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Segna la data: Ater Roma e Unimol presentano il progetto dei tetti di Corviale – 22 ottobre ore 11.30 – 13.00 Bologna fiere

Un passo alla volta … cominciamo dal TETTO, trasformandolo in una piattaforma rigenerativa.

  • ROOF Top FARM – Rigenerazione delle superfici di copertura con verde pensile per produzione alimentare con terra (orti) e senza terra (serra idroponica), per assorbimento calore, polveri sottili e acque piovane (giardino pensile);
  • REUSE – Riuso di acque (piovane e grigie) e rifiuti (umido e materiali) a scala condominiale, reimpiegabili nello stesso edificio nel ciclo riproduttivo generato dal tetto;
  • FabLab KM 0 – Mini laboratori per servizi artigianali, tradizionali e innovativi, a KM ZERO di riparazione e modificazione (abiti, elettrodomestici, cucina, elettronica, impianti);
  • TELE PRESENCE – Assistenza a distanza (sanitaria e formazione);
  • MONITORING – Monitoraggio e rappresentazione dinamica di tutti i consumi e della produzione nell’edificio, delle condizioni di sollecitazione strutturali e ambientali (domotica);
  • ENERGY – Produzione di energia rinnovabile (serre e pergole fotovoltaiche).
Presentazione:
Bologna, Convegno 22 10 2014  11.30 – 13.00

iscritti a parlare Daniel Modigliani (Ater Roma) e il prof. Stefano Panunzi (Unimol)

http://www.smartcityexhibition.it/it/lavoro-ed-impresa-nelle-smart-cities

smart



Ecco il calcio sociale

CalcioSocialeA Corviale dal sogno di un ex ultrà

Dal sogno di un ex ultrà che voleva far giocare nella stessa squadra, uomini, donne, anziani e bambini è nato il Calciosociale a Corviale, periferia sudorientale ad alto tasso di degrado a Roma

La prima regola del calciosociale è parlare a tutti del calcio sociale. E’ un gioco, innanzitutto, è uno stile di vita ed è anche una terapia, parola di un gruppo di studio che ne analizzato gli effetti su pazienti psichiatrici. Prima di ogni altra considerazione occorre far sapere al lettore che il calcio sociale si identifica con il suo fondatore: Massimo Vallati, classe ’76 e una storia che in un romanzo d’appendice sarebbe definita “turbolenta”.
Da preadolescente ha giocato a calcio a livello agonistico, da adolescente è diventato un ultrà della Lazio poi quando si è reso conto che il calcio in quell’ambiente aveva perso “spontaneità” ne è uscito. A venti anni è entrato in polizia. Ci è rimasto per quattro anni e mezzo, lavorando a Roma e poi ha lasciato la divisa e ha studiato cinema e regia. Ma il calcio è rimasto il suo pallino. In una reazione di rigetto alle brutture della curva e ai personaggi del giro che ancora conosce ha inventato un gioco del calcio che quasi nulla ha a che vedere con quello seguito da milioni di persone e lo ha chiamato “calciosociale”, una parola sola. Ha proposto il modello al prete di una parrocchia ma ha capito che aveva le potenzialità di uscire dai confini delle mura dell’oratorio.

Il 13 luglio del 2009, Calciosociale – che intanto è diventato una società – è entrato in possesso di una struttura sportiva in stato di totale abbandono, in Via di Poggio Verde 455, nel quartiere di Corviale, il Serpentone, il chilometro di cemento armato e vetro, opera di edilizia popolare alla periferia sudorientale di Roma dell’architetto Mario Fiorentino costruita nel 1975 e mai completata, ad alta concentrazione di abbandono e criminalità. Talmente criticata da aver fatto nascere la leggenda metropolitana per cui il Corviale, con la sua massiccia struttura monocolore, ha tolto il ponentino a Roma.

Cinque anni e un milione e quattrocentomila euro dopo – in parte donazioni private, in parte finanziamenti pubblici, in parte autofinanziamento – è nato il nuovo Campo dei Miracoli, una struttura moderna con un campo di calcio con intaso naturale, una palestra con il soffitto fatto da corteccia di alberi, una casetta della spiritualità (ex domicilio di un componente della banda della Magliana, racconta Vallati), una sala polifunzionale e il progetto di una mensa con forno a legna. Oggi il Calciosociale ha portato a casa un altro risultato: come best practice italiana sarà presentata dal sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Graziano Del Rio ai ministri dello Sport dell’Unione Europea come esperimento (riuscito) di recupero delle attività sportive nelle periferie.

link al sito




Dall’area cani al parco sotto casa: ora si adottano gli spazi pubblici

parchi

Il Comune istituzionalizza il faidate contro il degrado delle zone verdi. E i giardini diventano orti urbani

Anziché adottare un cane, specie se ce l’avete già, da oggi in poi potrete adottare un’intera “area cani”. Sì, avete capito bene: quelle spianate solitamente recintate, situate all’interno dei parchi, che servono per portare a spasso, far correre e defecare i vostri amici a quattro zampe. Se però non avete un cane ma il pollice verde sì, non disperate: potete sempre chiedere in affidamento uno dei tanti giardini di proprietà comunale, ormai quasi tutti in stato di abbandono, per trasformarli in orti urbani coltivati a zucchine e pomodori, o in oasi lussureggianti di gerbere e rose.

È l’ultima frontiera tracciata dal Campidoglio per coniugare la tutela del verde pubblico con le ristrettezze di un bilancio che a stento riesce a garantire i servizi essenziali: visto che sempre più spesso sono i cittadini a farsi carico, in modo del tutto spontaneo, della pulizia dei prati sotto casa, perché non istituzionalizzare il faidate? Ed ecco che l’assessore all’Ambiente Estella Marino ha messo a punto due diverse delibere, che verranno esaminate oggi in giunta. La prima detta le linee guida per l’adozione di una delle 150 “aree cani” distribuite sul territorio romano. Nobili le motivazioni, sebbene scritte in perfetto burocratese: “Detti spazi, ove non adeguatamente mantenuti, contribuiscono significativamente alla dequotazione degli standard qualitativi, anche solo “percepiti”, con riferimento alla manutenzione del verde cittadino da parte della cittadinanza”. Ancora: “Nel corso degli ultimi esercizi finanziari, le risorse economiche stanziate in bilancio per la cura e la manutenzione del verde hanno subito una cospicua contrazione”.

Da qui l’idea di incentivare il “partenariato sociale pubblico-privato”, dando seguito “alla più volte manifestata volontà dei cittadini di affiancare Roma Capitale in iniziative” di questo tipo. Semplice lo schema individuato: il soggetto che adotta (persona fisica, organismi, enti, associazioni o comitati) si impegna mediante un apposito atto a manutenere e/o eventualmente custodire un’area cani cittadina “per un periodo di tempo determinato” e secondo precisi standard “fissati unilateralmente” dall’amministrazione, “senza oneri finanziari a carico” di quest’ultima. Chi lo fa dovrà perciò garantire “la pulizia, il decoro e gli arredi nel rispetto delle vigenti norme igienicosanitarie”.

Più o meno la stessa ratio che sottende l’innovativo Regolamento per l’affidamento in comodato d’uso gratuito delle aree verdi comunali “compatibili con la destinazione a orti/giardini urbani”. Tredici articoli con tanto di “disciplinare di conduzione e manutenzione” per trasformare gli spazi abbandonati in prati coltivati a ortaggi, fiori e frutta. A prenderli in carico potranno essere associazioni e gruppi no profit, oppure persone singole (il cui lotto non potrà però superare i 60 metri quadrati) a patto di produrre solo quanto serve a se stessi e ai propri collaboratori. Ma ci saranno anche gli orti condivisi (coltivati collettivamente a scopo sociale) e quelli didattici (da destinare alle scuole). Tanti gli obblighi da rispettare, elencati nella convenzione da firmare, e un divieto grande così: escludere l’utilizzo di sementi ogm, cioè geneticamente modificat




Istituire a Tor Pignattara la Casa della società civile

«Alla Marranella lì all’incrocio dell’Acqua Bullicante e la Casilina c’era più via vai di macchine e di gente che in via Veneto…» Così Pasolini descrive il centro di Tor Pignattara in Ragazzi di vita.

Ebbene, proprio in questa piazza, dove via dell’Acqua Bullicante fa angolo con via della Marranella, fu costruito nel 1950 un palazzo di otto piani. I primi due furono acquistati dall’ USIS (United States Information Service) per collocarvi una delle innumerevoli biblioteche che l’organizzazione americana aveva sparse in venti Paesi. Una biblioteca a scopo didattico per dare la possibilità a tutti di prendere in prestito ogni tipo di materiale utile a conoscere la vita americana e le novità in campo industriale. Nella struttura si svolgeva un’intensa attività culturale: mostre fotografiche, conferenze, presentazioni di libri. E i giovani studenti e i cittadini di ogni età la frequentavano con grande interesse.

Ma nelle prime ore di lunedì 19 settembre 1966 una bomba ad orologeria esplose nell’atrio della biblioteca. I locali subirono danni gravissimi. E schegge dell’ordigno colpirono un’auto parcheggiata di fronte, le vetrine dei negozi e le abitazioni dei palazzi vicini. Per fortuna non ci furono vittime. E non si seppe mai chi fosse l’autore del gesto dissennato.

Gli abitanti più anziani di Tor Pignattara ricordano l’episodio come una ferita non più risanata. Un atto insensato e oltraggioso nei confronti del quartiere e una perdita irreparabile. Infatti, dopo l’attentato, l’Usis vendette i locali e la biblioteca non fu più istituita. Col tempo quel luogo di cultura è stato rimpiazzato da una banca.

Ora, a piazza della Marranella, il Municipio V ha concesso ai cittadini la sala dove fino a qualche anno fa si riuniva il consiglio municipale. Si potranno svolgere laboratori e riunire gruppi di studio al fine di elaborare proposte su diversi problemi, da quelli più gravi, come la presenza delle mafie sul territorio, alla necessità impellente di diffondere cultura e conoscenza nel quartiere, integrare gli immigrati con gli italiani, gestire in modo partecipato i beni comuni e progettare lo sviluppo locale.

Sarebbe utile che il Comune di Roma affidasse in modo permanente i locali di piazza della Marranella ad un soggetto partenariale aperto a tutti i comitati, associazioni e singoli cittadini per farne la Casa della Società Civile di Tor Pignattara.

In questo modo, dopo quarantotto anni, la ferita che la comunità locale subì con l’attentato alla biblioteca potrà finalmente essere sanata. E la cultura diffusa potrà riprendere a svolgere la sua funzione generatrice di coesione sociale e sviluppo umano.

 

 

Piazza della Marranella

Piazza della Marranella

 

 




(foto)narrazione social(e) di una giornata particolare

C’era una strada nel bosco, quando all’improvviso appare

c_e 1 strada nel bosco

un bivio

bivio2

da una parte una porta finta, dall’altra s’intravedono mirabilie.
porta finta 20141003_135609

Scegliamo, senza dubbi, la seconda e c’inoltriamo in un palazzo incantato

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dove, affacciata a una loggia,
incontriamo una bellissima donna
che ci dice che è lì proprio ad aspettarci
per raccontarci quello
che il ministro ci ha scritto.

copertina

Ci porta ad un tavolo preparato per noi

tavolo

poi sale su un balconcino interno

lettura

e lì ci legge:
"La questione delle periferie va posta al centro dell’azione del governo".
Allora capiamo che il lungo viaggio per mare

per mare

e per terra

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non è stato inutile.
Soddisfatti, andiamo a mangiare e bere

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e quindi, rimessoci in forze, finalmente visitiamo la città acquatica.
Attraversiamo il ponte d’ingresso

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e c’immergiamo nella calca

nella calca

tra gruppi che si fotografano

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bottiglie pronte ad essere bevute

bottiglie pronte per essere aperte

carrozzine

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bambini che si affacciano dai ponti

bambini affacciati a ponticelli

Camminiamo fino al tramonto

al tramonto

e nella luce serale vediamo gente seduta a tavola

vediamo gente che mangia

ponti levatoi

ponti levatoi

balconi illuminati

balconi illuminati

ci specchiamo in vetrine

ci specchiamo nelle vetrine

sempre alla ricerca di segni divinatori sulla sorte del nostro sogno
e alla fine, stanchi, ad uno squallido
tavolo di tavola calda – finalmente – incontriamo il segno

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l’icona nave di Noè che ci porterà, dopo una notte di attesa, alla macchina che si autoalimenta

macchina

il modello che la simbiosi tra natura

natura

e tecnologia ci consegna come prototipo per la rinascita del palazzo di Corviale:
un ecosistema in cui le acque

acque

la luce

luce

alimentino la vita come nel disegno di Fiorentino.

la vita




Le comunità-territorio del futuro

Opportunità e rischi della democrazia identitaria

Si parla di identità in rapporto agli istituti della democrazia quando un gruppo di persone si percepisce come specifico in relazione ad una componente che non è il risultato immediato di una scelta individuale. E tale specificità identitaria viene riconosciuta da altri individui.

In altre parole, la mia specificità identitaria non nasce immediatamente per atto della mia volontà. Emerge perché sono nato in una determinata famiglia, vivo in un certo paese, in cui si parla una data lingua e si adotta una specifica religione.  E sono identificato dagli altri mediante alcuni tratti peculiari. Ho sempre la possibilità di fare una scelta diversa. Ma intanto, nell’immediato, quella specificità mi caratterizza e costituisce un legame di appartenenza. L’identità unisce e, al tempo stesso, distingue.

L’identità non è mai qualcosa di statico ma il portato di un processo culturale sempre in evoluzione ed è in virtù di questa intrinseca dinamicità che costituisce un valore, un arricchimento per l’insieme della società. La fioritura di culture identitarie – come reazione spontanea alla globalizzazione – è dunque un’opportunità da saper cogliere. Ma quando si pretende di far valere l’identità nella scena politica contro gli altri che non appartengono al gruppo, la democrazia può correre seri rischi. Non è la prima volta che accade. Anche le ideologie che sono state protagoniste della guerra fredda creavano non solo manicheismo dottrinario ma anche simboli e appartenenze identitarie. Chi nasceva in una famiglia comunista o democristiana doveva compiere una scelta sofferta per distaccarsi da un’identità percepita dal proprio gruppo e riconosciuta all’esterno come appartenenza. E tale condizione creava opportunità perché alimentava legami comunitari e solidarietà, ma anche rischi perché fomentava conflitti irriducibili.

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L’identità religiosa

Le ideologie onnicomprensive del Novecento sono sparite e vanno sorgendo nuove identità. Rinascono in forme nuove anche quelle antiche, come le religioni. Credere in un Dio è certamente un fattore che unisce e distingue. Ma cosa succede quando l’identità in una fede vuole avere voce in capitolo nelle scelte politiche e nella sfera pubblica per sopraffare altre identità? C’è il rischio  che tale pretesa ponga in serio pericolo lo stato di diritto. Lo stato moderno è infatti nato escludendo le religioni dalla sfera del potere politico: liberando le religioni dal potere, ha liberato il potere dall’intolleranza e dalla violenza per ragioni di fede.

Con l’adozione delle carte dei diritti, e quindi con il riconoscimento del limite del potere della maggioranza, le democrazie moderne hanno reso la libertà religiosa un principio fondamentale che libera la persona da ogni autorità esterna alla propria coscienza di individui responsabili e perciò liberi. La tolleranza non attiene più alla sfera pubblica. I diritti individuali rendono la tolleranza una questione di comportamento individuale, non più una politica degli stati. Difendere i diritti di tutti supera la discrezionalità degli stati di tollerare questa o quella fede.

Oggi le gerarchie religiose reclamano una presenza speciale dell’identità religiosa nella vita politica. Esse contestano il principio della separazione di giudizio, oltre che di potere, tra le sfere di vita civile e religiosa. Sotto il pontificato di Giovanni Paolo II la Chiesa cattolica ha rivitalizzato la dottrina della legge naturale – che per un lungo periodo era stata messa in soffitta – con l’intento di contrastare l’idea liberale che i diritti individuali, primo fra tutti quello della libera scelta in questioni morali, debbano essere difesi in via di principio. La filosofia della legge naturale, impressa da Dio nel cuore degli uomini e interpretata dalla Chiesa che ne sarebbe il custode supremo sulla terra, si propone esplicitamente  come alternativa alla filosofia che, a partire dalla Dichiarazione dei diritti del 1789, si è imposta come la sfida più radicale al potere della trascendenza religiosa nella vita civile e politica.

Intendiamoci. Che le chiese esprimano la loro opinione sulle questioni che attengano alle decisioni politiche è cosa legittima e auspicabile. I cristiani – proprio perché il loro “Dio è un’idea politica”, come ricorda il teologo Johann Baptist Metz – possiedono una determinata visione del mondo e dell’essere umano e hanno delle convinzioni che non andrebbero relegate nell’intimo e nel privato, ma che, in una società pluralista come la nostra, converrebbe a tutti renderle presenti  e ascoltabili nello spazio pubblico, sociale e politico.

Tuttavia, vivere intensamente la differenza cristiana nell’agone politico e sociale non deve significare necessariamente organizzarsi in minoranze attive, ritenendole più capaci di assicurare identità e visibilità nell’ambito di strategie difensive e di concorrenza. Come suggerisce Enzo Bianchi, si può essere efficaci anche solamente vivendo la testimonianza di fede in compagnia degli uomini, innestando “una dinamica che scuote l’indifferenza alla fede cristiana e alle sue esigenze propria anche a molti sedicenti cattolici”.

Naturalmente il ragionamento del Priore di Bose vale per tutte le religioni.  La commistione tra potere politico e potere religioso non solo è rischiosa per le istituzioni democratiche: fomenta il fondamentalismo e il fanatismo anche all’interno delle stesse comunità religiose. Per contribuire a salvaguardare la democrazia, le chiese devono evitare di organizzare gruppi politici e sociali di ispirazione religiosa ed essere tolleranti e dialoganti con altre culture.

 

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Un nuovo multiculturalismo

Altra cosa è tener conto delle differenze e adottare politiche specifiche che riconoscano identità religiose, etniche, linguistiche, convinzioni culturali di specifici gruppi, questioni di verità o di vita buona, credenze di una parte di cittadini a cui altri non aderiscono e che attengono al rapporto uomo/ambiente o uomo/animale.

Negli ultimi tempi il concetto di multiculturalismo si è ampliato. Un diritto culturale è per esempio una norma che consente ai negozianti di religione musulmana di svolgere la loro attività commerciale in accordo con le loro pratiche religiose. Un altro diritto culturale è la facoltà concessa ai gruppi che aderiscono a determinate credenze religiose o filosofiche di adottare il metodo dell’agricoltura biodinamica nell’ambito di specifiche regole che, comunque, devono tutelare i diritti dei consumatori. Si tratta di soluzioni di prudenza poiché, se il diritto individuale è fondamentale, e deve restarlo, gli accomodamenti avvengono su questioni che non sono essenziali per lo stato di diritto.

È possibile avere un’ampia politica di diritti culturali, ma la decisione sulla sua ampiezza deve essere presa dalle istituzioni, non dal gruppo culturale che la sostiene, tenendo ferma la difesa dei diritti individuali, i quali non sono sempre in armonia con le difesa del gruppo che rivendica politiche culturali rispettose della propria identità.

Mentre i diritti civili non sono negoziabili, le politiche culturali lo sono, e per questo possono sempre essere revocate. Le norme che autorizzano o vietano la coltivazione di Ogm (Organismi geneticamente modificati) rientrano nelle politiche culturali che non dovrebbero ledere i diritti individuali (cosa che invece purtroppo accade!) e andrebbero considerate revocabili nel caso in cui si formino maggioranze politiche diverse. Il multiculturalismo deve favorire il rispetto del pluralismo ma non deve portare mai all’affossamento dello stato di diritto e al ripristino dello stato corporativo.

Concordo con Nadia Urbinati quando afferma che diventa un pericolo per la democrazia il sorgere di gruppi che rivendicano una propria specificità contro la generalità dei cittadini e contro altri gruppi, chiedendo che la politica segua l’identità e che la legge si modelli sull’identità più rappresentativa o maggioritaria su di un territorio. Ciò avviene quando i gruppi si auto-rappresentano non tanto o non solo come diversi, ma come meritevoli di un potere o di una considerazione superiori a quelli di altri gruppi.

Le istituzioni pubbliche sono di tutti e, quindi, non devono assolutamente far proprie convinzioni etiche e religiose o che attengano a specifiche visioni culturali, modelli produttivi e di consumo che sono di qualcuno e che divergono con quelle di qualcun altro. Se ne deve tener conto in via prudenziale, ma salvaguardando sempre i diritti individuali di coloro che non aderiscono a quelle credenze.

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Una nuova laicità

È questa la laicità pubblica del XXI secolo da realizzare con istituzioni pubbliche che devono rimanere neutrali per non degenerare in istituzioni non democratiche. Dovrebbe essere preoccupazione di tutti coloro a cui sta a cuore l’eguale libertà democratica di cittadinanza difendere le istituzioni dal morbo che conduce alla perdita della laicità, imparzialità, neutralità pubblica. Democrazia e laicità, simul stabunt, simul cadent. Non bisogna avere remore nel criticare deliberazioni e scelte istituzionali che, riflettendo gli interessi  di gruppi politici che mirano a soddisfare domande di eticità di frazioni di popolazione, ledono l’eguale rispetto dovuto a chiunque, in quanto cittadino o cittadina di pari dignità nella polis.

È inevitabile che la globalizzazione renda più intense le domande sociali di identità rivolte al sistema politico democratico e incentivi la presentazione conflittuale, nell’arena istituzionale, di domande di eticità. E che un’autorità politica che perde colpi rispetto a poteri sociali come la finanza, l’economia e la comunicazione, si rivalga soddisfacendo la domanda di eticità.

D’altra parte, anche il persistere della crisi economica e sociale crea un nesso molto forte tra questioni di identità e questioni di giustizia distributiva o di equità sociale. Ma queste ultime non sono separabili dalle altre, in quanto nascono intimamente unite alle prime. E tuttavia, né la globalizzazione né la crisi economica né il malessere sociale che ne consegue possono farci smarrire che la democrazia sia un valore irrinunciabile che non può essere mediato con altri.

Sappiamo che non c’è valore che non sia esposto al rischio della sua perdita e dissipazione. E oggi le derive populistiche, gerarchiche e plebiscitarie dei regimi democratici sono alimentate anche dalle continue risposte che le autorità pubbliche danno alle domande di eticità.

Va tutelato il diritto di assicurare ai gruppi specifici di esprimere i propri punti di vista sulle politiche pubbliche.  Perché solo l’esercizio di questo diritto permette il dibattito pubblico, non istituzionale, delle diverse opzioni ai fini della condivisione e contaminazione e, dunque, dell’interculturalità. Ma questo diritto va sempre accompagnato dall’eguale rispetto dovuto a chiunque non malgrado, bensì in virtù delle differenze e delle distinte concezioni di valore, etico, religioso e culturale.

In una società che fa perno sulla Costituzione e sugli eguali diritti, nessuna identità è di per sé più potente di un’altra. D’altra parte i totalitarismi sono identitari perché mirano a creare società non di diritto ma di sostanziale identità.

C’è un nesso molto stretto tra democrazie identitarie e degenerazioni xenofobe e razziste. Lo stiamo vedendo purtroppo nelle periferie delle nostre metropoli, dove si formano spontaneamente quartieri multietnici. Le due cose non sono necessariamente concatenate come causa ed effetto. Ma i rischi sono altissimi perché nella cultura europea c’è una resistenza molto forte al pluralismo e un’acquiescenza molto estesa al centralismo e all’omologazione.

In alcuni quartieri di Roma, come Torpignattara e Pigneto, stanno proliferando nuove forme di mafia per iniziativa di organizzazioni criminali, dedite al traffico di droga e al riciclaggio di denaro sporco, che strumentalizzano l’identità e il disagio sociale indotto dalla difficoltà di interazione tra le diverse etnie che convivono senza efficaci politiche di integrazione. Per affrontare questa nuova situazione è necessario affermare una cultura della legalità e fare in modo che le culture identitarie dialoghino, interagiscano senza mai proporsi al di sopra della cultura dell’eguaglianza e della dignità della persona. Non ci può essere un’eguaglianza all’interno di un gruppo diversa dall’eguaglianza praticata in un altro gruppo perché una simile concezione comporta negare l’eguaglianza come principio di relazione tra diversi. E queste considerazioni valgono per tutti i gruppi, sia quelli autoctoni che per quelli di immigrati.

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Identità e universalità dei diritti per un nuovo comunitarismo

I contesti e i gruppi specifici sono un’opportunità per rivitalizzare e arricchire nuove forme di società civile che correggano l’individualismo. E tuttavia bisogna tendere a costruire legami sociali che promuovano comunità-territorio aperte a tutti e che decidano con la regola di una testa un voto. È in tal modo che si può andare oltre la solidarietà e si può affermare la fraternità civile.

Le comunità-territorio contemporanee devono saper cogliere le opportunità della globalizzazione e non chiudersi in sé stesse. Bisognerebbe accompagnarle ad acquisire la capacità di auto-rappresentarsi e di costruire la propria immagine. Ma tale capacità presuppone una chiara percezione di sé, per fare in modo che gli scambi culturali ed economici con altre comunità-territorio del mondo globale siano reciprocamente arricchenti e improntati ad una relazionalità collaborativa.

Di qui l’importanza di studiare e conoscere scientificamente i contesti in cui fioriscono le vite delle persone e dei gruppi mediante approcci interdisciplinari e un’attività permanente di ricerca-azione finalizzata a promuovere percorsi partecipativi progettuali per lo sviluppo locale. Le storie di vita, le memorie delle persone e dei beni strumentali, architettonici, archeologici e paesaggistico-ambientali sono elementi indispensabili per fare in modo che gli individui e i gruppi si approprino delle loro radici e di un’identità consapevole e capace di aprirsi ad altre identità.

I contesti vanno vissuti da persone che comprendano i processi e i meccanismi con cui questi si producono. Le comunità-territorio contemporanee devono servire prioritariamente a siffatto scopo. Solo con un forte senso di sé e stabilendo regole democratiche condivise per il proprio funzionamento nei percorsi partecipativi dal basso, le comunità-territorio possono svolgere una funzione propulsiva, alimentando valori da immettere nelle istituzioni e nel mercato.  Per farlo devono essere comunità che non pongono in alternativa l’appartenenza identitaria e l’universalismo dei diritti. L’individualismo si corregge con un nuovo comunitarismo che non mette in discussione i diritti individuali. Altrimenti, coniugandosi in modo distorto con le culture identitarie, l’individualismo porta inevitabilmente alla violenza e alla sopraffazione.

 




Ripartono i corsi al Mitreo

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Mercoledì 1 Ottobre, ripartiranno ufficialmente tutti i nostri corsi

Dettagli, giorni ed orari alla nostra pagina corsi/laboratori.

 

… avete perso l’occasione di partecipare alle nostre lezioni di prova???

Non esitate a contattarci!!!

 

Vi aspettiamo, per un nuovo anno insieme ricco di NOVITA’…

Zumba, Cake Design, Inglese per Bambini,

corso base di Salsa Portoricana e Bachata, Ginnastica Posturale,

Consulti di counseling olistico e trattamenti olistici (bagni di luce, ritratti energetici, verifiche energetiche, agopuntura, omeopatia, intolleranze alimentari, dieta personalizzata, trattamenti drenanti, fitoterapia, massaggi, ecc)

…e TANTE RICONFERME…

Pittura e Disegno, Pittura Avanzato e Copie D’Autore. Decorazione e

Trompe l’oeil, Laboratorio artistico per bambini e ragazzi, Kundalini

Yoga, Tango Argentino, Danze Popolari Internazionali, Scuola di Danza

(Danza Classica, Propedeutica, Corsi Accademici dal 1° all’8°, Repertorio

del Balletto, Passo a due, Classico per adulti, Movimento Creativo, Danza

Contemporanea, Modern Contemporary, Community dance, Hip Hop),

Ginnastica per la Terza Età, Burraco e altre attività del gruppo “Voglia di

Creare”, “Knit Cafè”, Pittura energetica, Scuola per counselor ed

operatori olistici, Orologeria, … e molto altro ancora!

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IL CORVIALE DEL CALCIO nelle foto di Aldo Feroce

il calcio è sociale

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un dribbling social
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il corviale del calcio 
il corviale del calcio

si vince insieme 
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vince solo chi custodisce 
vince solo chi custodisce

il calcio ecosostenibile
il calcio ecosostenibile