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Campidoglio: Sit in AVCCP per Canili comunali

Continua la lotta contro la gara al massimo ribasso per la gestione dei canili comunali di Roma: domani prevista la fase finale della gara con l’apertura delle buste 

“NON APRITE QUELLA BUSTA: GLI IMPORTI NON SONO CONGRUI CON BENESSERE ANIMALI E SERVIZI AL CITTADINO”

Terzo appuntamento pubblico mercoledì 26 agosto ore 14:00 sotto il Dipartimento Ambiente

Sit in Campidoglio

Sit in Campidoglio

ROMA, 25 agosto 2015 – “Non aprite quella busta”, “Sospendete la gara al massimo ribasso in autotutela” così un centinaio di operatori, volontari, cittadini, adottanti sulla piazza del Campidoglio mentre dentro Palazzo Senatorio l’assessore all’Ambiente Estella Marino incontrava il suo collega al Bilancio nonché vicesindaco Marco Causi.

“Abbiamo letto il comunicato stampa congiunto di Marino e Causi in diretta dal sit-in del Campidoglio: da una parte l’amministrazione comunale ribadisce la strada della gara, dall’altra si comunica un impegno nel reperimento di più fondi”, così Simona Novi, presidente dell’Associazione Volontari Canile di Porta Portese, la onlus che gestisce dal 1997 i canili comunali di Roma. “La nostra risposta è sempre la stessa: siamo di fronte alla settima gara indetta dal Comune di Roma per la gestione dei canili dal 1997. Non è certo responsabilità di chi gestisce se su 7 gare ben 4 non sono andate a buon fine: AVCPP ha partecipato sempre. Ora si specifica che la gara sarà all’insegna dei costi standard nazionali ma i nostri amministratori dovrebbero sapere che il lavoro che viene fatto ogni giorno nei canili comunali di Roma non ha eguali in tutta Italia. Il canile comunale di Milano contiene 200 cani e 100 gatti, si allaga quando straripa il fiume Lambro, ed i gestori fanno comunicati stampa allarmistici sul sovraffollamento quando in un anno accolgono 200 nuovi cani. A Roma entrano ogni anno 2600 cani e gatti “nuovi”, malati feriti maltrattati morsicatori smarriti sequestrati abbandonati che si aggiungono ai 600 già presenti. E migliaia ne escono in adozione e ricongiungimenti con le famiglie che li hanno smarriti. Per i cani abbiamo raggiunto il punto di pareggio: tanti ne entrano, tanti ne escono, curati e stabilizzati. Nell’arco dello stesso anno. Tutto questo lavoro deve essere ben valutato dagli amministratori capitolini. Se è poi vero che è in corso un lavoro per reperire maggiori risorse, si annulli questa gara e domani non si aprano le buste presentate dai concorrenti perché sarebbero tutte offerte da macelleria sociale: il 90% degli operatori sarebbero licenziati”.

Sit in Campidoglio

Sit in Campidoglio

“Ringraziamo per la solidarietà dimostrata Carla Rocchi presidente nazionale ENPA, Walter Caporale presidente nazionale Animalisti Italiani, Sabrina Albanesi delegata ai diritti del vivente di SEL Roma, i comitati cittadini di lotta che si raccolgono nel network Roma Comune, Davide Bordoni di Forza Italia che ha chiesto una convocazione urgente della Commissione Ambiente: il terzo appuntamento pubblico di protesta è per domani mercoledì 26 agosto dalle ore 14:00 sotto il Dipartimento Ambiente in circonvallazione Ostiense 191. Andrà in scena l’ultimo atto di questa gara che trasformerà i canili comunali di Roma in canili lager se si apriranno quelle buste: noi chiediamo di non aprirle, riattivare tutti e 3 i canili comunali spostando i cani attualmente chiusi nelle gabbie di cemento dei canili privati convenzionati a zero adozioni. E fare una gara con cifre congrue rispetto ai servizi che vengono offerti. Ci ascolteranno?”




Conferenza Stampa – presentazione del “Manifesto dei cittadini e Associazionismo per il Giubileo”

ACLI, ARCI, AGCI, ASSOUTENTI, TRASPORTI LAZIO, AZIONE CIVILE, CARTE IN REGOLA, CENTRO ASTALLI, CESV, CILAP, CITTADINANZA ATTIVA, CALMA, COMUNITÀ VII MUNICIPIO, CILD, CORVIALE DOMANI, CASA DIRITTI SOCIALI, FORUM TERZO SETTORE LAZIO, FEDIM, FISH, MODEM, RYDER, UNIAT, UISP, UPTER, ZERO WASTE LAZIO

CONFERENZA STAMPA

Presentazione del “Manifesto dei cittadini e Associazionismo per il Giubileo”

“CI PRENDIAMO CURA DELLA NOSTRA CITTÀ”

Ventiquattro associazioni, mondi e realtà diverse che giorno dopo giorno, danno risposte alle necessità, ai bisogni, al disagio sociale e ad una migliore qualità del vivere dei nostri concittadini e che condividono l’urgenza di “metterci la faccia” per dare concrete risposte a questa crisi etica e morale che ha investito Roma, la nostra Roma.
C’è bisogno di amore e pulizia. Ben vengano tanti altri cittadini ramazzatori portatori di una rinata voglia di partecipazione e senso civico. Questo percorso lo faremo, quotidianamente come siamo abituati, insieme.
La presenza di milioni di pellegrini e visitatori inciderà sulla qualità e quantità dei servizi pubblici – trasporti, sanità e rifiuti tanto per citarne alcuni – che sono già in grande sofferenza. Queste presenze – se non gestite in uno spirito di condivisione con i residenti romani – rischiano di entrare in rotta di collisione con una Comunità cittadina esasperata e incattivita.
Roma, da sempre, città dell’ospitalità e dell’accoglienza – non può permetterselo e non merita questo.
Dobbiamo uscire da una situazione difensiva, subalterna e di rassegnazione: è tempo di ricostruire – dopo gli anni dell’abbandono della città e della corruzione mafiosa – un tessuto partecipativo e l’immagine della Capitale d’Italia.
Un’occasione che non ci può scivolare addosso. La nuova stagione etica e morale si coniuga edificando mattone su mattone, un duraturo “Patto di Comunità”.
Su questo presenteremo proposte e progetti fattibili inseriti una visione di città da trasformare e rivendicheremo una partecipazione diretta del mondo dell’associazionismo e delle decine di migliaia di cittadini che in parte rappresentiamo.
È necessario un serio e partecipato piano per Roma e i romani metropolitani che incontrano il Giubileo e hanno necessità di sostantivi come consapevolezza, responsabilizzazione, programmazione, collaborazione tra tutti i soggetti in campo, amore e identità con la nostra città.
Anche da questa cooperazione, visti i tempi stretti che abbiamo davanti, dipenderà la riuscita di questo anno giubilare.
Nessuno dovrà restare chiuso nel suo giardino pensando al proprio piccolo o grande interesse o nell’attesa del miracolo dell’evento mondiale che tutto risolve.
Noi ci siamo. Come ogni giorno, e non solo per i grandi appuntamenti. Noi ci siamo!
A fianco del disagio, dell’emarginazione, con le nostre proposte culturali, contro la corruzione e il degrado, a difesa dei cittadini-utenti, degli ultimi, dei più deboli, di chi afferma la tutela dei diritti, di chi ama la propria città e non accetta il degrado culturale e l’abbandono: Noi ci siamo!

Roma, 29 luglio 2015

Info
CESV Centro Servizi per il Volontariato 06.491340
Massimliano Trulli 328.2714643
Pino Galeota 335.6790027
Gianni Palumbo 331.5391228
informat.agenzia@gmail.com

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Una Repubblica da fondare sulla capacità di creare lavoro

repubblica
La Costituzione italiana si apre con questa affermazione: “L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro”. La formula fu proposta all’Assemblea costituente da Amintore Fanfani che la illustrò con queste parole: “Niente pura esaltazione della fatica muscolare, come superficialmente si potrebbe immaginare, del puro sforzo fisico; ma affermazione del dovere di ogni uomo di essere quello che ciascuno può in proporzione dei talenti naturali, sicché la massima espansione di questa comunità popolare potrà essere raggiunta solo quando ogni uomo avrà realizzato, nella pienezza del suo essere, il massimo contributo alla prosperità comune”. Le parole “fondata sul lavoro” non esprimono un concetto giuridico ma indicano una caratterizzazione dal punto di vista economico-sociale e anche politico e storico. Solo in un altro passaggio del suo intervento, il relatore fa emergere anche un significato giuridico non per quello che la formula dice, ma per quello che, approvandola, si volle escludere: “Dicendo che la Repubblica è fondata sul lavoro, si esclude che essa possa fondarsi sul privilegio, sulla nobiltà ereditaria, sulla fatica altrui”.

Questo principio costituzionale vuole, dunque, affermare il dovere di ogni cittadino di essere quello che può in proporzione dei propri talenti. E va ad integrarsi con l’altro principio fondamentale contenuto nell’articolo 4 che recita: “La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto”. Si tratta naturalmente di un diritto potenziale che vuole solo – come spiegò l’on. Ruini nella relazione al progetto – “impegnare vivamente lo Stato ad attuare l’esigenza fondamentale del popolo italiano di lavorare”. Anche Ernesto Rossi nella sua bella opera “Abolire la miseria”, scritta nel 1942 durante il confino a Ventotene, afferma senza mezzi termini che la nozione “diritto al lavoro” è un’assurdità che discende dalla “falsa idea che basti produrre delle cose che soddisfino ai bisogni umani perché il lavoro risulti economicamente produttivo”. Il lavoro non è un diritto che può essere soddisfatto solo dalle leggi sul lavoro. È questa idea molto immiserita di lavoro ad averlo reso un oggetto misterioso.

Se i principi fondamentali riguardanti il lavoro sono rimasti essenzialmente sulla carta e non si sono messi in pratica, c’è una motivazione culturale che andrebbe messa in risalto. Nel nostro Paese si guarda con indifferenza se non con sospetto al lavoro autonomo, intraprendente e, quindi, all’impresa. Ed è questo atteggiamento culturale, sociale e istituzionale negativo verso le imprese che impedisce quel moto solidale spontaneo che tutti dovremmo avere – proprio in base ai principi della nostra Costituzione – verso tutti coloro che decidono di intraprendere fino a consentire loro di raggiungere l’obiettivo occupazionale desiderato dalla collettività. Basta visitare un qualsiasi centro per l’impiego per rendersene conto. È sufficiente entrare in una scuola e ascoltare una qualsiasi lezione per accorgersene. Sono pochissimi gli intellettuali in Italia capaci di affrontare il tema del lavoro dal versante dell’impresa. Qualsiasi iniziativa politica o sindacale sul lavoro non vede mai protagonisti coloro che il lavoro devono crearlo ma solo quelli che ritengono di doverlo ottenere da qualcun altro in quanto “diritto” da “riscuotere”.

Allora cosa si deve fare per “creare lavoro”, come scrive Luca Meldolesi nel suo ultimo libro, per “sprigionare il potenziale produttivo” che c’è nei nostri territori?

Si deve iniettare cultura imprenditoriale che manca: quell’autodisciplina per acquisire costanza, ingegnosità, conoscenza del contesto, capacità di inventare un’idea e pilotarla verso il successo. Ma non basta combinare imprenditorialità, organizzazione e contabilità aziendale. Occorre affrontare le dimensioni psicologiche, antropologiche, sociologiche, sociali, storiche, identitarie, ecc., della creazione del lavoro.

L’imprenditoria non è un’erba spontanea che cresce e si espande in maniera naturale. È il risultato di processi motivazionali che vanno stimolati, accompagnati e orientati verso le migliori pratiche, tenendo conto delle vocazioni e prerogative territoriali. È il frutto di legami comunitari, di beni relazionali, di fiducia da tessere costantemente. È l’esito di una guerra gigantesca da fare tutti i santi giorni contro la mentalità e la pratica assistenzialistica, che è causa ed effetto del clientelismo, della corruzione e dell’illegalità.

La capacità imprenditoriale è un valore che va coltivato come componente fondamentale di quell’aspirazione dell’uomo a incivilirsi, a elevarsi, mediante un percorso tortuoso che non ha mai fine per evitare di correre il pericolo di tornare indietro verso la barbarie. È ricerca continua dell’innovazione e del cambiamento che si contrappone energicamente alla semplice ripetizione della vita. È dinamismo, non è mai un punto di arrivo e neppure un plafond ormai assodato su cui si può sostare (e magari addormentarsi sugli allori). È capacità di abbandonare ogni visione centralistica dello Stato e dell’economia (tutto deve arrivare dall’alto) e di praticare invece un federalismo democratico dal basso, come approccio alla costruzione di buone e sane relazioni di ognuno con le altre persone, con la comunità e con le istituzioni. È anelito a conoscere altre culture e a mettere a disposizione la propria per produrre collaborazioni, processi di ibridazione, contaminazione, costruzione di novità. È superamento di ogni provincialismo, di ogni visione autarchica e neonazionalista per aprirsi alla relazione Italia-mondo, al multiculturalismo attivo, alla cooperazione tra le diverse comunità che vivono in paesi differenti. Non c’è alcuna contraddizione tra il recupero del legame con il territorio e l’internazionalizzazione dell’economia. Solo gli sciamani integralisti che difendono le proprie botteghe – in un mondo dove convive una pluralità di ethos del mercato e di modelli produttivi e di consumo – mettono in contrapposizione questi due elementi. La capacità imprenditoriale è un processo civilizzante di relazioni interpersonali e di conoscenza per superare lo stato di cose esistente e immaginare il futuro con ragionevoli speranze.

 

Fonte : afonsopascale.it apri l’articolo originale



TERRITORI IN COMUNE del 20/7/15

Rimpasto di Giunta, vicesindaco, Giubileo, AMA, ATAC, terzo settore: la situazione romana è sempre più ingarbugliata e di difficile soluzione anche perchè gli attori politici si scoprono poco e l’unico loro gioco è quello del posizionamento. Intanto la città è in piena crisi di nervi tra il caldo torrido, i cumuli di rifiuti maleodoranti e le attese infinite dei mezzi pubblici. Su quest’ultimo punto si è più volte sfiorato l’incidente grave ed è indecente l’assoluta incapacità degli attori in campo (azienda, giunta e sindacati) di riprendere il controllo della situazione che sembra giunta a un punto di non ritorno. Le buone nuove, soprattutto sperimentazioni nelle periferie, stentano a venir fuori e sale sempre più forte la richiesta di commissariamento della politica anche da parte di chi finora non si era mai accorto del malaffare. (T.C.)

Campidoglio, un’inutile girandola di nomi per il rimpasto di Giunta

cinquequotidiano Sulla futura giunta del “cambio di passo” si sta giocando una partita tutta politica. Due giorni fa Nichi Vendola, ieri Causi. Parrebbe che la canicola di questi…
Redazione -20 luglio 2015

L’ex assessore Causi mandò in rosso i conti del Comune: ma il Pd lo vuole vicesindaco

Gian Maria De Francesco (da ilgiornale) Curare le ferite di Mafia Capitale con l’«uomo dei derivati»? Sembrerebbe che sia proprio questa l’idea meravigliosa venuta al segretario del Pd,…
Redazione -20 luglio 2015

“Capitale indecente ora un commissario per l’Anno Santo”

PAOLO BOCCACCI ALESSANDRA PAOLINI (da repubblica) «La città è indecente, serve un commissario straordinario per il Giubileo ». Il grido d’allarme che è anche una richiesta a fare…
Redazione -20 luglio 2015

Mafia Capitale, Ama: commissariato appalto vetro a coop. Edera

askanews Fortini, bene commissariamento; servizio regolare X municipio La Prefettura di Roma, d’intesa con l’Autorità…
Redazione -20 luglio 2015

La “protesta del cavillo” dei macchinisti Atac non è una guerra fra poveri
luglio 20, 2015
By redazione

La situazione delle metropolitane di Roma è ormai insostenibile per turisti, romani e pendolari che ogni giorno sono costretti a viaggiare su treni sovraffollati a causa delle corse ridotte, treni che per lunghe tratte viaggiano a passo d’uomo. Un servizio rallentato e inefficiente, indegno…

Corviale Domani
Linee guida per l’affidamento di servizi a enti del terzo settore e alle cooperative sociali

Nell’adunanza del 24.6.2015 il Consiglio dell’Autorità ha deliberato di porre in consultazione il documento recante…
associazioniinrete -20 luglio 2015

Giornale delle periferie

Viaggio nelle periferie con il City Sightseeing

Il bus rosso, quello dei turisti, dei monumenti, della Napoli da mostrare e da vedere arriva nelle periferie, a Soccavo e nel Rione Traiano. Il bus prende persone…
napoli.repubblica -20 luglio 2015

Laurentino: sempre più incerto il futuro del Centro Culturale Elsa Morante

Il Municipio ancora non ha sciolto i nodi legati alla gestione del Centro Culturale del Laurentino, ma il Consiglio di Quartiere è sereno: “Abbiamo ricevuto rassicurazioni sul prossimo…
Fabio Grilli (da romatoday) -20 luglio 2015

Lana e alghe: materiali per l’edilizia.

Un’azienda sarda sfrutta materie prime naturali e abbondanti nella regione per produrre materiali isolanti destinati alla bioedilizia e all’agricoltura, con innumerevoli vantaggi per l’ambiente e l’economia tradizionale dell’isola.…
earthday -20 luglio 2015

La frutta che nasce in città
Meglio del supermercato. Progetto per chi ha bisogno. L’idea è dell’associazione Linaria, che ha deciso di mappare i frutteti delle città e di utilizzarne i prodotti per progetti…
redattoresociale -20 luglio 2015




Innovare restando fedeli a se stessi

cittacastello

È difficile parlare di questi tempi agli imprenditori italiani. Soprattutto di argomenti apparentemente astratti, non legati a qualche provvedimento fiscale o a qualche aiuto comunitario. Coloro che fanno impresa in Italia sembrano smarriti e sfiduciati. Al di là degli annunci del governo e di qualche scampolo di riforma che si è riusciti a realizzare, i risultati sono magri e non si avvertono segnali significativi di ripresa. Negli Stati Uniti si è avviato un nuovo ciclo di sviluppo industriale fondato su internet e sulla robotica e, naturalmente, su una trasformazione totale del lavoro sia dipendente che imprenditoriale e su forme totalmente nuove dell’abitare.  Il governo cinese ha varato un programma di costruzione di nuove città dove si trasferiranno entro il 2020 cento milioni di contadini che lasceranno le campagne. I nuovi centri urbani che stanno per nascere non saranno le metropoli fordiste che si sono sviluppate in occidente tra l’ottocento e il novecento. Ma le città-territorio che assorbono gli antichi conflitti tra città e campagna in nuovi equilibri sociali, economici e territoriali, in nuove modalità dell’abitare, mettendo insieme tecnologie digitali, robotica, biotecnologie.  Dove la crisi viene affrontata seriamente, s’investe in sviluppo e innovazione, puntando su ricerca, sperimentazione e istruzione. Si sogna e s’inventa coi piedi per terra. Non si piange e non ci si dispera. Si aguzza il cervello per trovare strade nuove, mai percorse.

In Italia stiamo sulla difensiva

In Italia pensiamo invece di affrontare le difficoltà, stando sulla difensiva. Ci riteniamo l’ombelico del mondo. Interpretiamo il made in Italy come un’arma con cui perseguire improbabili disegni neonazionalisti e, nello stesso tempo, autarchici. Molti sciamani ogni giorno riempiono le prime pagine dei giornali per dispensare a piene mani l’illusione che l’economia italiana possa riprendersi facendo leva esclusivamente sui nostri beni storico-culturali e ambientali e sulle nostre tipicità. Basterebbe – secondo questi venditori di fumo – mettere insieme un po’ di agricoltura e turismo. Niente industria e niente città. Come se l’industria fosse finita con la conclusione del ciclo fordista e la città fosse esaurita con la fine della metropoli. Tra queste lugubri voci che si levano nella foresta preannunciando imminenti catastrofi e improbabili ritorni all’eden, la maggior parte dell’imprenditoria italiana non sa come reagire ed è allo sbando.

È in tale contesto che ho accettato volentieri l’invito di Riccardo e Raoul Ranieri – gestori dell’oleificio fondato nel 1930 a Città di Castello da Domenico Ranieri – ad una iniziativa organizzata a Palazzo Vitelli nella cittadina umbra, in collaborazione con il mio amico oleologo Luigi Caricato, dal titolo significativo: La ricchezza intangibile dell’olivo. Abbiamo così potuto parlare di cultura, crescita, innovazione, futuro in un confronto molto appassionato e non scontato tra giornalisti, scrittori e operatori economici. C’erano con me, oltre naturalmente Luigi Caricato, Giorgio Boatti, Maria Latella e Brunello Cucinelli.

La vocazione originaria dell’agricoltura

Ho raccontato come diecimila anni fa nacque l’agricoltura. Si tratta di ieri se rapportiamo questo tempo ai milioni di anni che ci separano dalla comparsa dei primati sulla terra. Da sempre i gruppi umani si spostavano da un punto all’altro del globo alla ricerca di piante spontanee o di animali da predare per ricavarne del cibo. Allora alcune donne, stanche di quella vita nomade che mal si adattava alle funzioni riproduttive, incominciarono ad osservare come avveniva la crescita e la fioritura di una pianta. Carpendo i segreti della natura, intuirono un fatto straordinario: dal momento della semina di una cultivar di frumento, selezionata tra tante in natura, e il tempo del raccolto, sarebbe trascorso un anno. E rimuginarono che quello era il tempo sufficiente per portare avanti una gravidanza. Gioirono al pensiero di quella intuizione. Finalmente potevano dare un senso e una giustificazione al loro bisogno di fermarsi e di mettere radici in un determinato territorio.  I maschi continueranno ancora per alcuni millenni ad andare a caccia di animali e a raccogliere frutti spontanei. Per loro il mondo non aveva un luogo ma ovunque ci fosse cibo era una meta da raggiungere e poi abbandonare. Le prime comunità stanziali saranno, dunque, formate prevalentemente da donne, bambini e anziani.

Come si può constatare da questo racconto, l’agricoltura non nasce per produrre cibo, come oggi siamo portati a credere per effetto di una comunicazione superficiale e non fondata sulla cultura e sulla scienza. Il cibo già c’era ed era in abbondanza. L’agricoltura nasce per dar vita alle prime comunità umane stanziali. Nasce come forma di vita collettiva, come opportunità per acquisire un primo e rudimentale approccio scientifico nelle attività umane, come ambito di regolazione condivisa per utilizzare le risorse ambientali comuni e così organizzare al meglio le attività comunitarie di cura. La coltivazione della terra sorge come attività di servizio per poter abitare un determinato territorio. Il significato più profondo di coltivare è servire la natura e la comunità al fine di abitare dignitosamente in un luogo. La lingua tedesca chiama con una medesima voce l’arte di edificare e l’arte di coltivare; il nome dell’agricoltura (Ackerbau) non suona coltivazione, ma costruzione; il colono è un edificatore (Bauer). Nel Mediterraneo non sono le città a nascere dalla campagna: è la campagna a nascere dalle città, che è appena sufficiente ad alimentarle. I contadini mediterranei hanno sempre voluto vivere nelle città – i luoghi degli scambi – dove poter svolgere attività molteplici e avere rapporti continuativi e fecondi con altre città, nonché con la cultura e la scienza. Se si legge attentamente il poema di Esiodo Le Opere e i Giorni, scritto tremila anni fa, si può notare che l’attività agricola è considerata come un servizio, un rito religioso. I lavori e gli scambi sono organizzati sulla base del principio di reciprocità. Essi consistono soprattutto nell’aiuto tra i vicini. La terra è ritenuta una divinità da servire. Essa impartisce i propri comandi mediante il rigore delle stagioni e i cicli regolari della vita vegetale. Noi oggi conosciamo bene le modalità e gli effetti dell’asservimento dell’uomo alla macchina. Ma nell’attività agricola c’è un asservimento ancor più avvolgente alle regole di buon vicinato, ai tempi dettati dalla natura, dal clima, alla resistenza del terreno, alle regole per preservare la fertilità del suolo, alle regole per utilizzare l’acqua in modo parsimonioso. Coltivare non è solo manipolare la natura: è prima di tutto servire la comunità e la natura. Il raccolto del prodotto della coltivazione era funzionale ad una pluralità di impieghi che permettevano l’insediamento stanziale. Solo una parte di quel prodotto serviva ad integrare i frutti spontanei e le proteine animali di terra e di mare. Sin dalle origini l’olio da olive è stato impiegato in una molteplicità di usi. La sfera alimentare si mantiene sempre secondaria. Gli impieghi prevalenti sono nell’illuminazione e nell’industria laniera per poter abitare più agiatamente le città e vestirsi in modo più adeguato. La nascita dell’agricoltura ha costituito un potente correttivo di civiltà.

Il cibo come scambio tra culture diverse

Sin dall’invenzione dell’agricoltura, il cibo e l’atto del mangiare hanno costituito un veicolo di pratiche e dispositivi culturali, capaci di fornire una rappresentazione dei mondi altri. Più ancora della parola, il cibo si presta a mediare tra culture diverse aprendo i sistemi di cucina ad ogni sorta di invenzioni, incroci, sincretismi, ibridismi e contaminazioni. Conoscere le culture alimentari di un gruppo e scambiare i cibi può, dunque, costituire una pratica che favorisce l’integrazione.

Educare invece a un’alimentazione autarchica e chiusa agli scambi con altre culture, significa negare in radice l’assunto di fondo della nostra cultura del cibo. È davvero penoso e ignobile che s’insinui nei nostri ragazzi – così come sta accadendo mediante programmi di comunicazione e promozione impropriamente finanziati dal pubblico – un odioso pregiudizio: l’idea che l’olio e le olive degli altri paesi che s’affacciano sul Mediterraneo siano di per sé scadenti. E che lo stigma sia inculcato magari in presenza di ragazzi i cui genitori sono originari proprio di quei paesi. Un’umiliazione inflitta a questi nostri nuovi concittadini senza una qualche plausibile giustificazione, specie ora che l’Italia diventa sempre più multietnica.

L’idea che una specie alimentare del mio giardino sia più buona di un ortaggio che arrivi da terre lontane non appartiene alla nostra storia alimentare. Non era mai accaduto che il cibo costituisse un elemento identitario così forte da essere utilizzato per definire un confine invalicabile tra sé e i “barbari” che ci minacciano. Se guardiamo alle nostre tradizioni culinarie si trova sempre un atteggiamento di grande apertura e curiosità nei confronti di qualsiasi specie esotica. La nostra alimentazione presenta stratificazioni e sedimentazioni originatesi in epoche storiche e in spazi geografici lontani; è riflesso e testimonianza di arrivi, passaggi, incontri, commistioni, fluttuazioni, intensi dialoghi con il mondo mediterraneo, l’Oriente, l’Europa continentale e le Americhe. Insomma, le radici della nostra identità alimentare si diramano molto lontano da noi.

Con l’avvento della globalizzazione ci è sembrato che il cibo potesse subire un processo di appiattimento. E saggiamente abbiamo reagito a questo fenomeno valorizzando le diversità. La normativa europea sulle denominazioni d’origine ci ha voluto rammentare che le identità possono essere molteplici. Il cittadino di Matera (che si riconosce nel cibo della sua città e delle sue campagne) non è solo un membro del villaggio globale ma è anche cittadino di Basilicata, d’Italia, d’Europa. E ciascuna di queste identità – tutte mutevoli e in costruzione – vuole i suoi simboli alimentari.

Ma queste multiformi identità hanno tutte pari dignità. Nessuna possiede, sul piano simbolico, uno spessore culturale che sovrasta l’altra. Anzi convivono pacificamente e vanno sempre più a integrarsi e completarsi a vicenda. Solo da noi la cultura della tipicità, da strumento di affermazione del pluralismo delle identità, viene esasperata fino al punto di trasformarla in arma con cui tentare di difendersi nella competizione globale. Da strumento per far convivere identità diverse, la tipicità è diventata elemento scatenante di conflitti tra chi ritiene di affermare l’identità e chi viene accusato di volerla annientare, tra chi presume di tutelare la vera ed unica identità e chi viene tacciato come il paladino della non-identità. Una concezione che esclude ogni collaborazione con le agricolture di altri Stati, considerate come nemiche da combattere. Il tutto condito di una diffusa avversione alla scienza, dettata spesso da timori egoistici e paure millenaristiche; avversione che impedisce l’innovazione.

La nuova ruralità è un’innovazione sociale

L’innovazione, infatti, non si fonda sullo scambio di prodotti autarchicamente pronti e finiti, ma sullo scambio di idee. È per questo che oggi si tende a definirla come innovazione sociale. Solo mettendo insieme le idee, collaborando tra agricolture di paesi diversi, partecipando culturalmente a un processo e integrando apporti scientifici multidisciplinari, riusciamo a realizzare un’innovazione.

Come diecimila anni fa, una nuova agricoltura sta silenziosamente introducendo un correttivo di civiltà. In una globalizzazione che pare aver smarrito il senso del luogo, dagli anni settanta in poi va riemergendo un’agricoltura di servizi che pochi riescono a scorgere e a valutare nel suo significato più autentico. Un’agricoltura sociale che ricostruisce territori e comunità, sperimenta nuovi modelli di welfare, promuove inserimenti socio-lavorativi di persone svantaggiate in contesti non assistenzialistici ma produttivi. Un’agricoltura civile che reintroduce nello scambio economico il mutuo aiuto e la reciprocità delle relazioni interpersonali.

Ancora una volta sono le donne a guidare questo processo di innovazione: non a caso la loro presenza è significativa proprio nelle attività agricole di servizi. Questa nuova agricoltura non mette in alternativa la dimensione territoriale e quella dell’internazionalizzazione. Non si chiude a riccio contro le multinazionali, l’industria, il commercio, i servizi, la ricerca, la scienza. È consapevole  che la rivoluzione tecnologica in atto offre enormi opportunità per individuare percorsi di sviluppo, costruire reti che si diramano nei territori e nel mondo.  L’importante è restare fedeli a se stessi, alla propria vocazione: quella dell’agricoltura è produrre beni relazionali e legami comunitari e poi viene tutto il resto.

 

Fonte : afonsopascale.it apri l’articolo originale



Adoptathon day a Muratella

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SABATO 18 LUGLIO 2015 ADOPTATHON DAY A MURATELLA:

CONTRO GLI ABBANDONI ESTIVI  ADOZIONI SOTTO LE STELLE 

“Torna, per il nono anno, l’Adoptathon Day di Muratella: sabato 18 luglio –  dalle 10 a notte fonda – adozioni, consulenze, aperitivo vegano e musica per un canile sempre più vicino ai cittadini” sottolinea Simona Novi, Presidente AVCPP

Come ogni anno, il fenomeno dell’abbandono e quindi del randagismo non subisce rallentamenti: 342 i cani ed i gatti entrati nel canile di ingresso romano Muratella dal 1 giugno al 10 luglio 2015, in linea con il dato del 2013 (349 animali).

La risposta AVCPP non si fa mancare: torna la nona edizione di Adoptathon 2015, una giornata – sabato 18 luglio 2015 – dove sarà possibile adottare dalle 10 del mattino alle 17, conoscere gli animali presenti nella struttura e fermarsi in canile per una cena vegana a lume di candela.

“Quest’anno-  dopo l’incomprensibile blocco delle entrate degli animali in canile del 2014 che tanti disagi ha creato agli animali, anche smarriti, rimasti sul territorio, e ai cittadini che hanno subito aggressioni da animali randagi spaventati o che non hanno mai più ritrovato il loro cane o gatto scomparso – torniamo ad aprire Muratella per un evento che aiuterà ad incrementare le adozioni e ad avvicinare i romani al canile” dice Simona Novi, presidente dell’Associazione Volontari Canile di Porta Portese la onlus romana che dal 1997 gestisce i canili romani. “Un canile non solo luogo di accoglienza degli animali randagi, malati o feriti, ma anche di scambi culturali è in linea con il nostro modo di concepire l’animalismo e di contrastare fenomeni odiosi come l’abbandono”.

Per info, Ufficio Stampa AVCPP 331 6005643

TABELLA RIASSUNTIVA MESI 1 GENNAIO – 10 LUGLIO 2015 – 2014 – 2013

Ingresso animali

2015

2014 *blocco entrate estivo

2013

Cani

760

728

922

Gatti

470

344

419

Totale

1230

1072

1341

CANI ENTRATI NEL PERIODO 1 GIUGNO-10 LUGLIO 2015 – 2014 – 2013

Ingresso animali

2015

2014 *blocco entrate estivo

2013

Cani

186

93

214

Gatti

156

78

135

Totale

342

171

349




Riflessioni sul Social Housing

Collocato a metà strada tra l’edilizia popolare e la proprietà privata l’Housing Sociale ha l’obiettivo di fornire alloggi, di qualità, a canone calmierato con valori non oltre il 30% della busta paga.

La formula così messa a punto è rivolta a famiglie e coppie con redditi insufficienti per l’acquisto dell’abitazione a prezzi di mercato e allo stesso tempo troppo elevato per accedere alle liste di assegnazione per la casa popolare.

Perlopiù rientrano in questa fascia i giovani colpiti dal precariato, immigrati, studenti e anziani in condizioni di svantaggio economico e sociale.

La casa Social Housing prevede l’assegnazione permanente dell’abitazione con contratto di locazione residenziale 4+4 e l’opzione di riscatto da parte del conduttore.

Successivamente alla “Carta di Dublino” molti urbanisti e architetti hanno convenuto che i centri storici delle nostre città si prestano naturalmente ad interventi di Housing sociale, sia per la presenza di immobili in disuso sia per la loro origine di edilizia sociale contraddistinta dall’abbondanza di spazi aperti e di corti interne .

Ripensare le città rientra tra le sfide più rilevanti a cui rispondere nei prossimi anni resa ancora più dura per le scarse risorse, pubbliche e private, da investire nello stock immobiliare esistente, risorse esigue da condividere anche con le spese necessarie al recupero e manutenzione degli immobili di pregio storico e artistico.

Per la formulazione di un quadro più esatto dello stato di disagio in cui versano le politiche abitative in Italia ha contribuito, il 29 maggio, l’arrivo in Gazzetta Ufficiale del Decreto che da il via al programma di recupero degli alloggi IACP-ERP.

Il provvedimento mette a disposizione delle Regioni 467,9 milioni di euro per il recupero e l’efficientamento energetico degli immobili inagibili, da assegnare prioritariamente alle famiglie in regolare attesa di alloggio popolare e a quelle sotto procedimento di sfratto esecutivo.

Ora le Regioni hanno 4 mesi di tempo per elencare gli immobili oggetto degli interventi da far finanziare al Ministero delle Infrastrutture.

Le prime stime, provenienti dalla raccolta delle fonti Regionali, indicano in circa 16.400 le unità immobiliari IACP-ERP che ad oggi sono inagibili e inutilizzabili e che potrebbero parzialmente fronteggiare il disagio abitativo.

Questo dato, congiuntamente al numero degli sfratti esecutivi fornito dal Ministero dell’Interno, è stato utilizzato per il riparto dei fondi alle Regioni per poter intervenire nelle due linee di recupero manutentivo e di efficientamento energetico degli immobili individuati.

Secondo le stime di Federcasa risulta programmabile il recupero di 4.500 immobili con interventi fino a 15.000 euro nell’arco di tempo 2014-2017 e di circa 8.000 immobili con interventi fino a 50.000 euro nel periodo 2014-2024.

Alla luce del disagio abitativo misurato dai dati, 650.000 le domande di assegnazione di alloggio popolare, 150.000 richieste di esecuzione di sfratto, 77.278 i provvedimenti diventati esecutivi e 36.083 sfratti eseguiti nel 2014, è facilmente intuibile che i fondi disposti dal piano casa Lupi sono insufficienti a dare risposte adeguate al disagio abitativo in corso.

A fronte di dati così allarmanti è del tutto evidente che occorrono politiche diversificate, articolate, che favoriscano la produzione di una offerta abitativa pensata per categorie di utenti in proprietà e in affitto, in grado di rispondere alla composizione sociale mista oggi presente nelle maggiori aree urbane.

In questo senso, le politiche urbane e dell’abitare, devono essere parte integrante dei progetti di sviluppo delle città, saperne interpretare per tempo i processi di trasformazione e spezzare le contrapposizioni categoriali ricchi-poveri, giovani-vecchi, italiani –stranieri.

Dentro questa angusta cornice il Social Housing, se opportunamente sostenuto dai Fondi di Investimento per l’abitare, rappresenta un secondo pilastro, non trascurabile, per governare le politiche abitative e interpretare le nuove forma dell’abitare.

Una soluzione abitativa di tipo sovvenzionato in grado di restituire funzioni ai centri storici e integrare gli spazi urbani con nuove costruzioni realizzate per rispondere ai criteri di rigenerazione urbana in linea con le migliori pratiche europee, senza consumare suolo e con minore impatto ambientale a canoni sostenibili.

Un secondo pilastro abitativo che risponde anche alle nuove esigenze di coesione sociale e che contribuisce al rilancio delle micro economie locali.

Fonte : uniat.it apri l’articolo originale



La relazione annuale del presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione al Parlamento




Barca di Noè

Barca e mappa di RomaProponiamo il video dell’intervento e alcune riflessioni sulla relazione finale dell’indagine di Fabrizio Barca sui circoli PD della Capitale* presentata il 19 giugno alla Festa dell’Unità. Lo facciamo perché pensiamo che una ricerca avviata dal maggiore partito della città su se stesso, cominciata all’indomani della prima Ordinanza di Mondo di Mezzo, sia un argomento che interessa tutti, compresi i non iscritti e i non simpatizzanti del PD. Ed è comunque un segnale importante: come diciamo da tempo, non può esserci cambiamento se prima non si affronta la realtà e soprattutto non si fa autocritica, individuando i motivi di errori e “mutazioni genetiche”, per ricominciare a costruire su una base solida. Anche se non sappiamo quanto il coraggio dimostrato da questo pezzo di Partito riuscirà a superare l’ ostilità di quel PD – soprattutto di livello medio-alto – che da anni coltiva “il potere per il potere”. E se riuscirà a fare breccia nella totale sfiducia che la cittadinanza nutre verso i partiti tradizionali, in quel trionfo di “è tutto un magna magna” che pure ha le sue ragioni. E non sappiamo nemmeno se un tale sforzo potrà riportare in vita un modello di partito che ormai ha mostrato troppi limiti, tanto che per molti potrebbe essere definitivamente superato. E forse in questo diluvio universale è necessario provare a cercare nuove forme della politica, creando delle reti che attraversino i partiti e la società civile, per mettere insieme gli uomini e le donne di buona volontà che vogliono impegnarsi davvero per il cambiamento, al di là degli schieramenti politici di appartenenza.

di Anna Maria Bianchi Missaglia

Gli organizzatori sono stati pessimisti: le sedie messe davanti al palco erano 200, forse 300. Ne sarebbero servite 3- 4 volte tanto: per ascoltare il lungo discorso di Fabrizio Barca la gente era dappertutto, seduta per terra o in piedi, e non si è persa una parola fino alla fine. Ma il clima non era festoso, anche fisicamente si percepiva un partito diviso in due: quelli che erano venuti ad ascoltare in cerca di un segnale di speranza, e quelli che erano venuti perché tirati in ballo da un’indagine che non avrebbero voluto. E mentre Barca spiega  i criteri con cui è stata organizzata la ricerca, i questionari, i collaboratori, i dubbi, il confronto interno anche aspro, pesando le parole con la consapevolezza di chi sa che non sarà per niente facile, una parte della platea – un po’ meno della metà – fa scattare più volte l’applauso, mentre l’altra resta silenziosa, quasi gelida. Ma Barca – e Orfini, il commissario del PD romano che ha incaricato l’ex ministro della ricerca – vanno fino in fondo. La suddivisione nelle varie categorie  dei 108 circoli romani sarà dato alla fine, dopo  tutte le spiegazioni, intanto si spiegano le caratteristiche delle 6 tipologie, che vanno dai “circoli progetto”, quelli  che hanno la  capacità di coinvolgere i cittadini in iniziative per il territorio, a quelli all’estremo opposto,  denominati “potere per il potere”, dove l’interesse collettivo si è perso per strada e prevalgono gli interessi particolari  (1).  I risultati  verranno incrociati con quelli di una parallela indagine avviata dalla Federazione sui dati del tesseramento – spesso lievitato notevolmente prima delle elezioni per poi riscendere subito dopo – e si prenderanno decisioni su quei circoli considerati “dannosi” (2). Orfini e Barca prendono una posizione netta anche sul Sindaco e la sua Giunta:  Barca si augura che l’indagine  della magistratura diventi “uno strumento di lavoro anche per chi in questo momento governa la città, che ha il nostro appoggio forte e solidale per essersi distinto in maniera fortissima da tutto quello di cui abbiamo parlato” e “per aver preso decisioni “coraggiose”. L’ex ministro ne ricorda due: la chiusura di Malagrotta e la cancellazione della delibera di Alemanno sugli ambiti di riserva, quella che avrebbe continuato a spargere eruzioni cementizie e speculazioni nell’Agro romano, archiviata per sempre dall’Assessore Caudo pochi giorni dopo l’insediamento della nuova Giunta. Un appoggio che, nonostante i frequenti rimandi di Barca a riunioni al Nazareno, si distingue, come quello di Orfini, dalla posizione di Renzi riportata dai giornali nei giorni scorsi “Marino si guardi allo specchio: se è capace avanti, sennò a casa(3), a cui il Sindaco ha risposto   con la fermezza di chi è stato eletto dalla maggioranza dei cittadini romani  e   intende  andare avanti fino alla fine del suo mandato (4). Ma  a questo punto, a nostro avviso,  il PD di Orfini, dopo questo primo passo coraggioso, dovrebbe fare  quello successivo: #Mappairappresentantidelpd. Non ci si può limitare a indagare i danni del “potere per il potere” o l’inerzia della feudalizzazione del Partito limitandosi solo ai valvassini. Adesso si tratta di porsi delle domande anche sui valvassori e sui vassalli. A cominciare dai consiglieri capitolini e regionali (e municipali), mettendo in cantiere  un questionario sulla loro attività al servizio della collettività: gli ODG e le mozioni firmate per l’interesse generale (o  per quello particolare di lobbies e categorie), la  frequenza alle Commssioni, le iniziative sul territorio promosse non per scopi elettorali, le preferenze raccolte con volantini propagandistici diffusi nei consorzi “ai mezzi” con candidati del centrodestra. E anche le competenze e le esperienze accumulate, soprattutto per i figli e le figlie “d’arte”.

E, se ci fosse tempo, l’indagine sarebbe utile estenderla anche a molti esponenti che sono sulla breccia da decenni, passando da Comune a Provincia a Regione al Parlamento e che magari potrebbero, in questi tempi di crisi,  tornare in Campidoglio. Ecco, prima di tirar fuori sindaci e assessori dal solito cappello, sarebbe meglio che il PD facesse  un’accurata relazione sui candidati, per vedere se possono rientrare a pieno titolo nella categoria dei più in gamba, quelli “progetto”. E forse la relazione potrebbe consigliare di trovare  “facce nuove”  .

Ma noi  ci auguriamo che anche gli altri partiti si decidano ad avviare un’autocritica, anziché scatenare rese dei conti interne – la principale attività della sinistra – o scagliarsi contro il Sindaco facendo finta di dimenticarsi  che Mafia Capitale non riguarda solo il PD, ma soprattutto il centro destra. E non guasterebbe  che  anche i Cinquestelle, tra i pochi che possono vantare un passato fuori dai giochi (e un presente di notevole impegno) prendessero l’abitudine al dibattito pubblico, con gente  in carne ed ossa e non solo sul web, imparando a discutere anche con quelli che non sono “fedeli alla linea”.  E Alfio Marchini, con il suo neopartito moderato dall’oscillante identità tra destra e sinistra, con  un programma elettorale (in realtà mai presentato) davvero minimalista – decoro, buche, mobilità, panchine – sarebbe ora che prendesse una posizione sui temi un po’ più impegnativi  e di più ampio respiro..

Noi di Carteinregola da sempre lavoriamo su fronti in cui dovremmo trovarci fianco a fianco con i partiti che hanno a cuore l’interesse collettivo. Ma ci siamo trovati quasi sempre  soli – con alcune eccezioni – e spesso davanti a un muro bipartisan eretto a difesa degli interessi particolari. Per questo  da tempo ci interroghiamo su come possiamo contribuire a un cambiamento radicale della classe politica romana, pensando a un rinnovamento profondo di cui diventi parte attiva anche la società civile, facendosi ponte per il confronto tra le parti migliori di tutti i partiti (quelli che ci stanno). Senza pensare di poter cancellare diffidenze e differenze anche profonde, ma per provare a riscrivere delle regole democratiche condivise da schieramenti diversi. Per ripartire dalle persone, uomini e donne che vogliono fare politica per il bene collettivo, che per fortuna ci sono ancora. Molti erano alla Festa dell’Unità ieri sera, molti sono in altri partiti, moltissimi sono “cani sciolti”. Tutti insieme possono – possiamo – cambiare.

> vai alla pagina con i video della presentazione e l’intervista di Barca del vicedirettore del fatto Quotidiano Stefano Feltri

le tipologie di partito mappailpd

I risultati della mappatura dei circoli romani del Partito Democratico

scarica la relazione Presentazione-mappailpd-roma

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Il video della  presentazione della Relazione di Fabrizio Barca (> vai alla pagina con i video dell’intervista di Stefano Feltri)

 

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Mafia Capitale” o della caduta dal pero Per la rinascita politica e morale della sinistra a Roma. Le radici politiche di una degenerazione annunciata. La formazione già avviata di un blocco moderato per la riconquista della città. La sinistra dormiente ancora  rinchiusa nei propri orticelli. La presenza dell’opposizione del M5s
di Aldo Pirone – 16 giugno 2015 (da Abitare a Roma)

Dietro Mafia Capitale La città legale senza trasparenza e partecipazione apre alla città illegale di Paolo Gelsomini 20 giugno 2015

*Nella prima settimana di dicembre 2014 il gruppo Luoghi Idea(li) ha accettato l’incarico del Commissario del PD di Roma Matteo Orfini di realizzare una ricognizione profonda, una “mappatura” dei punti di forza e di debolezza dei singoli circoli PD della città di Roma. Della loro capacità di rappresentare i bisogni e le idee dei cittadini, specie della parte più vulnerabile della città; di attrarre giovani e competenze e di sollecitare l’impegno anche dei non iscritti; di adottare metodi nuovi di partecipazione e confronto; di costruire soluzioni da proporre a chi esercita funzioni di governo; di monitorare e sollecitare in modo autonomo l’azione pubblica; di essere organizzati. Ma anche della distanza dai cittadini e dai loro bisogni; della cattura da parte di interessi esterni; di come si costruisce un feudo; in virtù della volontà di controllo di quale area di politica pubblica (e come questo limita, indebolisce e inquina la vita dei circoli); o anche solo della rinunzia a un ruolo autonomo da chi governa; o di ripetizione di riti stanchi, non ospitali, noiosi, o dell’incapacità di organizzarsi (dal sito “Luoghi ideali – amppa il PD”)
(1) utilizziamo la sintesi di Il fatto Quotidiano:

(…)Barca ha suddiviso i circoli del Pd capitolino in sei categorie. “La mappatura valuta l’azione politica del singolo circolo, le azioni realizzate, le motivazioni e gli interessi che muovono l’azione politica, nonché l’efficacia del circolo stesso”, ha spiegato l’ex ministro. In ordine dalla peggiore alla migliore: “potere per il potere” vale a dire i dannosi (27), “presidio chiuso” (2), “identità” (25), “inerzia” (17), “ponte” (28) e i circoli “progetto” (9). I circoli capitolini sono in tutto 108, di cui due chiusi prima dell’inizio dell’indagine condotta dal team di Barca. I circoli “potere per il potere” sono quelli in cui prevalgono gli interessi particolari che sovrastano quelli generali.

I circoli “presidio chiuso” sono quelli segnati da un forte degrado sociale e istituzionale in cui gli interessi cittadini vengono perseguiti ma con un approccio chiuso che blocca rinnovamento e innovazione. I circoli “inerzia catturabile” sono quelli il cui scopo è la loro esistenza e il loro tratto dominante è l’inazione, salvo durante la tornata elettorale. Si tratta di un circolo particolarmente soggetto a essere catturato da scalate esterne volte a promuovere interessi particolari.

I circoli “identità” promuovono iniziative rivolte all’esterno su temi prevalentemente di interesse nazionale. I circoli “ponte” fra società e Stato mobilitano i cittadini e incalzano l’amministrazione. I circoli “progetto” sono quelli in cui gli interessi generali dei cittadini vengono privilegiati rispetto a interessi particolari e sono perseguiti costruendo progetti coinvolgendo i cittadini nella loro attuazione.

(2)da Huffington Post (…) categoria “potere per il potere”: Sono tutti quei circoli “dannosi” per la società, che annullano gli interessi generali e dove c’è una sola persona che comanda o è l’area di uno scontro “: Aurelio Cavalleggeri, Borghesiana Finocchio, Casal Bruciato-San Romano, Casalbertone, Casalotti, Centocelle Vecchia, Cinecittà (via Flavio Stilicone), Corviale, Eur, Fidene Serpentara, Grotta Perfetta, Grottarossa (Cassia), Nuova Gordiani, Ostia centro, Ponte Mammolo, San Giorgio, Testaccio, Torbellamonaca, Tor di Nona, Torraccia, Torre Maura, Torrino, Trullo, Via Crema (Appio Tuscolano), Vigne Nuove, Villaggio Breda, XX Settembre

(3) http://roma.corriere.it/notizie/cronaca/15_giugno_16/renzi-avverte-marino-ignazio-non-stare-sereno-4b94d4aa-1414-11e5-896b-9ad243b8dd91.shtml

(4) http://www.lastampa.it/2015/06/19/italia/politica/marino-sfida-renzi-non-vado-via-voglio-restare-fino-al-UKSEP7KPQeKKrFP7ABMGMI/premium.html


Fonte : carteinregola.it apri l’articolo originale




Mafia Capitale: una slavina o un sistema?

Lo sviluppo di Mafia Capitale precipita con la cadenza di una slavina, ad ogni alzo di temperatura si porta via una parte dell’esistente, della nostra struttura sociale a cui molti si sono abituati, altri addirittura ci sono nati, e di cui non riusciamo, forse, a discernere i confini. Ci vuole una tendenza visionaria per provare “a vedere dentro” tanto sconforto.

Come sempre la Politica cerca di prendersi le prime pagine e, tante attenzioni, sono giustamente dedicate a chi ha assunto una responsabilità pubblica e con questa una visibilità e quindi una inevitabile critica anche dura sulle scelte e sugli operati.

Ma questa volta la Politica non è sola, è raggiunta da un altro protagonista, un Terzo Settore che spesso fa da grillo parlante partendo da una propria posizione in favore dei deboli e, con grande mio personale dolore, da una Cooperazione Sociale che nella sua proposta sfida il mercato, le logiche della competizione e della concorrenza in un confronto serio che propone strumenti economici diversi, letture del territorio, scelte comunitarie, insomma tutto il contrario del sentimento che ci portiamo dietro dagli anni ’80 e dalla scuola di Chicago, che hanno tifato per individualismo e competizione con risvolti di voracità: ricordate il film Wall Street in cui Gekko Gordon consiglia: “se vuoi un amico prenditi un cane”?

Questo confronto, che diventa nel panorama globale una guerra economica qualche volta guerreggiata tra i territori deboli e quelli forti e ricchi, per la produzione di alimenti o lo sfruttamento energetico o l’applicazione della Carta dei Diritti dell’uomo, per una scuola libera e diffusa o per sanità che sia cura, nel nostro piccolo, nella piccola Italia terra di frontiera, diventa vicenda del confronto, che coinvolge tutti, ci attraversa dentro e quotidianamente ci mette in contatto con le nostre contraddizioni – vedi l’evento della migrazione – arricchendosi di un nuovo protagonista, in altri luoghi non così preponderante: la Pubblica Amministrazione.

Siamo uno Stato giovane, arrivati in fretta ad una maturità ancora non sbocciata e, forse, l’ evoluzione delle coscienze e delle società presenti su un territorio nazionale così variegato e con tante diversità e provenienze antichissime, ci ha complicato l’esistenza e reso incerta e difforme una intelaiatura di servizio che in altri paesi appare certa e funzionante.

Di questa mancanza si parla poco. Mancanza di certezza, mancanza di paritetica valutazione e applicazione, di un uso strumentale dei poteri pubblici a vantaggio o a svantaggio di alcuni.

Personalmente credo invece che sia fondamentale una analisi impietosa, una rigenerazione profonda dei sistemi e degli organici, una rivisitazione delle responsabilità e dei privilegi. Se la macchina pubblica, quindi di tutti, produce incertezza e ingiustizia non sarà possibile richiamare i cittadini ai loro doveri prima che ai loro diritti.

Allego di seguito una valutazione che mi è arrivata da un amico che ha avuto ruoli importanti nella P.A. che racconta da dentro la mutazione dell’organismo/apparato della P.A. sviluppatosi negli ultimi quaranta anni. Mutazione innestata all’inizio da una degenerazione della Politica ma poi, rapidamente, vissuta in proprio con proprie autoreferenti visioni.

“…A guardia della cassaforte, si fa per dire, ci sono i guardiani-ladri, che alcuni insistono a chiamare “burocrati”. Senza di loro, i clientes beneficiari e i politici donatori sarebbero impotenti, privi di braccia operative. Chiaro, chiarissimo, quindi, che i primi pretendano di partecipare al banchetto gratuito: i soldi sono di tutti e, quindi, di nessuno. Ovvero: a portata di furto e di borseggio da parte di tutti coloro che hanno il potere di firma sugli atti contabili degli enti pubblici appaltanti. I controllori (teoricamente, chi fa le leggi!), nel loro caso, conoscono benissimo il detto “l’occasione fa l’uomo ladro”. Ed è per questo che hanno cercato un rimedio preventivo alla disonestà umana ingabbiando i controllati in una rete fittissima di norme primarie e secondarie, che rendessero trasparenti procedimenti e procedure delle gare di appalto per lavori e servizi.

Con l’ovvia conseguenza che, da un lato, si è facilitato l’ingigantimento degli organici di personale pubblico per la complessa gestione (contenziosi compresi, che rallentano di anni la costruzione di un’opera pubblica!) di quella selva fittissima di norme. D’altra parte, si sono trovati mille e uno modi per sfuggire alle suddette maglie strette della legge, ricorrendo ad esempio ad affidamenti diretti e proroghe “ad perpetuum” a beneficio dei soggetti amici di burocrati e politici. Ovvio, quindi, che i beneficiari, del tutto illecitamente favoriti rispetto alla concorrenza, a loro volta costruiscano una rete fittissima di scambi di favori e di relazioni interpersonali, che non hanno nessun discrimine politico-ideologico.

Vanno bene tutti (le amministrazioni possono cambiare di mano, purché i mediatori e percettori di denaro pubblico restino sempre gli stessi!), perché il vero bandolo della matassa è saldamente in mano, sempre e comunque, alla dirigenza burocratica apicale e intermedia, che vive della manna delle ricadute economiche originate dalle dazioni ambientali, capillari e insostituibili. Si deve dimettere, quindi, Marino? Per me, non avrebbe mai dovuto essere eletto, talmente si è rivelato non all”altezza delle situazioni! Ma la verità del ragionamento sostanziale è un’altra: come e perché i burocrati corrotti perdono magari l’incarico, ma mai il posto e lo stipendio? Quali folli norme difendono costoro? Quando si metterà mano, in Costituzione, per equiparare lavoro pubblico e privato, liberando così lo Stato da un’enorme zavorra di pesi morti? “

Eugenio de Crescenzo