleven, primo ministro di Francia, e quindi detto piano Pleven): un esercito europeo, da comporsi di sei divisioni, sotto il comando della Nato e gestito da un ministro europeo della difesa;
• I governi, vincolati all’accettazione da parte dei rispettivi parlamenti da una norma del Trattato sulla CED, attendono la decisione della Francia (l’Italia stessa rimanderà la presentazione al parlamento fino alla decisione francese)
• L’ Assemblea Nazionale francese rigetta il Trattato CED (mediante un espediente procedurale) il 30 agosto 1954.
Così si conclude un tentativo significativo e, forse, sempre meno ripetibile, via via che la distanza dalle guerre europee, vicine e fratricide, aumenta.
Dicevamo sopra: “L’Europa ha vissuto il suo 11 settembre. E sta ora vivendo il suo dopo 11 settembre”. Questo tempo non può e non deve passare invano, mentre gli Stati membri della Unione Europea si muovono ognuno per suo conto (cosa che francamente, non è un bella lezione di storia di Europa unita). Mettere in campo una discussione e una proposta di Difesa Comune Europea (DCE/ECD) è necessario: tocca alla Commissione fare proposte; il Trattato sull’ U.E. la obbliga a prendere l’iniziativa. Lo faccia! La Politica Comune della Difesa significa e comporta anche una contestuale diversa e nuova finalizzazione della NATO. Europa, come tale, recupererebbe da una parte sovranità e, dall’altra, anche risorse, ora sprecate in investimenti ripetitivi. Il mondo, aperto e globale (“vasto e terribile”, scriveva Antonio Gramsci, privato della libertà dal regime fascista), ha un grande, urgente bisogno di questa Europa politico-strategica: unita, forte, affidabile e presente.

(Continua, nel successivo Diario, l’analisi delle decisioni del Consiglio sullo Spazio Schengen)

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