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10, 100, 1000 Spiazziamoli!

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#Spiazziamoli: Mafia Capitale e il racket degli ultimi

Roma, 6 marzo 2015 – È cominciata oggi la manifestazione Spiazziamoli, 50 piazze per la democrazia e contro le mafie. Il primo appuntamento, che si è tenuto alle 9,30 al Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università di Roma Tre, è stato Mafia Capitale e il racket degli ultimi, organizzato da Link Roma Tre (sindacato universitario) in collaborazione con Libera contro le Mafie e Associazione daSud.

Hanno partecipato molti studenti, determinati a conoscere meglio il mistero celato dietro l’inchiesta che ha fatto rabbrividire il mondo intero e non solo i romani. «”La mafia a Roma non esiste” è una frase che non possiamo più permetterci», ha sostenuto Marco Genovese, referente di Libera di Roma. «Non si tratta più di piccole guerre tra bande, come sentivamo dire per gli omicidi di Ostia. E a confermarcelo è stato anche Lirio Abbate che pubblicò sull’Espresso l’articolo I quattro re di Roma».

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L’incontro si è acceso con la partecipazione di Lirio Abbate (giornalista del settimanale L’Espresso), Celeste Costantino (deputata della Commissione Affari Costituzionali, ex portavoce di daSud) e Eligio Resta (professore di Filosofia del Diritto dell’Università di Roma Tre).

DSCF2981«Spiazziamoli è un coordinamento nato spontaneamente dalla volontà di scendere in piazza per rompere il silenzio, dopo l’inchiesta di Mafia Capitale», afferma Marco Genovese.

Consapevolezza e attenzione ai fatti che accadono intorno a noi. Questo è il messaggio che Celeste Costantino ha esplicitato nel suo intervento: «Normalizzare una situazione, che è già fuoriuscita con un’inchiesta della magistratura, non è possibile. Io parto anche da un’esperienza personale… Sono tra le fondatrici dell’Associazione daSud, nata dieci anni fa in Calabria, terra dei miei natali. Spostandomi dal sud come tanti altri, chi per studio chi per lavoro, ho portato le mie conoscenze e mi sono resa conto che anche i quartieri romani erano ricchi dello stesso problema mafioso. A Roma questo ancora non c’è. Le persone che vengono dal Sud hanno invece la capacità, purtroppo, di capirlo. La parola stessa mafia a Roma non compariva come fenomeno esistente. Il primo passo di cultura politica e sociale che dobbiamo fare è proprio nominare le cose per quello che sono. Far diventare i cittadini una lente per riuscire a scoprire qualcosa che sta intorno a noi in maniera evidente».

 

“Il fenomeno mafioso è un fatto antropologico” aggiunge il professor Eligio Resta.

Mafia Capitale e il racket degli ultimo - Aula 7 - Dipartimento Giurisprudenza Università di Roma Tre

Mafia Capitale e il racket degli ultimo – Aula 7 – Dipartimento Giurisprudenza Università di Roma Tre

Qual è il metodo con cui un giovane giornalista può approcciare il fenomeno mafioso e imparare a denunciare su un giornale?

«Bisogna avere curiosità. Non basta avere una sensibilità al fenomeno e non basta informarsi. Bisogna andare a cercare ed essere curiosi. Chiedersi perché un ristorante cambia insegna ogni sei mesi e lascia gli stessi dipendenti oppure chiedersi perché è stato chiuso quel negozio. Sapere cosa succede nel tuo quartiere è importante per scoprire se il fenomeno è presente oppure no», consiglia Lirio Abbate.

Ci aspettiamo grandi interventi in questi giorni della manifestazione. Tutta Roma, dal centro alle periferie è coinvolta. In attesa del 21 marzo, Giornata della Memoria e dell’impegno in ricordo delle vittime innocenti di mafia indetta da Libera, quest’anno a Bologna (#ventiliberi), seguiamo la diretta di Spiazziamoli tramite i social network e le cronache romane.

Per partecipare basta ricevere gli inviti tramite Facebook alla pagina https://www.facebook.com/spiazziamoli?fref=ts 

Evento di riferimento

https://www.facebook.com/events/1003827039644649

foto e articolo di Elisa Longo




Il Corviale riceve il premio Formica d’oro 2015

Anche quest’anno il volontariato si è preso un giorno per presentare le buone prassi realizzate da cittadini, associazioni o enti degni di riconoscimento per le loro azioni

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Un calcio contro mafia capitale

Un calcio alle mafie. Forte e ben assestato. Da parte di chi si confronta e combatte il fenomeno della criminalità organizzata anche quotidianamente. A Corviale, va in scena una partita di calcio particolare. A mettere gli scarpini infatti, saranno proprio i magistrati. L’iniziativa si inserisce nella cornice della manifestazione “Spiazziamoli: 50 piazze per la democrazia e contro le mafie” che si svolgerà venerdì 6 e sabato 7 marzo.

UN CALCIO A MAFIA CAPITALE – Il Municipio XI, attraverso una memoria di giunta, ha aderito dell’iniziativa, indetta dalle associazioni Libera e Da Sud. Nello specifico, all’interno del territorio municipale, si giocherà una partita di pallone. E’ stata organizzata per la giornata di sabato, presso il Campo dei Miracoli di via Poggio Verde 455, a Corviale. All’evento “Un calcio contro l’illegalità contro Mafia Capitale” oltre alla  Nazionale Magistrati,  prenderà parte l’Associazione Avviso Pubblico, e l’Associazione Calciosociale.

“Con questa adesione continua l’impegno del nostro Municipio contro le mafie e l’illegalità, iniziato a novembre 2013 con l’adesione al ‘Manifesto dei Sindaci per la legalità contro il gioco di azzardo’ – ha ricordato il Presidente municipale Maurizio Veloccia – abbiamo inoltre sottoscritto  il Protocollo ‘Municipi senza Mafie ‘anche questo promosso dall’Associazione DaSud, per ribadire il nostro impegno nella diffusione dei valori della legalità e delle buone pratiche di prevenzione e controllo sui fenomeni di corruzione e illegalità.

L’IMPEGNO DEL MUNICIPIO – Sul fronte del contrasto alla criminalità organizzata, il Municipio XI si è speso in altre iniziative.”Abbiamo partecipato alla Giornata della Memoria e dell’Impegno in ricordo delle vittime delle mafie che si è tenuta il 22 marzo 2014 a Latina, ed abbiamo promosso un accordo con Libera – ha infine aggiunto Veloccia – per lanciare  percorsi di sensibilizzazione tra gli studenti del territorio”. La strada è ancora lunga. Ma qualche passo, indubbiamente, è già stato fatto.

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#Spiazziamoli a Corviale

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PARROCCHIETTA: DOVE I RAPPORTI SI COLTIVANO CON I CAVOLI

A Roma, grazie al progetto Amarcord, 17 orti urbani producono verdura biologica, ma anche amicizia, cura del territorio e salute.

Quando tutto ebbe inizio, dodici anni fa, l’orto non era neppure tornato di moda. La moglie del presidente degli Stati Uniti, Michelle Obama, non aveva ancora sdoganato la moda di coltivare broccoli e zucchine da sé, possibilmente vicino casa e rigorosamente col metodo dell’agricoltura biologica. Eppure, già a quell’epoca, l’associazione di volontariato Parrocchietta delle Gocce aveva compreso quanto possa essere rivoluzionario piantare un orto su un territorio strappato all’incuria e al degrado. Un’intuizione che questa organizzazione, figlia di un attivo quanto battagliero comitato di quartiere, ha trasformato col tempo in una parte essenziale della sua mission. Tanto che un anno fa, con il progetto Amarcord, ha fatto nascere 17 orti urbani, coltivati da pensionati e persone uscite prematuramente dal mercato del lavoro. Che insieme alle verdure di stagione hanno imparato i semi per una nuova e più fruttuosa vita.

Contro il degrado e contro la crisi
Siamo a Roma, nell’omonimo quartiere Parrocchietta, un pugno di case tra Via del Trullo e Viale Newton, nell’attuale XI Municipio (ex XV). «L’esperienza degli orti è cominciata nel 2003, quando l’associazione era stata fondata da poco, l’orticultura era considerata un’attività estremamente di nicchia e noi eravamo visti come un gruppo di stravaganti – ricorda il presidente Paolo Lugni –. All’epoca andavamo nelle scuole elementari, dove le attività di manutenzione delle strutture erano già allora piuttosto carenti, proponendo di recuperare gli spazi abbandonati per farne degli orti che i ragazzi avrebbero gestito insieme ai nonni». La creazione dell’orto andava, infatti, a coronare quello che era già l’impegno a riqualificare gli spazi lasciati al degrado proprio dell’associazione, che oggi conta una sessantina di volontari attivi a cui si aggiungono altrettanti associati che beneficiano delle varie attività ricreative.

«All’inizio gli orti rappresentavano soprattutto un modo per coltivare i rapporti intergenerazionali – riflette il presidente –. Ma poi con l’arrivo della crisi tutto è cambiato». E gli orti sono diventati meta non solo di anziani in pensione, ma anche di cassaintegrati e di persone uscite dal mercato del lavoro prima del tempo, che nel quartiere non trovavano altra chance se non il gioco delle carte al centro anziani. «I nostri non sono soltanto degli orti urbani dove gli “ortisti” lavorano ciascuno il proprio pezzo di terra – prosegue –. Perché i nostri “ortolani volontari”, oltre a prendersi cura del proprio appezzamento di terreno, si occupano anche della manutenzione degli spazi circostanti, accessibili all’intera popolazione residente. Che qui può seguire corsi di compostaggio, coltivare i fiori che poi verranno piantati nelle aiuole del quartiere o semplicemente partecipare a momenti di convivialità».

I raccolti della solidarietà
Gli orti sorgono su un terreno di pertinenza di un asilo nido, prima lasciato in disuso: circa 1.200 metri quadrati situati nella Valle dei Casali, cui dopo un po’ se ne sono aggiunti altri 800 di proprietà di un privato confinante, che ha concesso l’area in comodato d’uso gratuito all’associazione in cambio della buona manutenzione del terreno. Attualmente gli ortolani volontari sono 15, tra cui due donne, hanno un’età compresa tra i 60 e i 78 anni e nella loro vita lavorativa occupavano la posizione di impiegati, artigiani, operai non qualificati. Ma oltre agli appezzamenti personali, c’è anche un orto affidato a una cooperativa sociale che si occupa di persone con disabilità e un altro coltivato in comune e destinato a chi, nel quartiere, non riesce a sbarcare il lunario.
Le attività che ruotano attorno agli orti creano socialità
«Il “raccolto della solidarietà” viene portato nella sede dell’associazione dove poi viene consegnato alle persone in difficoltà economica – spiega Lugni –. Di solito è il presidente del centro anziani a segnalarle. Noi prepariamo delle buste, che si arricchiscono sempre dei prodotti provenienti dagli orti dei volontari». E si tratta di prodotti non solo a chilometro zero, ma anche rigorosamente biologici che gli “ortolani” hanno imparato a coltivare anche grazie al supporto di tecnici che hanno messo a disposizione le loro competenze. Un lavoro e una cura quotidiana che ha determinato un notevole beneficio personale, in termini di salute fisica e psichica. Con risultati tangibili e sotto gli occhi di tutti: «Abbiamo visto tornare il sorriso sul volto di gente indurita dalla vita – conclude il presidente –. Alcuni sono dimagriti e altri hanno diminuito l’uso dei farmaci, ma soprattutto tutti sono diventati amici e hanno trovato spazi di aggregazione, rompendo l’isolamento in cui si cade con la fine del lavoro».

Coltivando, insieme a patate, broccoli e zucchine, una nuova vita di relazione e di cura del territorio.

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Aprire una fase costituente della Capitale d’Italia

La proposta di organizzare a Roma, il 6 e il 7 Marzo, “Spiazziamoli”: 50 Piazze Contro le Mafie va sostenuta con convinzione perché è la prima iniziativa concreta con cui la società civile risponde “dal basso” allo scenario gravemente preoccupante emerso con l’inchiesta “Mondo di mezzo” e le altre indagini su ‘ndrangheta e camorra. Si tratta di “riprenderci la città” e ricomporre il tessuto sociale che il sistema mafioso ha disgregato. Deve, tuttavia, essere chiaro il quadro entro cui l’associazione mafiosa ha potuto costituirsi e proliferare: un’estrema debolezza e frantumazione della politica e dell’intera classe dirigente della città, un’impressionante inefficienza, inadeguatezza e farraginosità delle istituzioni locali, una caduta verticale delle funzioni di rappresentanza degli interessi (sindacati, organizzazioni imprenditoriali, terzo settore).   Occorre, dunque, dar vita ad un’opera di lunga lena per creare una nuova classe dirigente e per dotare Roma di istituzioni adeguate per una Capitale. Le due cose devono necessariamente marciare insieme perché l’una tiene l’altra. Si tratta di aprire una vero e proprio processo costituente che deve partire dai cittadini e dalle loro forme associative di base.

Nella Costituzione c’è scritto: “Roma è la Capitale d’Italia. La legge dello Stato disciplina il suo ordinamento”. La norma non esplicita a quale categoria di ente locale debba essere ricondotta Roma. Se si segue solo un criterio territoriale si può ricondurre Roma a uno dei livelli territoriali previsti dalla Costituzione: comune, provincia, città metropolitana, regione. Se invece si segue anche un criterio funzionale, la città di Roma è da ricondurre ad un nuovo e diverso ente locale da aggiungere ad essi. Mi sembra che il secondo criterio sia importante alla pari del primo per dare una veste giuridica adeguata alla Capitale d’Italia. Non ci si può infatti limitare alla sola dimensione territoriale, perché lo statuto giuridico della Capitale è connotato da un rapporto di immedesimazione funzionale con la Repubblica e il suo ordinamento.

Se si utilizza esclusivamente il criterio territoriale, quattro sembrano essere le possibilità su cui ragionare: 1) Roma capitale è una forma particolare di comune; 2) Roma capitale è una forma particolare di città metropolitana; 3) Roma capitale è una forma particolare di provincia; 4) Roma capitale è una forma particolare di regione. Se si prendono in considerazione sia il criterio territoriale che quello funzionale, alle quattro possibilità prese prima in esame va aggiunta un’altra ipotesi: Roma capitale è un nuovo ed ulteriore ente autonomo, diverso e non assimilabile a nessun altro.

A quest’ultima ipotesi riconducono criteri di razionalità rispondenti ai principi di sussidiarietà, differenziazione, adeguatezza, leale collaborazione, efficienza e buon andamento. A me sembra, infatti, del tutto irrazionale la scelta effettuata in questi mesi di creare una città metropolitana di Roma all’interno della quale è ricompreso il comune autonomo di Roma capitale. E questo perché quest’ultimo, in virtù della sua autonomia speciale prevista dalla Costituzione, potrebbe ben possedere poteri e competenze pari, se non maggiori, e comunque confliggenti, rispetto a quelli del “contenitore” in cui è ricompreso.

Così da un lato viene reso vano il ruolo di “supercomune” che dovrebbe svolgere la città metropolitana, in quanto il suo comune principale “sfuggirebbe”, per così dire, al suo controllo; dall’altro viene limitata l’autonomia di Roma capitale che dovrebbe fare i conti, quotidianamente, con la difficile relazione di convivenza con la sua città metropolitana di riferimento. Ne viene fuori un’organizzazione complessivamente inefficiente, inadeguata e farraginosa, tra l’altro completamente esorbitante da un’ottica sussidiaria, che rappresenterebbe l’esatto capovolgimento degli obiettivi prefigurati dal dettato costituzionale.

Si fa ancora in tempo a raddrizzare il processo avviato aprendo una vera e propria fase costituente di Roma capitale. Si tratta di lottare per trasformare i municipi in comuni autonomi e intorno ad essi sollecitare l’iniziativa dei comuni e delle comunità contermini per aderire al processo costituente che deve dar vita al nuovo soggetto istituzionale. Occorre un grande movimento dal basso per dare istituzioni dignitose a cittadini che desiderano vivere in una vera Capitale. “Spiazziamoli” può costituire una prima occasione per far crescere nelle comunità locali questa consapevolezza politica e culturale.

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Aprire una fase costituente della Capitale d’Italia

La proposta di organizzare a Roma, il 6 e il 7 Marzo, “Spiazziamoli”: 50 Piazze Contro le Mafie va sostenuta con convinzione perché è la prima iniziativa concreta con cui la società civile risponde “dal basso” allo scenario gravemente preoccupante emerso con l’inchiesta “Mondo di mezzo” e le altre indagini su ‘ndrangheta e camorra. Si tratta di “riprenderci la città” e ricomporre il tessuto sociale che il sistema mafioso ha disgregato. Deve, tuttavia, essere chiaro il quadro entro cui l’associazione mafiosa ha potuto costituirsi e proliferare: un’estrema debolezza e frantumazione della politica e dell’intera classe dirigente della città, un’impressionante inefficienza, inadeguatezza e farraginosità delle istituzioni locali, una caduta verticale delle funzioni di rappresentanza degli interessi (sindacati, organizzazioni imprenditoriali, terzo settore).   Occorre, dunque, dar vita ad un’opera di lunga lena per creare una nuova classe dirigente e per dotare Roma di istituzioni adeguate per una Capitale. Le due cose devono necessariamente marciare insieme perché l’una tiene l’altra. Si tratta di aprire una vero e proprio processo costituente che deve partire dai cittadini e dalle loro forme associative di base.

Nella Costituzione c’è scritto: “Roma è la Capitale d’Italia. La legge dello Stato disciplina il suo ordinamento”. La norma non esplicita a quale categoria di ente locale debba essere ricondotta Roma. Se si segue solo un criterio territoriale si può ricondurre Roma a uno dei livelli territoriali previsti dalla Costituzione: comune, provincia, città metropolitana, regione. Se invece si segue anche un criterio funzionale, la città di Roma è da ricondurre ad un nuovo e diverso ente locale da aggiungere ad essi. Mi sembra che il secondo criterio sia importante alla pari del primo per dare una veste giuridica adeguata alla Capitale d’Italia. Non ci si può infatti limitare alla sola dimensione territoriale, perché lo statuto giuridico della Capitale è connotato da un rapporto di immedesimazione funzionale con la Repubblica e il suo ordinamento.

Se si utilizza esclusivamente il criterio territoriale, quattro sembrano essere le possibilità su cui ragionare: 1) Roma capitale è una forma particolare di comune; 2) Roma capitale è una forma particolare di città metropolitana; 3) Roma capitale è una forma particolare di provincia; 4) Roma capitale è una forma particolare di regione. Se si prendono in considerazione sia il criterio territoriale che quello funzionale, alle quattro possibilità prese prima in esame va aggiunta un’altra ipotesi: Roma capitale è un nuovo ed ulteriore ente autonomo, diverso e non assimilabile a nessun altro.

A quest’ultima ipotesi riconducono criteri di razionalità rispondenti ai principi di sussidiarietà, differenziazione, adeguatezza, leale collaborazione, efficienza e buon andamento. A me sembra, infatti, del tutto irrazionale la scelta effettuata in questi mesi di creare una città metropolitana di Roma all’interno della quale è ricompreso il comune autonomo di Roma capitale. E questo perché quest’ultimo, in virtù della sua autonomia speciale prevista dalla Costituzione, potrebbe ben possedere poteri e competenze pari, se non maggiori, e comunque confliggenti, rispetto a quelli del “contenitore” in cui è ricompreso.

Così da un lato viene reso vano il ruolo di “supercomune” che dovrebbe svolgere la città metropolitana, in quanto il suo comune principale “sfuggirebbe”, per così dire, al suo controllo; dall’altro viene limitata l’autonomia di Roma capitale che dovrebbe fare i conti, quotidianamente, con la difficile relazione di convivenza con la sua città metropolitana di riferimento. Ne viene fuori un’organizzazione complessivamente inefficiente, inadeguata e farraginosa, tra l’altro completamente esorbitante da un’ottica sussidiaria, che rappresenterebbe l’esatto capovolgimento degli obiettivi prefigurati dal dettato costituzionale.

Si fa ancora in tempo a raddrizzare il processo avviato aprendo una vera e propria fase costituente di Roma capitale. Si tratta di lottare per trasformare i municipi in comuni autonomi e intorno ad essi sollecitare l’iniziativa dei comuni e delle comunità contermini per aderire al processo costituente che deve dar vita al nuovo soggetto istituzionale. Occorre un grande movimento dal basso per dare istituzioni dignitose a cittadini che desiderano vivere in una vera Capitale. “Spiazziamoli” può costituire una prima occasione per far crescere nelle comunità locali questa consapevolezza politica e culturale.

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