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La biblioteca delle cose

Gli spazi nei quali mettere in comune utensili, saperi e tempo stanno emergendo un po’ ovunque nel mondo. Si tratta in primo luogo di luoghi comunitari di creatività. Ecco come nascono e come funzionano.
In media i trapani elettrici vengono usati per soli tredici minuti nella loro durata di vita. Chiaramente non è necessario che ciascuno ne possegga una e in primo luogo spesso sono troppo cari per molti da comprare, comportando inoltre molta creatività non sfruttata e una enorme quantità di spreco di denaro. E il trapano non è l’unico oggetto a raccogliere costosamente polvere sugli scaffali.

Per contrastare questo curioso mix di iper-rifornimento e sotto-disponibilità, le esperienze di condivisione di utensili (tool-sharing libraries) stanno emergendo un po’ ovunque nel mondo. Queste realtà concedono ai loro membri di accedere a un’ampia gamma di utensili per un costo nettamente inferiore a quello pagato per l’acquisto individuale e possono divenire veri e propri centri comunitari creativi.

Uscendo da una cabina di polizia stile Dr. Who vicina al porto cittadino, la Edinburgh Tool Library va avanti dagli inizi del 2015 e ora conta 1.200 utensili, 180 membri e cresce molto in fretta. Abbiamo raggiunto il suo fondatore, Chris Hellawell, per scoprire come trasformare una vasca da bagno in un pezzo di arredamento, lavorando per attirare giovani padri insieme ai loro figli e quant’altro ha contribuito al successo della “biblioteca” di utensili.

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Perché un’esperienza di condivisione di utensili? Perché gli utensili si rivela adatti per un’iniziativa del genere?

Si possono evidenziare diversi aspetti. C’è un aspetto umano basilare nell’utilizzo di utensili per fare le cose più efficientemente o qualcosa che non potresti fare senza di essi, quell’impulso creativo che tutti noi abbiamo. Come esseri umani, vogliamo realizzare cose.

Vi è anche un importante aspetto psicologico, quel senso di benessere, salute e conquista correlato all’atto creativo. Penso che culturalmente ci stiamo allontanando da esso. La cultura in Occidente è molto più incentrata sui consumi – possedere e avere cose – piuttosto che sull’idea di condivisione. L’istinto ci porta ad andare e comprare un prodotto piuttosto che dire “Come posso realizzarlo da me?”.

L’atto di fare è veramente terapeutico, e se puoi offrire alle persone questo processo senza che gli costi una fortuna, allora ne beneficeranno sia sul piano dei risultati concreti, rendendo le loro abitazioni più belle, che in termini di benessere mentale.
È importante che la gente abbia facile accesso a questi utensili, proprio in virtù di quel senso di conquista che deriva dalla capacità di fare. Una delle grandi cose della condivisione degli utensili è che molto spesso le persone vengono a prenderli in prestito perché in realtà non sanno bene cosa vogliono realizzare o perché necessitano di un particolare strumento che non hanno mai utilizzato prima.

Per quanto riguarda la questione prezzo: la media delle famiglie inglesi spende ogni anno 110 sterline in attrezzi, mentre noi chiediamo un pagamento annuale di 20 sterline ma, se sei disoccupato o persona a basso reddito, puoi pagare in base alle disponibilità.
Abbiamo avuto una artista che ha usato i nostri utensili per realizzare un set di tre pezzi di arredamento da giardino ricavato da un vecchio bagno. Ha preso in prestito una molatrice angolare, che non aveva mai utilizzato prima, e ha sezionato una vasca per realizzare un sofà.

Ora la sta usando per vendere il suo lavoro e la sta portando con sé in giro nei festival del paese. Non le sarebbe mai venuto in mente di fare una cosa simile: in pochi si metterebbero a comprare un arnese così grande come una molatrice angolare solo per provare.

Che tipologia di persone sono i vostri soci?

Penso vi sia un’equa ripartizione tra coloro che sono interessati al discorso della sostenibilità e le persone a basso reddito, che vengono per risparmiare. Dal punto di vista della campagna ambientalista, è molto interessante perché quelle persone solitamente poco sensibili alle tradizionali campagne di riciclo, vengono comunque da noi per risparmiare soldi e perché non possono andare e comprare queste cose.

E cosa ha spinto te a farlo?

Ho studiato scienze ambientali e silvicultura, ma ho sempre lavorato per molti enti di beneficienza che si occupavano di disoccupazione e disabilità, aiutando le persone che non avevano le stesse opportunità degli altri. Così, dal mio punto di vista, sono contento di avere la possibilità di unire le due cose.

Come funziona la struttura dell’organizzazione?

Al momento, io faccio la maggior parte del lavoro, ma vorrei farla crescere in modo da renderla autosufficiente. Abbiamo cinque soci in consiglio: un presidente, un tesoriere, un segretario e abbiamo appena eletto uno dei nostri soci come tramite per veicolare gli interessi dei soci.

Incluso il consiglio d’amministrazione, vi sono circa dodici volontari che offrono il loro aiuto il sabato. Altri volontari sono tra i soci che vengono per aiutare quando collaboriamo con i gruppi delle varie comunità. Recentemente, abbiamo lavorato con uno di questi che ha costruito una wiki-house – una casa per una comunità open-source – e il progetto è stato realizzato con l’aiuto di alcuni nostri volontari e dei nostri utensili.

Come si svolgono normalmente?

Principalmente online. Una volta a settimana, il sabato mattina, affittiamo una cabina di polizia, che sarebbe il nostro punto ritiro e consegna. Le persone possono venire per registrarsi e versare la quota associativa, a seconda di quanto puoi permetterti. Gli spieghiamo le regole e così possono accedere al nostro database online. Se, ad esempio, vogliono una molatrice angolare, fanno una ricerca e gli appare quante ne abbiamo a disposizione; a quel punto loro posso richiederla e, se nessun altro l’ha prenotata, io confermo la richiesta. A quel punto il sabato la consegno alla cabina di polizia, il che vuol dire che tutto quello che dobbiamo fare è portare gli attrezzi solo una volta la settimana.
Attualmente abbiamo 180 membri. A questi livelli non abbiamo bisogno di avere qualcuno in sede tutti i giorni e questo si adatta alle esigenze delle persone perché la maggior parte preferisce dedicare il weekend a lavorare ai propri progetti. Questo programma settimanale, inoltre, fornisce alle persone una scadenza per i loro progetti, cosa estremamente utile. A molti piacciono le biblioteche dove si sa che è necessario finire un libro entro una certa data; allo stesso modo le persone tendono a completare le loro cose perché devono restituire gli utensili in una settimana. Spesso ci dicono che se avessero avuto quegli utensili di proprietà, ci avrebbero impiegato tre o quattro mesi, fino a farsi passare la voglia di farlo. Penso che abbiamo salvato un bel po’ di relazioni!

Vi sono altri in Edimburgo che vorrebbero fare lo stesso? Il vostro è un modello che chiunque può copiare?

Come impresa sociale, abbiamo comunque bisogno di generare economie e pertanto abbiamo qualcuno che si occupa di fundraising e del modello che utilizziamo. Voglio dimostrare che questo modello funziona e, se noi riusciamo ad avere un colpo di fortuna, non vuol dire che sia così per tutti, per cui dobbiamo dimostrare che non si tratta di un caso fortuito.

Attualmente siamo l’unica realtà del genere in Gran Bretagna e questo ci dà molto prestigio e visibilità, ma se qualcun altro dovesse aprirne uno in un’altra parte del paese, probabilmente non avrebbe la stessa visibilità e questo potrebbe diminuire il successo. Io vorrei che altri adottassero lo stesso modello, ma voglio che noi continuiamo a fare le cose per primi. Stiamo sviluppando uno schema di occupabilità basato sul rapporto tutor-allievo che pensiamo rappresenti una novità assoluta nel settore. Speriamo poi di riuscire a condividerlo con le altre esperienze di condivisione di utensili, molti dei quali sono in Nord America.

Ve ne sono circa ottanta in Canada e negli Stati Uniti – tutti con diverse strutture, dimensioni e capacità, dai capanni a enormi magazzini – quello che è interessante è che si può adattare alle esigenze locali. Possono persino essere fatti all’interno di nuovi insediamenti residenziali. Se costruisci un nuovo insieme di appartamenti, ha senso che ciascuno che vi abita abbia il proprio trapano o non sarebbe meglio mettere un armadietto così che li si può condividere?

Sei molto coinvolto anche in molti progetti locali come Dads Rock.

Dads Rock è un ente di beneficienza che lavora per far avvicinare di più i padri ai figli, attraverso il gioco e la qualità del tempo speso insieme. Nel progetto con cui noi abbiamo collaborato, i padri erano giovani che sono diventati genitori all’età di quindici o sedici anni. I giovani a quell’età spesso attraversano periodi di grande caos e questo potrebbe riflettersi anche sulle relazioni con i figli. Per cui il nostro progetto era quello di realizzare con loro una biciclettina per bambini: l’idea era che fosse qualcosa che potessero seguire fino in fondo perché stavano costruendo qualcosa per i loro figli.
La bicicletta è un regalo classico da fare ai bambini, ma questa volta sono stati i loro papà a costruirla per loro. Molti papà hanno personalizzato le biciclette in base agli interessi dei loro figli, una era in stile Harley-Davidson, un’altra era in stile motocross e a tema Minions.

Il progetto è durato otto-dieci settimane e, con il passare del tempo, potevi vederli presentarsi a ciascun incontro un po’ più cresciuti e alti della volta scorsa. È diventato il punto di riferimento della loro settimana: un vero e proprio senso di scansione del tempo, di ordine e attenzione. Quando il progetto è finito, hanno detto che non erano pronti per vederlo finire e per questo ora stanno lavorando per organizzare un weekend residenziale per fare qualcosa a beneficio della comunità in cui vivono.

Ciò che temo rispetto a questi progetti a breve termine come questo, è cosa accade dopo. I tuoi programmi per il futuro della tua esperienza sono collegati a questo?

Si. Vogliamo trasformarlo in un in un workshop in cui possiamo creare uno spazio dove i giovani possano venire ogni settimana, dove si sviluppano progetti aperti in cui siano le persone a stabilire il programma, dove si pratica il mutuo aiuto e dove non vi sia alcun giudizio.

La condivisione degli utensili è una passione ambientalista ma anche sociale. Voglio evitare che i giovani disoccupati siano trascurati, quando invece possiamo affiancargli persone che possano formarli.

Voglio far incontrare formatori e tirocinanti e dimostrare che si può tratte un mutuo beneficio da tale incontro. Vi sono più di 80.000 persone sopra i sessantacinque anni in Scozia che si sentono soli per la gran parte del tempo. Vogliamo creare un programma tutor-tirocinante in cui quelli con esperienza, i tutor più anziani con una formazione nel commercio e che sono a rischio esclusione e isolamento, possano lavorare fianco a fianco con i giovani tirocinanti, che devono affrontare i cambiamenti per riuscire a ottenere un lavoro. Insieme potrebbero catalogare e prendersi cura degli utensili, mostrare come utilizzarli e gestire parte dell’accoglienza del workshop.

Una volta acquisita sufficiente fiducia con il lavoro e capacità dimostrabili, possiamo lavorare insieme ai tirocinanti per scrivere il loro curriculum e aiutarli a trovare lavoro.

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