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#TuttoATorpigna. Cinema, teatro, musica, mercatini, incontri ed eventi

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È partito lo scorso 23 Dicembre con l’inaugurazione della luminaria I LOVE TORPIGNA il cammino di #TuttoATorpigna. Il progetto del Comitato di Quartiere Tor Pignattara che fino al 31 Gennaio 2015 animerà il quartiere con un programma di cinema, arte, cultura, teatro, musica, mercatini d’artigianato, incontri ed eventi a sorpresa. Una vera programmazione culturale frutto della sinergia fra il Comitato (responsabile del progetto) e le associazioni di promozione culturale La Cattiva Strada (che gestiscono il Teatro Studio Uno) e Bianco e Nero (autori del festival del cinema migrante Karawan). Il progetto ha vinto il recente bando per attività culturali emanato dal Municipio Roma V (che patrocina l’evento).

#TuttoATorpigna si pone l’ambizioso obiettivo di offrire una programmazione culturale di qualità ad un territorio che non l’ha mai avuta.

Lo fa attraverso l’evento CantinaImpero (Bianco e Nero) che intende omaggiare il Cinema Impero attraverso un viaggio nella Storia del Cinema, mostrando i capolavori che venivano proiettati nella storica sala di quartiere negli anni anni in cui era aperta (dagli anni ’30 alla fine degli anni ’70). Un modo “allegorico” per mostrare che quella voglia di cinema c’è ancora, che quella magia può ancora tornare a vivere. Si parte con il cinema classico hollywoodiano e in particolare la commedia americana di Lubitsch, Wilder e Sturges.

Lo fa attraverso l’evento Torpigna Street music fest, un viaggio musicale con le migliori realtà presenti e operanti nel territorio, e non solo, che si esibiranno rigorosamente live e rigorosamente all’aperto.

Lo fa attraverso l’evento Torpigna Street theater fest (La Cattiva Strada), un viaggio nel mondo del teatro con spettacoli per bambini, per adulti e per tutti. L’evento si svolgerà all’aperto e gli spettacoli seguiranno la performance musicale.

Un posto d’onore non poteva non essere lasciato alla Street art che da qualche mese sta dando nuova luce al quartiere grazie al lavoro della galleria Wunderkammern, del progetto M.U.Ro e del progetto I Love Torpignart del Comitato di Quartiere Tor Pignattara. Durante il mese di Gennaio, infatti, verrà inaugurato un nuovo murales eseguito dal duo Carlo Lanzillotta e Stefano Roiz.

E poi eventi collaterali, come il mercatino delle artigiane di quartiere, un incontro dibattito sulla nouvelle vague dei gestori delle sale cinematografiche e infine, 40 volte Pier Paolo, due proiezioni speciali (Mamma Roma e Accattone) per ricordare il grande intellettuale italiano a 40 anni dalla morte.

Infine non mancheranno gli eventi a sorpresa a seconda della disponibilità di artisti e location.

#TUTTOATORPIGNA
è un progetto del Comitato di Quartiere Tor Pignattara
in collaborazione le Associazioni La Cattiva Strada e Bianco e Nero
con il patrocinato dal Municipio Roma V, Assessorato alla Cultura

PROGRAMMA PROVVISORIO

Dicembre 2014

Sabato 27 Dicembre | Teatro Studio Uno

Dalle 16.00 – Mercatino delle artigiane di quartiere
Ore 17.00 – Vogliamo Vivere (1942) di Ernst Lubitsch
Ore 19.00 – Fra le tue braccia (1946) di Ernst Lubitsch
Domenica 28 Dicembre | Teatro Studio Uno

Dalle 16.00 – Mercatino delle artigiane di quartiere
Ore 18.00 – L’ottava moglie di barbablu (1938) di Ernst Lubitsch
Ore 20.00 – Concerto de La Nuova Banda della Marranella

Gennaio 2015

Lunedì 5 Gennaio | Parco Almagià

Ore 18.00 – Torpigna street art fest: Inaugurazione lavori il murales
Martedì 6 Gennaio | Parco Almagià

Ore 16.00 – Spettacolo teatrale per bambini La Ballata di Natale de l’Arcadia delle 16 Lune
Ore 17.00 – Concerto dei Traindeville
durante il concerto – Befana all’Almagià: distribuzione di dolci, caramelle e carbone a tutti i bambini
Sabato 10 Gennaio | Teatro Studio Uno

Dalle 15.00 – Mercatino delle artigiane di quartiere
Ore 15.00 – I Dimenticati (1941) di Preston Sturges
Ore 16.40 – Front Page (1974) di Billy Wilder
Domenica 11 Gennaio | Piazza Perestrello

Ore 17.00 – Spettacolo teatrale “Primi passi sulla luna” di Andrea Cosentino
Ore 18.00 – Concertino romantico de La nuova banda della Marranella
Lunedì 12 Gennaio | Parco Almagià

Ore 18.00 – Inaugurazione murales del duo Carlo Lanzillotta e Stefano Roiz
Sabato 17 Gennaio | Teatro Studio Uno

Dalle 15.00 – Mercatino delle artigiane del quartiere
Ore 15.00 – Arianna (1957) – Billy Wilder
Ore 17.00 – A Qualcuno piace caldo (1959) di Billy Wilder
Domenica 18 Gennaio | Largo Pettazzoni

Ore 17.00 – Spettacolo teatrale AB HOC ET AB HAC di Danile Parisi
Ore 18.00 – Concerto de Torpigna Blues
Sabato 24 Gennaio | Piazza fra Via Cencelli e Via Baracca

Ore 17,00 – Spettacolo “I tre porcellini” compagnia Divisoperzero
Ore 18.00 – Spettacolo musicale (in corso di definizione)
Domenica 25 Gennaio | Piazza del mercato Laparelli

Ore 17.00 – Daniele Fabbri Stand up comedy
Ore 18.00 – Spettacolo musicale (in corso di definizione)
Sabato 31 Gennaio | Teatro Studio Uno

Dalle 15.00 – Mercatino delle artigiane del quartiere
Evento Speciale: “Quaranta volte Pierpaolo”. In ricordo del grande intellettuale italiano a 40 anni dalla sua morte
Ore 15.00 – Proiezione del film Accattone
Ore 17.00 – Proiezione del film Mamma Roma

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Lamezia Terme (CZ) – Labor giovani: ‘Le periferie sono il futuro della città’

segnaletica-periferie.jpg-359x240“Scuole abbandonate che diventano centri ricreativi, spazi verdi che tornano al loro splendore, strade secondarie e di montagna che tornano percorribili e funzionali: questo sarebbe stato il regalo che avremmo voluto trovare sotto l’albero, poiché una città è tale se è unita dal cuore alle sue propaggini”. Così a pochi giorni dal natale i ragazzi di Labor Giovani su quella che è la realtà della città di Lamezia Terme. “Abbiamo focalizzato la nostra attenzione – prosegue la nota – su questo argomento sviluppando un reportage che riguarda le zone più degradate di Lamezia Terme. Vorremmo viverla e raccontarla nella sua omogeneità ma non possiamo far altro, invece, che guardare nostro malgrado la sua geografica discriminazione. La nostra è una città splendida ma estremamente fragile, sotto molti punti di vista : sociale, economico, culturale, colpita a morte negli ultimi anni nel suo apparato produttivo e occupazionale, delicata inoltre e sopratutto anche dal punto di vista ambientale, geologico e urbanistico. Probabilmente troppo disordinata, quasi ‘anarchica’ in alcuni punti della città. Alcune sue zone manifestano ormai da tempo immemorabile profonde difficoltà dovute a evidenti falle nella manutenzione e nel recupero delle stesse da parte degli organi competenti. Far rinascere le periferie significa integrarle e fonderle con le attività, le idee e le strutture pubbliche centrali, con i bisogni dell’intera comunità al fine di non inquadrarle unicamente come un riflesso sfocato del centro cittadino. Un “fare centro dai margini”, riportare occasioni, luoghi, forme di centralità urbana nel tessuto periferico, riconfigurandolo nella sua complessiva dimensione urbana, reinterpretando le periferie come “cluster creativi”: luoghi ibridi, mutevoli e multiformi capaci di essere potenti motori progettuali dell’innovazione sociale ed urbana. La periferia come di un luogo dell’assenza: di storia, di regole, di significato, di qualità, di identità; ma anche come di un luogo della perdita: qui la città perde l’articolazione degli spazi aperti e del suolo, perde lo storico rapporto tra il cittadino e la città stessa. La periferia risulta una “linea d’ombra”, qualcosa che sta aldilà, della ferrovia, del fiume, dell’autostrada; una “soffitta” dove, a partire dallo sviluppo della città moderna, si è depositato in modo confuso ciò che la città ha via via scartato ed espulso; un “magazzino” di progetti e idee che si sono accostate senza mai consolidarsi per divenire pervasive; un “posto di frontiera” tra città e campagna, senza radici ma nemmeno prospettive. Noi vogliamo che si vada oltre questo concetto e che la periferia diventi linfa vitale per la città. Ciò significa anche svolgere e stratificare operazioni diverse e puntuali, come la riformulazione dello spazio urbano, dello spazio fisico che non può prescindere dall’ascolto dello spazio sociale e nemmeno dalla rilettura dello spazio delle idee che vi sono in esso. Descrivere, ascoltare e rileggere aiuta a esplorare la superficie dello spazio periferico e a elaborarne una più profonda conoscenza, necessaria premessa alla sua trasformazione. Esistono situazioni dove alcuni cittadini convivono con impianti idrici a penzoloni tra gli alberi e guardrail, con i cassonetti colmi e maleodoranti sotto casa; zone dove i bambini non possono giocare in quanto non esistono aree a loro adibite. Dobbiamo superare gli ostacoli e le varie forme di degrado. Come quello di sentirsi abbandonato nel profondo, svalutato nella propria quotidianità, lasciato alla mercede di istituzioni indifferenti ai problemi primari tra i quali strade impraticabili a causa di una manutenzione assente e dal pattume che ne ostruisce il passaggio, oppure quando il cittadino è privato della propria dignità, rassegnato all’idea di non essere parte integrante di un disegno comunale che dovrebbe essere, forse utopisticamente per tutti”.

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Dalla legge di Stabilità un piano per l’edilizia sociale

Assegnati 400 milioni per attuare gli interventi stabiliti dal Piano Casa varato a marzo

La legge di Stabilità muove qualche passo verso due delle tante urgenze a cui la politica è chiamata a dare risposte. Nasce un piano nazionale per la riqualificazione sociale e culturale delle aree urbane degradate (leggi l’articolo) e si mettono a disposizione risorse per l’edilizia sociale. La rigenerazione delle periferie e l’emergenza casa sono nel mirino della manovra 2015, che riserva ai due temi mirati stanziamenti.

Ai 50 milioni di euro per il 2015 per progetti che affrontino i problemi di marginalizzazione e degrado sociale e ambientale delle periferie, si aggiunge uno stanziamento pluriennale «per l’attuazione del Programma di recupero e razionalizzazione degli immobili e degli alloggi di edilizia residenziale pubblica (ERP)».

Si tratta di risorse che servono per realizzare gli interventi previsti dal DL 47/2014 sull’emergenza abitativa (Piano Casa), che riguardano il recupero e l’efficientamento energetico di immobili e alloggi di edilizia residenziale pubblica, di proprietà dei comuni, degli Istituti autonomi per le case popolari e di altri enti di edilizia residenziale pubblica, che possono essere resi disponibili per le assegnazioni. Vi rientrano anche gli interventi che hanno come obiettivo la creazione di servizi e funzioni complementari alla residenza, necessari a garantire l’integrazione sociale degli inquilini degli alloggi sociali

In particolare alle azioni programmate dal «Piano Casa» vanno 30 milioni di euro per ciascuno degli anni dal 2015 al 2017 e 40 milioni di euro per l’anno 2018. A tali risorse si aggiungono ulteriori 270,431 milioni di euro provenienti dalle revoche delle risorse per interventi non avviati nei termini previsti e disposte dal decreto «Destinazione Italia» (DL 145/2013).

I 270 milioni sono così suddivisi: 34,831 milioni per l’anno 2014; 6,277 milioni per ciascuno degli anni del periodo 2015-2017; 30,277 milioni per l’anno 2018; 39,277 milioni per ciascuno degli anni 2019 e 2020; 33,019 milioni per l’anno 2021; 24,973 milioni per ciascuno degli anni del periodo 2022-2024.

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Nati ai bordi di periferia

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Paesaggi scialbi, nuovi orizzonti di cemento, spazi. Fisici ma anche mentali. Capacità di trovare nuovi modi per superare, saltare, aggirare gli ostacoli che si trovano quotidianamente davanti, di aprire nuovi percorsi nell’ambiente circostante, di attribuire significati alternativi e senso ai luoghi marginali in cui si vive, di ricercare la bellezza dove manca: è l’immagine perfetta dello spirito di adattamento di una intera generazione nata e cresciuta ai confini delle metropoli, fatti di palazzi moderni, pochi servizi e scarsa manutenzione degli spazi pubblici. Dove mancano possibilità, speranza e futuro.

Descritti ne L’atlante dell’infanzia (a rischio) – Gli orizzonti del possibile, il dossier di Save the Children che fa un viaggio attraverso le città, le strade, i quartieri, le stanze e altri luoghi di vita dell’infanzia, partendo dal presupposto che le città, a seconda della loro conformazione, possono rappresentare o una minaccia per la loro salute oppure una straordinaria occasione di sviluppo. E cioè: la qualità delle abitazioni, la progettazione dei quartieri, la densità e l’allocazione del suolo, l’accesso agli spazi verdi e alle infrastrutture, le aree ricreative, le piste ciclabili, la pulizia dell’aria, l’inquinamento acustico e l’esposizione a sostanze inquinanti influiscono sul benessere dei minori.

Negli ultimi decenni, è cresciuta l’età in cui è permesso stare fuori casa da soli, è diminuita la varietà e la qualità complessiva dei luoghi pubblici nei quali ai bambini è concesso muoversi e sembra aumentare l’insofferenza degli adulti nei confronti dei giochi dei piccoli i quali pagano la scarsità degli spazi ludici con l’assenza di “occasioni di gioco libero, auto-governato e non gestito da adulti e da essi finalizzato”.

Deficitarie di parchi e giardini, piste ciclabili e aree pedonali, più presenti al Nord che al Centro-sud, le città offrono la strada come unico spazio possibile, sebbene, da un lato favorisca, appunto, la mobilità del bambino, dall’altro ne configura il suo filo spinato con effetti preoccupanti sulla salute. Il divieto di giocare in strada, infatti, ne limita l’autonomia, la possibilità di trovare nuovi amici, di sperimentare l’avventura e di attivare processi di crescita.

Così, la contrazione degli spazi dedicati mantiene in auge le classiche attività praticate nei vicoli, tipo nascondino, acchiapparella, mosca cieca, campana, il gioco dell’elastico, biglie, pallavolo. Gli ascensori delle palazzine delle periferie, i carrelli dei centri commerciali adiacenti sono stati introdotti nel repertorio delle cose con cui giocare per riscattare il nulla che li circonda. E le attività sulla strada sono sempre più destrutturate, non basate sul risultato ma aperte alla creatività e al valore del lavoro di gruppo. In questi contesti, però, gli operatori osservano la “precoce perdita della dimensione infantile e della sua necessaria spensieratezza” e la “contrazione dei tempi dell’adolescenza”.

Crescere in contesti di marginalità urbana e disuguaglianza spaziale vuol dire partire da una oggettiva condizione di svantaggio: riduce gli spazi dei bambini di incontro con il mondo, le possibilità di apprendimento, le occasioni di nutrimento culturale e sociale. E in seguito al graduale processo di allontanamento dagli spazi pubblici e dalla strada, le case sono diventate, per la prima volta nella storia, il più importante habitat dell’infanzia, oltreché un potente indicatore di salute.

Settecento mila bambini vivono in appartamenti poco luminosi, un milione e trecentomila in abitazioni con problemi di sovraffollamento (per Eurostat, quando più di due bambini sotto i dodici anni o due adolescenti di sesso diverso, si trovano a dover condividere un’unica stanza), due milione e duecentomila in case umide, con tracce di muffa sulle pareti e sotto soffitti che sgocciolano. Le conseguenze, oltre che fisiche, sui minori che vivono negli alloggi situati nelle aree marginali delle città sono psichici: pochi arredi, ripetitivi e carenti per forma e varietà di colore, che dovrebbero avere un senso, invece, “sottraggono loro opportunità di manipolare e organizzare le proprietà visive dell’ambiente e di strutturare percettivamente e discriminare le sfumature di quel dato ambiente”.

Tanto più che lo spazio dove si cresce non è mai neutro, può, appunto, avere un ruolo di sviluppo oppure essere un potente fattore regressivo. Anche perché i bambini attribuiscono un’importanza strategica ai luoghi in quanto spazi di rapporto con gli adulti e con le proprie possibilità più intime, diventando lo spazio sociale necessario in cui affermare la propria identità. “C’è qualcosa che permea la polis, le famiglie e la scuola insieme: tutti sembrano incapaci di trovare modi di una presenza adulta non ingerente, discreta, che lasci a sé senza abbandonare”, ha detto Mario Rossi Doria, maestro di strada, che di politiche educative e insegnamento in quartieri difficili ne ha un certa infarinatura.

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Il giornalismo al tempo dei Google Glass

Nonostante i ritardi nel lancio e le perplessità, gli smartglass di Big G potrebbero cambiare molte attività dell’uomo. Robert Hernandez, giornalista pioniere del web e professore associato all’università della California del sud ha lanciato dei corsi per studiare nuovi linguaggi di comunicazione con gli occhiali intelligenti. Lo abbiamo intervistato

IL 2014 non è stato l’anno dei Google Glass. Probabilmente non lo sarà nemmeno il 2015. Gli occhiali “intelligenti” prodotti da Google ritardano l’arrivo commerciale sul mercato. Analisti e appassionati s’interrogano sul futuro di uno dei gadget che negli ultimi tempi ha attirato di più l’attenzione sulle tecnologie indossabili, ben prima che Apple svelasse il suo Apple Watch. Eric Schmidt, presidente del consiglio di amministrazione di Google, in un intervento alla conferenza FT Innovate a New York, ha confermato che i Glass saranno commercializzati “quando pronti”. Resta quindi disponibile la versione Explorer (per sviluppatori), che è attualmente proposta in USA e Gran Bretagna a 1500 dollari.

Anche se l’impressione è che Google non voglia abbandonarli, le incognite relative ad alcuni aspetti legali e sociali stanno forse contribuendo in maniera decisiva a rallentare l’approdo dei Google Glass sul mercato. Negli USA si sono registrati diversi episodi di insofferenza verso chi indossava gli occhiali. Alcune attività commerciali (tra cui diverse catene cinematografiche) ne hanno già vietato l’utilizzo. Anche nei ristoranti l’accoglienza non è stata delle migliori. A Seattle un ingegnere informatico è stato messo alla porta in un pub mentre fotografava i piatti con gli occhiali, per ragioni di privacy. Non va meglio a chi ha provato a utilizzarli alla guida: multe e proposte di legge per vietarli sono arrivate in California e Illinois.
La natura stessa dei Google Glass, che di fatto sono il primo esperimento di “wearable device”, lascia quindi aperti parecchi interrogativi sul futuro di questo dispositivo, con una regolamentazione ancora tutta da immaginare. I punti a favore, però, non mancano. Le possibilità offerte dagli occhiali di Google in diversi settori li rendono uno strumento che, seppur acerbo nella versione attuale, può risultare utile e innovativo in diversi campi: dalla medicina all’industria, dalla comunicazione al giornalismo. Proprio nel giornalismo la sperimentazione ha portato negli Stati Uniti alla nascita di un corso di Glass Journalism. A idearlo è stato Robert Hernandez, giornalista pioniere del web, professore associato alla USC Annenberg School for Communication and Journalism, l’università della California del sud. Hernandez è stato direttore dello sviluppo del Seattle Times, dove si è occupato anche della creazione di strumenti e applicazioni per la fruizione del giornalismo da parte dei lettori. Con la sua classe, in pratica, sta studiando nuovi linguaggi di comunicazione giornalistica attraverso quegli strumenti tecnologici indossabili.

Ma i ragazzi del corso (oltre ai giornalisti ci sono anche sviluppatori, designer, hacker e giovani imprenditori) fanno anche altro. Studiano, in una sorta di brain storming permanente, nuovi modelli di business per chi produce informazione. I primi risultati hanno portato al rilascio di una glassware (così si chiamano le app per i Google Glass) che include un feed di notizie dei principali quotidiani americani ottimizzato per lo schermo dei Google Glass. C’è anche un motore di ricerca audio, che intercetta le parole dette in una conversazione e restituisce informazioni di attualità sull’argomento.

Gli smartwatch e gli smartglasses, con l’avvento di giganti come Google e Apple, saranno gli smartphone di domani. E chi oggi fabbrica notizie sta già pensando a come costruirle con nuovi linguaggi e veicolarle attraverso queste piattaforme. Il corso di Hernandez cerca di immaginare l’idea che fra tre o cinque anni giornalisti, editori e lettori avranno dell’informazione. Lo abbiamo intervistato per capire se la “wearable technology” cambierà il modo di produrre le notizie e quello degli utenti di riceverle.

Come sta andando il corso e come è nata quest’idea di portare i Google Glass in un’aula universitaria?
“Procede bene. La cosa che mi piace è che è una classe eterogenea, non ci sono soltanto giornalisti. Questo complica un po’ le cose nell’organizzazione, ma è anche molto stimolante. Le nostre diversità si fondono e diventano la forza del gruppo. L’idea mi è venuta dopo aver partecipato a un contest e aver vinto un paio di Google Glass. Ho cominciato a parlare con altre persone, sviluppatori e giornalisti, e ho capito che approfondire sarebbe stato utile. Non c’è un programma specifico, ci sono linee guida da seguire, ma i ragazzi sono collaborativi e lavoriamo bene insieme”.

Che cosa fate nello specifico?
“I ragazzi sono tutti intorno a un tavolo. Procediamo come in un team. Nessuno dice all’altro quello che deve fare. Cerchiamo di pensare insieme quello che il giornalismo potrà essere fra qualche tempo grazie allo sviluppo delle tecnologie indossabili”.

A che tipo di progetti lavorate?
“Ne stiamo seguendo due. Ci concentriamo sulla creazione di contenuti con i Google Glass, ma anche sulla fruizione di questi contenuti attraverso gli occhiali. Pensiamo al giornalista, ma anche all’utente che s’informa”.

Che tipo di contenuti giornalistici si possono immaginare sul piccolo schermo dei Google Glass?
“Ci è sembrato subito chiaro che non si potranno portare i titoli delle news o i video del New York Times o del Guardian su quel piccolo schermo. Va ripensato il linguaggio e la fruizione della notizia. I Google Glass sono adatti a visualizzare delle micro storie, magari costruite con un linguaggio specifico. Possono essere uno strumento utile anche per le breaking news, a patto che i giornalisti pensino, in fase di realizzazione della notizia, al supporto con il quale l’utente le riceverà”.

Possono essere immaginati come uno strumento di passaggio tra la ricezione dell’informazione e il suo approfondimento?
“Credo proprio di sì. Insomma ricevere una notizia sullo schermo dei propri occhiali è la cosa più immediata che ci sia. Poi ognuno di noi potrà decidere se approfondire ciò che ha letto o ascoltato. Magari tirando fuori dalla tasca il proprio smartphone. Sarà compito di chi produce informazioni rendere interessanti quelle poche righe per portare chi riceve la notizia fino al suo approfondimento”.

Attualmente è più difficile realizzare applicazioni per produrre giornalismo con i Glass o per ricevere notizie?
“Noi pensiamo a sviluppare entrambe. Certo, in questo momento la seconda categoria ha un pubblico più ampio. Ci sono pochi giornalisti che utilizzano i Google Glass per il proprio lavoro. In generale il successo di questa piattaforma, per ora, è relegata ad un 10% di chi utilizza gli occhiali. Gli altri sono giornalisti, geek, appassionati e non ti danno una reale sensazione di come strumenti come i Google Glass vengono percepiti dalla gente comune”.

Qual è la qualità più importante degli smartglasses attuali come supporto per chi fa giornalismo?
“Attualmente i vantaggi sono relativi alla narrazione di un fatto e al linguaggio. Nessuno strumento ti consente un punto di vista così personale come una telecamera e un microfono su un paio di occhiali. Anche nell’utilizzo la possibilità di scattare foto e registrare video senza utilizzare le mani è utile per chi produce contenuti giornalistici. Ci si concentra sul momento da cogliere, sulla storia da raccontare. Questo in certe situazioni è un privilegio”.

In Italia il direttore della Stampa, Mario Calabresi, ha intervistato il primo ministro Renzi con i Google Glass. Come valuta strumenti simili nella realizzazione di interviste?
“Credo siano un buon supporto per le interviste. La possibilità di ricevere in diretta domande da porre all’intervistato o il mostrare ciò che osserva mentre risponde sono elementi che innovano il modo di realizzare un’intervista. L’evoluzione di questi occhiali smart con telecamere migliori e microfoni sempre più precisi apriranno tantissime nuove possibilità per i giornalisti”.

Quando sentiremo parlare di “Glass Journalism” con più frequenza?
“E’ difficile da dire. Io stesso pensavo che i Google Glass potessero arrivare sul volto di molti americani già in questi mesi. Ma le esigenze del mercato e qualche ritardo da parte di Google hanno cambiato le cose. Oggi negli Stati Uniti non tutti hanno una visione positiva di questi strumenti. Molti li considerano gadgets per ricchi o peggio occhiali per spiare le persone. Invertire questo trend non sarà facile. Gli smartglasses sono una categoria di prodotto del tutto nuova. Questo è un elemento che chiaramente ne penalizza la diffusione. Però l’accordo di Google con Luxottica per la produzione di modelli più commerciali è una giusta intuizione. Ci vorrà del tempo, credo tra i tre e i cinque anni. Se diventeranno uno strumento diffuso come i telefoni o i tablet, sono pronto a scommettere che saranno fondamentali anche per il futuro del giornalismo”.

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Sette mosse per farsi finanziare con successo dal crowd

Le campagne di crowdfunding di successo non sono improvvisate. Pianificazione, test e cura dei dettagli sono le chiavi per aumentare le chance che la propria campagna abbia successo.

Affinché una campagna di crowdfunding abbia successo, non basta avere un buona idea (anche ottima), scegliere una piattaforma e caricare la propria presentazione e magari un video. E’ necessaria un’accurata pianificazione che in grado di massimizzarne la comunicazione.

Ecco allora alcuni suggerimenti chiave, tarati per una campagna di reward (o di donation) crowdfunding, ma adattabili anche a una campagna di equity. Non sono di per sè garanzia di successo, ma mi auguro siano utili almeno a massimizzarne l’opportunità.

Coinvolgere il team
Nessun uomo è un’isola e chi tenta di eseguire una campagna di crowdfunding di successo da solo rischia molto. Il crowdfunding richiede energia e impegno totale. Coinvolgere un team con ruoli e responsabilità definite non solo distribuisce il carico, ma aumenta anche la portata del progetto in modo esponenziale.

Il Piano di Marketing
Il successo deriva dalla pianificazione: la pianificazione della campagna, la pianificazione del messaggio, la pianificazione del mercato. Il suggerimento chiave è identificare bene i propri contatti, quelli che si possono riuscire a coinvolgere con i propri mezzi e con quelli del team (indirizzi email, amici su Facebook, follower su Twitter…) e capire il modo migliore per comunicare con loro. La pianificazione inizia con l’identificazione della potenziale portata del proprio network per poi segmentarlo in gruppi. A questo punto è il caso di definire un tipo di messaggio diverso per ogni gruppo, in modo da poterne testare diverse varianti prima di lanciare la campagna ed così essere preparati a rivedere il contenuto della comunicazione prima, durante e dopo la campagna.

Test e risposte
Il vostro messaggio potrebbe piacervi molto ma potrebbe non suonare agli altri nello stesso modo. E’ opportuno allora testare tutto il materiale, a partire dal video del progetto, attraverso e-mail e tweet. Questo consente di capire quali testi nell’oggetto ottengono i migliori tassi di apertura e quale contenuto genera il maggior numero di clic. Per evitare “il pregiudizio degli amici”, è utile chiedere sia a persone conosciute che non conosciute, magari attraverso questionari via e-mail e/o indagini telefoniche. Tutto ciò garantisce di veicolare i messaggi giusti alle persone giuste, e di assegnare il corretto valore ai premi.

“Riscaldare” il crowd
Questo è un fattore cruciale per raggiungere l’obiettivo di raccolta nel più breve tempo possibile. Il team deve iniziare a comunicare con alcuni gruppi almeno tre mesi prima del lancio della campagna e aumentare gradualmente le comunicazioni quando la data di lancio si avvicina. Il team deve poi continuare a comunicare con tutti coloro che hanno manifestato interesse facendo sì che tengano alto l’entusiasmo e che siano pronti a impegnarsi con i propri soldi al momento lancio. La chiave qui è segnalare al proprio “crowd” in che giorno e a che ora la campagna sarà on line in modo che i sostenitori mettano a disposizione i propri fondi non appena si parte e siano così entusiasti nel momento del lancio da pubblicizzarlo e diffonderlo presso i propri network e da continuare a farlo anche nel corso della campagna.

Capire come raggiungere l’obiettivo
In molti casi, le campagne di crowdfunding consentono di raccogliere i fondi solo se si è raggiunto il target. Quindi è fondamentale fissare obiettivi di raccolta realistici. Identificate i vostri sostenitori (o gruppi di sostenitori), stimate quanti fondi ogni sostenitore o gruppo è disposto ad impegnare, e fate in modo che il vostro obiettivo non sia superiore a questo totale. Test e esaminare le vostre ipotesi come parte della pianificazione della campagna. Un modo di ottenere queste stime è di chiedere a tutti coloro che hanno manifestato interesse di indicare quanto siano disposti ad investire. Utilizzando le conoscenze acquisite nel test dovrebbe aiutarvi a definire i tassi di conversione.

Garantirsi i primi sostegni finanziari
Raramente qualcuno vuole essere il primo a mettere soldi in un progetto. Quindi è necessario qualche sostenitore che vi segua da subito in modo da validare la campagna di crowdfunding agli occhi degli altri potenziali sostenitori. Parlare con tante persone in largo anticipo sull’inizio della campagna consente di individuare quei tre o quattro sostenitori più convinti che si impegnano a fornire con certezza il massimo del sostegno finanziario. In questo modo il progetto, nel momento del lancio, appare già finanziato da qualcuno, non presenta un orrido 0 nell’ammontare finanziato, e provoca un benefico effetto rassicurante negli altri potenziali sostenitori.

Follow up
Il raggiungimento dell’obiettivo è il vero fine? Niente affatto. Il successo nella raccolta dei fondi è solo l’inizio. Ora, è vero, il lavoro sul progetto può iniziare, gli impegni di sostegno finanziario si trasformano in soldi e le idee in successo. E’ fin troppo scontato semplicemente andare avanti con il progetto. Invece, prendersi del tempo per dire grazie a tutti coloro che hanno impiegato tempo e fatica, o, a maggior ragione, hanno garantito il proprio sostegno economico può fare la differenza per il futuro del progetto. Per esempio per ottenere sostegno in occasione di un successivo round, per spingere all’acquisto o al riacquisto del prodotto, o per… garantirsi indulgenza nel caso i tempi di realizzazione del prodotto siano in ritardo.

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“Musei in strada”, l’arte colora le periferie romane

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Quindici opere del Museo di Roma, della Galleria d’Arte Moderna e del Macro, coloreranno tre Municipi della Capitale: Trullo, Ottavia e Tor Bella Monaca. Dal 15 dicembre 2014 al 15 giugno 2015, alcune piazze della periferia romana si trasformeranno in piccoli musei. Si chiama “Musei in strada” il progetto che rientra in “Roma. Gran Formato”, promosso da Roma Capitale e realizzato con Antenna International, con la collaborazione degli Assessorati alla Cultura dei Municipi VI, XI e XIV e Zètema Progetto Cultura. Sono quindici riproduzioni fotografiche su tela di opere d’arte, scelte tra grandi artisti come Pablo Echaurren, Giacomo Balla, Gavin Hamilton e Carla Accardi, per citarne solo alcuni.

“Il progetto – dice l’assessore Giovanna Marinelli – mira a ridurre la distanza fisica e metaforica che separa i Musei del centro dai quartieri periferici di Roma, con l’obiettivo di far scoprire e riscoprire il patrimonio artistico museale della capitale e rafforzare il legame culturale identitario dei cittadini alla storia della propria città”. Attraverso l’app che porta lo stesso nome dell’iniziativa (scaricabile su Google Play per Android e presto in arrivo anche su iTunes per iPhone) i telefonini diventeranno vere e proprie guide turistiche grazie al QR code presente sulle didascalie di ogni opera. Dunque, se le periferie romane si trasformano in gallerie d’arte e i cellulari in guide turistiche, questa volta, a fare le veci dei biglietti d’ingresso, saranno i selfies. Infatti, per invogliare il pubblico a visitare i Musei che custodiscono i quadri originali, sarà offerto un ingresso gratuito ai cittadini residenti che si presenteranno alla biglietteria con un selfie accanto a una delle opere esposte.

Come testimonial del progetto, sono state scelte, oltre alla madrina Simona Marchini, “persone del quartiere”, come Giulio di Pilla, il proprietario del bar del Trullo “L’alta marea”, diventato custode e “critico d’arte” per l’occasione. I quadri parlano e lo fanno grazie alle spiegazioni, visibili sull’app, di 12 testimonial legati ai quartieri; come quella di Ilaria, di 10 anni, che spiega il quadro di Filippo Gagliardi situato a Tor Bella Monaca: “tutto questo è per l’arrivo della regina a Roma. Mi piace molto perchè è bello. Poi c’è tanta allegria” o come Giovanna D’Annibale, titolare del negozio di giocattoli di Ottavia che dice, a proposito del quadro di Giacomo Balla: “Mi condiziona il titolo dell’opera – “Il Dubbio” – però il dubbio attorno a questo, io proprio non ce lo vedo!”

“Musei in strada”, dunque, si prospetta come una sfida per l’amministrazione capitolina: rilanciare e rivalutare le periferie romane grazie all’arte, dimostrando che esse sono l’anima pulsante della città. Una sfida già macchiata da alcuni atti vandalici che hanno rovinato due delle riproduzioni presenti ad Ottavia: il quadro “La velocità di motoscafo” di Benedetta Cappa che è stato incendiato e la tela “Nel Parco” di Amedeo Bocchi, sul quale sono stati fatti disegni e scritte di ogni tipo. “Atti vandalici che sento il bisogno di condannare ma, al tempo stesso, di minimizzare – dichiara Valerio Barletta, presidente del Municipio XIV – perchè quello che sta accadendo oggi nelle periferie italiane, è qualcosa di straordinario e non sarà di certo una provocazione come questa che fermerà ciò che stiamo provando a fare per far rivivere le periferie. Siamo già in accordo con l’assessore Marinelli al fine di provvedere ad una soluzione immediata per ridare completezza a questo importante lavoro, cercando di scovare e punire il colpevole, con l’aiuto dei carabinieri.”

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La Roma che verrà

1-Homepage_1slideDue iniziative di ricerca per definire il territorio urbano in maniera innovativa. Il Comune coinvolge i Municipi, 24 Università italiane e il Maxxi

Doppia iniziativa dell’assessorato alla Trasformazione Urbana di Roma Capitale in questo fine d’anno.
Il 19 dicembre si è tenuto presso la Casa della Città di Roma un incontro pubblico con l’assessore alla Trasformazione Urbana Giovanni Caudo, il vice Sindaco Luigi Nieri e il coordinatore dei presidenti di Municipio Maurizio Veloccia per anticipare i temi della prossima Conferenza Urbanistica Cittadina della capitale, prevista per i primi mesi del 2015. Negli spazi della Casa della Città sono state presentate, anche attraverso un’esposizione, le Carte dei Valori Municipali che raccontano le peculiarità territoriali da sviluppare e tutelare, le priorità e gli obiettivi relativi agli interventi da realizzare in ogni Municipio, sulla base dei laboratori pubblici aperti all’intervento dei cittadini, delle associazioni e dei comitati che si sono tenuti di recente.

Prende invece spunto dalla storica mostra Roma Interrotta (1978), il progetto Roma 20-25. Nuovi cicli di vita per la metropoli, promosso dall’assessorato alla Trasformazione Urbana di Roma Capitale e dal Maxxi – Museo nazionale delle arti del XXI secolo, con il sostegno di BNP Paribas Real Estate. Il programma prevede un anno di studio e ricerca per contribuire alla definizione del territorio urbano in maniera innovativa, coinvolgendo 24 Università italiane e internazionali chiamate a produrre idee, interpretazioni e progetti sul futuro della capitale da qui al 2025. A ciascuna università sarà affidato un tassello di una griglia geometrica che ripartisce idealmente l’estesa e diversificata area cittadina, abitata da più di quattro milioni di persone.

«Il workshop Roma 20-25 potrà diventare un luogo privilegiato di produzione di nuovi sguardi, con cui interpretare e progettare i territori contemporanei», come afferma l’Assessore Giovanni Caudo.

Sarà possibile seguire l’evoluzione del programma attraverso il sito www.roma20-25.it, una piattaforma pensata per i gruppi di ricerca coinvolti e per il pubblico più vasto che potrà interagire anche tramite Twitter con l’hashtag #Roma2025.

Nell’autunno del 2015, i progetti saranno raccolti in una pubblicazione ed esposti al Maxxi, in modo da ricomporre il mosaico della città

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“Natale salvacibo”, le cene con gli avanzi in programma a Torino

imagesEco dalle Città vi segnala alcuni appuntamenti con le associazioni e gruppi del capoluogo piemontese che festeggeranno mettendo in pratica buone azioni per evitare sprechi alimentari

Natale è ormai alle porte e molti si accingono a preparare grandi pranzi e cenoni per le principali giornate di festa. Come ogni anno, nelle cucine di case, bar e ristoranti, avanzerà sicuramente molto cibo ed è importante sapere che c’è chi si organizza e si attiva perché non vada sprecato. Torino, ad esempio, non si fa trovare impreparata. Eco dalle Città vi segnala alcuni appuntamenti con le associazioni e gruppi cittadini che festeggeranno mettendo in pratica buone azioni per evitare sprechi alimentari.

Partiamo con la cena “Non sprecare il tuo Natale” che l’associazione Culturale Radio Banda Larga organizza a La Vetreria, in corso Regina Margherita 27, il giorno di Natale. A partire dalle 20.30, infatti, chiunque può partecipare ad una serata all’insegna della condivisione di pietanze e cibi avanzati dal pranzo e che sarebbe utile e eticamente corretto non sprecare gettandolo nella spazzutura. “L’idea si rifà all’esperienza di quest’estate, quando con le Sentinelle dei Rifiuti è stato organizzato un banchetto al Bunker con il cibo recuperato dai volontari – spiega Lorenzo Ricca dell’associazione Radio Banda Larga”.
Si tratta di una serata all’insegna dello scambio e, allo stesso tempo, di raccolta fondi per sostenere l’Associazione culturale. “Si viaggia tra le cucine di tutti i presenti, si assaggiano tradizioni differenti e ci si scambia ricette”. Così l’evento anti-spreco a La Vetreria suggerisce un’alternativa sostenibile su come trascorrere la giornata all’insegna della condivisione.

E si rimane in tema di condivisione con la cena organizzata per il giorno successivo, il 26 dicembre, presso l’Associazione Il tuo Parco. Tra cibo avanzati dai grandi pranzi e cene e tombolata con regali che si desidera donare ad altri, l’associazione propone dunque un momento di incontro con i cittadini che abbiano voglia di sperimentare in concreto azioni contro lo spreco alimentare del periodo natalizio. L’appuntamento è al Tuo Parco in viale Michelotti 166, angolo via san Sebastiano Po (l’entrata è su questa via) alle ore 19.00.

Sarà proprio qui che entrerà in azione uno dei gruppi torinesi che alla condivisione di cibo scartati deve la sua nascita. Il gruppo Foodsharing che ormai da quest’estate è attivo con iniziative di recupero da ristoranti, contadini e semplici cittadini, con il fine di trasformare il cibo non solo in nuove pietanze ma anche in un momento di incontro tra persone accomunate dalla stessa sensibilità al tema del donare all’altro il cibo recuperato.

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Il Piano Città è morto, arriva la riqualificazione delle periferie: ecco come farla funzionare

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L’emendamento alla Legge di Stabilità dedicato allo Sviluppo e al Piano nazionale per la rigenerazione e riqualificazione delle periferie e delle aree urbane degradate ha il suo grosso limite negli obiettivi generici e nella mancanza di una visione. È quanto affermato dal Consiglio Nazionale degli Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori.

“L’emendamento del Governo alla Legge di Stabilità e Sviluppo che predispone un Piano nazionale per la rigenerazione e riqualificazione delle periferie e delle aree urbane degradate, con un investimento di 50 milioni per il 2015 e altri 150 per il 2016 e il 2017, sembrerebbe finalmente dare l’avvio a una seria politica di sviluppo delle città e rigenerazione delle periferie se, ancora una volta, non si volesse poi attuarla con i metodi bizantini propri della vecchia politica italiana. Il Piano nazionale sostituisce, infatti, il Piano Città del 2012, i cui limiti di visione e di organizzazione ne hanno decretato il sostanziale fallimento, riproducendone la carenza di progetto e un’assurda burocrazia nel processo di attuazione”.

Il limite dell’emendamento dedicato alla riqualificazione delle periferie è quello di definire  genericamente obiettivi e parametri di selezione dei progetti, senza una visione chiara e motivata della strategia e della sua stretta connessione con lo sviluppo sostenibile dell’Italia. In più, ripetendo l’errore fatto con il Comitato per le politiche urbane, istituisce un Nucleo di valutazione dei progetti interministeriale composto, se abbiamo fatto bene i conti, da almeno 15 persone a cui, dopo l’approvazione del bando (31 marzo 2015) i Comuni dovranno trasmettere i progetti “tempestivamente cantierabili” che saranno selezionati entro la fine di settembre per il finanziamento”.

Nel resto d’Europa, in effetti,  i Piani di rigenerazione urbana e riqualificazione delle periferie partono da una strategia precisa e condivisa, da cui discendono i principi di selezione per gli investimenti statali, gestiti da un Nucleo in cui un rappresentante del Governo, uno delle Regioni e uno dei Comuni sono affiancati da un gruppo ristretto di advisor (esperti di architettura e pianificazione, finanza di progetto, sociologia) con l’esperienza adatta per aiutare nella selezione delle priorità.

“Il Piano Città del 2012 è fallito esattamente perché non era chiara la strategia, e di conseguenza i criteri di selezione; il CEPU era troppo numeroso e composto solo di funzionari ministeriali; i progetti vecchi o allestiti senza soldi in poche settimane; i procedimenti burocratici faticosi. Così come progettato il Piano del Governo subirà la stessa sorte”.

“Chiediamo al Governo, al Senato e alla Camera di rimettere mano all’emendamento sulla riqualificazione delle periferie per non perdere l’ennesima occasione di avviare una’agenda urbana efficace”.

“Sulla base della strategia – conclude il Consiglio Nazionale –  serve poi  finanziare un parco progetti innovativi e sostenibili  che siano  seguiti da una Unità di missione o Agenzia leggera, competente ed efficiente sull’esempio delle Unità di Missione per le scuole e il rischio idrogeologico che stanno dando buona prova di sé. L’ultimo step è quello di  integrare questa politica con le azioni e i finanziamenti comunitari, così come gli architetti italiani predicano da anni.”

Con la Legge di Stabilità e il Piano nazionale per la rigenerazione e riqualificazione delle periferie e delle aree urbane degradate bisogna stabilire, in tre mesi, quale sia la strategia complessiva da attuare per i prossimi dieci anni, mettendo attorno al tavolo le intelligenze italiane con l’esperienza adatta, quelle che si occupano già di periferie.

Come maestro della riqualificazione delle periferie, gli Architetti propongono il Senatore a vita Renzo Piano.

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