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Il ricco, il povero e il maggiordomo

di Aldo BaglioGiovanni StortiGiacomo Poretti. Con Aldo BaglioGiovanni StortiGiacomo PorettiGiuliana LojodiceGuadalupe Lancho Italia 2014

Giovanni (Storti), autista e maggiordomo, investe con l’auto il venditore ambulante Aldo (Baglio), mentre accompagnava il suo padrone, il ricco finanziere Giacomo (Poretti) . Nella villa di quest’ultimo gli offrono un risarcimento di 900 euro. Aldo, che sogna di comprarsi un pulmino, accetta volentieri. Il giorno dopo, però, gli chiariscono che dovrà fare dei lavoretti in villa prima di avere i soldi e lui si dà da fare in giardino, mentre Giacomo va nel proprio lussuoso ufficio e Giovanni affronta l’ennesima discussione con Dolores (Lancho), la cameriera sudamericana con la quale ha una relazione e che è vuole essere sposata al più presto. Gli affari di Giacomo, che aveva investito tutto nel Burgundi (immaginario paese africano), vanno, per effetto di un colpo di stato, a rotoli e la mattina dopo, dopo aver salutato la moglie Camilla (Sara D’Amario) ed il figlio Giangiacomo (Alessandro Bendinelli), in partenza per la villa del nonno materno, comunica ad Aldo e a Giovanni (che aveva trovato il coraggio di chiedere la liquidazione per sposarsi) di essere rovinato. Ancora ottimista, il finanziere va dalla sua amica Assia (Francesca Neri), manager bancaria che gli conferma la bancarotta, lasciandogli solo la possibilità di un finanziamento previe garanzie di uomini d’affari solvibili. Aldo, che – come gli rimprovera la mamma Calzedonia (Lojodice), dalla quale ancora vive – è un bonaccione, li ospita nella casa materna. Qui Giovanni continua a fare i servizi domestici, Giacomo telefona inutilmente ai suoi vecchi amici e Aldo (che anni prima era stato abbandonato sull’altare dal suo grande amore e da allora ha paura delle donne) dribla le pesanti avances di una fioraia (Valentina Baldi), di una meccanica (Chiara Sani) e di una stiratrice (Rosalia Porcaro). Quando tutto sembra perduto e Camilla minaccia la separazione, Giacomo ha un’idea: presenterà Aldo, debitamente travestito ed istruito, come un ricco investitore turco. Il trucco sembra funzionare ma Assia cerca di sedurlo e …

Aldo, Giovanni e Giacomo escono di nuovo al cinema dopo il successo del 2010 de La banda dei Babbi Natale (Ammutta muddica del 2013 era una ripresa del loro lavoro teatrale) e centrano di nuovo il bersaglio: hanno sostituito alla co-regia Massimo Venier con il loro sceneggiatore di fiducia Morgan Bertacca e continuano ad usare attori di buon livello in ruoli minori – c’è anche Massimo Popolizio nel ruolo di un prete iracondo – con ottimi risultati (la Lojodice, in particolare, che dopo Una piccola impresa meridionale si è scoperta una divertentissima vena comico-dialettale). Quello che, però, funziona davvero è la loro clownerie, che fa di ogni trama, ancorché ben congegnata, un pretesto per gag e tormentoni che rimandano ai loro tic, alle loro maschere e alla natura, sfondo di ogni comicità circense, di bambini che litigano, si fanno dispetti anche tremendi ma poi si cercano per giocare insieme.




Un Natale stupefacente

di Volfango De Biasi. Con Pasquale PetroloClaudio GregoriAmbra AngioliniPaola MinaccioniPaolo Calabresi  Italia 2014

I genitori (Giampiero Ingrassia e Francesca Antonelli) del piccolo Matteo (Nicolò Calvagna) gestiscono una piccola azienda biologica e un giorno vengono arrestati perché il loro formaggio di capra è risultato positivo ai test antidroga. Affidano il bambino agli zii, Remo (Petrolo), un meccanico scombussolato dall’abbandono della moglie Marisa (Minaccioni) e Oscar (Gregori) musicista di scarso successo e dongiovanni a tempo pieno; gli assistenti sociali ai quali chiedono l’affidamento del nipote, Belotti (Francesco Montanari) e Randelli (Riccardo De Filippis) sono molto scettici e, convinti, di trovarsi di fronte ad una coppia gay, minacciano ispezioni a sorpresa. Remo e Matteo vanno a vivere da Oscar, combinando vari disastri e la sera successiva Remo lascia il nipote ad Oscar perché ha un appuntamento chiarificatore con Marisa nel quale scopre che lei si è messa con il tatuatore Giustino (Calabresi). Oscar non trova di meglio che portare Matteo in discoteca dove gli insegna i rudimenti del rimorchio; qui conosce Genny (Angiolini) e, come al solito, i due finiscono a letto. La mattina dopo arriva la visita dei sempre più sospettosi assistenti sociali e Genny, sia pur offesa dall’ostentata (e insincera) indifferenza di Oscar, elabora un piano per placare i sospetti dei funzionari: passeranno il Natale nella fattoria dei genitori di Matteo insieme a Marisa che dovrà fingere di stare ancora con il marito per dare l’idea di una famiglia normale ed affidabile. Marisa, che al nipote è affezionata, si lascia subito convincere e Genny, per riaccendere il suo interesse verso Remo (e anche per far ingelosire Oscar) finge di essere la sua focosa fidanzata. Nella casa di campagna si perfeziona il piano: Genny fa perdere la testa a Giustino e Remo lo convince che Marisa è affetta da demenza precoce. Tutto andrebbe per il meglio ma l’arrivo di Belotti e Randelli e una pizza preparata con il famoso formaggio sembrano mandare tutto all’aria; invece, i due assistenti omofobi scoprono di amarsi, Marisa torna da Remo (Giustino si consolerà con un caprone), Oscar e Genny si mettono insieme e la scoperta di una piantagione di marijuana curata da vispe vecchiette- che le capre brucavano volentieri- farà rilasciare i genitori di Matteo.

La premiata ditta De Laurentis, ora alla terza generazione, conferma la capacità di confezione e l’intuito commerciale: Un Natale stupefacente è piacevole e il cast adeguato ma ridotto all’essenziale per affrontare la non facile congiuntura finanziaria; certo, il film incassa meno dei precedenti ma i costi contenuti rendono l’impresa natalizia della Filmauro ancora una volta redditizia. Va però sottolineato un pericolo che il nostro cinema sta correndo: è ormai chiaro che, salvo rarissime eccezioni, il cinema d’autore è a forte rischio di perdita e che l’unico genere in grado di portare guadagni è la commedia; solo che tutti si sono buttati sul genere con il risultato che dall’inizio di stagione ne sta uscendo una alla settimana.Il risultato è che tutte incassano un po’ meno (senza dire che tra le troppe commedie sfornate a getto continuo molte sono inevitabilmente tirate vie senza alcun progetto editoriale).

Attenti che se uccidiamo l’unico genere pregiato, il cinema italiano può anche chiudere i battenti.




Jimmy’s Hall – Una storia d’amore e libertà

di Ken Loach. Con Barry WardSimone KirbyJim NortonAndrew ScottFrancis Magee  Gran Bretagna, Irlanda, Francia 2014

Jimmy Gralton (Ward) torna nel 1932 nel suo paese, Leitrim, in Irlanda; è stato in America 10 anni da quando la sconfitta del movimento insurrezionalista irlandese aveva visto la salita al potere di un governo gradito alla Gran Bretagna e fortemente condizionato dalla Chiesa. Lui si rimette a lavorare al proprio podere insieme ai vecchi compagni di lotta Mossy (Magee) e Tommy (Mikel Muffy) ma un giorno un gruppo di giovani, guidati da Marie (Aislyng Franciosi), gli chiede di riaprire la Pearse – Connoly Hall, un cascinale di sua proprietà che anni prima lui aveva trasformato in una sala di riunioni, di insegnamento ma, soprattutto, da ballo. Lui è recalcitrante – i suoi guai erano cominciati proprio da quella iniziativa – ma le insistenze dei suoi amici e di Oonagh (Kirby), la sua ragazza di allora , lo convincono. Di lì a poco il rustico rimesso a nuovo ospita lezioni di musica, di letteratura, di boxe e, grazie ai dischi di jazz che Jimmy ha portato dall’America, i ragazzi possono scatenarsi in danze ritmate e moderne, ben diverse dai balli tradizionali che la parrocchia, gestita da padre Sheridan, consente loro. E’ proprio quest’ultimo ad ingaggiare una vera battaglia contro la Hall, arrivando, durante la predica domenicale a elencare, nome per nome, come peccatori i partecipanti ad una innocente festa da ballo nella sala. Di conseguenza Il padre di Marie, O’Keefe (Brian O’Byme), locale capo dell’Ira, l’esercito di regima, frusta a sangue la figlia e decide di aprire un conflitto con Gralton ed i suoi amici, considerati, non del tutto a torto, comunisti e che, in un paio di occasioni, si erano apertamente schierati contro di lui ed i latifondisti che lo sostenevano a favore dei coloni. Jimmy tenta di trovare un accomodamento con padre Sheridan ma questi – nonostante il parere più dialogante del suo vice, padre Seamus (Scott) – è irremovibile. Così, dopo varie provocazioni, la Hall viene incendiata e Jim espulso dal paese.

Loach è, insieme ai fratelli Dardenne, l’autore “politico” migliore dell’attuale panorama cinematografico europeo. Non tutti i suoi film sono capolavori (i recenti La parte degli angeli e L’altra verità erano poco più che decorose opere di routine) ma ha quasi sempre una mano felice nel farci partecipare, anche emotivamente, alle storie ed ai personaggi che ci presenta. Qui, ad esempio, la lettura del poema di Yeats La canzone di Aengus il vagabondo e i semplici commenti dei paesani sono un momento di vera poesia civile. Non c’è forse molto di più ma la regia, la scelta di attori prevalentemente locali e semi-sconosciuti ma bravissimi e i costumi prefetti di Eimer Ni Mhaolandhaigh (da lui già usato per il suo precedente film sulla rivoluzione irlandese, Il vento accarezza l’erba) compongono un bella e intensa opera, trasposizione del dramma di Donald O’Kelly, basata su di una storia vera.




L’amore bugiardo – Gone Girl

di David Fincher. Con Ben AffleckRosamund PikeNeil Patrick HarrisTyler PerryKim Dickens  USA 2014

New York, Nick (Affleck) ed Amy (Pike) si conoscono ad una festa, fanno l’amore e da lì comincia una bellissima storia d’amore (o così se la raccontano). Pochi anni dopo perdono entrambi il lavoro e con i soldi di lei – i suoi genitori Rand (David Glennon) e Maybeth (Lisa Banes) sono scrittori di successo, autori di una saga che ha per protagonista una mielosa ragazzina con la quale tutti hanno sempre indentificato Amy – si trasferiscono a North Carthage in Missouri, dove vive la famiglia di lui. Qui lui prende in società con sua sorella gemella Margo (Carrie Coon) un bar, che chiamerà semplicemente The Bar. Una sera, dopo essersi lamentato della irragionevolezza della moglie con la sorella, lui torna casa e trova tracce di una colluttazione, macchie di sangue ed Amy scomparsa. Il detective Rhonda (Dickens) e il suo aiuto Jim (Patrick Fugit) cominciano ad indagare e, da subito, sospettano proprio di lui. La loro vicina Noelle (Casey Wilson) dichiara di essere amica intima della scomparsa e di averla spesso sentita lamentarsi dei maltrattamenti del marito; una anchor-woman televisiva, Ellen (Missi Pyle) insinua pesanti dubbi su Nick, arrivando ad ipotizzare un rapporto incestuoso tra Nick e Margo e viene fuori una gravidanza di Amy, della quale Nick sembra all’oscuro. Di lì a poco viene alla luce la figura della giovane amante di lui, Andie (Emily Ratajkowski) e nel garage di Margo vengono trovati i costosi acquisti, che risultavano dalla carta di credito di Amy , regolarmente usata da Nick e dei quali lui aveva sempre negato l’esistenza e due marionette raffiguranti Punch con un bastone e la di lui moglie con un bambino (secondo i racconti popolari uccisi a legnate proprio dall’iracondo marito e padre). Quando, infine, viene rinvenuto il diario della donna che racconta i soprusi di lui e la sua crescente paura di essere uccisa, Nick si rivolge al miglior avvocato di questa materia, Tanner Bolt (Perry) al quale dice di essere sicuro che Amy sia viva e si nasconda da qualche parte. Bolt, dopo averlo fatto intervistare dalla giornalista televisiva Sharon (Sela Ward), rivale di Ellen, prepara la difesa al processo per omicidio, reato del quale Nick è stato formalmente accusato, quando, terrorizzata e sporca di sangue, torna Amy.

Fincher (Seven, Fight club, Zodiac) non è certo nuovo ad atmosfere di angoscia e compulsione ma mai come in questo film sa rendere l’ossessione claustrofobica di personaggi immersi in una realtà socialmente ed affettivamente inquinata ed inquinante, dalla quale non c’è scampo possibile: alla fine lui tenta di allontanarsi dalla patologicamente possessiva Amy dicendole: “..non vedi che non c’è altro che farci del male e dominarci a vicenda?” e lei risponde “Si chiama matrimonio!”. Più dei serial killer di Seven o di Zodiac, la compulsiva Amy lascia un durevole allarme di coinvolgente e distruttiva pericolosità e la scelta di due bellocci medio-americani, quali Affleck e Pike, aggiunge pathos a questa ottima trasposizione del romanzo di Gillian Flynn.




Un insolito naufrago nell’inquieto mare d’Oriente (Le cochon de Gaza)

di Sylvain Estibal. Con Sasson GabayBaya BelalMyriam TekaïaGassan AbbasKhalifa Natour  Francia, Germania, Belgio 2011

Jafaar (Gabay) è uno sfortunato pescatore palestinese e vive con la moglie Fatima (Belal)n in una misera casa sul cui terrazzo stanziano due sentinelle israeliane (Ido Shaked e Thierry Lopez). Lui pesca pochissimo pesce (anche per via del divieto israeliano di andare nelle acque alte) ed ha un forte debito con il commerciante (Khaled Riani) del villaggio. Un giorno nella sua rete si impiglia qualcosa di grosso e Jafaar spera sia un grande pesce ma invece salta fuori un maiale proveniente , chissà come, dal Vietnam. Il pover’uomo da buon mussulmano, pregando e lavandosi, si monda come può dall’impurità della bestia proibitissima dall’Islam. Il suo amico barbiere (Abbas) gli presta un kalashnikov per farlo fuori ma lui, un po’ perché inesperto di armi e un po’ perché si sta affezionando all’animale, non riesce ad ucciderlo. Prova a venderlo ad un funzionario tedesco (Ulrich Tukur) dell’ ONU ma viene cacciato via; riesce a parlare con Yelena (Tekaia), immigrata russa che, malsopportata dagli altri coloni israeliani, alleva maiali e lei si offre di comprargli lo sperma della bestia per ingravidare le sue scrofe. La prima volta Jafaar, si masturba e porta il suo poco seme alla ragazza ma lei gli dà metà del pattuito, comunque sufficiente a pagare il debito col negoziante, a comprare un vestito nuovo ed un profumo alla moglie ed a munirsi di una bacinella e di un paio di guanti, oggetti indispensabili per intervenire sul maiale; si procura, con l’aiuto di un furbo orfanello (Nicholas Galea), anche una confezione di pillole Viagra, che infila nei pesci che dà in pasto al suino. Le vendite di seme gli fruttano bene ma Yelena deve partire e lui si deve liberare del maiale; il capo della locale resistenza palestinese Hussein (Natour), a causa di un’ involontaria soffiata del ragazzino, lo fa arrestare e lo costringe a diventare, insieme al maialino, una bomba umana con l’obiettivo di far saltare il campo dei profughi russi. L’attentato non fa male a nessuno ma Jafaar, creduto morto, viene celebrato come martire della resistenza; a questo punto Hussein gli impone di spararsi (non si è mai visto un martire vivo!), lui riesce a scappare e insieme a Fatima, Yelena e al ragazzo ebreo Netsah (Uri Gabay) scappa con una barchetta verso un mondo di concordia.

La programmazione estiva ci porta questo piccolo film, opera prima di un giornalista franco-uruguayano, che nel 2012 aveva vinto il Cèsar (l’Oscar francese).Il protagonista, Sasson Gabay è iracheno e lo avevamo già notato nel franco-israeliano La banda del 2007 ed è anche merito della sua bravura se il racconto fila piacevole, da un lato, senza appesantimenti ideologici e, dall’altro, con grande efficacia nel raccontare, con levità e con impegno civile, la quotidianità in una tragedia. Stona un po’ (ma è un peccato veniale) il finale tra l’onirico ed il predicatorio ma è un bene che, sia pur due anni dopo, possiamo vederlo anche noi.




Transformers 4 – L’era dell’estinzione (Transformers: Age of Extinction)

di Michael Bay. Con Mark WahlbergStanley TucciKelsey GrammerNicola PeltzJack Reynor  USA  – CINA 2014.

Sono passati 5 anni dalla cruenta battaglia di Chicago tra i cattivi Decepticon, guidati da Megatron e i buoni Autobot di Optimus Prime e Cade Yeager (Wahlberg), uno scalcinato inventore, insieme al suo aiutante  Lucas (T.J. Miller) ha scovato in un vecchio cinema un camion Western Star 4900 in pessime condizioni; sua figlia Tessa (Peltz) si dispera : il capannone della loro fattoria è già pieno di ferraglie e loro rischiano di essere sfrattati per morosità. Il camion però riserva delle sorprese: si tratta del malconcio Optimus Prime che si deve nascondere sia dal cacciatore Lockdown, inviato dai Creatori (misteriose entità che inviano nei pianeti i Transformers per conquistarli) per punirlo della sua amicizia con gli umani, che dagli uomini dalla C.I.A. di Savoy (Titus Welliver); questi ultimi agiscono per ordine di Harold Attinger (Grammer), alto papavero che si prepara ad entrare in società con il tycoon Joshua Joyce (Tucci) che sta costruendo dei robot-transformers. Savoy entra in forze nella proprietà e minaccia di uccidere Tessa se non gli verrà consegnato Optimus; Cade non cede ed Optimus ingaggia battaglia con gli uomini della C.I.A. ; nello scontro Lucas muore e Cade e Tessa riescono a fuggire nell’auto di Shane (Reynor), il boy-friend della ragazza. I tre con Optimus Prime arrivano in una località deserta dove sono nascosti Bumblebee e gli altri pochi Autobot superstiti. Lockdown e Joyce cercano anche il Seme – un congegno che dovrebbe dare potenza ai Trasformers artificiali (scopriremo che in realtà è una potentissima bomba e che Lockdown vuole usarla contro gli umani ).Cade, Tessa e Shane riescono ad entrare nel laboratorio di Joyce e scoprono che lui ha messo a punto, insieme ad altri robot, Galvatron, il clone di Megatron, e che è entrato in possesso del Seme ed è pronto, in accordo con Attinger, a vendere le sue creazioni come macchine da guerra. Scoperti, riescono a fuggire ma Optimus cade nelle mani di Lockdown che lo trascina nella sua astronave. Joyce parte per Hong Kong, con la geologa Darcy (Sophia Miles) e lì la sua collaboratrice cinese Su Yeuming (Binbing Li) è pronta ad attivare la fase finale dell’operazione. Cade riesce a telefonare all’industriale e, fidando nella comune etica di inventori, lo scongiura di non cedere il Seme. Joyce ha un sussulto di coscienza e scappa, inseguito dagli uomini di Attinger, dalle truppe di Lockdown a dai sui stessi robot. Gli Autobot si alleano con i Dinobot (sorta di Transformers dinosauri) e dopo una dura battaglia, cui prenderà parte anche Optimus liberato da Cade, avranno la meglio.

La serie Transformers è l’esempio più consolidato di quella parte di cinema che nasce da videogames (Battleship, Prince of Persia), cominciata storicamente nel 1982 con Tron della Disney. L’era dell’estinzione è il quarto episodio e il team centrale è rimasto invariato: Spielberg produce, Ehren Kruger sceneggia a Michael Bay dirige; anche alcuni Transformers (Optimus Prime e Bumblebee) sono presenti sin dal primo episodio; qui cambia il protagonista ( il Cade di Wahlberg al posto del giovane Sam di Shia Labeouf) e la guest star – Joyce/Tucci anziché Simmons/Tuturro – ma il meccanismo narrativo è lo stesso: un umano di buona volontà riesce a convincere i Transformers ben disposti ad aiutare l’umanità anche se questa non sembra sempre meritarlo. Quello che però caratterizza queste operazioni è la capacità di rendere visivamente la modalità dei videogame, nei quali i giocatori debbono affrontare e superare livelli sempre più alti di difficoltà; trasferire questo meccanismo nell’anima e nel cuore di un film richiede una regia impeccabile e Bay (finora non ha sbagliato nessun film – già di per sé un record) continua a dare prova di superbo mestiere. Il film sta incassando benissimo ovunque e la astuta scelta di co-produrre con la Cina gli apre quel fiorentissimo mercato, ancora in piena espansione.




La ricostruzione (La Reconstrucción)

di Juan Taratuto. Con Diego PerettiClaudia FontànAlfredo CaseroMaria CasaliEugenia Aguilar  Argentina 2013

In un’autostrada della Patagonia un uomo al volante vede un’auto capovolta ed una donna che invoca soccorso, lui la guarda appena e tira dritto. Conosciamo così Eduardo (Peretti), capo-operaio in un complesso petrolifero. Vive come un animale, è sporco e, pur afflitto da un atroce mal di denti, si cura con brutali sistemi empirici; anche il suo capo (Ariel Perez), che lo stima sa di doverlo lasciare in pace. Edoardo riceve l’ennesima telefonata del suo vecchio amico Mario (Casero), che gli chiede di raggiungerlo per sostituirlo mentre si sottopone ad una analisi clinica. Eduardo raggiunge l’amico in città e accetta di gestire per qualche giorno il suo negozio di souvenir. In ospedale la situazione di Mario appare assai grave e lui, dopo due giorni muore; la moglie Andrea (Fontàn) è distrutta (sappiamo, da pochi accenni, che lei si era molto affidata al marito per le cose pratiche), così come le loro due figlie adolescenti, Ana (Casali) e Cata (Aguilar). Il primo impulso di Eduardo è quello di andarsene ma capisce che l’amico, prevedendo di morire, lo aveva chiamato per sostenere la moglie e le figlie per qualche tempo. Eduardo si occupa del negozio, insegna a Cata a guidare e, insieme a lei, mette in atto uno stratagemma per aiutare Ana a superare un esame per lei ostico. Comincia in lui a riaffiorare la perduta umanità, si cura i denti e, una sera, confida ad Andrea la causa del suo isolamento: sua moglie, morta qualche anno prima, era andata a passare gli ultimi giorni di vita a Buenos Aires, dicendogli di aver trovato un ospedale con delle cure innovative; il realtà lui capisce che lei era partita per lenirgli il dolore che in lui avvertiva insopportabile e lui, ora, prova solo vergogna. Andrea e le ragazze hanno, grazie anche a lui, trovato la forza di andare avanti ed Eduardo può tornare ad essere l’uomo che era.

Questo è il primo film di Taratuto che circola in Italia (e, giustamente data la perfezione dei pochi dialoghi,, la Academy2 lo ha distribuito in originale con sottotitoli), dopo essere stato presentato nei Venice days del 2013; in realtà lui in Argentina è notissimo perchè ha diretto il più grande incasso del cinema argentino di tutti i tempi: No sos vos, soy yo, sempre con Peretti; da noi era conosciuto quale regista di Un novio para mi mujer, da cui Marengo ha tratto Un fidanzato per mia moglie. La ricostruzione è, chiaramente, di tutt’altro genere ed è un piccolo, imperdibile capolavoro di essenzialità, capacità registica e qualità recitativa.




Mai così vicini (And So It Goes)

di Rob Reiner. Con Michael DouglasDiane KeatonSterling JerinsFrances SternhagenAndy Karl USA 2014

Oren Little è un abilissimo agente immobiliare e da quando ha perso la moglie ha deciso di vendere la propria villa ed è andato a vivere in un modesto condominio di sua proprietà. Il lutto ne ha inasprito il non facile carattere ed i suoi vicini, Kile (Austin Lysy) e Kate (Annie Parisse), Reggie (Albert Jones) e Kennedy (Ya Ya DaCosta) e Leah (Keaton) ne sono esasperati. Un giorno gli si presenta il figlio Luke (Scott Shepherd) ex-tossicodipendente che deve scontare una condanna di qualche mese e gli affida la figlia decenne Sarah (Sterling Jenis). Orel, che aveva rotto i rapporti con il figlio, cerca di evitare l’arrivo della nipote ma non può far nulla: la ragazzina arriva e Leah, intenerita, comincia ad occuparsene; lei, vedova a sua volta, è un ex-attrice che fa la crooner nei locali della zona. Orel, che la era andata a sentire si impone come suo manager al posto del pianista Artie (Rob Reiner) che fino a qual momento aveva trovato modeste scritture. La vendita della villa, nonostante gli sforzi di Ted (Karl) – venditore alle sue dipendenze e figlio della spigolosa Claire (Sternhagen), sua storica assistente e unica amica rimastagli – perché Orel è inconsciamente restio a separarsene, tanto da chiederne un prezzo fuori mercato. Orel e Leah si innamorano, Sarah conquista il nonno – che aveva inizialmente anche tentato di rifilarla alla strafatta madre naturale Rita (Meryl Williams) – , grazie ad un ottimo avvocato ingaggiato dal padre, Luke esce di prigione e una coppia di messicani, Mario (Luis Augusto Figueroa) e Serlna (Paloma Guzman) acquista la villa ma Orel non andrà via dal condominio.

Rob Reiner è un grande artigiano, ha spaziato dalla commedia (Harry ti presento Sally), al dramma giudiziario (Codice d’onore), al melò (Il presidente) sino al thriller (Misery non deve morire) ed ogni volta ha composto film di perfetta fattura. Qui ritorna ad un genere, quello della commedia sulla terza età, che lui stesso aveva iniziato con Non è mai troppo tardi (con Jack Nicholson e Morgan Freeman allegri malati terminali), usando la penna di Mark Andrus, a sua volta sceneggiatore del senile Qualcosa è cambiato. Douglas e la Keaton sono usati al meglio (per non parlare della travolgente Sternahagen) ed il film fila piacevole, commovente e scontato quanto serve per rassicurare un pubblico che vuole certezze e che con Reiner le ottiene al massimo livello.