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Come frenare le sirene maligne delle periferie

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Il presidente del Consiglio sta guardando con grande temperanza alla terribile crisi che l’attacco terroristico a Parigi ha aperto. L’uso misurato delle parole, l’insistenza sulle prevenzioni e sulla costruzione di alleanze e lo sguardo che dalla politica estera sa riandare alle crisi delle nostre periferie sono indirizzi politici sensati.

Le immagini di St. Denis, dei quartieri di Bruxelles, le biografie dei terroristi, le nostre paure mentre camminiamo nelle zone meno protette delle nostre città ci evocano le periferie in senso negativo. E stentiamo ancor più a viverle come «nuovi centri», luoghi di promesse e invenzioni da esplorare, anche quando lo sono. Al contempo, proprio le promesse già in campo e gli attori positivi delle nostre periferie si confrontano davvero con territori più sofferenti, dove non vi è stata inclusione e vera cittadinanza e dove può crescere e poi esplodere una tremenda carica distruttiva.

Ben prima degli eventi parigini, i dati Istat, le nostre cronache, le esperienze diffuse di tanti esperti sul campo ci consegnano, al contempo, storie di riscatto e storie di difficoltà e frustrazione.

Ci sono migliaia e migliaia di storie di vita, spesso di giovani – in tanti le seguiamo in ogni parte d’Italia – nelle quali l’esclusione multi-dimensionale che si protrae nel tempo a un certo punto conosce un peggioramento e fa entrare in una zona di maggiore fragilità e pericolo. Per molte ragioni: il grado elevato della fatica di «stare a galla» dal punto di vista del lavoro e del reddito, il ripetersi di frustrazioni severe che offendono l’amor proprio, il mancato consolidamento, in età precoce, di uno «spazio pensante» e anche di regole interne sufficienti per dare parola alle cose, trovare una strategia per «aspirare a» e per sostenere il peso di difficoltà continue, il venire meno sia dell’accoglienza che dei limiti che può dare la comunità perché anche essa è troppo frammentata e impoverita di sapienza e di risorse.

Molte storie così si trascinano, malamente. Minano la fiducia e la coesione sociale, allontanano dalla partecipazione alla formazione, al lavoro, al progetto comune, alle regole.

Una politica troppo distante da questi territori e sciatta e burocratica nel proporre misure e azioni certo non aiuta, anzi…

Poi – in questo paesaggio – un numero minoritario ma purtroppo crescente di storie conoscono uno scarto. Vanno oltre. Prendono, per strani o futili o apparentemente secondari motivi, le vie maligne dell’esplosione folle individuale o delle bande violentemente fuori controllo o del malaffare. Sirene estreme chiamano ad andare oltre. Nascono sintomi feroci di malattie divenute croniche e poi aggravate.

Nei territori dell’esclusione, qualcosa oggi può andare – più facilmente che in passato – oltre gli ultimi argini. E siamo in tanti a pensare che già da tempo stiamo entrando in una nuova dimensione del pericolo, al quale vanno date risposte nuove.

Fa bene il presidente del Consiglio a ritornare a parlare al Paese delle nostre periferie. Perché il loro sviluppo è volano di sviluppo generale. Perché i tessuti ricostruiti della coesione sociale favoriscono crescita economica e lavoro nelle sue nuove forme. Perché la potente crisi che viviamo in questi giorni ci sta confermando che bisogna presto riprendere – proprio nelle periferie – a pensare a come migliorare scuola e formazione, dare reddito chiedendo responsabilità, trovare vie nuove per creare lavoro insieme ai nostri ragazzi. Lo si fa già in tante parti d’Italia. Lo si può fare di più e meglio se si abbandona un sistema di stereotipi e vincoli che non funziona più, se si ricreano circuiti di confronto sulle cose da fare nel concreto, se si creano regìe in ogni quartiere e città. E se si costituisce presto una vera regìa nazionale per usare più fondi ottimizzando le risorse anziché sprecarle in mille rivoli e indirizzandole verso ciò che già funziona, verso chi sa fare, controllando i risultati. Ma, per fare questo, dobbiamo riguardare a come siamo, come educhiamo i nostri ragazzi, come si discute e si impara a scuola, e anche a cosa dobbiamo tenere per sacro, a come presidiare i limite nella vita di ogni giorno, a come mettere insieme norma e accoglienza, a come ridare luoghi, lavoro e parole alle comunità, a come sostenere adesso e non domani i sogni dei nostri ragazzi di periferia.

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