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RETE SCUOLE ALFAMEDIALI. La scuola nell’era dell’audiovisivo. La proposta alfamediale di Erice

I Maestri alfamediali di Erice

I Maestri alfamediali di Erice

La Scuola Alfamediale considera l’Audiovisivo come un “secondo alfabeto”.

Il primo, quello fonico, è il più importante linguaggio monomediale della carta, Il secondo,

quello audiovisivo, il più importante linguaggio multimediale dello schermo. Il primo

traghetta l’umanità dalla civiltà del rito e del mito alla civiltà del logos o della “ragione

chiusa del testo scritto”, lineare e formale, letteraria e disciplinare; il secondo dalla

civiltà del logos a quella dell’olos o della “ragione aperta del testo spettacolare”, dinamica

e complessa, organica e simulativa. La Scuola Alfamediale sviluppa ed integra

entrambe le forme di pensiero.

Il secolo audiovisivo

Il ‘900 è stato chiamato in tanti modi, ma mai “il secolo dell’audiovisivo o dello

schermo”. Dopo circa un secolo d’incubazione e di riproduzione tecnica dei linguaggi

analogici – immagine , suono, movimento (cinema muto1895) – nel 1927 con la proiezione del primo film sonoro nasce l’audiovisivo.

Passa meno di un decennio e l’audiovisivo-cinema diventa audiovisivo-televisione in

bianco e nero nel 1936 e a colori negli anni ‘60. L’audiovisivo TV entra direttamente

nelle case offrendo alle masse spettacoli di ogni tipo e producendo effetti inediti nel

paesaggio interiore ed esteriore: un profondo rispecchiamento culturale e sociale, la

contestazione studentesca nel 1968, la forte spinta consumistica, la liberalizzazione dei

costumi. I primi personal computer del 1975 sembrano bloccare l’invasione della televisione

e sviluppare un diverso uso dello schermo, ma solo apparentemente, perché

appena dieci anni dopo, nel 1985, il linguaggio audiovisivo ricompare nella forma digitale

di multimedialità. Pochi anni ancora e nel 1989, mentre cade il muro di Berlino per

effetto, appunto, delle armi improprie della televisione e del computer, si diffonde nel

mondo internet. Il web impiega un altro decennio per veicolare video on line e già nel

2000 con il videofonino e nel 2005 con Youtube anche internet diventa audiovisivo. Ora

il video dilaga sulla rete e teoricamente tutti possono mandare messaggi video a tutto

il mondo. Il futuro sarà sicuramente audiovisivo: sequenziale, interattivo, interpersonale,

HD, 3D, da occhiali, da polso…

Intanto, in meno di cento anni, l’audiovisivo sconvolge il sistema simbolico-culturale

dell’alfabeto e della stampa, l’ingloba nel suo sistema multimediale di spettacolo,

moltiplica la stessa produzione letteraria e scientifica. Collateralmente, mette in crisi

famiglia, chiesa, scuola, politica, mondo della produzione, del lavoro ed impone un

nuovo ordine storico e geografico, chiamato, con una parola ormai conclamata, “globalizzazione”.

L’emergenza rifondativa della scuola

L’avvento e l’affermazione dell’audiovisivo cambia l’ambiente fisico e mentale

degli uomini dopo circa tre millenni di egemonia culturale dell’alfabeto, stampa compresa.

Ecco le nuove emergenze culturali.

1. Tutti gli alfabetizzati, circa 6 miliardi (altri 800 milioni non conoscono la scuola),

senza accorgersene, diventano semianalfabeti audiovisivi: sanno stare con il corpo

e la mente davanti allo schermo, ma non sono capaci di starci dentro.

2. Il pensiero umanistico delle lettere e dei numeri e il pensiero scientifico delle conoscenze

disciplinari, anche se rimangano gli strumenti basilari dello sviluppo civile,

culturale e sociale dei popoli, non sono più sufficienti a vivere e governare gli imprevedibili

e complessi processi del mondo globalizzato.

3. Il pensiero multimediale dell’audiovisivo, proprio perché causa-effetto della nuova

storia e del nuovo mondo, si rivela, invece, adatto ad interpretare e capire la molteplicità,

la complessità, la flessibilità, l’ordine sistemico, organico, comunicativo,

creativo della civiltà dello spettacolo.

4. La formazione del nuovo pensiero può essere davvero efficace solo se passa dalla

mediazione della scuola. La Cultura Multimediale dell’audiovisivo, la Terza Cultura,

deve, pertanto, entrare correttamente nel curricolo ed operare la mirata riconversione

istituzionale della Scuola Alfabetica o delle Due Culture (Umanistica e Scientifica)

in Scuola Alfamediale o delle Tre Culture (Umanistica, Scientifica, Multimediale).

5. Ma che cos’é la Cultura Multimediale? E’ tutto ciò che ruota attorno al sistema telecamera

– schermo (penna e carta multimediali): strumenti analogici e digitali, tecniche

d’uso, reti multimediali on line e off line, informazioni veicolate, linguaggi integrati,

forme testuali, sistemi simbolici, ambienti antropologici di vita e di lavoro.

La disattenzione verso queste cinque emergenze, indotte dall’audiovisivo, ha già

prodotto profondi effetti discriminatori sulla popolazione mondiale, suddivisa di fatto in

tre grandi categorie antropologiche: gli inclusi, i reclusi, gli esclusi.

Gli inclusi, stimabili attorno a un miliardo e distribuiti nei Paesi più avanzati,

hanno la padronanza del pensiero alfabetico-numerico (umanistico-scientifico) della

carta e del pensiero audiovisivo-multimediale dello schermo; i reclusi, variamente graduati,

sono circa 5 miliardi ed hanno la padronanza solo del pensiero alfabetico; gli

esclusi, circa 800 milioni di analfabeti, sono totalmente privi dell’uno e dell’altro.

In questo contesto tripartito va considerata la strana posizione dei reclusi. Per gli

inclusi essi rappresentano un inesauribile mercato di consumatori, a cui vendere i loro

beni immateriali (il sistema dello spettacolo, innanzitutto); per gli esclusi il territorio da

invadere e occupare, perché là si producono e si consumano i beni materiali.

La strategia di Lisbona

In questo contesto di rivoluzione culturale, silente e non intenzionale, indotta dall’azione

riambientativa dell’audiovisivo, l’Europa si vive come “reclusa”. Vede svanire il

suo primato storico, culturale e produttivo conquistato secoli fa con la stampa e la cultura

del libro e sente di non controllare le strane forze della globalizzazione, che tenta di

spiegare solo dal punto di vista economico, ma non pedagogico ed antropologico.

Reagisce nel 2000 con la strategia di Lisbona, fissando nel 2006 le 8 competenze chiave

che ogni cittadino europeo deve possedere per vivere nell’Unione e demanda agli Stati

nazionali la messa a punto degli strumenti formativi necessari. Ecco le 8 competenze:

1) Comunicazione nella madrelingua; 2) Comunicazione nelle lingue straniere; 3)

Comunicazione matematica e competenze di base in scienza e tecnologia; 4) Competenza

digitale; 5) Imparare a imparare; 6) Competenze sociali e civiche; 7) Spirito d’iniziativa

e d’imprenditorialità; 8) Consapevolezza ed espressione culturale.

Le prime tre competenze sono storicamente presenti nel curricolo della Scuola

Alfabetica o delle Due Culture e richiedono solo nuove messa a punto formative. La

quarta è appena entrata e va sicuramente consolidata. La quinta, la sesta e la settima

sono, invece, totalmente nuove nella forma e nella sostanza ed appaiono come inse3

gnamenti trasversali che non rimandano a precise materie di studio. L’ottava spazia tra

formazione artistica e letteraria e riflessione critica e scientifica.

Come è facile notare, le 8 competenze chiave della strategia di Lisbona non indicano

né una chiara pedagogia, né un preciso curricolo, né specifiche materie, né una

metodologia. Non rimandano neanche a precisi linguaggi e a precisi contenuti. Per questo

motivo non si sa bene cosa fare. Finora si é fatto davvero poco per attuare il programma

UE. Intanto, il clima d’avvento millenario di Lisbona sembra del tutto scomparso

per effetto della improvvisa recessione e della imprevedibilità storica. Manca la

visione satellitare e la visionarietà profetica. La scuola sembra affondare nelle sue stesse

innovazioni di sopravvivenza. Le 8 competenze chiave UE possono aspettare.

La strategia alfamediale

Diversamente dalla strategia di Lisbona la Scuola Alfamediale o delle Tre Culture,

Umanistica, Scientifica, Multimediale ha già un corpo organico – antropologico-linguistico,

pedagogico-curricolare, organizzativo-metodologico – sufficientemente sperimentato

ed istituzionalizzato.

La strategia alfamediale poggia su quattro principi pedagogici tra loro in stretta

relazione: La spettacolarità audiovisiva, l’integrazione linguistica, la sintesi culturale, la

presentazione video.

1. L’audiovisivo é il più completo linguaggio dello spettacolo su schermo (cinema, televisione,

computer, internet, videofonino…), evoluzione storica dello spettacolo diretto

su scena e dello spettacolo illustrato su carta.

2. Il valore culturale e formativo dell’audiovisivo non sta soltanto nella quantità e qualità

degli spettacoli trasmessi, ma principalmente nell’integrazione linguistica di testi

audio (suono, parola parlata) e testi video (movimento, immagine, scrittura, stampa)

ovvero di tutti i linguaggi del Corpo (movimento, suono, immagine) e della

Parola (parlata, scritta, stampata), finalmente riunificati.

3. Il curricolo porta a sintesi cultura alfabetica (monomedialità su carta) e cultura

audiovisiva (multimedialità su schermo) ovvero i due momenti si pongono in continuità,

ampliamento ed alternativa.

4. La presentazione video è il principale esercizio didattico attraverso cui lo studente

impara a stare davanti e dietro alla telecamera (e dunque dentro lo schermo) e a

pensare e a comunicare in modo spettacolare con il Corpo e la Parola.

La presentazione video

Nella Scuola Alfamediale o delle Tre Culture tutti gli studenti fanno periodicamente

la presentazione video. Si tratta di un esercizio di scrittura del Corpo – Parola fatta

davanti e dietro alla telecamera e dunque “dentro lo schermo” per il pubblico di telespettatori

della classe. Essa produce tre grandi effetti innovativi:

si aggiunge, rafforza ed integra, nell’unità semantica dello spettacolo, tutti gli

esercizi tradizionali di scrittura monomediale: disegno, tema, riassunto, problema,

ricerca, interrogazione.

Aggiunge al tradizionale lavoro testuale di lettura, scrittura e traduzione monomediali,

tre nuove forme di testualità multimediale: l’integrazione di testi di linguaggi

diversi, la loro trasposizione dalla carta alla scena e poi allo schermo e la redazioneedizione

di materiali didattico-culturali in stampa illustrata e in video.

Rinnova l’ordine curricolare della scuola, dell’insegnamento e della professionalità

docente, centrandolo, decisamente, non più su un solo linguaggio universale, ma su

due: quello monomediale dell’alfabeto e quello multimediale dell’audiovisivo.

Tecnicamente, la presentazione video si fa nello studio televisivo della scuola o, in

mancanza, direttamente in classe, come si vede nelle due immagini.

In questa prima foto si vede un’alunna seduta davanti ad una telecamera pronta

a fare la lettura comunicativa di una pagina illustrata (titolo, disegno colorato e testo

scritto) da lei elaborata per trasposizione da un tema, da una ricerca o da qualche altro

compito. La trasposizione è di fatto una riscrittura comunicativa del testo con l’aggiunta

di un disegno in bianco e nero o colorato, che arricchisce semanticamente l’intera

composizione. Alle sue spalle c’è un telo monocromatico (azzurro) che permette di

decontestualizzare o contestualizzare la lettura con un’immagine in chromakey.

Dalla parte opposta alla telecamera c’è un compagno che ascolta dalla maestra le

indicazioni di funzionamento tecnico e linguistico della telecamera, lo strumento di registrazione

che “scrive” tutto quello che succede nel campo di ripresa: suoni, parole,

forme, gesti, colori, movimenti, errori, emozioni, incertezze, disinvoltura, padronanza,

convinzione di quello che si legge per offrirlo come servizio culturale ad un pubblico di

telespettatori. Sullo sfondo si vede lateralmente un televisore (potrebbe essere la LIM)

poggiato su un carrello e rivolto alla classe. L’intera apparecchiatura (televisore-telecamera)

é chiamata “unità mobile TV”. Ce n’é una per tutte le classi che si affacciano sullo

stesso corridoio della scuola. In fondo c’è la lavagna che dal suo posto fisso trasmette

alla classe i suoi messaggi scritti col gesso. L’alunna lettrice, al segnale convenuto,

legge la pagina scandendo bene le parole, dando espressività alla voce, ma soprattutto

guardando, ad ogni passaggio significativo della lettura, nell’obiettivo della telecamera.

Guardare nella telecamera è molto importante perché rafforza il contatto comunicativo

con il pubblico di telespettatori, in cui il lettore deve immedesimarsi.

La prova è seguita in diretta dalla classe e ripetuta più volte sulla base delle valutazioni

di resa comunicativa fatte da tutti: insegnante, compagni, compagno operatore,

a cui vanno naturalmente addebitati gli errori di ripresa (inquadratura, zoom,

tempi). Il più critico di tutti è sempre lo stesso lettore, sempre pronto a rifare la lettura

comunicativa. Questa é il primo e determinante passaggio mediatico dalla carta allo

schermo e risolve alla base i drammatici e più volte denunciati problemi dell’abbassamento

di competenza nella lettura strumentale a voce alta e nella lettura semantica

fatta con gli occhi. È questo di per sé un ottimo risultato scolastico.

In questa seconda foto si vedono, invece, i due compagni che hanno scambiato i

ruoli. Il compagno della ripresa è in piedi davanti alla telecamera e la compagna dietro

al mezzo di ripresa. Dopo avere inquadrato il compagno presentatore a mezzo busto gli

dà il tempo per iniziare la presentazione. L’alunno ha già fatto la lettura comunicativa

ed ora deve trasporla a parole proprie in base ad una scaletta mentale individuata

segnando le parole calde della pagina illustrata, precedentemente letta. Si tratta di un

lavoro facile e difficile al tempo stesso. È facile perché l’argomento o il sottoargomento

è già stato trattato e concordato con l’insegnante; perché su di esso è stata costruita la

pagina illustrata, prima manualmente e poi al computer; perché sullo stesso argomento

è stata fatta l’esperienza della presentazione su scena cioè una “minilezione” di pochi

minuti ai compagni della classe, utilizzando altri disegni colorati formato A3 ed oggetti

utili alla spiegazione. È difficile, invece, perché lo studente, grande o piccolo che sia, è

totalmente solo davanti alla telecamera, mentre l’insegnante e i compagni lo guardano

e lo giudicano; perché deve trovare solo in se stesso la forza per controllare l’emozione

e la concentrazione; perché deve fare tutto con naturalezza e disinvoltura, con espressività

comunicativa del corpo e della parola. Quasi sempre, dopo qualche prova meccanica

e mnemonica, si scopre il segreto di questo potente, spettacolare e “naturale” esercizio

di scrittura, impegnativo per tutti e molto amato da giovani e bambini.

La riscoperta dei linguaggi

Dopo circa quarant’anni di curricula ispirati alla scientificizzazione dei metodi e dei

contenuti (psicologie dell’apprendimento – insegnamento, teorie dell’informazione e

della comunicazione, semiologia e linguistica, studio di nuovi saperi, anticipazioni ed

approfondimenti disciplinari, analisi testuali e mappe concettuali), finalmente si cambia

registro e si torna ai linguaggi, gli incorruttibili strumenti del pensiero, della cultura

e della comunicazione. E’ già qualcosa. Ma per andare avanti nella strada della riscoperta

di tutti i linguaggi, bisogna fare ancora diversi passi avanti. Eccone alcuni.

1. Dare priorità allo studio dei linguaggi sui contenuti, sapendo che i linguaggi

educano e i contenuti istruiscono, i linguaggi restano e i contenuti cambiano, che lo studio

dei linguaggi sottintende sempre lo studio dei contenuti, ma non viceversa.

2. Ritornare a parlare di lettura e scrittura, piuttosto che delle famose tre “C”:

Conoscenze, Capacità, Competenze, riconducibili, alla fine, alle attività di lettura e di

scrittura.

3. Distinguere tra materie (insegnamenti linguistici) e discipline (insegnamenti

contenutistici) sia nei campi di esperienza della Scuola dell’Infanzia, nelle aree disciplinari

(un tempo ambiti) della Scuola Primaria e Secondaria di 1° grado, negli assi culturali

della Scuola Secondaria di 2° grado, uniformando, se possibile, la terminologia.

4. Indicare e specificare meglio la differenza tra lingue e linguaggi ed in particolare

tra Lingue (parlate, scritte, stampate) e Linguaggi Non Verbali e Multimediali, indicati

in sigla LNVMM.

5. Evitare di indicare i Linguaggi Non Verbali del Movimento, Suono, Immagine in

negativo e chiamarli in positivo “linguaggi dell’azione o dell’agire comunicativo del

corpo o della corporeità o più semplicemente del Corpo”.

6. Specificare quali sono i Linguaggi Multimediali: se solo quelli integrati dello

schermo come il cinema, la televisione, l’ipermedia o anche quelli della scena come, ad

esempio, i giochi, la cerimonia, il teatro e della carta come il manifesto, il fumetto e la

pagina illustrata.

7. Insegnare l’integrazione di testi di linguaggi diversi, la trasposizione da un

sistema d’integrazione testuale ad un altro (scena, carta, schermo), la redazione-edizione

di un prodotto culturale destinato ad un pubblico, interno od esterno alla scuola.

8. Riconoscere che il lavoro testuale, in tutte le sue forme, ha un altissimo potere

di transfert e che dipende da esso la formazione delle competenze specifiche di qualsiasi

altra attività umana. il testo fa la testa e la testa fa il testo e qualunque altro lavoro

materiale e immateriale.

La Scuola Alfamediale ha compiuto questi passi nella riscoperta e valorizzazione

dello studio di tutti i linguaggi del Corpo e della Parola, ridefinendo e centrando il curricolo

sul linguaggio monomediale su carta dell’alfabeto e sul linguaggio multimediale

su schermo dell’audiovisivo. Analizziamo più da vicino questa possibile, necessaria,

organica e semplificata strategia di rifondazione della scuola.

Il lavoro testuale con la telecamera

La presentazione video o televisiva è la fase finale di un lungo lavoro testuale programmato

dall’insegnante alfamediale o dal team di insegnanti alfamediali della classe

e che ogni alunno è chiamato a fare periodicamente. Essa gli insegna operativamente

e in forma graduale a passare dalla scrittura alfabetico-monomediale della carta alla

scrittura audiovisivo-multimediale dello schermo. La presentazione video è una pratica

didattica forte ed innovativa per la scuola, impegnativa e automotivante per gli studenti.

Essa prende di peso i ragazzi seduti “davanti allo schermo” della televisione, della

playstation e del computer, come succede per tante ore a casa, e li mette con il corpo

e la mente davanti e dietro alla telecamera, una volta per fare l’operatore di ripresa e

un’altra per fare il presentatore che comunica da “dentro lo schermo” ad un pubblico

invisibile. Quest’esperienza formativa, difficilmente può essere programmata dalla

famiglia ed è tuttora inesistente nella vita della scuola. I giovani, dalla Scuola

dell’Infanzia all’Università, la vogliono senza saperlo dire. Alcuni, pur di farla, inventano

spettacoli inguardabili con il videofonino, che poi scaricano su Youtube. La scuola

non riesce ancora a capire, a fare proprio e proporre il lavoro testuale della presentazione

video. Sa pensare solo al computer e alla LIM. Quando la telecamera entra in

classe, come avviene in modo ordinario nelle scuole della Rete Scuole Alfamediali

(RSA), gli studenti avvertono un profondo senso di liberazione e di rigenerazione. Fare

la presentazione video é come imparare a leggere e scrivere una seconda volta, ma in

forma più naturale ed efficace, con tutti i linguaggi del Corpo e della Parola. “Fare spettacolo”

per loro è rispondere ad un’originaria ed eterna esigenza umana di cultura, pensiero,

comunicazione. Perché lo spettacolo riesca bene essi devono però lavorare molto

ed imparare a correggere i tanti errori di grammatica, sintassi e punteggiatura che

fanno quando stanno davanti e dietro alla telecamera: esitazioni, parole non dette,

vuoti di memoria, passaggi sbagliati, ripetizioni inutili, sguardi fuori campo, tono piatto

della voce, inespressività del volto, gestualità assente o rigida, errori di postura e

d’inquadratura, insignificanza delle zoommate, scenografie non curate, luminosità sbagliata,

sobbalzi della telecamera ed altro ancora. Quando, infine, diventano bravi a controllare

ed armonizzare il Corpo e la Parola, sentono di stare bene e di pensare in modo

“leggero, rapido, esatto, visibile, molteplice”, per usare le categorie letterarie teorizzate

da Calvino, scrittore davvero alfamediale. Con questo nuovo ed immenso patrimonio

intellettuale di docenti e discenti ora è possibile trasformare le scuole anche in centri

di redazione-edizione di materiali didattico-culturali a stampa e in video per uso

interno o esterno alla scuola.

Diecimila scuole, di ogni ordine e grado, che fanno servizi a stampa e in video a

getto continuo per diffonderli dentro e fuori la scuola a fini informativo-formativi, costituiscono

sicuramente la più bella e potente rivoluzione culturale che possiamo augurare

alle giovani generazioni ed indirettamente a noi stessi, visto che devono essere i giovani

a pagare la nostra pensione e che la qualità di vita dell’intero sistema sociale

dipende alla fine dal capitale umano che abbiamo saputo creare.

Le competenze alfamediali

Ed ecco ora le 10 competenze attivate dalla Scuola Alfamediale con lo studio sistematico

dell’audiovisivo e la metodologia della presentazione video.

Per stare davanti e dietro alla telecamera ogni alunno:

1) deve saper usare bene il codice parlato, alfabetico, grafico, sonoro, motorio; 2) deve

saper integrare testi di linguaggi diversi: del Corpo (movimento, suono, immagine) e

della Parola (parlata, scritta, stampata); 3) deve saper usare le tecnologie analogiche

e digitali della scena, della carta e dello schermo; 4) deve saper trasporre lo spettacolo

illustrato su carta in spettacolo scenico e poi audiovisivo; 5) deve saper ricercare e

riportare ad unità tematica conoscenze scolastiche, personali e sociali; 6) deve saper

comunicare in modo diretto e indiretto con un pubblico; 7) deve saper valutare la performace

spettacolare sua e dei compagni; 8) deve saper collaborare con gli insegnanti

e con i compagni per la realizzazione della prova e del progetto; 9) deve saper rapportarsi

ai problemi reali della società, della cultura, del territorio, del passato, dell’attualità;

10) deve saper fare redazione-edizione di materiali a stampa e in video.

La prima differenza che salta agli occhi, confrontando le 8 competenze chiave

della proposta di Lisbona e le 10 competenze alfamediali, sta nel fatto che le prime

mirano a fronteggiare nel breve periodo i problemi dello sviluppo economico globalizzato,

mentre le seconde rispondono ad esigenze culturali e formative di lungo periodo

da curricolarizzare in un sistema istituzionale di facile comprensione e gestione.

L’insegnante alfamediale

L’insegnante alfamediale, prima di essere un insegnante di una particolare materia

o disciplina é un’intelligenza alfabetica ed audiovisiva, monomediale e multimediale,

della carta e dello schermo, della lettura e della scrittura con entrambi i linguaggi.

Egli sa dire e sa far dire ai suoi studenti la stessa cosa sia con il codice alfabetico sia

con quello audiovisivo. Tutti gli insegnanti devono avere, nel tempo, questa doppia

Coordinatore pedagogico della RSA • P.za S. Agostino, 2 – 91100 Trapani • tel. 0923.21500 cell. 338.9137150 • E-mail: tulliosirchia@virgilio.it

competenza professionale, riconducibile ad una competenza unica e generale, quella

alfamediale. Da questo punto di vista l’insegnante alfamediale non è un “docente dei

media” in aggiunta agli altri docenti, né un esperto esterno od interno che lavora in

compresenza con l’insegnante di classe, ma una nuova figura docente, più evoluta e

polivalente, la cellula rigenerativa della nuova scuola. Egli orchestra le attività di studio

scegliendo autonomamente l’approccio monomediale o multimediale. Fa fare periodicamente

(ad esempio, ogni quadrimestre) a tutti i suoi studenti la presentazione

spettacolare su scena, su carta, su schermo e la redazione-edizione di spettacoli scenici,

illustrati, audiovisivi, operando da solo o in team con gli altri docenti. Egli si sente

più maestro di lavoro testuale di lettura, scrittura, traduzione, integrazione, trasposizione

e redazione-edizione, che professore di contenuti disciplinari; più animatore e

comunicatore culturale che esperto di saperi specifici, comunque necessari.

La Scuola di Alta Formazione di Erice

La figura dell’insegnante alfamediale non esiste ancora nell’attuale ordinamento

scolastico, nazionale ed internazionale. La sua formazione professionale cammina di

pari passo con l’affermazione del modello alfamediale e con un convinto ed allargato

processo di riconversione istituzionale del sistema scolastico complessivo.

Ad Erice per una felice coincidenza di fattori positivi esistono tutte e tre le condizioni.

Innanzitutto, vi è nata la Scuola Alfamediale, un modello di scuola ad alto potere

formativo, che non sconvolge le strutture esistenti ed é a basso costo di gestione;

c’é la sede della Scuola Polo della Rete Scuole Alfamediale (22 scuole in tre regioni) in

fase di espansione nazionale; c’é un nucleo storico di insegnanti alfamediali capaci di

fare i formatori dei propri colleghi; c’é uniformità d’indirizzo alfamediale in tutte le

scuole del Comune di Erice; c’è nel circondario provinciale una corona di scuole alfamediali

che tende ad infittirsi; c’é la disponibilità dichiarata di diversi Sindaci a farsi

carico di questa sorta di riforma dal basso, uniformando l’indirizzo pedagogico di tutte

le scuole del territorio; c’è una lunga esperienza di convegni e corsi di formazione interni

ed esterni alle singole scuole; ad Erice Vetta c’è la struttura polivalente ed attrezzata

dove fare formazione ed incontri seminariali e convegnistici; c’è il progetto politico

del Comune di Erice di avviare un programma di alta formazione in vista anche dell’allargamento

del mercato europeo ai Paesi del Magrheb. Appena tutto andrà in sinergia

si può, a ragione, parlare di proposta alfamediale di Erice in risonanza storica con la

strategia di Lisbona e dei processi di riassetto curricolare dello studio e della pratica di

tutti i linguaggi, integrati o meno, in atto in Italia e nel mondo.

A questo punto é possibile fare entrare “dentro le schermo”, a fini formativi, tutti

i ragazzi del mondo perché possano scoprire ed abitare, appunto, il loro mondo. Come

l’Alice di Lewis Carroll, essi non devono più accontentarsi di quello che riflette lo specchio

elettronico dello schermo, davanti a cui si mettono ogni giorno, ma possono agevolmente

attraversarlo per conquistare l’infinito spazio di segni audiovisivi che nasconde.

“Oh, Kitty, come sarebbe bello potere entrare nella Casa dello Specchio!” disse

Alice alla gattina, “Sono sicura che ci sono delle cose meravigliose! Facciamo finta che

ci sia un modo per entrare… Ecco, guarda: sta diventando una specie di brina, proprio

in questo momento, te lo dico io! Andare di là sarà facilissimo…”

Tullio Sirchia

 




Corviale 2020: intelligente, sostenibile, inclusivo




Urbanpromo, «laboratorio» di social housing per i più giovani

social housingA Urbanpromo le proposte innovative per l’housing: dal “condominio diffuso” per gli under 35 agli alberghi temporanei “spcializzati” (studenti o giovani mamme con bambini) fino alle “coabitazioni” «casa contro tempo»
L’housing sociale per i giovani si fa creativo. Dal “condominio diffuso” per gli under 35 al “patto di solidarietà” per scongiurare lo sfratto di nuclei familiari, agli alberghi temporanei “spcializzati” (studenti o giovani mamme con bambini) fino alle “coabitazioni” fondate sullo scambio: casa contro tempo da dedicare a iniziative per il quartiere.
Sono solo alcuni esempi tra quelli in mostra alla X edizione di Urbanpromo, promosso da Inu e Urbit, dedicato alla rigenerazione urbana e al social housing, che apre oggi a Torino e che si svolge – con un ricco programma di incontri – fino all’8 novembre nelle due sedi di Palazzo Graneri (convegni) e di Palazzo Carignano (mostra).
L’attenzione sarà catalizzata dai vari progetti a valle del cosiddetto sistema del “fondo dei fondi”, gestito da Cassa depositi e prestiti. Ma a Torino si parlerà anche di rigenerazione urbana, in particolare quelle attivabili con i patrimoni immobiliari pubblici. Entro quest’anno, Cassa depositi prestiti acquisterà dall’Agenzia del Demanio una tranche di immobili per 500 milioni, da avviare a dismissione.
C’è poi la prossima scadenza legata al federalismo damaniale: entro il 30 novembre, Comuni e Province devono chiedere gli immobili delle Stato. Finora sono arrivate richieste per qualche centinaia di immobili (600 secondo l’Anci, 800 secondo il sottosegretario all’Economia, Pier Paolo Baretta). Ma la platea potenziale è molto superiore: circa 10mila fabbricati. Dal convegno organizzato stamattina dall’Agenzia del Demanio potrebbero emergere ulteriori elementi. Un ruolo importante nella valorizzazione degli immobili pubblici degli enti locali ce l’ha Cdp Investimenti Sgr, che ha Urbanpromo parlerà, oltre che di social housing, anche del suo fondo Fiv-plus, per valorizzare (o acquistare) immobili degli enti.
Come si diceva, molti progetti di social housing hanno come target i giovani. Un’idea che potrebbe essere replicata anche in altri contesti urbani è quella del “condominio diffuso”, realizzata a Milano dalla Fondazione housing sociale. Il progetto si chiama Abit@giovani e si innesta su l’acquisto, da parte del fondo Lombardia (Polaris Sgr) di 1000 alloggi ceduti dall’Aler Milano. Appartamenti che per l’Aler sono finora stati un costo, sia perché localizzati in condomini “misti” (cioè con proprietari privati), sia perché in aree periferiche e a rischio degrado.
La proposta prevede un contratto di affitto a giovani under 35 per 8 anni, con facoltà di acquisto tra il quinto e l’ottavo anno. Metà del canone (massimo 600 euro per 100 mq) consiste nell’affitto calmierato e metà nell’acconto sull’acquisto. In più c’è la rete: l’individuazione di progetti condivisi di impegno sul territorio (cura di spazi pubblici e aree verdi). Sono in consegna i primi 40 alloggi (su una prima tranche di 207).
Nel “sottobosco” di progetti locali rivolti ai giovani c’è anche la “coabitazione solidale”, idea del Comune di Torino destinata a giovani tra i 18 e i 30 anni. In cambio di un canone di affitto simbolico (abbattuto al 10% dell’equo canone) si chiede un impegno di 10 ore a settimana a favore del quartiere. In più un aiuto economico (fino a 12mila euro) dalla Fondazione San Paolo. La stessa Fondazione aprirà antro l’anno a Torino la casa di accoglienza temporanea di San salvario, in Via S. PIo V, specializzata nell’accoglienza di giovani mamme con bambini (dopo l’apertura a settembre, della struttura di Porta Palazzo, “specializzata” per studenti, stagisti e lavoratori di passaggio a Torino). La fondazione di Cuneo spiegherà invece i dettagli del “patto di solidarietà” tra inquilini e proprietari. Anche in questo caso c’è uno scambio: i proprietari rinunciano a sfrattare gli inquilini in difficoltà, a fronte di forme di garanzie e contributi economici. Una formula applicata finora a 267 famiglie. Da Cuneo a Lucca, dove la locale fondazione ha destinato all’accoglienza degli studenti il campus ricavato nel complesso di San Francesco.
di Massimo Frontera
http://www.ediliziaeterritorio.ilsole24ore.com/art/infrastrutture24/2013-11-05/urbanpromo-laboratorio-socal-housing-182956.php?uuid=Abyo66zI




La scuola più green del mondo è a Hong Kong

scuola hong kongIl Green Building Council Usa ha affidato il primato a una scuola media di Hong Kong che coinvolge gli studenti nella manutenzione sostenibile
La scuola secondaria Sing Yin di Hong Kong ha appena ricevuto il primato di “Scuola più verde della Terra”, una nomina assegnata da parte del Green Building Council statunitense.
Il liceo, situato nel centro della città asiatica, che negli ultimi anni registra alti livelli di inquinamento atmosferico, dimostra che i principi eco-compatibili sono adottabili su diversi tipi di strutture, con successo.
FV, EOLICO E GREEN ROOF. La scuola ha installati sul tetto pannelli solari di ultima generazione, alternati a tratti di copertura vegetale per isolare termicamente gli interni e purificare l’aria. Oltre al fotovoltaico, la scuola trae energia elettrica anche da una serie di turbine eoliche ad asse verticale. All’interno, i sensori di movimento accendono e spengono le luci Led a seconda delle presenze registrate, abbattendo i costi di illuminazione, mentre un sistema di oscuranti mobili – in estate – consente di limitare l’uso di aria condizionata (un bel vantaggio in un’area climatica così caldo-umida come quella di Hong Kong).
DI BAMBÙ E AZIENDA AGRICOLA. La sostenibilità della Sing Yin School prosegue anche all’esterno, dove architetti, biologi e paesaggisti hanno ideato un giardino di bambù, una piccola azienda agricola biologica e un acquario.
E FAMIGLIE COINVOLTI. Ad aver pesato – positivamente – nella scelta effettuata dal Green Building Council Usa è stata anche la forte partecipazione degli studenti nei progetti “eco” della scuola, nella sua manutenzione e cura. La scuola integra infatti la sostenibilità nel proprio programma di studi e ogni anno 100 alunni vengono selezionati per lavori “green” anche fuori dell’ambito scolastico, grazie all’importante pacchetto di conoscenze acquisite. Lo scorso anno la scuola ha organizzato una campagna intitolata “Green School, Green Family”, coinvolgendo anche le famiglie e insegnando come mettere in pratica ogni giorno una serie di utili strategie di efficienza energetica.
Un esempio virtuoso che va al di là della stessa architettura e si pone come modello per le altre scuole internazionali.
E FAMIGLIE COINVOLTI. Ad aver pesato – positivamente – nella scelta effettuata dal Green Building Council Usa è stata anche la forte partecipazione degli studenti nei progetti “eco” della scuola, nella sua manutenzione e cura. La scuola integra infatti la sostenibilità nel proprio programma di studi e ogni anno 100 alunni vengono selezionati per lavori “green” anche fuori dell’ambito scolastico, grazie all’importante pacchetto di conoscenze acquisite. Lo scorso anno la scuola ha organizzato una campagna intitolata “Green School, Green Family”, coinvolgendo anche le famiglie e insegnando come mettere in pratica ogni giorno una serie di utili strategie di efficienza energetica.

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Economia “verde”, in Lombardia progetto per creare un “Green Know-How Cluster”

klusterUn distretto del “saper fare” ambientale con la partecipazione di imprese, professionisti e centri di ricerca
“La nostra proposta, da implementare all’interno dell’Accordo di Programma, è di creare un vero e proprio distretto del ‘saper fare’ ambientale, nel quale imprese, professionisti e centri di ricerca possano realizzare trasferimento tecnologico, stimolo e supporto all’attività di ricerca. È quello che si chiama ‘Green Know-How Cluster’, un distretto economico che ci permetta di valorizzare quanto abbiamo sul territorio”.
Lo ha annunciato l’assessore all’Ambiente, Energia e Sviluppo sostenibile della Regione Lombardia, Claudia Maria Terzi, durante il suo intervento alla tavola rotonda sul tema ‘Le Regioni e i Comuni per un green new deal’, nell’ambito della seconda edizione de ‘Gli stati generali della green economy’, in programma alla Fiera di Rimini il 6 e 7 novembre.
Il “green” strumento anticrisi
“La protezione e la valorizzazione dell’ambientale possono divenire uno strumento per affrontare la crisi, contribuendo in modo significativo alla ripresa e garantendo le condizioni necessarie a promuovere la competitività della regione nel suo complesso”, ha sottolineato Terzi.
Accordo di programma
“In quest’ottica – ha proseguito l’assessore – Regione e Unioncamere Lombardia hanno sottoscritto un Accordo di Programma a partire dalla qualità ed efficienza ambientale e dall’ammodernamento dell’azione amministrativa interna alle Istituzioni medesime”. In campo ambientale la Regione Lombardia “sta lavorando per porre le basi del lavoro da qui al 2020. Gli atti di pianificazione, sollecitati dal mondo delle imprese, stanno prospettando interventi su settori strategici: rifiuti, energia, acque, aria. Tutta la pianificazione ambientale di Regione Lombardia poggia su un denominatore comune formato da tre fattori: l’efficienza, la semplificazione, la valorizzazione territoriale”.
Primato lombardo
“Milano e la Lombardia – ha detto la responsabile lombarda dell’Ambiente – vantano un assoluto primato nel ‘saper fare’ ambientale: Assolombarda ha già promosso un Green Economy Network. Buona parte dei dipartimenti universitari, dei centri di ricerca privati, delle imprese e dei consorzi di imprese che in Italia si occupano di ambiente e di temi connessi alla sostenibilità sono nella nostra regione, ma, finora, è mancata la capacità di strutturarsi”.

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“Il Partenariato Pubblico-Privato in Italia nel 2012 – Una strada obbligata per il rilancio del Paese”

partenariatoRapporto partenarariato pubblico privato 2012




Impianti a biomasse in Partenariato Pubblico Privato, pronto il manuale operativo per le imprese

biomasseRealizzato dalla Camera di Commercio di Roma e dal Cresme per diffondere le regole di ricorso al PPP nel settore delle biomasse
In Italia, negli ultimi anni, si è assistito alla forte espansione delle Fonti Energetiche Rinnovabili (le cosiddette FER), soprattutto quelle per la produzione di energia elettrica, grazie ai meccanismi incentivanti che hanno favorito una crescita eccezionale nell’installazione di impianti fotovoltaici, eolici e a bioenergie.
Al raggiungimento di tali risultati hanno contribuito anche le amministrazioni pubbliche ricorrendo al Partenariato Pubblico Privato per l’attuazione di programmi di promozione delle fonti energetiche rinnovabili, per la riduzione della dipendenza dalle fonti fossili e per la riduzione delle emissioni di gas serra. Sono questi gli elementi chiave che emergono dai dati messi a disposizione dagli Osservatori per il Partenariato Pubblico Privato nazionale (www.infopieffe.it) e regionale del Lazio (www.siop-lazio.it).
Presentato il manuale operativo
Ieri è stato presentato, nella sede della Camera di Commercio di Roma, il manuale “Gli impianti a biomasse in Partenariato Pubblico Privato” curato da Asset Camera, Azienda Speciale della CCIAA di Roma, che si è avvalsa per la realizzazione del CRESME Europa Servizi. Il manuale, partendo da un quadro statistico normativo, analizza alcuni casi studio con un approccio prettamente operativo, voluto per le aziende che si avvicinano al Partenariato Pubblico Privato per la prima volta. Casi studio reali in grado di rappresentare e descrivere il percorso attuativo, dalla progettazione all’utilizzo, analizzando rischi e opportunità, anche attraverso interviste dirette ai soggetti che hanno partecipato alle opere.
L’obiettivo principale della pubblicazione è quello di favorire la condivisione delle esperienze e delle informazioni per contribuire alla concreta diffusione delle regole di ricorso al Partenariato Pubblico Privato nel settore delle biomasse.
Cinque capitoli
Il manuale è articolato in cinque capitoli. Il primo è relativo all’inquadramento del settore rispetto alla definizione di “biomassa”, ovvero “la frazione biodegradabile dei prodotti, rifiuti e residui di origine biologica provenienti dall’agricoltura (comprendente sostanze vegetali e animali), dalla silvicoltura e dalle industrie connesse, comprese la pesca e l’acquacoltura, nonché la parte biodegradabile dei rifiuti industriali e urbani”. Il concetto di biomassa tratta un insieme di materiali molto diversificato per provenienza, per caratteristiche chimico-fisiche, per costo di acquisto, e per possibilità di impiego, ma che hanno la caratteristica comune di avere origine biologica non fossile. Nel primo capitolo si fa inoltre il punto sul contesto energetico italiano e sulle tematiche politiche, normative e finanziarie per l’efficienza energetica e il risparmio energetico. Il secondo capitolo affronta l’analisi del mercato del teleriscaldamento e degli impianti a bioenergie con particolare attenzione a quelli realizzati attraverso le diverse forme di cooperazione tra pubblico privato nel nostro Paese, con l’approfondimento analitico delle iniziative d’importo superiore a 5 milioni di euro. Il terzo capitolo analizza, invece, tre casi di impianti a biomassa realizzati nel Lazio (impianto di trigenerazione a biomasse a servizio dell’incubatore di Colleferro), in Toscana (impianto di teleriscaldamento a biomasse legnose in località Pomino nel comune di Rufina sui monti dell’Appennino toscano) e in Emilia Romagna (sistema di teleriscaldamento integrato con cogenerazione a biomasse a servizio di utenze pubbliche e private del nuovo comparto urbano C4 nel comune di Zola Predosa). Nel quarto capitolo si descrive il ‘come fare correttamente’, mentre nel quinto capitolo vengono riportate, in ordine cronologico, le principali norme approvate a livello europeo, nazionale e regionale (Regione Lazio) nonché la normativa tecnica nazionale.
Il driver dell’energy technology
La scelta di un manuale sulle bioenergie nasce dalla constatazione che, nella difficile situazione che la nostra economia sta attraversando, esistono opportunità derivanti da una profonda riconfigurazione del mercato, guidato da nuovi driver, il principale dei quali è certo quello dell’energy technology. Si tratta di un’area di innovazione che ha vari settori, tra i quali emerge la produzione delle energie rinnovabili, soprattutto per la produzione di energia elettrica. Il comparto beneficia di una fase fortemente espansiva grazie ai meccanismi incentivanti, posti in atto nei diversi Paesi europei, che hanno favorito, soprattutto negli ultimi dieci anni, una crescita eccezionale nell’installazione di impianti fotovoltaici, eolici e a bioenergie.
Nel 2012, in base ai dati provvisori comunicati dal MISE nel mese di aprile 2013, la quantità di energia rinnovabile consumata sul territorio nazionale è stata pari a circa 26,818 milioni di tonnellate equivalenti di petrolio (Tep) e ha garantito il 15% dei consumi energetici interni complessivi. Cinque anni prima, nel 2008, non raggiungeva il 9% dei consumi. Si è passati da un consumo medio annuo del 7%, nel decennio 1998-2007, al 12% nel quinquennio 2008-2012.
In base ai dati GSE (Gestore Servizi Energetici), nel biennio 2010-2011 i consumi di energie rinnovabili sono risultati sempre superiori agli obiettivi del Piano di Azione Nazionale (PAN). Questi risultati oltre a confermare la fase espansiva delle rinnovabili, che crescono con ritmi superiori a quelli preventivati, fanno prevedere il raggiungimento degli obiettivi fissati dal PAN con largo anticipo. Infatti se per l’Italia è stabilita per il 2020 una quota del 17% per l’energia da fonti rinnovabili a copertura dei consumi totali di energia, gli ultimi dati disponibili a consuntivo mostrano come nel 2011 (11,5%) sia stata già raggiunta una quota superiore a quella prevista dal PAN per il 2015 (11,2%). Dinamiche simili si rilevano per i settori elettrico, termico e trasporti. In particolare nel settore riscaldamento e raffreddamento, che nel 2011 rappresenta la quota principale dei consumi energetici nazionali, le rinnovabili rappresentano l’11% e in questo ambito un ruolo importante spetta alle biomasse. L’utilizzo delle stesse esclusivamente a scopi termici, per il riscaldamento o per la produzione di acqua calda sanitaria, avviene soprattutto mediante impianti domestici (caldaie, stufe e termocamini) o scambiatori di calore allacciati a reti di teleriscaldamento. I combustibili prevalentemente utilizzati sono le biomasse legnose come legna da ardere in ciocchi, legno sminuzzato (cippato) e pastiglie di legno macinato e pressato (pellet e bricchetti).
Il mercato pubblico dei bandi di gara
Rispetto all’interesse pubblico per la produzione di energia termica ed elettrica da biomassa, i dati sul mercato dei bandi di gara forniscono informazioni interessanti. In Italia il mercato pubblico dei bandi di gara per il teleriscaldamento e gli impianti a bioenergie, tra gennaio 2002 e giugno 2013, è rappresentato da 639 gare per un importo complessivo di 1,4 miliardi.
La domanda di interventi nei settori teleriscaldamento e impianti a bioenergie ha riguardato nell’87% dei casi (559 bandi su 639 totali) appalti per la sola esecuzione di lavori o appalti integrati di progettazione ed esecuzione. Il restante 13% spetta a contratti di PPP che combinano l’esecuzione dei lavori con la progettazione, la fornitura e l’installazione degli impianti di produzione e distribuzione, la manutenzione e la gestione del servizio. In termini di importi il PPP rappresenta il 35% del mercato di riferimento.
L’Osservatorio nazionale del Partenariato Pubblico Privato, tra gennaio 2002 e giugno 2013, ha censito sull’intero territorio nazionale 80 gare, del valore complessivo di 484 milioni di euro, riconducibili a operazioni di PPP per la costruzione e gestione di reti di teleriscaldamento urbano, di impianti per la captazione e valorizzazione energetica del biogas, di impianti di produzione di energia termica ed elettrica da biomasse, di impianti di incenerimento dei rifiuti solidi urbani con produzione di energia elettrica e termica.
Il manuale operativo sugli impianti a biomassa, promosso da Asset Camera, Azienda Speciale della Camera di Commercio di Roma, è pensato come uno strumento per le imprese e le Pubbliche amministrazioni e punta a dare risposte concrete ai fabbisogni conoscitivi del mercato. La pubblicazione è disponibile sul sito dell’Osservatorio Pubblico Privato del Lazio (www.siop-lazio.it) a partire dal 5 novembre, previa registrazione.
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Smart Cities, insediato il Comitato per le Comunita’ Intelligenti dell’Agenzia per l’Italia Digitale

smart-citySi è insediato la settimana scorsa a Firenze, nell’ambito della XXX Assemblea annuale dell’ANCI, il Comitato per le Comunità Intelligenti, dove per “comunità intelligenti” – si legge nella nota dell’ANCI – si intende “quell’ampio insieme di iniziative poste in essere dalle comunità locali di qualsiasi scala (dai quartieri ai Comuni alle Regioni) finalizzate a migliorare la vita dei cittadini, anche con l’uso delle nuove tecnologie, sotto l’aspetto della mobilità, del risparmio energetico, dell’inclusione sociale, della tutela ambientale, dell’educazione, della fruizione culturale ed in generale di tutto io che può contribuire al benessere collettivo”.

La visione strategica di scala nazionale prenderà forma attraverso la redazione dello Statuto delle Comunità Intelligenti, promosso dal Comitato e adottato per decreto dal Consiglio dei Ministri, finalizzato a specificare i diritti minimi di cittadinanza intelligente sui quali i diversi livelli dell’amministrazione sono chiamati ad impegnarsi e che costituiranno la base per assicurare rendicontabilità sociale ai progetti di smart cities&communities. A questo scopo, il Comitato è chiamato a sviluppare un sistema di monitoraggio specifico del livello di benessere e di soddisfacimento dei bisogni raggiunto.

La Presidenza del Comitato è stata affidata a Mario Calderini, docente del Politecnico di Milano, già Consigliere del MIUR e membro della cabina di regia per l’Agenda Digitale istituita dal Governo Monti.

A margine della riunione di insediamento, Mario Calderini ha dichiarato:

L’istituzione del Comitato è un passaggio importante per la concreta realizzazione dell’Agenda Digitale. Il Comitato cercherà di interpretare al meglio il mandato di soft-governance e di indirizzo strategico attribuitogli dalla legge, cercando di valorizzare le numerose esperienze già avviate da molte pubbliche amministrazioni nei mesi scorsi e creando le migliori condizioni di contesto per lo sviluppo armonico delle comunità intelligenti nel nostro Paese. Credo che, tra gli altri compiti, il Comitato debba prestare particolare cura alla promozione della visione sociale che anima le comunità intelligenti, di nuovi modelli di imprenditorialità sociale e di strumenti finanziari di ingaggio pubblico-privato atti a consentire la realizzazione di progetti ambiziosi anche in questa difficile situazione di finanza pubblica.
I compiti del Comitato per le Comunità Intelligenti
Al Comitato, istituito dall’Agenzia per l’Italia Digitale spettano i compiti previsti dalle disposizioni contenute nel Decreto Crescita 2.0 adottato dal precedente Governo.

Al Comitato è affidata la regia dei progetti di smart cities&communites a livello nazionale, con l’obiettivo di creare le migliori condizioni per lo sviluppo di progetti di comunità intelligente a livello locale e per la loro sintesi in un disegno strategico di valenza nazionale.

Tra i compiti specifici previsti dalla legge, vi è la predisposizione del piano annuale delle comunità intelligenti e il rapporto annuale sullo stato di realizzazione del piano per la Presidenza del Consiglio dei Ministri, la predisposizione delle linee guida nazionali per la standardizzazione, l’interoperabilità e la replicabilità su scala nazionale delle soluzioni adottate in ambito locale e la realizzazione di una piattaforma di condivisione di applicazioni, servizi ed esperienze al servizio delle pubbliche amministrazioni.

Inoltre, è attribuito al Comitato il compito di promuovere e codificare nuovi strumenti finanziari atti a favorire il partenariato pubblico-privato per le comunità intelligenti.

Infine, per assicurare la rendicontabilità sociale ai progetti di smart cities&communities di cui sopra, il Comitato è chiamato a sviluppare un sistema di monitoraggio specifico del livello di benessere e di soddisfacimento dei bisogni raggiunto.

Maria Letizia Fabbri

http://www.pionero.it/2013/10/28/smart-cities-insediato-il-comitato-per-le-comunita-intelligenti-dellagenzia-per-litalia-digitale/