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Da “mondo nuovo” a terra dei fuochi, la lenta agonia di Ponte di Nona

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periferieNato come quartiere modello, oggi vive le contraddizioni di una periferia degradata stretta fra le luci del vicino maxistore e il buio del campo rom di Salone

Ponte di Nona è oggi una delle zone in cui è più forte e organizzata la protesta dei cittadini contro il degrado crescente, l’illegalità, la sporcizia, i disservizi, la paura. Eppure questo quartiere non è una borgata cresciuta a casaccio, una casa sopra all’altra, senza ordine né pianificazione: nelle intenzioni in questa piana doveva svilupparsi un quartiere modello, autosufficiente, vivibilissimo.

Si è partiti pressoché da zero poco dopo la svolta del millennio, in un campo aperto alle migliori possibilità. Qui sono venute a vivere persone che preferivano stare lontano dal caos della città; giovani coppie che cercavano tranquillità e prezzi un po’ più bassi; molti meridionali, soprattutto calabresi, che hanno deciso di studiare e lavorare a Roma, e che a Ponte di Nona hanno sperato di trovare una giusta via di mezzo tra il dentro e il fuori, tra Roma e la campagna.
Proprio accanto al quartiere sorge uno dei più grandi centri commerciali della città, Roma Est, dove si può comprare di tutto, passare le domeniche guardando le vetrine e mangiando il gelato, e poi andare al cinema e in pizzeria. C’era un’illusione di autosufficienza, in teoria qui non doveva mancare nulla. Se si passeggia per il quartiere, salta subito agli occhi la quantità di banche: a Torre Spaccata, tanto per dire, non ce n’è nemmeno una; a Torre Maura un paio, qui una decina. Le banche non aprono dove c’è miseria, aprono là dove anche in tempi di crisi qualche soldo comunque gira.

Insomma, chi ha scelto di abitare a Ponte di Nona aveva delle aspettative, immaginava una vita piacevole e organizzata. E invece a proprio qui sta esplodendo una rabbia che probabilmente è figlia della delusione e di un potente senso di retrocessione sociale. Doveva essere il Mondo Nuovo ed è una mezza schifezza, e questa scoperta ovviamente fa saltare i nervi. “Dovevano aprire tre asili nido”, mi racconta il sacrestano di Santa Teresa di Calcutta, la piccolissima chiesa del quartiere – ma pochi giorni fa è stata piazzata la prima pietra della nuova chiesa, che sarà grande e architettonicamente interessante. “Sono pronti da un sacco di tempo, già si stanno deteriorando, eppure chissà perché li tengono chiusi”. Non va meglio per le scuole superiori: la scuola Ciriello di via Oscar Romero e l’istituto comprensivo di via Gastinelli sono stati chiusi perché mandrie di topi vi scorrazzavano felicemente. Non è bastata nemmeno una prima derattizzazione per risolvere il problema. E le discariche abusive si allargano incontrastate: a via della Cerqueta e sotto il viadotto dell’A24 è un trionfo di rottami e scarti e immondizia d’ogni tipo, tutto abbandonato allegramente, cupamente.

Franco Pirina, revisore contabile, un tempo abitava a Prati, poi si è trasferito da queste parti perché qui i conti gli tornavano meglio: aria pulita, spese contenute, un senso di rinascita individuale e collettiva. Ora Pirina è il leader del Caop, “Coordinamento azioni operative Ponte di Nona”, associazione in prima linea nella denuncia di tutte le magagne del quartiere. “Non è vero che noi organizziamo le ronde, è una brutta parola che non spiega affatto ciò che facciamo: noi teniamo semplicemente gli occhi aperti, giriamo di continuo, controlliamo ogni forma di illegalità e subito la comunichiamo alle forze dell’ordine, alle quali va tutta la nostra solidarietà”, racconta Pirina. “Noi esprimiamo il nostro senso civico, ci impegniamo affinché tutto funzioni meglio”, ripete, e sono belle parole, ma sulla pagina Facebook del Caop si trovano anche alcuni agghiaccianti inviti a farsi giustizia da soli, a far “riposare eternamente” ladri e malfattori, a farla pagare cara a chi sgarra. Il senso civico si storce e a volte inclina verso la resa dei conti.

Il nemico numero uno naturalmente è l’immenso e immondo campo nomadi di via di Salone, a quanto pare il più grande d’Europa. Qui vive in condizioni atroci una grandissima comunità di zingari: le casette prefabbricate sono distrutte, in mezzo al campo scorrono liquami maleodoranti, i bambini giocano nell’immondizia e non vanno a scuola. “Non c’è niente da fare – dice Franco Pirina – loro vogliono continuare a vivere così. Ammettono tranquillamente di stare bene così, nello schifo e nella libertà di fare quello che gli pare. E dal campo ogni giorno partono spedizioni di ladruncoli e di bambini che rovesciano i cassonetti cercando chissà cosa, nel campo si organizza la prostituzione, e ogni settimana da qui si alzano altissime colonne di fumo nero che intossicano tutto il quartiere, perché gli zingari bruciano qualsiasi cosa, copertoni, plastiche, robaccia. Insomma, noi di Ponte di Nona sentiamo il bisogno di difenderci da questa minaccia e da questo degrado”.

A quanto pare è un atteggiamento diffuso in varie zone (ma non in tutte, sia chiaro) della periferia romana: più la crisi morde, più cresce la sensazione di essere abbandonati dallo Stato, di essere in balìa delle forze del male, e così scatta il bisogno di autodifesa e a volte anche di contrattacco violento. Ci sono le banche a Ponte di Nona, è vero, ma aumentano anche i “Compro Oro”, le agenzie per le scommesse sportive e quelle per vendersi la casa, le piccole pizzerie al taglio dove svoltare il pranzo con due soldi. Il futuro spaventa, e ormai anche il presente spaventa, tutto spaventa chi vive sul bordo, tra le luci di un centro commerciale e il buio di un campo nomadi.

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