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Locke

di Steven Knight. Con Tom HardyRuth WilsonOlivia ColmanAndrew ScottBen Daniels  USA, Gran Bretagna 2013

Autostrada Birmingham-Londra, notte. Un uomo, Locke (Hardy), è alla guida della sua BMW. Dalle prime telefonate con il suo capo, Gareth (Ben Daniels/Roberto Draghetti) e con il capo-operaio Donal (Andrew Scott/Alessandro Quarta) apprendiamo che lui è uno stimatissimo manager dell’edilizia e che, all’alba, avrebbe dovuto sovrintendere alla più ingente colata di cemento armato che mai si sia effettuata. Alla moglie Katrina (Ruth Wilson/Marina Guadagno) ed ai figli, Eddie (Tom Howard/Alex PolidorI) e Sean (Bill Milner/Manuel Meli), comunica che quella sera non tornerà a casa; la moglie è confusa ed i ragazzi delusi (lo aspettavano per vedere insieme un partita in tv). Dalle telefonate con Bethan (Olivia Colman/Selvaggia Quattrini), una non più giovane impiegata dell’impresa nella quale lui lavora, sappiamo che lei è incinta di lui e che sta per partorire; qualche mese prima, a seguito di un party aziendale, lui e lei, ubriachi, hanno fatto l’amore e Bethan, senza dirgli nulla, aveva deciso di tenere il bambino; quella sera, però, sola e spaventata in ospedale lo ha chiamato rivelandogli la verità. Lui è figlio di un uomo che, dopo aver ingravidato la madre, è fuggito. Locke non glie lo ha mai perdonato ed ora non vuole comportarsi allo stesso modo, anche se non ha nessun afflato affettivo verso la lagnosa Bethan. Questa scelta estrema gli sta, però, facendo perdere il prezioso lavoro e la famiglia amatissima ma…

Knight è un ottimo sceneggiatore (Piccoli affari sporchi di Stephen Frears, La promessa dell’assassino di David Cronenberg) e nel 2013 ha diretto i suoi due primi film (questo e l’interessante Redemption – Le identità nascoste con Jason Stratman) . Locke, presentato fuori concorso a Venezia, è stato subito accolto come un piccolo capolavoro. E lo è : la scommessa di reggere un film con un solo attore in scena (degli altri sentiamo solo le voci – è il motivo per il quale ho voluto citarne anche i doppiatori italiani), per di più sempre ripreso nell’abitacolo della macchina il regista la ha vinta in pieno. Una cosa del genere la aveva già fatta Spielberg con il suo splendido film d’esordio Duel , in cui però il thrilling era assicurato dalla gara mortale con un minaccioso camion assassino; Knight riesce a tenere sempre altissima la tensione con una sorta di melò etico e lo fa grazie alla bravura di Hardy (ne Il cavaliere oscuro – Il ritorno era il cattivissimo Bane) e ad una sceneggiatura miracolosamente perfetta. La qualità della scrittura (fondamentale per al riuscita di qualunque film) fa venire alla mente un altra fortunatissima opera seconda, Memento, che ha fatto conoscere a ed apprezzare Christopher Nolan.




La Bella e la Bestia. La belle & la bête.

di Christophe Gans. Con Vincent CasselLéa SeydouxAndré DussollierEduardo NoriegaMyriam Charleins. Francia, Germania 2014

Un mercante (Dussolier) , proprietario di tre navi mercantili, vive nella Francia del primo ‘800 con sei figli, tre femmine – Belle (Seydoux), Anne (Audrey Lami) e Anne (Sara Giraudeau) – e tre maschi –Jean-Baptiste (Jonathan Demulger), Maxime (Nicolas Gob) e Tristan (Louka Melliava). Una tempesta li riduce in rovina , il loro bel palazzo viene sequestrato e loro debbono andare a vivere in una casetta di campagna. Ne soffrono tutti tranne la coraggiosa Belle che è contenta di coltivare l’orto e di quella vita semplice. Una delle navi viene ritrovata con tutte le sue merci preziose ed il mercante, felice, chiede alle figlie cosa vogliano di regalo ; le due vanitose chiedono vestite e gioielli e Belle solo una rosa. Giunto in città il padre scopre che i suoi creditori gli hanno sequestrato tutto e che il figlio Maxime ha debiti con Perducas (Noriega) , un criminale che lo minaccia di morte. Fuggito nella notte si ritrova in un castello , in un angolo del quale sono magicamente ammassati i doni preziosi richiesti dalle sue due figlie maggiori ma quando stacca una bellissima rosa per la terza gli appare la Bestia (Cassel) che gli intima di tornare il giorno dopo , pena l’uccisione di tutta la famiglia. Belle si presenta al castello al posto del padre, sicura di essere uccisa. La Bestia la tiene invece prigioniera , facendole trovare bei vestiti e cenando con lei ogni sera. Un incantesimo fa sognare alla ragazza la storia del suo ospite: lui era un principe cacciatore, ossessionato da una cerva d’oro che non riusciva a catturare; sua moglie (Yvonne Catterfeld) si fa promettere che smetterà di inseguire l’animale ma un giorno lui riesce ad ucciderla e scopre che sotto le sembianze la cerva c’era la sua amata principessa, che era una Ninfa ; il padre di lei, inferocito, lo tramuta in mostro. Dopo un po Belle ottiene di tornare a casa per un giorno ma due suoi fratelli, inseguiti da Perducas , le rubano il cavallo e vanno verso il castello per rubarne le ricchezze. Il bandito, con la zingara Astrid (Charleins) ed una banda di accoliti ,li costringe ad indicargli la strada del castello. La Bestia fa strage dei briganti ma muore , trafitto dal dardo che aveva ucciso la cerva magica; una lacrima d’amore di Belle lo salverà , ridandogli le sembianze umane (in realtà, come in una famosa gag di “Helzapoppin’”, Cassel fa più impressione al naturale che truccato da Bestia).

Come tutte le favole famose, “La bella e la bestia” , è apparsa più volte nella tradizione narrativa : è uno dei “Racconti di Mamma Oca” di Perrault , ripresa da M.me de Villenueve e poi editata da Beaumont, ma una storia simile era già ne “L’asino d’oro” di Apuleio e ,con il titolo “Il serpente”, la troviamo ne “Lo cunto de li cunti” di Basile. Ha avuto, tra film con attori e cartoni animati, almeno 5 trasposizioni cinematografiche (due delle quali, il film di Cocteau del ’45 ed il cartoon del ’91 , sono capolavori) . La fortuna del racconto sta, probabilmente, nella perfezione con cui è vagheggiata una metafora sull’iniziazione femminile ( e sul matrimonio di convenienza per secoli imposto alle fanciulle). Gans fa, invece, di Belle una eroina anticonformista e ribelle, accentuando i toni gotici del racconto (non a caso: lui aveva diretto “Il patto dei lupi” e l’horror “Silent hill”). Non è un granchè ma alle giovanissime piace.
 




 Whiplash

batteristadi Damien Chazelle. Con Miles TellerJ. K. SimmonsMelissa BenoistPaul ReiserAustin Stowell USA 2014

Andrew Neimann (Teller) è un ragazzo solo: vive con il padre Jim (Reiser), un professore di liceo con irrisolte velleità di scrittore (la madre li ha lasciati quando lui era piccolo) e con lui va al cine-club a vedere vecchi film europei, per il resto non ha amici e studia la batteria (sua unica e quasi maniacale passione) presso il miglior Conservatorio di New York; è al primo anno e nella band del suo corso fa il voltaspartiti al titolare Ryan (Stowell). Un giorno il professor Fletcher (Simmons), una leggenda del jazz, lo convoca per un audizione e lo mette a voltare gli spartiti al batterista Carl Tanner (Nate Lang); poco dopo insulta sanguinosamente e caccia il trombonista Metz (C.J. Vana), reo di non aver capito le stonature di un suo compagno. Andrew – che nel frattempo ha trovato il coraggio di invitare la ragazza che vende i popcorn al cine-club  Nicole (Benoist) – morde il freno e, quando la band dell’Istituto si esibisce, approfittando di una propria distrazione (ha perso lo spartito di Carl che non sa suonare a memoria), convince Fletcher a farlo esibire. Il concerto va bene e lui ha guadagnato il ruolo di titolare. Ora è sicuro di sè e una sera a cena con il padre e gli zii (Chris Mulkey e Suanne Spoke), racconta dei propri successi e tratta con superiorità i cugini (Charlie Ian e Jayson Blair), fieri dei propri  risultati sportivi a scuola. Fletcher pretende da lui sempre di più, tanto che il ragazzo ha le mani ferite per il tanto provare ossessivamente, e lui lascia Nicole, con la quale si era fidanzato, per timore che possa distrarlo dalla musica. Un giorno Fletcher, dopo aver commemorato in classe un brillante ex—allievo morto per un incidente (sapremo poi che si è suicidato), prova con la  band Caravan ma, scontento di Andrew, lo mette in competizione con Carl e Tanner. Alla fine lui ce la fa, dopo ore di sofferenza ed avendo riempito la batteria di sangue. Arriva il giorno di una nuova esibizione fuori città ma al pullman sul quale viaggia Andrew si buca una ruota, lui affitta una macchina e arriva con un lieve ritardo e senza le bacchette (le ha dimenticate in agenzia); Fletcher, che lo aveva già sostituito, accetta di aspettare che torni ma, nella fretta, Andrew viene investito da un camion; pur ferito esce dai rottami e prende, all’ultimo secondo, il proprio posto allo strumento; è troppo malridotto e suona male e, quando Fletcher si scusa con il pubblico e lo caccia, gli si avventa addosso. Espulso dalla scuola, mette via la batteria e si fa convincere dal padre ad affidare all’avvocato Rachel (April Grace) una denuncia anonima per maltrattamenti nei confronti dell’insegnante. Qualche tempo dopo, avendo visto in un bar di una jam-session con Fletcher entra e , quando sta per uscire, il musicista lo chiama e lo invita a bere qualcosa; gli racconta di aver perso il lavoro al Conservatorio per via di una denuncia anonima ma di aver sempre cercato tra i suoi allievi un nuovo Charlie Parker, sapendo di doverli tormentare per tirar fuor da qualcuno di loro il genio musicale; alla fine della conversazione, lo invita ad entrare nell’orchestra jazz che ha appena formato. Andrew accetta e telefona a Nicole per invitarla al concerto nella speranza di recuperare il rapporto ma lei gli comunica di avere un nuovo fidanzato. La sera del concerto, Fletcher gli dice di sapere che la denuncia era partita da lui e apre la performance con un brano inedito, del quale Andrew non nemmeno lo spartito. Alla fine della penosa performance si alza per andarsene, accolto dal padre ma, di scatto, torna indietro e suona Caravan (è il secondo brano in programma), in maniera perfetta, infischiandosi della direzione di Fletcher e chiudendo, esausto e sanguinante, con un assolo fuori programma. Lo sguardo di odio che lui e il jazzista si erano scambiati si trasmuta, ora, in intesa tra  due musicisti che si sono riconosciuti.

Chazelle ha appena trent’anni  e con questo secondo film (il primo, Guy e Madeleine on Park Beach, era un bianco e nero sempre di ambiente jazzistico), ha trionfato a Sundance, vincendo sia il Premio della Critica che quello del Pubblico; ora ha varie nomination all’Oscar, in particolare quella allo strepitoso J.K. Simmons quale attore non protagonista e si sta affermando  nel mondo come un grande film sul jazz (al pari di Bird di Eastwood e ‘Round midnight di Tavernier); d’altronde la creatività musicale e la sofferenza che comporta devono essere un’ossessione del regista che ha anche scritto la sceneggiatura de Il ricatto, storia di un pianista nevrotico che deve tenere un concerto sotto il tiro di un  killer paranoico .La scelta dei brani è poi significativa, oltre al complesso Caravan di Duke Ellington, Whiplash di Hank Levy, che dà il titolo al film, è considerato il pezzo che dà il via al jazz-rock, cioè la commistione tra tradizione e pop, così come questo film è il tentativo, riuscito, di far entrare il be-bop nel cinema direttamente come sangue e tecnica senza la scorciatoia della biografia di qualche grande.

 




Cinquanta sfumature di grigio (Fifty Shades of Grey)

cinquantadi Sam Taylor-Johnson. Con Jamie DornanDakota JohnsonLuke GrimesVictor RasukJennifer Ehle. USA 2015.

Anastasia (Johnson) è una laureanda in Letteratura Inglese ed, un giorno, la sua coinquilina Kate (Eloise Mumford), che ha preso l’influenza, le chiede di andare al suo posto ad intervistare il giovane tycoon Christian Grey (Dornan); l’uomo si rivela affascinante e gentilissimo e lei ne è colpita; qualche giorno dopo lui si presenta nel negozio di ferramenta nel quale lei lavora e le compra della corda e degli altri legacci e poche ore dopo manda il suo autista Taylor (Max Martini) a prenderla all’uscita dal lavoro per portarla a cena e nel locale spiega alla ragazza che è preso di lei ma che non può continuare a vederla a causa delle proprie inclinazioni. Il giorno dopo lei si vede recapitare in regalo delle prime copie costosissime dei romanzi di Thomas Hardy, il suo scrittore preferito. La sera con Kate e con Josè (Rasuk), un suo amico innamorato segretamente di lei, va a ballare, si sbronza e, ubriaca, telefona a Christian; lui la va prendere, accompagnato dal fratellastro Elliot (Grimes) e, dopo averle detto che meriterebbe una sculacciata, la porta via. L’indomani mattina lei si sveglia svestita nel suo letto ma lui le dice  che hanno solo dormito e le chiede di mettersi con lui, solo però dopo aver sottoscritto un contratto che le sottopone. Tornata a casa, trova Kate che fa l’amore con Elliot e comincia a leggere il contratto; questo prevede una serie di clausole che partono dai rispettivi ruoli: quello di Dominatore per lui e quello di Sottomessa per lei. Lei, dopo lunghe esitazioni, lo incontra e, come per una vera trattativa di affari, discute punto per punto l’accordo, escludendone alcuni eccessi, come le penetrazioni estreme. Con l’elicottero di lui (che intanto le aveva fatto costosi regali, quali un computer ed un’ automobile) vanno nella sua villa a Seattle e cui lui le mostra la stanza dei giochi: una camera rossa piena di fruste, cinghie, corde e manette e la camera dove lei dormirà (da sola: lui non dorme con le donne con cui ha fatto sesso) durante i week end. Quando lei gli rivela di essere vergine, lui la porta subito nel proprio letto e ci fa l’amore con grande partecipazione. Il loro rapporto va avanti e solo quando lei si dichiarerà pronta andranno nella stanza dei giochi. Un paio di week end dopo lei ha voglia di andare a trovare la madre, Carla (Ehle) e, poco dopo, a sorpresa lui la raggiunge; lei è un po’ irritata dell’intrusione e lui, per la prima volta, delicatamente la sculaccia. Tornati a Seattle, lei gli chiede di andare nella sala rossa, dove lui, usando la corda che aveva comprato da lei, la lega, la benda e, blandamente, la frusta. Lui, poco dopo, le confessa di aver avuto una prima infanzia terribile, a causa della madre drogata e di essere stato successivamente adottato dai Grey. Anastasia sopporta sempre meno quel rapporto così poco intimo nella quotidianità e, per capire meglio l’animo di lui, gli chiede di sottoporla ad una vera punizione; lui la denuda e le dà sei violente cinghiate; quando però, eccitato, cerca di abbracciarla, lei si ritrae insultandolo. Quella sera stessa, gli ridà i suoi regali e decide di andarsene ma, quando l’ascensore sta per chiudersi…

E.L. James aveva inizialmente messo mano ad una serie dal titolo Masters of the Universe, che era basata sui fan di Twilight ma, avendola infarcita di scene di sesso, la ha trasformata nella trilogia 50 sfumature e questo spiega l’impianto di base del racconto: Christian, come Edward Cullen, ha una tara che lo porta ad allontanare da sé la pur amata Anastasia/Bell. Questo nel film è rimasto ma l’operazione produttiva – per altro perfettamente riuscita da punto di vista commerciale – è stata quella di puntare sul glamour piuttosto che sul sesso ( che avrebbe comportato divieti, allontanando il prezioso pubblico dei tennager), diluendo ed annacquando le scene di BDSM (bondage, dominazione, sadismo e masochismo) e lasciando intatti irimandi alla Cenerentola soft-porno che caratterizzala storia ed i suoi due protagonisti: povera e risoluta lei, ricco e potente lui. La regista, peraltro, è una video artista- sopportabilmente trasgressiva ed amata dai salotti bene – ed a ha diretto con il nome di Sam Taylor Wood il film Nowhere boy, sulla giovinezza di John Lennon (ha poi cambiato nome quando ne ha sposato il giovanissimo protagonista, Aaron Taylor Johnson). Dakota Johnson è figlia di Melanie Griffith e di Don Johnson e Dornan, che si era fatto notare nel serial The fall, è stato il boy friend di Keira Knightley e così si completa il cerchio modaiolo. Non c’è molto altro da dire su quella che non è altro che una furba e accattivante confezione dentro la quale non c’è altro che sfavillio di un’improbabile ricchezza (Christian lavora pochissimo)  ed una quasi totale assenza di erotismo (perfino il prudente Secretary, più o meno sullo stesso argomento, era più sexi), anche se un paio di commenti a labbrucci serrati di nostri moralistelli a tariffa ideologica ci farebbe venir voglia di difenderne  l’onesta operazione di marketing…

 




Pride

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di Matthew Warchus. Con Bill NighyImelda StauntonDominic WestPaddy ConsidineGeorge MacKay  Gran Bretagna 2014

Nel 1984 il ventenne Joe (McKay) partecipa al suo primo Gay Pride – è spaventato perché la legge inglese riconosceva maturità sessuale agli etero diciottenni ma per gli omosessuali bisognava aspettare i 21 anni. Dopo la manifestazione va con i nuovi amici nella libreria di Gethin (Andrew Scott), dove Mark (Ben Schnetzer), giovane attivista, propone di fondare la LGSM (Lesbian an Gays Support the Miners) e di aprire una sottoscrizione a favore dei minatori in lotta contro le scelte economiche del governo Tatcher. I ragazzi si mobilitano e raccolgono una bella sommetta ma ogni tentativo di contattare le Unions va a vuoto (il pregiudizio omofobo era ancora forte, specialmente tra le classi operarie),  finché non raggiungono telefonicamente il paesino di Dulais, nel sud del Galles dove Gwen (Menna Trussler), un’anziana membro del locale comitato di lotta, accetta la loro offerta; gli altri membri del comitato discutono animatamente, alla fine Dai ( Considine), Hefina (Staunton), Sian (Jessica Gunning) e Cliff (Bill Nighy) votano a  favore dell’aiuto del  LGSM, mentre la cognata di quest’ultimo, Maureen (Lisa Palfrey), indignata lascia il comitato. Dai va ad incontrare i ragazzi per ringraziarli ma, a sorpresa, questi gli annunciano che alcuni di loro andranno a Dulais. Un gruppetto parte, quindi, con un pulmino – una decina, tra cui Mark ,Joe , Steph (Faye Marsay) e il compagno di Gethin (assente perché, gallese a sua volta, è ancora shockato dal bullismo dei suoi compagni d’infanzia) ,l’attore Jonathan (West) – e l’accoglienza è molto imbarazzata; Mark fa un discorso un po’ inopportuno e i giovani minatori sono chiaramente risentiti ma i membri del comitato sono gentili ed accoglienti. Qualche tempo dopo i ragazzi tornano con altri soldi – e stavolta Gethin è con loro – e la sera al pub Jonathan rompe il ghiaccio trascinando la ballo le ragazze (e dopo un po’ anche i maschi) al ritmo di Shame ,shame, shame di Shirley & Company. L’integrazione è quasi raggiunta ma Maureen manda la notizia ad un giornale conservatore e i minatori, sbeffeggiati dai compagni, sono  costretti a chiedere a Mark e agli altri di andarsene. Quest’ultimo, arrivato a Londra, non si dà per vinto e decide di usare l’articolo che li definiva “pervertiti” in positivo ed organizza il Pits and perverts concert , serata di beneficenza alla quale gruppi famosi, come i Bronksi Beat, danno la loro adesione. I membri del comitato di Dulais raggiungono la manifestazione, che raccoglie un mucchio di soldi ma, al loro ritorno, apprendono che, con un colpo di mano guidato da Maureen, il sindacato ha deciso di rompere i rapporti con la LGSM. Poco dopo – la linea della Tatcher contro i minatori ha intanto vinto in Gran Bretagna – nel successivo Gay Pride, i nostri amici sono isolati anche dalle organizzazioni omosessuali che non vogliono dare caratterizzazioni politiche al movimento ma l’arrivo dei minatori del Galles con i loro striscioni li farà finire alla testa della sfilata.

Matthew Warchus è un ottimo autore e regista teatrale e nel 1999 ha esordito al cinema con Inganni pericolosi, adattamento non memorabile di un testo minore di Sam Shepard. Pride è tutta un’altra storia e si inserisce autorevolmente nel filone britannico del dramedy (dramma con toni di commedia) inglese basato sulle lotte operaie (Full monty, Grazie, signora Tactcher, Billy Elliot, We want sex). Il film è basato su di una storia vera e riesce nel miracolo di coniugare un racconto impegnato e drammatico con toni leggeri e accattivanti; certo, gli attori, tutti eccezionali, aiutano non poco ma la scrittura di Stephen Beresford e la regia compongono un quadro di bell’impatto .Abbiamo nelle orecchie i commenti di nostri critici che lo hanno trovato furbo e poco politically correct e questo conferma e rafforza il nostro giudizio positivo.

 




Una donna per amica

di Giovanni Veronesi. Con Fabio De LuigiLaetitia CastaValentina LodoviniAdriano GianniniValeria Solarino Italia 2014

Una-Donna-per-Amica-Giovanni-Veronesi-586x390Francesco (De Luigi) è un avvocato milanese trapiantato in Puglia ed è cameratescamente amico di Claudia (Casta) , una veterinaria italo-francese . Lui è metodico ed impegnato – è anche consigliere comunale per una lista ecologica, insieme a Lia (Lodovini)  – lei è imprevedibile e casinista ; lui assiste Cecilia (Geppi Cucciari) una Lorena Bobbitt sarda che ha evirato il marito infedele e vuole essere assolta per provocazione grave da parte di lui; lei si precipita in elicottero a salvare una testuggine ferita, conosce la guardia ecologica Giovanni (Giannini) e se ne innamora; lui ancora frequenta come amico l’ex moglie Elga (Monica Scattini), che gestisce uno stabilimento sulla spiaggia; lei ha un rapporto complesso con la sorellastra Anna (Solarino), che è costretta a vivere in una comunità per una condanna per droga.  Ovviamente, lui è innamorato perso di lei ma, nonostante Elga e ad Anna glie lo facciano notare , lo nega anche a se stesso. Claudia sposa Giovanni dopo un brevissimo fidanzamento e a lui , che ha celebrato le nozze , viene un afonia psicosomatica che rischia di compromettere ulteriormente la difesa di Cecilia. Francesco si mette con Lia ma , quando decidono di convivere, lei ha un incidente e si rompe una gamba e da lui si catapulta Claudia in completa crisi matrimoniale. La storia con Lia finisce e Francesco , che ha appena avuto la forza di accettare  il proprio amore per Claudia, la sorprende a letto con Luca (Flavio Montrucchio), un suo vecchio flirt. Il finale ha, poi, una sua sorprendente anomalia .

Veronesi, dopo un lungo sodalizio con De Laurentis , è al suo secondo film (dopo “L’ultima ruota del carro”) con la Fandango. Come il precedente, anche questo ha dei limiti evidenti : gli eventi,  ad esempio, si affastellano affannosamente e soffre paradossalmente di  un cast troppo ricco, ogni ruolo è ricoperto da un mini-divo, con il risultato che ognuno deve avere un proprio siparietto ed il racconto si frastaglia pericolosamente, con troppi inserti semi-cabarettistici : De Luigi fa, come sempre, l’imbranato, la Cucciari la femminaccia incazzosa, la Scattini la signora un po’ snob, c’è anche Virginia Raffaele che ripropone la gag della ragazza che si mangia le parole. Un po’ meglio alcuni inserti regionali (filmcommision oblige): a buffa Cinzia Marseglia, il bravo Vito Signorile nel piccolo ruolo di  un giudice ed una portiera che parla un irresistibile gramelot salentino.

 




Sei mai stata sulla luna?

topa

di Paolo Genovese. Con Raoul BovaLiz SolariSabrina ImpacciatoreNeri MarcorèGiulia Michelini Italia 2015

Giulia (Solari) è una ricercatissima redattrice di moda e sta per fare un’ulteriore balzo nella prestigiosa carriera  quando, nel pieno della preparazione alla Settimana della Moda, le arriva la convocazione nel paesino pugliese di origine della sua famiglia per un’eredità, consistente in un’avviata masseria .Arrivata in paese, trova nella fattoria il cugino autistico  Pino (Marcorè), che  non potrà certo essere lasciato solo e, più tardi, nei due bar del paese, gestiti dai rivali Delfo (Sergio Rubini) e Felice (Emilio Solfrizzi) conosce l’affascinante Renzo (Bova), che la fa bere in tutti e due locali per non fare torto a nessuno. Un po’ brilla va nella masseria con lui e ci fa l’amore. L’indomani mattina scopre che Renzo è il massaro vedovo che vive lì con il figlio Tony (Simone Dell’Anna) e, all’arrivo del fidanzato Marco (Pietro Sermonti), commercialista maneggione, gli comunica che vuole vendere tutto e – irritata per essere stata ingannata – lo licenzia, dandogli solo pochi giorni per sistemare le proprie cose. Il notaio De Santis (Dino Abbrescia) le conferma che la masseria è sua e che non ha vincoli se non quello della sistemazione di  Pino. Il paese intanto si coalizza perché il podere non sia venduto: il contadino Oderzo (Nino Frassica), ad esempio, arriva rumorosamente all’alba e le chiede di condividere lavori pesanti e sporcanti e l’agente immobiliare Rosario (Paolo Sassanelli) dissuade i possibili compratori. Giulia, intanto, ha fatto amicizia con Mara (Impacciatore), la sorella zitella di Delfo, della quale Felice è segretamente innamorato e che, invece, sogna di incontrare il vero amore attraverso le chat e, di lì a poco, avendo sistemato Pino in una casa-famiglia, torna a Milano. Dopo poco però le comunicano che lui è fuggito e non ne vuole sapere di lasciare la masseria. Giulia decide così di tornare giù e di farsi raggiungere dalla preziosa assistente Carola (Michelini), per preparare da lì il servizio sulla Settimana. Qui si riconcilia con Renzo ma, quando i due si danno un appuntamento galante, arriva inatteso Marco e lei scopre che il bel massaro ha un amore: la  veterinaria Anita (Isabella Briganti). Parte per Milano e riprende con successo il lavoro ma una telefonata di Mara che le chiede di partecipare alla festa del paese, nella quale si avverano i desideri, le fa venire voglia di tornare. Il ballo in piazza farà fidanzare Mara con Felice e Delfo con Carola. Lei, che ha lasciato Marco, va alla masseria per un’altra notte d’amore con Renzo (che, a sua volta, ha chiuso con Anita).

Genovese (Immaturi, Tutta colpa di Freud) ha dimostrato una mano efficace e delicata nel dirigere commedie non banali e anche stavolta il suo tocco di metteur en scene si fa sentire, così come la Pepito di Agostino Saccà alla sua prima esperienza cinematografica in autonomia (aveva partecipato ad un paio di titoli prodotti da Luciano Martino) dà un buon valore produttivo al film. I limiti dell’operazione sono nella fragilità del testo (aggiornamento poco convinto del vecchio mito del topo di campagna e topo di città) e nella scarsa congruità dei pesi nel cast, troppo ricco di nomi ingombranti anche in ruoli minimi e concentrato sulle belle ma fragili spalle della Solari, che dovrebbero reggere – con un po’ di supporto del convenzionale Bova – il peso della commedia.




Exodus – Dei e Re ( Exodus: Gods and Kings)

mosedi Ridley Scott. Con Christian BaleJoel EdgertonJohn TurturroAaron PaulBen Mendelsohn. Gran Bretagna, USA, Spagna 2015.

Mosè (Bale), nipote del faraone Seti (Turturro) si prepara a guidare una spedizione contro gli ittiti a fianco del cugino Ramses (Edgerton) e l’indovina di corte (Indira Varma) predice che uno dei due giovani salverà la vita all’altro e diverrà re. Mosé salva Ramses e, al ritorno, il faraone (che preferirebbe lui come successore, piuttosto che il figlio), si convince a mandarlo ad indagare in una provincia, dove il corrotto viceré Hegep (Mendelson) sovrintende con metodi disumani al lavoro di migliaia di schiavi ebrei. Qui Mosè smaschera le malversazioni del notabile e viene avvicinato dal rabbino Nun (Ben Kingsley), che gli rivela che lui non è figlio della sorella di Seti, Bitia (Hiam Abbas), che, invece, lo aveva raccolto dal Nilo dove la madre lo aveva nascosto insieme alla sorella maggiore Miriam (Tara Fitzgerald), rimasta a corte come ancella. Mosè è turbato ma non gli crede (le spie del viceré, intanto, avevano sentito tutto) e torna alla reggia in tempo per assistere alla morte di Seti e all’incoronazione di Ramses. Hegep, portato al cospetto del faraone per essere giustiziato, rivela ciò che le sue spie avevano sentito e Ramses chiede, al cospetto di Mosè, a Bitia e a Miriam se la storia che ha sentito sia vera e, quando sta per tagliare un braccio alla serva, Mosè, per salvarla, conferma tutto. La madre di Ramses, Tuya (Sigourney Weaver), vorrebbe che fosse condannato a morte ma il figlio lo esilia nel deserto. Qui lui, dopo essere sopravvissuto a varie insidie, arriva nel villaggio dello sceicco-pastore Jetro (KIevork Malykian) e, poco dopo, sposa la di lui figlia Zipporah (Maria Valverde), dalla quale ha un figlio, Gershom (Hal Heweston). Un giorno, travolto da una frana, vede accanto a sé un bambino, Malak (Isaac Andrews) che lo sprona ad andare a liberare il suo popolo. Mosè capisce che il fanciullo è la voce di Dio e parte per Menfi. Qui va dal faraone e cerca di convincerlo a liberare gli ebrei ma, per tutta risposta, questi vengono perseguitati ferocemente. Malak , che solo lui può vedere, gli comunica che sta per scatenare terribili piaghe sugli egiziani ed ecco i coccodrilli che, divorando i pescatori, arrossano di samgue il Nilo, le rane, le cavallette, la grandine, le malattie e la carestia che devastano il regno del faraone. Questi però non è intenzionato a cedere e allora Malak comunica a Mosè (che ne è inorridito: quello è stato pur sempre il suo popolo per anni) che farà morire tutti i figli primogeniti degli egiziani. Tra questi c’è anche il bambino di Ramses che, distrutto dal dolore, acconsente a lasciare liberi gli ebrei, che in quattrocentomila partono per la terra promessa oltre il Mar Rosso. Sul mare sono raggiunti dalle truppe del faraone ma Dio prosciuga le acque per farli passare, scatenandole poi sugli armati egiziani. Giunto sul monte Sinai, Mosè incide le tavole della Legge e poco dopo, alle soglie di Canaan muore lasciando la guida del popolo a Joshua (Aaron Paul).
Nel 1956 Cecil B. DeMille, maestro del colossal, diresse I dieci comandamenti, remake del suo film muto del ’23 e fu subito capolavoro. Scott è regista ben diverso: raffinato e discontinuo, alterna titoli di fondamentale valore, (I duellanti, Blade runner, Thelma e Louise) , film di notevole impatto (Alien, Black rain, Il gladiatore) a pesanti flop (in particolare gli ultimi due: Prometheus e The counselor). Qui è andato sul sicuro, mettendo insime la scenografica storia di Mosè e il prestigioso Bale ma, a differenza del semplicistico DeMille, ha dato alla messa in scena dell’Esodo la sua intellettuale visone laica: Mosè è spesso attraversato da dubbi e il suo rapporto con Dio (non a caso incarnato in un antipatico ragazzino) è anche conflittuale, Bale, peraltro, non è stato a caso il problematico Batman- cavaliere oscuro dell’ultima trilogia ed è ben diverso dal granitico Hesto/ Ben Hur i cui unici rovelli erano di natura narcisistica. Exodus è certamente un buon film ma le ingenue e un po’ rozze certezze di DeMille ancora affascinano (riproposte dalle televisioni almeno una volta all’anno) gli spettatori. In fondo, questa è la miglior controprova della riuscita di un colossal.