1

Roma: Patto Civico con i costruttori per la rigenerazione urbana e la legalità

rigenerazioneIl sindaco della capitale propone un’alleanza con le imprese di costruzioni sul Piano Regolatore e per una nuova urbanistica
Negli ultimi cinque anni gli investimenti nel nostro settore a Roma e provincia sono scesi di un quarto. Abbiamo perso 2 miliardi di euro e 22mila posti di lavoro”.

È un quadro a tinte fosche quello descritto dal presidente dell’associazione costruttori edili di Roma e provincia, Edoardo Bianchi, nella sua relazione presentata all’assemblea annuale 2013 dell’Acer.

L’edilizia è un volano per la ripresa dell’economia

“È il momento delle scelte coraggiose e rigorose. Tutti noi siamo consapevoli che non vi possono essere occupazione e ricchezza senza impresa”, ha sottolineato Bianchi, che ha posto l’accento sulla necessità di “puntare sull’edilizia, perché siamo un settore antirecessivo. E siamo un efficace volano di ripresa dell’economia”.

Allarme sui capitali mafiosi

Il presidente degli imprenditori edili romani ha lanciato anche un allarme sulla criminalità mafiosa. “Esiste un concreto rischio che si affermino sul mercato laziale imprese con capitali di dubbia provenienza”, che nell’attuale momento di scarsità di risorse finanziarie e di difficoltà di accesso credito può realmente “alterare il mercato regolare”. Secondo Bianchi è necessario un progetto che “riesca a comunicare l’esiguità delle risorse con l’esigenza di dare risposte concrete alla città. In un periodo di recessione le politiche di governo non possono più essere quelle che hanno caratterizzato gli anni di crescita economica”. Occorre quindi “rivedere totalmente le logiche gestionali che hanno prodotto sprechi e inefficienze che hanno drenato risorse senza produrre risultati di interesse per la collettività”.

L’emergenza abitativa

Per quanto riguarda il problema allarmante del fabbisogno abitativo, il presidente Acer ha ricordato che “sono anni che si fanno delibere programmatiche ma non è stata costruita ancora un’abitazione”. Secondo Bianchi, strumenti attivabili nel breve periodo ci sono, come nel caso del bando regionale 355 del 2004, e potrebbero generare a Roma 5.700 alloggi. “Non appena la regione definirà le modalità di erogazione del finanziamento e dopo le opportune rimodulazioni del lotto dell’operatività dell’intervento, all’indomani apriremo i cantieri e dopo due anni le case saranno pronte”, assicura Bianchi.

Marino: Patto civico con i costruttori

Di fronte alla platea dei costruttori romani riuniti per l’assemblea annuale, il sindaco di Roma Ignazio Marino ha proposto un nuovo Patto Civico fra la città e le imprese di costruzioni.

”Il Patto Civico che proponiamo ad Acer – ha spiegato Marino – è volto proprio alla realizzazione del Piano Regolatore e all’avvio di una nuova stagione dell’urbanistica romana: quella della rigenerazione, diversa da quella dell’espansione e della conservazione. Quello della rigenerazione – che è anche una rigenerazione culturale con cui guardare la città – è l’orizzonte che ci permette di fare fronte ai rischi e di cogliere le opportunità rese evidenti dalla crisi del passato modello di sviluppo”.
Proposta per la trasparenza e la legalità
Il sindaco di Roma garantisce l’impegno “a cambiare e migliorare il ruolo dell’amministrazione. Il nostro obiettivo è sradicare la discrezionalità, dare solidità agli atti e alle procedure eliminando ambiguità. Vogliamo ridurre i contenziosi e rendere coerente e trasparente il nesso fra gli obiettivi che l’amministrazione intende perseguire e le modalità con le quali li realizza. Abbiamo già pronta una proposta per la trasparenza e la legalità”, ha annunciato Marino.

http://www.casaeclima.com/index.php?option=com_content&view=article&id=17217:roma-patto-civico-con-i-costruttori-per-la-rigenerazione-urbana-e-la-legalita&catid=1:latest-news&Itemid=50




Roma – Fiumicino in catamarano

catamaranoSette fermate e 80 minuti di percorrenza sul fiume Tevere per il nuovo collegamento tra Fiumicino e il centro di Roma. Approvato il progetto di un catamarano pensato tanto per i turisti quanto per i pendolari.
Partirà nella primavera del 2015 il nuovo collegamento della capitale con il mare di Fiumicino. Si tratta di un avveniristico catamarano che, percorrendo il fiume Tevere, collegherà il Porto di Traiano con Ripa Grande, nel centro di Roma all’altezza di Porta Portese.
Secondo il progetto, presentato e approvato ieri in conferenza dei servizi, il battello percorrerà l’intero itinerario in 80 minuti e sono previste sette fermate, tra cui gli scavi di Ostia antica, la Fiera di Roma, l’Eur (metro Marconi) e la Basilica di San Paolo.
Il costo complessivo dell’opera sarà intorno ai 5 milioni di euro; l’autorità portuale dovrà provvedere a bonificare il corso d’acqua, realizzare i ponti mobili e sistemare le banchine di attracco, mentre il Comune di Fiumicino si occuperà dei bandi di gara per l’esercizio della navigazione.
Un servizio di linea pensato per principalmente per i turisti, ma che nelle ore di punta potrebbe rivelarsi anche un’ottima alternativa all’auto per i pendolari che ogni giorno fanno la spola tra Fiumicino e Roma.

Marta Salvatori

http://www.easyviaggio.com/informazioni-viaggiatori/roma-fiumicino-in-catamarano-11248




“Serpentone” di Corviale allo sfascio: malavita e vandalismo in 1200 appartamenti per 8000 persone

DSC_0441
video
Chi ci vive è stanco di sentirne parlare solo in termini negativi, ricordando che Corviale non è un mondo a parte, un pianeta lontano
Il mostro o il Serpentone, non è il titolo di un film, ma è il nome che i romani danno all’edificio più chiacchierato di Corviale. Una sorta di grattacielo orizzontale di appena nove piani articolato in due edifici che si snoda sul territorio per un chilometro come un rettile di cemento. Progettato a partire dagli anni ’70, contiene 1200 appartamenti e ospita oltre 8.000 persone. Oggi sinonimo di degrado, abbandono, disagio, vandalismo e malavita. Eppure chi ci vive, è stanco di sentirne parlare solo in termini negativi, ricordando che Corviale non è un mondo a parte, un pianeta lontano.

Ma è proprio vero che tutti si sono dimenticati di questa realtà ad appena dieci km dal centro? E proprio per ovviare a questa dichiarazione la commissione politiche sociali del Municipio XI a effettuato un sopralluogo tra il IV ed V Lotto per vedere da vicino il disagio abitativo in cui versano queste persone e cercare di portare delle situazioni. Un intero piano, il quarto, inizialmente destinato alle aree comuni e ai servizi, nel tempo è stato occupato e riempito di centoventi alloggi abusivi dove vivono famiglie che non pagano né luce, né acqua, né gas, con ascensori rotti da vent’anni e angoli fatiscenti. “Quel modo di essere comunità, può essere recuperato se Corviale avrà il sostegno della città e delle istituzioni”, ha sottolineato Alfredo Toppi, presidente della commissione sociale del Municipio Roma XI.

di Mariacristina Massaro

link all’articolo




La Silicon Valley scopre la bellezza della stampa

stampaIl patron di eBay finanzia Greenwald, il boss di Amazon scala il Washington Post
Le dietrologie si sprecarono, si andò a cercare una qualche “agenda politica” che il patron di Amazon poteva difendere possedendo lo storico quotidiano della capitale federale. Fu anche sottolineato che Bezos pagava una cifra modesta – in proporzione al proprio patrimonio personale che è di 29 miliardi – per procurarsi un “trofeo” di prestigio (il quotidiano che denunciò il Watergate). Ma gli stereotipi non reggono alla prova di quel che va accadendo da mesi. Tra le ultime mosse c’é quella di Pierre Omidyar, 46enne fondatore di eBay, con un patrimonio di 8,5 miliardi: ha assunto il reporter Glenn Greenwald, reso celebre nel mondo per aver svelato sul Guardian inglese la vicenda del Datagate, il cyber-spionaggio invasivo della National Security Agency. La missione affidata dal fondatore di eBay a Greenwald è continuare a svolgere il proprio mestiere con un sito di news apposito.

“Watchdog” è la parola-chiave: letteralmente significa cane-guardiano. È una parola che ha un senso antico e nobile nella liberaldemocrazia americana, assegna al Quarto Potere un ruolo essenziale di vigilanza, bilanciamento e controllo sugli altri tre poteri costituzionali della Repubblica. Iniziative analoghe vedono come protagonisti la vedova di Steve Jobs, fondatore di Apple, e altri nomi meno noti della Silicon Valley. Non passa inosservata la scelta di un gigante della Old Economy, Warren Buffett, che di recente ha collezionato ben 63 quotidiani locali. Buffett non è sullo stesso piano degli attori della Silicon Valley, nel senso che non è un innovatore. Tuttavia ha un acume raro per le opportunità d’investimento.

Le strade che imboccano gli investitori venuti dall’economia digitale sono variegate. C’è chi, come Bezos, crede di poter reinventare e rilanciare un grande quotidiano storico. C’è chi predilige contenitori esclusivamente online. C’è chi guarda a un business model misto, dove si rafforzano delle centrali di giornalismo investigativo supportate da istituzioni non profit: fondazioni, Ong, scuole di giornalismo. È un’esplosione di sperimentazioni, tipica della mentalità con cui è cresciuta la Silicon Valley: in un laboratorio incubatore di innovazioni si devono tentare le strade più ardite, sapendo che alcune si riveleranno sbagliate. Ma queste incursioni di giovani imprenditori dell’hi-tech hanno alcuni tratti comuni. La fiducia nel ruolo insostituibile dell’informazione in una società democratica. La consapevolezza che il “consumo” d’informazione sta crescendo a dismisura, raggiunge volumi mai visti nella storia umana, anche se una parte di questo consumo è stato assuefatto alla gratuità (Steve Jobs a suo tempo dovette affrontare un problema simile: il modello Napster aveva attirato una generazione di giovani verso il godimento gratuito della musica). Un padre storico della Silicon Valley, l’inventore del microchip Federico Faggin, traccia un’analogia con l’avvento della fotografia digitale al passaggio del millennio. Chi non la capì e tentò di rimanere nel business delle macchine fotografiche e delle pellicole è scomparso (Kodak); ma poiché oggi il consumo di foto ha avuto una vertiginosa escalation, altri hanno saputo proliferare inventando nuovi business per catturare questo boom di attenzione (Instagram, fra tanti). Chi ha creato dal nulla delle attività, come appunto Amazon e eBay, vuole trasferire la stessa vena “rivoluzionaria” nel reinventare l’equazione economica del produrre informazione. Al tempo stesso c’è il riconoscimento che il patrimonio di credibilità acquisito sotto il nome di una testata (Washington Post) o di un reporter d’eccezione (Greenwald) ha un valore che può essere rilanciato con nuove piattaforme e nuove strategie.

È avvincente lo spettacolo dell’America più dinamica e innovativa, che dopo avere partorito le tre rivoluzioni del personal computer, poi di Internet, infine dello smartphone e dei tablet, si cimenta con la missione storica di contrastare il declino della carta stampata. Anche a livello locale, si avverte che la scomparsa del piccolo quotidiano di provincia i cui cronisti frequentano ogni seduta del consiglio comunale, impoverisce la democrazia e indebolisce la società civile. Figurarsi un mondo in cui il Pentagono potesse condurre le sue guerre senza più corrispondenti e inviati della stampa a verificarne le versioni ufficiali; dove la Nsa-Grande Fratello potesse operare le sue scorribande nella nostra privacy senza oppositori organizzati e credibili. Cresce anche l’insoddisfazione verso uno scenario in cui prosperino solo i giganteschi contenitori-riciclatori di news, alla Google. In quanto al timore che i golden boys delle tecnologie cerchino una scorciatoia per rafforzare la propria influenza politica, basta leggersi le recenti inchieste che il Washington Post sta dedicando al proprio nuovo padrone: sono una lezione di autonomia dei reporter.
di FEDERICO RAMPINI
http://www.repubblica.it/cultura/2013/10/22/news/la_silicon_valley_scopre_la_bellezza_della_stampa-69143181/




Le agricolture sociali creano valori

fattorieE’ ormai scientificamente provato che talune peculiarità proprie del contesto rurale e del ciclo produttivo agricolo permettono di migliorare le condizioni di salute e di perseguire percorsi più efficaci di apprendimento, autostima e partecipazione.
In tutta la penisola sono alcune migliaia le esperienze in cui attività agricole e servizi alla persona si integrano e generano valore economico e altri valori: beni relazionali inclusivi, legami comunitari e civili. Sono pratiche che innovano i modelli tradizionali di welfare e creano nuovi mercati civili, locali e globali.
Tali iniziative riguardano l’inserimento socio-lavorativo di persone svantaggiate mediante le assunzioni, i tirocini e la formazione; l’organizzazione di servizi terapeutici e riabilitativi; le attività sociali rivolte all’infanzia, quelle educative per i minori in difficoltà, quelle con gli anziani e quelle di accoglienza e integrazione di migranti.

Si creano reti locali
Quando si progetta una fattoria sociale o un orto sociale si promuove innanzitutto un percorso partecipativo. Non è, infatti, sufficiente la volontà di una singola persona. Occorre mettere insieme competenze e professionalità di una pluralità di operatori: agricoltori, tecnici agricoli, educatori, psicologi, psicoterapeuti, ecc.
Le attività da organizzare spesso interagiscono coi servizi sociali territoriali e riguardano i bisogni delle persone, delle famiglie e della comunità locale. Tutti questi soggetti vanno coinvolti fin dall’inizio nella progettazione dell’iniziativa.
Si tratta, dunque, di promuovere un percorso partecipativo per costruire una rete, la cui dimensione varierà a seconda del contesto locale, cioè delle risorse agricole che si rendono disponibili, dei bisogni che si vogliono soddisfare, delle competenze che si mobilitano. L’iniziativa può essere assunta da chiunque abbia in testa un’idea progettuale e la condivide con altri.

Si valorizzano le peculiarità della campagna
E’ ormai scientificamente provato che talune peculiarità proprie del contesto rurale e del ciclo produttivo agricolo permettono di migliorare le condizioni di salute e di perseguire percorsi più efficaci di apprendimento, autostima e partecipazione.
In campagna le attività si svolgono all’aperto, interagendo con organismi viventi, e comprendono non solo la produzione di un bene ma anche la sua valorizzazione ed eventuale vendita in un rapporto diretto con il consumatore.
In un’azienda agricola i ritmi lavorativi non sono stressanti. E’ la natura a dettare i tempi! Gli ordinamenti produttivi sono versatili e le tecniche di produzione sono di vario tipo.
Nel pianificare le attività di coltivazione e di allevamento, quelle di lavorazione, trasformazione, confezionamento e commercializzazione dei prodotti, nonché i servizi da erogare in una fattoria sociale, le scelte tengono conto di queste peculiarità, per poterle valorizzare al massimo.
Sono i processi produttivi a essere adattati alle persone da inserire e non viceversa. E in tal modo si recuperano o s’introducono processi e tecniche più sostenibili dal punto di vista ambientale.

Si innovano i modelli di welfare
Nelle fattorie sociali i disabili psichici passano dalla condizione di essere curati a quella di prendersi cura di qualcuno o di qualcosa. Essi non sono portatori di bisogni ma di storie. Non sono utenti od ospiti o beneficiari, ma ortolani o addetti alla vendita secondo il compito loro affidato. Essi si vedono in un rapporto di reciprocità, che esprime maggiore dignità. Non si sentono assistiti, ma soggetti all’interno di un contratto di mutuo vantaggio; e quindi sperimentano più libertà e più eguaglianza.
Nelle agricolture civili non c’è soltanto il mutuo vantaggio tra l’impresa e la persona coinvolta, ma anche il vantaggio per la società e per le istituzioni e il contenuto affettivo del dono-gratuità, non codificabile in nessuna norma o contratto.

Le forme sono molteplici
Le agricolture civili assumono la forma imprenditoriale, a carattere familiare o in cooperativa, ma prendono anche la forma della cittadinanza attiva.
Si tratta degli orti urbani e delle attività di piccoli produttori non professionali (hobby farmer’s). Sono combinazioni diversificate e originali di apporti lavorativi e professionali, motivazioni delle persone coinvolte e risorse inusuali del territorio. La loro gestione – per essere efficiente ed economicamente sostenibile – dovrebbe essere sempre affidata al coordinamento di soggetti imprenditoriali.

Si creano nuovi mercati civili locali e globali
La fase di progettazione di una fattoria sociale riguarda non solo l’organizzazione dell’offerta di beni e servizi ma anche la strutturazione della domanda. Si tratta di promuovere i gruppi di acquisto solidale (G.A.S.) e i gruppi interessati all’utilizzo dei servizi alla persona, nonché la stipula di accordi quadro con istituzioni pubbliche e private per rifornire mense collettive.
Strutturare la domanda di beni e servizi significa, dunque, creare mercati civili che garantiranno la sostenibilità economica del progetto. Si tratta di intercettare gruppi e istituzioni disponibili a sostenere le attività della fattoria sociale, diventando in modo stabile consumatori dei prodotti e utenti dei servizi. Ciò permetterà di compensare gli eventuali costi aggiuntivi per inserimenti lavorativi rispettosi della dignità umana e per servizi sociali non sempre e non del tutto sostenuti dal pubblico.
Rivitalizzare e creare mercati locali è importante, ma occorre farlo sempre con dinamicità e in modo innovativo, soprattutto ora che, nei paesi emergenti, entrano in scena milioni di cittadini che stanno modificando la propria dieta alimentare ed esprimono bisogni sociali nuovi e differenziati.
Le tecnologie digitali oggi fanno miracoli nel permettere la costruzione di relazioni intense tra territori di regioni e paesi anche molto lontani.
Ogni prodotto umano che comprendiamo e di cui godiamo diventa immediatamente nostro, quale che sia la sua origine. La lezione che ci viene dalla storia del Mediterraneo è di pensare i sistemi alimentari non come realtà semplici, dettate dalla “natura” dei luoghi, bensì come costruzioni complesse, legate a culture, stili di vita che i diversi popoli hanno imparato a condividere, a modificare, a contaminare, a creare giorno dopo giorno.
Le agricolture civili potrebbero favorire questa modalità come un percorso utile di confronto e integrazione delle diverse culture esistenti nel mondo.
Alfonso Pascale
link all’articolo




Le pareti del Quadraro per il Warhol della street art

hulkRon English, star del surrealismo pop, firma un murales nella periferia della città. Torna a dipingere a Roma dopo tre anni. Per il muro di via dei Pisoni, ha scelto come protagonista The Temper Tot
Un baby Hulk al Quadraro. Dopo aver passato Guernica “ai raggi X”, rivisitandola tre anni fa in un’installazione all’ex Mattatoio di Testaccio, Ron English è tornato a dipingere a Roma. Questa volta per il M. U. Ro, il museo di urban art a cielo aperto del Quadraro, dove l’artista americano, fra i principali esponenti del surrealismo pop, ieri ha terminato il suo ultimo lavoro. Per il muro di via dei Pisoni, English ha scelto come protagonista The Temper Tot, lo stesso Hulk bambino dipinto un anno fa a Little Italy. “È una figura che unisce in sé forza e immaturità, come un bimbo di due anni. Può rappresentare il contrasto fra un Paese molto potente, con un forte esercito, ma con una leadership immatura”. Accanto a lui, fra supereroi e cartoni rivisitati, l’inquietante Mickey Mouse con la maschera antigas. Uno dei “target” più ricorrenti nelle opere di English, che fin dagli albori della sua carriera ha preso di mira multinazionali del tabacco, giganti dei fast food (sua la mascotte obesa del cibo spazzatura MC Supersized, usata per il documentario “Super Size Me”) e simboli della pubblicità, reinterpretati in modo spesso dissacrante. Ma che ha anche saputo creare vere e proprie icone contemporanee, come nel caso di “Abraham Obama”, la celebre immagine in cui i volti dei due presidenti americani – Obama e Lincoln – si sovrappongono, realizzata per la campagna 2008.
A seguire il lavoro dell’Andy Warhol della streetart, durato tre giorni, le telecamere di Sky Arte Hd che il 3 dicembre gli dedicherà una puntata del nuovo programma dedicato all’arte urbana. Un episodio che racconta anche il legame che l’artista ha stretto col quartiere e con i suoi abitanti, dal reduce di un campo di concentramento al barbiere di Cinecittà preferito da Totò, a cui ha confidato: “Anche mio padre ero un barbiere a Dallas”. “La street art – spiega English – nasce integrandosi prima di tutto con il territorio”. In questo caso, con un quartiere che vanta nella sua storia grandi battaglie, da quella contro i nazifascisti (per cui ha ricevuto una medaglia d’oro al merito civile) alla più recente contro la speculazione edilizia. “Abbiamo chiamato English per il M. U. Ro perché è un artista battagliero, come il quartiere” racconta David Vecchiato, in arte Diavù, ideatore del progetto. “Un legame ideale, dopo quello direttosperimentato l’anno scorso con Gary Baseman, che per il suo murales si ispirò al rastrellamento nazista del Quadraro del ’44, ricordando l’esperienza dei genitori polacchi sopravvissuti all’Olocausto”. Il sogno di Vecchiato è ora di estendere il museo di urban art all’intero municipio, “magari invitando Obey, lo streetartist famoso per aver realizzato il manifesto “Hope”, simbolo della prima campagna di Obama, a intervenire su via di Torpignattara”.
di SARA GRATTOGGI
http://roma.repubblica.it/cronaca/2013/10/10/news/le_pareti_del_quadraro_per_il_warhol_della_street_art-68269324/




Grande successo per la prima edizione di App4Mi, il progetto-concorso formativo del Comune di Milano e di RCS. Ecco tutti i vincitori!

app4miSe il buon giorno si vede dal mattino, c’è da aspettarsi – e da augurarsi – che vengano realizzate nuove edizioni di App4Mi e iniziative simili su tutto il territorio nazionale, che mostrino concretamente l’utilità e il senso degli Open Data. E’ stato infatti un grandissimo successo la prima edizione di App4Mi, il progetto formativo del Comune di Milano ed RCS MediaGroup che ha premiato il 10 ottobre scorso le applicazioni più utili e innovative sviluppate sugli Open Data dell’Amministrazione comunale.
Più di 1.000 si sono iscritti ai corsi gratuiti di App4Mi Open Campus, oltre 800 persone hanno seguito i corsi in streaming e 3.782 sono stati i video interventi scaricati. Anche il numero delle app che hanno partecipato al contest è stato significativo: 75 di cui 64 ammesse nella gallery. Si tratta di un risultato di notevole importanza, confrontato per esempio con l’analoga esperienza di New York, che ha selezionato 57 app concorrenti nella prima edizione del contest, nel 2010, 96 nel 2011 e 54 nel 2012.
“Un progetto nato con la volontà di valorizzare il patrimonio informativo del Comune, messo a disposizione di cittadini e imprese attraverso il portale Open Data, migliorando i servizi e la vita a Milano in un’ottica sempre più smart e sostenibile”. Così l’Assessore allo Sviluppo Economico, Università e Ricerca, Cristina Tajani che ha aggiunto: “La partecipazione e l’interesse di questa prima edizione ci sollecitano ad andare avanti, migliorando e arricchendo i dati pubblicati e progettando nuove iniziative”.
“App4Mi è il segno tangibile dell’impegno e dell’attenzione che da tempo il nostro gruppo ha per lo sviluppo e per l’incremento delle attività digitali. Solo pochi giorni fa è nato RCS Nest, il nuovo incubatore di startup di RCS e Digital Magics, e oggi siamo particolarmente felici di premiare queste nuove app che uniscono sviluppo tecnologico e aspetto ideativo, e testimoniano l’interesse che sempre di più i cittadini hanno nei confronti delle opportunità offerte dal digitale”, ha detto l’Amministratore delegato di RCS MediaGroup Pietro Scott Jovane.
I premiati di App4Mi
Sono state scelte e premiate da una giuria composta da personalità di spicco del mondo dell’innovazione digitale 9 app: 6 tematiche e 3 considerate le migliori in assoluto. Un decimo premio di 2.000 euro è stato assegnato alla app più votata dal pubblico sul sito www.app4mi.it.
Nel dettaglio, per le app tematiche hanno vinto 1.000 euro ciascuna per le categorie:
Turismo e tempo libero, Milano.Life che mostra i luoghi di interesse e spiega come raggiungerli, utile sia per i turisti che per gli abitanti di Milano. È stata ideata da Alessio Vinerbi
Cultura/Education, That’s app che indica con grafica accattivante gli eventi d’arte contemporanea, attuali e futuri, corredando le informazioni con schede informative dettagliate e immagini. È stata ideata da Andrea Amato, Elisabetta Bolasco, Caterina Failla, Federica Roserba, Francesca Baglietto, Giulia Restifo, Luca Corti, Stefano Fattorusso e Tim Julian Ohlenburg
Mobilità, traffico e trasporti, Milano Easy Parking, una app che permette di parcheggiare più agevolmente a Milano e ti ricorda dov’è la tua auto e quando scade il permesso per la sosta. È stata ideata da Dario Costa e Fabrizio Galeazzi
Green, Ecomilano, pensata con una logica semplice e intuitiva evidenzia i servizi ecologici e sfrutta la realtà aumentata. È stata ideata da Angelo Gallarello
Sociale e Sanitaria, Dove si butta che permette di costruire un database geolocalizzato per la raccolta differenziata, diffonde notizie e stimola la comunità a dare il proprio contributo. È stata ideata da Giovanni Maggini
Disabilità, Milano4All che permette di verificare l’accessibilità dei luoghi pubblici intorno a te selezionando il tipo di disabilità. È social e permette di condividere i commenti. È stata ideata da Andrea Gerino.
Per le migliori app in assoluto la prima classificata è Quolimi, pensata e realizzata da Luca Campanini, Andrea Clerici, Gianfranco Netti e Claudio Rava che vincono complessivamente 6.000 euro. La app fornisce una valutazione sintetica della vivibilità di un indirizzo di Milano aggregando molti dataset di natura diversa con una grafica semplice e chiara; la seconda classificata è Mirami che permette di scoprire i punti di attrazione più vicini e suggerisce i luoghi di interesse. È stata ideata da Nazzareno Cantalamessa che vince 4.000 euro; terza classificata, con un premio di 2.000 euro, è Milano.Life già premiata nella categoria Turismo e tempo libero.
La app più votata sul sito www.app4mi.it è BiciMI4Social, di Antonio Scardigno, Stefania Anna Scardigno e Raffaella Spera che vincono complessivamente 2.000 euro. È dedicata alla gestione della mobilità in bicicletta attraverso il bike sharing ed è pensata in modo social con la possibilità di creare e condividere percorsi e di segnalare eventuali problemi.
L’organizzazione di App4Mi
Il pregio di App4Mi, che ci auguriamo possa vantare presto delle imitazioni in Italia, ha il pregio di mostrare concretamente come possono essere utilizzati e capitalizzati gli open data delle amministrazioni comunali. Rappresenta inoltre il prodotto della collaborazione di più attori pubblici e privati presenti sul territorio; ricordiamo infatti che App4Mi è stato ideato dal Comune di Milano e da RCS MediaGroup, con il supporto dell’incubatore Digital Magics e che partner dell’iniziativa sono stati il main sponsor Intesa Sanpaolo, e Accenture e Vodafone. La premiazione ha avuto luogo nella Sala Buzzati del Corriere della Sera.

Maria Letizia Fabbri

http://www.pionero.it/2013/10/15/grande-successo-per-la-prima-edizione-di-app4mi-il-progetto-concorso-formativo-del-comune-di-milano-e-di-rcs-ecco-tutti-i-vincitori/




Contro il degrado pugni e musica rap

calcioUn ex pugile, un giovane rapper nostrano e un vecchio comunista. Sono l’anima di Corviale. Vittorio Barbante, 43 anni, boxer e una lunga storia alle spalle, tira qualche cazzotto a un sacco appeso nella palestra.
Locali dimenticati dal Comune (doveva sorgere un asilo) e dove oggi la speranza è infilata in un paio di guantoni. Vittorio, figlio d’arte nella boxe, appena può fila in palestra. Pugni che sfidano la droga e il degrado, «che servono per tirarti fuori dai guai», racconta, che scandiscono il ritmo dell’allenamento, «dando un senso alla tua vita». Qui non si rifiuta nessuno. E proprio davanti alla palestra c’è l’Incubatore, un «servizio comunale per l’avvio di nuove iniziative». Ci lavorano alcuni ragazzi, tra cui un rapper-produttore, Riccardo Dell’Avversano, alias Brasca. Di mestiere, però – precisa – fa la guardia giurata, ma anche lui appena può torna a Corviale. Nel quartiere c’è pure il calcio sociale, che raduna ragazzi nel nome dello sport e il campo da rugby.
Marco Balderi, che gestisce il bar dietro la biblioteca è la memoria storica del quartiere, arrivato negli anni Ottanta, «quando fummo inghiottiti dall’edonismo reganiano». Racconta con una nota di colore, che a Corviale hanno sempre convissuto il Partito Comunista e la parrocchia di gesuiti. Peppone e don Camillo. Il bianco e il nero. «Poi ognuno di noi, liberamente – chiude – ha scelto con cosa riempire la propria vita».

link all’articolo




Corviale tra spacciatori e brava gente, quel mostro a due teste

corvialeÈ lì che salgono le anime, lungo le scale che portano ai nove piani dell’astronave, un chilometro di cemento armato dove convivono il bene e il male, e sopravvivere è fatica.
A guardarlo quel «mostro», amato come un figlio, ci si aspetta che parta verso il cielo. Portandosi via, magari, una delle testimonianze che a Roma le borgate esistono ancora. Lo diceva anche Max Gazzè che a Corviale ha dedicato una canzone, immaginandolo in viaggio fino ai Parioli. Un luogo dove l’amore è testimoniato dalla lealtà, e la cattiveria prende il volto di spacciatori e immobiliaristi improvvisati. L’Ater avrebbe dovuto accudirlo, questo mostro, invece di abbandonarlo a una lenta agonia. Decine di locali sono stati lasciati a marcire, o a diventare preda dei balordi. Ecco la verità di Corviale, tessuta su un filo dove camminano buoni e cattivi, pronti a rinnegarsi su Facebook come borgatari social, ma anche ad aiutare chi sta peggio.
LE TORRI
Cinque lotti. 1200 appartamenti costruiti dall’architetto Mario Fiorentino dal 1975 all’82. Metà quartiere abita qui. Ognuno ha una torre e le vetrate delle prime due sono sfasciate: quando piove le scale diventano una trappola. Di quattro ascensori per ogni nucleo, ne funziona uno. I campanelli sono rotti o bruciati. Dei nove piani è il «quarto» quello su cui tutti puntano il dito. Fu costruito per ospitare negozi. Poi è diventato «il piano degli abusivi», passato indenne a due sanatorie pasticciate. C’è perfino chi ha comprato, pagando qualche migliaio di euro al precedente inquilino. Un cingalese è convinto che la casa sia sua, dice di essere felice. A Corviale vive pure chi i soldi ce l’ha, con appartamenti arredati nel lusso. Qui resiste ancora la chiesa di padre Gabriele. «I problemi sono tanti, ma insieme li risolviamo», commenta un gruppo di arzille vecchiette sedute attorno a un tavolo con torta e gazosa, a mischiare carte e santini. «E poi – dicono – guardi che vista, tutta per noi». È la riserva naturale della Tenuta dei Massimi, centinaia di ettari a bosco e prato.
MAGIA E DISPERAZIONE
A Corviale c’è la magia delle panchine che raccolgono anziani e ragazzi. Così la storia prende forma con i racconti. Salvo, all’imbrunire, lasciare il posto alle vedette che armano lo spaccio, protette dai corridoi clandestini e blindati dell’astronave. Una volta c’erano due bande, oggi comanda er Palletta. Lo conoscono bene i carabinieri. Una sessantina di ragazzi lavorano per lui, smistano almeno cento chili di droga al mese. E lui, intanto, fa affari con i calabresi. Non abita più qui, «ma è ancora il re». A condimento, pregiudicati, trafficanti d’armi, mischiati alla gente per bene, e a uno spregiudicato immobiliarista che da anni «vende» gli appartamenti lasciati liberi: 15mila euro se vuoi entrare, compresi – spiega Angelo Scamponi, portavoce dei residenti – gli allacciamenti abusivi. Davanti al mostro c’è pure una biblioteca che presta più di cento libri al giorno ai 15mila associati. E la chiesa che assieme alla Caritas ha organizzato un centro di raccolta per chi non ha denaro. Intorno piccoli condomini. È l’altra faccia del quartiere. Da qui il nemico più grande di Corviale sembra il pregiudizio che ha convinto, per esempio, i progettisti del centro commerciale «Casetta Mattei», che sorge proprio a Corviale, a chiamarlo con il nome del quartiere confinante, perché c’era chi si vergognava. Dimenticando che qui ci abitò pure l’attore Vincenzo Salemme e il collega Elio Germano. Ma d’altronde sono molte le leggende che ruotano attorno a tutto quel cemento. Si racconta che l’architetto Fiorentino morì suicida dopo aver terminato il «mostro». Falso. Morì d’infarto nel 1982 durante una riunione. Anche il ponentino, il famoso venticello romano, si sarebbe fermato contro la pancia del gigante. Inghiottito dalle fauci di un brutto anatroccolo chiede solo più d’attenzione, come i 42 milioni di euro promessi e stanziati per il suo recupero, congelati nei corridoi della politica.

di Riccardo Tagliapietra

link all’articolo




L’era dell’editoria democratica

editoriaPerché dobbiamo imparare a «usare il nostro “voto” con accortezza quando scegliamo di pubblicare o consumare informazioni»
«La democratizzazione dell’editoria», scrive Kirby Prickett, «è quel processo per cui le persone sono sempre più abilitate a far circolare le proprie idee, le proprie storie e le proprie opinioni. E questo sta accadendo soprattutto grazie a Internet».
Il concetto di Internet che «aumenta» la democrazia è poco maneggevole e sicuramente controverso. Io di solito preferisco parlare di volgarizzazione dell’editoria. Ma il lungo articolo di Kirby costruisce un buon quadro storico e porta con sé alcuni concetti interessanti.
Ripercorrendo la storia dell’editoria controllata da pochi, in un breve paragrafo intitolato «Storia del Controllo», si arriva al punto: «queste dinamiche sono cambiate con la rete, con l’apertura dei commenti, con le piattaforme di blogging, i social media e il self-publishing. Da quel momento chiunque (con una connessione a Internet) può pubblicare il proprio punto di vista, in qualsiasi luogo del mondo».
La parte più stimolante del pezzo è quella finale in cui la Prickett si chiede se questa «democratizzazione» può essere considerata una cosa positiva o meno. E conclude con l’idea che «alla fine, esattamente come con la democrazia in politica, il risultato dipenderà da noi, cittadini ordinari». E dalla «nostra capacità di usare il nostro “voto” con accortezza quando scegliamo di pubblicare o consumare informazioni».
Fatti un’idea da solo: The History of the Democratization of Publishing.
Da un altro punto di vista, Jane Friedman (una delle maggiori esperte di editoria digitale negli Stati Uniti, ragiona proprio sul peso che sta avendo il self-publishing nella trasformazione dell’industria editoriale. Il punto di partenza è una conferenza tenuta alla Fiera del Libro di Francoforte, con a tema il «matrimonio tra tecnologia e contenuti».
Jane fa un accurato recap e ci regala i link a diverse ricerche interessanti. «Gli autori oggi», scrive, «hanno il potere di scoprire modi nuovi per raggiungere il proprio pubblico». Mentre gli editori tradizionali sono più lenti ad adottare strategie nuove o più aggressive, come quelle dei prezzi bassi.
È un altro esempio di «disintermediazione» dell’informazione, a scapito del funzionamento dell’industria culturale come la intendevamo nell’epoca della scarsità dei contenuti. Jane ragiona (e riporta opinioni) su tutte le implicazioni di questo passaggio verso nuovi modelli.
Merita la lettura e l’approfondimento dei link: Is Self-Publishing the Most Important Transformation in the Publishing Industry?
Per costruirci un’opinione e per trovare la nostra «giusta educazione» in questo nuovo ecosistema dei media, dobbiamo anche considerare che non ci troviamo di fronte a tendenze destinate a invertirsi. La nostra capacità di pubblicare e accedere alle informazioni tenderà ad esse sempre più facile ed economica. Gli ultimi dati li raccoglie un report ( The Global Media Trends Book) che tra l’altro ci racconta come in molti Paesi i social network siano diventati l’accesso primario all’informazione.
Qui trovi una sintesi: Report details global trends in mobile, video and social.
Ma più ancora può aiutarti a riflettere lo stralcio del libro di Nate Silver pubblicato in italiano da Internazionale. L’occhiello ti racconta subito dove si va a parare: «La mole di informazioni disponibili aumenta a ritmo vertiginoso, ma fare previsioni non è affatto semplice: i dati da soli non bastano, la maggior parte è solo interferenza e il rumore è più forte del segnale. Il libro di Nate Silver spiega perché l’elemento umano è ancora essenziale».
Il titolo è, non a caso, Il segnale e il rumore.
Come link bonus, questa settimana, un post di John Kroll che fa proprio al caso nostro. Siamo stati educati con la cultura della stampa e dobbiamo educarci a pensare (e scrivere) per il digitale. Parlando soprattutto ai giornalisti, John spiega in modo utile come superare la «mentalità della carta»: How to get past the print-first mindset.

GIUSEPPE GRANIERI

Twitter: @gg

link all’articolo