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Ibrahim, l’uomo che coltiva il deserto

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«Noi rappresentiamo l’Islam moderato e moderno. Gli uomini dell’Isis sono solo terroristi». Ibrahim Abouleish invoca spesso Allah, quando parla della sua incredibile avventura umana, imprenditoriale e ambientale, l’aver trasformato 20.000 ettari di deserto del suo Egitto (partendo dai primi 70 conquistati a 60 chilometri a nordest del Cairo) in terreno fertile coperto da filari di alberi ad alto fusto, coltivazioni rigorosamente biodinamiche, allevamenti di bufali egiziani, fabbriche di tisane, scuole, asili nido e ora anche L’Università di Eliopoli per lo Sviluppo sostenibile («è la prima nel mondo», sorride soddisfatto). L’opera si chiama Sekem, in egiziano antico «vitalità del sole».

Ibrahim Abouleish è il relatore-simbolo del convegno internazionale «Oltre Expo-Alleanze per nutrire il Pianeta, sì è possibile» organizzato dall’Associazione per l’agricoltura biodinamica, col patrocino del Fondo Ambiente Italiano, della Fondazione Giangiacomo Feltrinelli e con la partecipazione di Slow Food. L’Aula Magna Gobbi dell’Università Bocconi è strapiena, in prima fila Giulia Maria Crespi, da sempre aperta e combattiva sostenitrice dell’agricoltura biodinamica che ha fortemente voluto questo appuntamento. La scommessa è esplicita, dimostrare cioè che il futuro dell’Italia sta nelle sue stesse radici: agricoltura, alimentazione, paesaggio, artigianato e quindi turismo in un ambiente tutelato. Sul palco Carlo Triarico, presidente dell’Associazione per la biodinamica: «L’Italia ha il primato europeo nell’uso dei pesticidi, 10 chili a ettaro. La Francia ne usa la metà però attira il doppio del turismo. Penso che il nesso sia chiaro. All’agricoltura va restituita la dignità che le spetta».

Tanti i relatori italiani e internazionali. In questo quadro spicca Ibrahim Abouleish, mite signore di quasi ottant’anni, eleganza europea, occhiali sottili, sguardo penetrante, studi giovanili in Germania, due lauree in Medicina e Ingegneria che hanno sostenuto la sua vocazione: «Quando nel 1977 tornai in Egitto trovai un Paese distrutto da tre guerre. Ripensai alle parole del profeta Maometto: “Quando si avvicina l’Apocalisse, la fine del mondo, coltiva la terra e vedrai che non ti abbandonerà”. La terra è una madre dal grande cuore. Anche quando i suoi figli la maltrattano lei perdona e offre altre possibilità».

Poco prima aveva scoperto l’esistenza, e il fascino, dell’agricoltura biodinamica proprio in Italia grazie a Giulia Maria Crespi: «Mi spiegò bene di cosa si trattava, ma quando le parlai del mio progetto per il deserto mi disse che ero un pazzo». Cominciò un’avventura difficile, all’inizio ebbe contro anche gli Imam che lo ritenevano un adoratore del sole per i principi antroposofici alla base della coltivazione biodinamica, poi arrivò una targa ufficiale degli Sceicchi islamici in Egitto che definiva la sua opera «una iniziativa islamica». Oggi Sekem significa 20.000 ettari di ex deserto coltivati con 85 aziende, 10.000 lavoratori musulmani ma non mancano cristiani ed ebrei (il 40% donne) in tutto l’Egitto, 2.000 dipendenti impegnati a Sekem nella trasformazione dei prodotti (800 donne). Le scuole della comunità accolgono ogni giorno 600 studenti. Ha convinto l’intero Egitto che l’uso dei pesticidi nella coltivazione del cotone è dispendioso, dannoso per raccolto e ambiente: la soppressione biologica dei parassiti ha portato a un aumento del 30% della resa del cotone grezzo.

Ora Abouleish è soddisfatto dei proseliti che raccoglie: «Centinaia di migliaia di ettari in Egitto sono stati sottratti al deserto. Dopo l’Europa, siamo il luogo al mondo in cui più si usa l’agricoltura biodinamica». Guarda con affetto alle nuove generazioni: «Sono certo che tutta l’agricoltura si riconvertirà così. Quella tradizionale si sta rivelando sempre più costosa, per gli antiparassitari, dannosa per l’acqua, per l’aria, per la terra stessa e per la salute dei consumatori. La natura è il nostro vero, sicuro futuro».

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