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Giù le Vele e poi? Per Scampia un piano vero non c’è

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Il progetto, finanziato con 18 milioni di euro, prevede tre casermoni da radere al suolo ed uno che resta in piedi per gli alloggi temporanei di chi aspetta ancora la nuova casa. Niente soldi per le politiche sociali e la lotta alla povertà. Parlano urbanisti e operatori sociali del territorio: se ci occupiamo solo di demolire il cemento Scampia non rinascerà mai.
Buttare giù le Vele non è roba che si sbriga in pochi mesi e, soprattutto, non equivale a fare tabula rasa del disagio sociale. Sono questi gli ultimi temi caldi del dibattito. E così Scampia, dentro il circolo vizioso dei consumati corsi e ricorsi storici, affronta l’ennesima diatriba su cui si gioca il suo futuro. Il progetto “Restart Scampia” non convince tutti. Finanziato dal Governo con 18 milioni di euro tramite il recente bando sulle periferie ed accompagnato dalla promessa, un mese fa, del sindaco Luigi De Magistris dell’abbattimento della Vela Verde prima dell’inizio dell’estate, prevede che delle quattro oggi superstiti ne resterà in piedi solo una, riqualificata e trasformata. Ma dati e date, costi e propositi nelle 70 pagine di relazione tecnica vengono ora passati al setaccio da chi di mestiere e da chi la periferia la vive.
L’urbanista Daniela Lepore: abbattere non basta

«Come al solito continuiamo ad occuparci solo delle pietre – commenta Daniela Lepore, docente di Tecnica e pianificazione urbanistica all’università Federico II di Napoli -. Radere al suolo le Vele e sostituirle con case più carine e dignitose non basta. L’abbiamo già fatto con tre Vele e non mi pare sia andata bene. “Restart Scampia” si limita ad essere un lavoro di computo metrico per capire come demolire tre vele ed aggiustare la quarta, non c’è mezza parola su come migliorare la qualità di vita del quartiere. Andranno a terra, ma a me non è chiaro cosa si è deciso di mettere dopo in quel lotto, chi lo fa e con quali soldi. Servirebbe, invece, una cabina di regia per un programma integrato che, coinvolgendo soggetti pubblici, privati e del terzo settore, metta in piedi politiche non solo di riqualificazione edilizia, ma di welfare e dinamizzazione economica».

Critiche anche sul riciclo della Vela Celeste che accoglierà temporaneamente chi resta in attesa di una nuova casa. «Tenere una Vela in piedi è pura follia – afferma Lepore -. Si spenderanno un sacco di soldi per rendere abitabili, al suo interno, alloggi parcheggio, poi però la svuotiamo per farla diventare sede della Città metropolitana. Ma è noto che a Napoli ciò che è provvisorio diventa definitivo. Inoltre la Città metropolitana ha già tante sedi e come possono alcuni uffici rivitalizzare Scampia? Scampia ha centomila abitanti, non coincide esclusivamente con le Vele, che non sono unico problema di degrado, eppure il soggetto più ascoltato dai politici della città è il suo Comitato. Ben venga, ma se con una botta di soldi pubblici ogni volta si buttano giù pietre per creare altre pietre, allora in questa periferia, a parte il panorama architettonico, non cambierà mai nulla».
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L’architetto Antonio Memoli: ecco il piano.

A rispondere in prima battuta è l’architetto Antonio Memoli, promotore nel 2014 dello studio preliminare per la risistemazione del lotto M, poi alla base del progetto “Restart Scampia” di due anni dopo. «Se il provvisorio diventa definitivo, non sta a me giudicare – replica -. Di sicuro il Comitato Vele lavorerà per evitare che tutto stagni. La vicenda delle Vele è lunga e articolata e a me sembra esemplare l’esistenza di un comitato che per anni ha vigilato e lottato per un diritto di casa e dignità». E spiega: «Nel piano di spesa di “Restart Scampia” c’è, comunque, anche la redazione del PUA per il lotto M (con uno stanziamento di 350mila euro) quando il terreno sarà liberato dalle tre Vele. Su questo lotto si potranno utilizzare 354mila metri cubi, di cui 88mila e 500 come edilizia residenziale (in parte pubblica), e troverà collocazione la sede della Città metropolitana. Quindi i 18 milioni sono soltanto una quota dei complessivi 118 preventivati all’inizio, abbiamo già fatto un’ulteriore richiesta ufficiale di finanziamenti. Se non ci fosse stata l’azione energica del Comitato, non avremmo avuto questo primo stralcio di investimento economico da parte del Governo».
“Ristrutturare le Vele costa più che demolirle”

Finisce sotto esame anche l’aspetto tecnico dell’abbattimento. «Ristrutturare una Vela e renderla abitabile alla luce del loro stato attuale e delle recenti normative è sicuramente più costoso che abbatterla – è la considerazione dell’architetto Enrico Martinelli per 13 anni a capo del Servizio periferie di Palazzo San Giacomo -. L’abbattimento, che è solo una modalità di intervento, a mio avviso è l’unica strada percorribile, ma non si può demolire sic et simpliciter. Occorre un piano preciso e dettagliato, un collaudo specifico che è fotografia dell’attuale stato strutturale degli edifici. Le Vele furono occupate, non ancora ultimate, subito dopo il terremoto dell’Ottanta, e dunque un collaudo ufficiale e complessivo non vi è mai stato. La demolizione va fatta in sicurezza, altrimenti si rischiano crolli pericolosi. Occorrono altresì le gare di appalto. E tutto questo sarà fatto entro giugno? Di quale anno?».

“Qui resta la desolazione”

Dubbi, incertezze che non sono né flemma né sonno né sterile polemica di chi a Scampia vive ed opera. È semplicemente il coraggio di rovesciare il ragionamento: demolire luoghi comuni ed icone negative senza mettere mano al piccone. Ogni giorno, sul campo, in prima linea. «Sono anni che si dicono sempre le stesse cose – afferma Giovanni Zoppoli, coordinatore del centro territoriale Mammut -. Va bene abbattere le Vele perché sono una vergogna, è un inizio, ma qui resta la desolazione. Oggi c’è miseria economica dopo lo smantellamento di buona parte delle piazze di spaccio che davano lavoro, è aumentata la disoccupazione tra i giovani, le scuole al collasso hanno sempre più percorsi speciali, rinunciando alla didattica attiva, il discorso sui rom è regredito a vent’anni fa, l’intervento sociale continuativo è lasciato alle associazioni che sono allo sbando per i continui tagli ai fondi. Le Vele sono la foglia di fico per nascondere i veri problemi alla radice». Il punto è: scassare, rottamare sì, ma innanzitutto l’emarginazione sociale. «Interessante – propone padre Fabrizio Valletti, che da 15 anni dirige il Centro Hurtado – sarebbe un progetto con una partecipazione dal basso di quelle associazioni che già operano sul territorio e possono dar vita ad una reale aggregazione di servizi e di cultura, del resto un modello realizzato con efficacia in altre città e periferie. Purtroppo a Napoli di progettazione urbanistica che non fosse solo per abitazioni ne ho conosciuta poca, le periferie sono concepite come dormitori. La difficoltà strutturale e culturale in questa città sta nel riunire le menti per un programma comune. Le cose si possono fare, ma bisogna pianificarle seriamente e avere il coraggio di investire innanzitutto nelle persone». Altre case popolari nel lotto M liberato? «Per carità – risponde il gesuita -, e poi chi controllerà? L’abusivismo è la regola, spesso avvalorata dagli amministratori. Ci sono, al contrario, possibilità che non vengono sfruttate: un giovane architetto di recente ha tentato di portare il suo piano innovativo per la Vela Celeste, che però è stato bloccato. E invece per fare davvero qualcosa di buono sarà necessario che ci si metta a ragionare. Tutti insieme».

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